mercoledì 18 dicembre 2024

Alastair Crooke - La fine della Siria (e della Palestina, per il momento) nella nuova mappa geopolitica in corso di definizione




Traduzione da Strategic Culture, 16 dicembre 2024.

La Siria è finita nell'abisso. I demoni di alQaeda, dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante e degli elementi più intransigenti dei Fratelli Musulmani si librano in cielo. Caos, saccheggi, paura, una terribile frenesia di vendetta che fa scorrere il sangue. Le esecuzioni sommarie si stanno moltiplicando.
Forse Hayat Tahrir al Sham (HTS) e il suo leader Al-Joulani, che sono agli ordini della Turchia, pensavano di tenere la situazione sotto controllo. Solo che quella di HTS è un'etichetta ombrello proprio come quelle di AlQaeda, di ISIS e di An-Nusra, e le sue fazioni hanno già iniziato a scontrarsi fra loro. Lo "Stato" siriano si è dissolto in una notte; la polizia e l'esercito hanno disertato in blocco lasciando i depositi di armi aperti al saccheggio degli Shebab. Le porte delle carceri sono state spalancate (o forzate). Alcuni detenuti erano senza dubbio prigionieri politici, ma molti non lo erano. Alcuni fra i detenuti più feroci ora sono a piede libero.
Lo stato sionista ha completamente distrutto in pochi giorni le difese dello Stato, lanciando oltre quattrocentocinquanta attacchi aerei. La contraerea, gli elicotteri e gli aerei dell'aeronautica siriana, la marina e i depositi di armi sono stati tutti distrutti nella "più grande operazione aerea nella storia dello stato sionista".
La Siria non esiste più come entità geopolitica. A est le forze curde -con il sostegno militare degli Stati Uniti- si stanno impadronendo delle risorse petrolifere e agricole dell'ex Stato. Le forze di Erdogan e i corpi armati sotto il loro controllo sono impegnati nel tentativo di schiacciare completamente l'enclave curda, sebbene gli Stati Uniti abbiano ora mediato una sorta di cessate il fuoco. Nel sud-ovest, i carri armati dello stato sionista si sono impadroniti del Golan e delle terre al di là di esso fino a 20 km da Damasco. Nel 2015 la rivista The Economist aveva scritto: "Oro nero sotto il Golan: i geologi dello stato sionista pensano di aver trovato petrolio in un territorio molto insidioso". I petrolieri dello stato sionista e quelli statunitensi sono convinti di aver trovato un tesoro, in quella landa disagevole.
E la Siria, che era un grande ostacolo per le ambizioni energetiche dell'Occidente, si è appena dissolta.
Dal 1948 la Siria era un contrappeso strategico allo stato sionista. Adesso non esiste più. E all'allentamento delle tensioni che ea in atto tra la sfera sunnita e l'Iran è stata posta brusca fine dal rude intervento dei ribelli dell'ISIS e dal revanscismo ottomano che collabora con lo stato sionista tramite intermediari statunitensi e britannici. I turchi non si sono mai veramente rassegnati agli effetti del trattato del 1923 che aveva concluso la Prima Guerra Mondiale, e con il quale avevano ceduto al nuovo Stato della Siria quelli che erano i suoi territori settentrionali.
In pochi giorni la Siria è stata smembrata, spartita e balcanizzata. Allora perché lo stato sionista e la Turchia continuano a bombardare? I bombardamenti sono iniziati nel momento in cui Bashar Al Assad ha lasciato il paese perché la Turchia e lo stato sionista temono che i conquistatori di oggi possano rivelarsi effimeri e che presto possano essere a loro volta spodestati. Non è necessario possedere qualche cosa per esercitarvi un controllo. In quanto potenze regionali, stato sionista e Turchia vorranno esercitare il controllo non solo sulle risorse, ma anche su quel vitale crocevia che era la Siria.
Probabilmente è inevitabile che prima o poi la "Grande Israele" si scontri con il revanscismo ottomano di Erdogan. Allo stesso modo, il fronte costituito da Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti non vedrà di buon occhio la rinascita dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante sia pure sotto altre spoglie, né di una versione ottomanizzata dei Fratelli Musulmani di ispirazione turca. Quest'ultima rappresenta una minaccia immediata per la Giordania, ora confinante con una nuova entità rivoluzionaria.
Tali preoccupazioni potrebbero spingere questi Stati del Golfo ad avvicinarsi all'Iran. Il Qatar, in quanto fornitore di armi e finanziamenti al cartello dello Hayat Tahrir al Sham, potrebbe subire nuovamente l'ostracismo degli altri leader del Golfo.
La nuova mappa geopolitica pone molti interrogativi diretti su Iran, Russia, Cina e BRICS. La Russia ha ordito un gioco complicato in Medio Oriente, da un lato portando avanti una escalation difensiva contro le potenze della NATO e gestendo interessi energetici chiave, e dall'altro cercando di moderare le operazioni di resistenza verso lo stato sionista per evitare che le relazioni con gli Stati Uniti si deteriorassero del tutto. Mosca spera -senza grande convinzione- che in futuro si possa arrivare a dialogare con il prossimo Presidente degli Stati Uniti.
Mosca probabilmente arriverà a concludere che "accordi" di cessate il fuoco del tipo di quello di Astana che avrebbe contemplato la permanenza degli jihadisti entro i confini della zona autonoma di Idlib in Siria non valgono nemmeno la carta su cui sono stati scritti. La Turchia era garante degli accordi di Astana e ha pugnalato Mosca alle spalle. Probabilmente questo renderà la leadership russa più dura nei confronti dell'Ucraina e di qualsiasi discorso occidentale su un cessate il fuoco.
La Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran così ha parlato l'11 dicembre: "Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che ciò che è accaduto in Siria è frutto delle trame ordite nelle sale di comando degli Stati Uniti e dello stato sionista. Ne abbiamo le prove. Anche uno dei Paesi confinanti con la Siria ha avuto un ruolo, ma i pianificatori principali sono gli Stati Uniti e il regime sionista". In questo contesto, l'ayatollah Khamenei ha respinto le speculazioni su un eventuale indebolimento della determinazione alla resistenza.
La vittoria per procura conseguita dalla Turchia in Siria potrebbe tuttavia rivelarsi anche una vittoria di Pirro. Il ministro degli Esteri di Erdogan Hakan Fidan ha mentito alla Russia, agli Stati del Golfo e all'Iran sulla natura di ciò che si stava preparando in Siria. Ma è Erdogan ad essere rimasto col cerino in mano. Chi ha subito questo doppio gioco prima o poi si vendicherà.
L'Iran, a quanto pare, tornerà a dedicarsi come prima al ricollegare i vari fili della resistenza regionale per combattere la reincarnazione di AlQaeda. Non volterà le spalle alla Cina, né al progetto BRICS. L'Iraq -ricordando le atrocità dell'ISIS nella guerra civile- si unirà all'Iran, così come lo Yemen. In Iran sanno che le compagini superstiti del vecchio esercito siriano a un certo punto potrebbero prendere le armi contro il cartello dello Hayat Tahrir al Sham: la notte in cui Bashar al Assad ha lasciato la Siria, Maher al Assad ha portato con sé in esilio in Iraq una intera divisione corazzata.
La Cina non sarà certo soddisfatta per quanto successo in Siria. Gli uiguri hanno avuto un ruolo di primo piano nella rivolta siriana e secondo certe stime ci sarebbero stati trentamila uiguri a Idlib, addestrati da una Turchia che considera gli uiguri come una componente originaria della nazione turca. Anche la Cina probabilmente vedrà il sovvertimento della Siria come una minaccia occidentale alla sicurezza delle proprie linee di approvvigionamento energetico che passano attraverso Iran, Arabia Saudita e Iraq.
Infine, gli interessi occidentali hanno combattuto per secoli per le risorse mediorientali; in ultima analisi, questo è quello che sta alla base della guerra di oggi.
Ci si chiede se Trump sia o meno a favore della guerra, dal momento che ha già indicato che il predominio energetico sarà una strategia chiave sotto la sua amministrazione.
Ora, i Paesi occidentali sono indebitati, i loro margini di manovra in campo fiscale si stanno riducendo rapidamente e i detentori di obbligazioni cominciano a spazientirsi. C'è la corsa a trovare un nuovo collaterale per le valute fiat. Una volta era l'oro; dagli anni Settanta era diventato il petrolio, ma ormai il petrodollaro vacilla. Gli anglosassoni vorrebbero rimettere le mani sul petrolio iraniano -dove le avevano avute fino agli anni '70- per mettere in piedi e per garantire un nuovo sistema monetario legato al valore reale delle materie prime.
Ma Trump dice di voler "porre fine alle guerre" e non di volerne iniziare. Il ridisegno della mappa geopolitica rende più o meno probabile un'intesa globale tra Est e Ovest?
Per quanto si parli di possibili "accordi" di Trump con l'Iran e la Russia, è probabilmente troppo presto per dire se si concretizzeranno o se potranno concretizzarsi.
A quanto pare, Trump dovrà prima "accordarsi" sul fronte interno, prima di sapere se avrà la possibilità di concludere accordi in politica estera. Sembra che le strutture di governo -in particolare la corrente senatoria del movimento Never Trump- lasceranno a Trump una notevole libertà di manovra sulle nomine chiave per i ministeri e le agenzie nazionali che gestiscono gli affari politici ed economici degli Stati Uniti -che sono la preoccupazione principale di Trump- e gli lasceranno anche una certa discrezionalità negli ambienti -diciamo così- più riottosi. Quelli che hanno preso di mira Trump negli ultimi anni, come lo FBI o il Ministero della Giustizia.
Secondo questo presunto "accordo" pare che le nomine di Trump dovranno comunque essere confermate dal Senato e che dovranno essere ampiamente "in linea" con la politica estera delle agenzie governative, in particolare per quanto riguarda la politica nei confronti dello stato sionista. I massimi livelli delle agenzie governative tuttavia, secondo quanto riferito, insistono sul loro veto per le nomine che riguardano le strutture più profonde della politica estera. E qui sta il nocciolo della questione.
Nello stato sionista in generale si fa festa per le "vittorie" conseguite. Questa euforia farà sentire il suo peso sulle élite economiche statunitensi? Hezbollah è stato arginato, la Siria è smilitarizzata e l'Iran non è più ai confini dello stato sionista. Lo stato sionista oggi è soggetto a minacce qualitativamente inferiori. Di per sé basterà questo a consentire un allentamento delle tensioni o a far emergere alcune intese più ampie? Molto dipenderà dalla situazione politica di Netanyahu. Se il premier dovesse uscire relativamente indenne dal processo penale, avrà davvero bisogno della grande scommessa di un'azione militare contro l'Iran, con una mappa geopolitica che si è trasformata in modo tanto improvviso?

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