Articolo pubblicato su Al Monitor il 23 agosto 2013.
E' successo quello che ci si aspettava: il generale Abdel Fattah al Sissi ha massacrato i sostenitori dei
Fratelli Musulmani con una tale ferocia che è possibile abbia pensato che i dimostranti, terrorizzati e stroncati psicologicamente, se ne sarebbero tornati a casa con la coda tra le gambe.
Eppure, nulla fa pensare che i Fratelli Musulmani abbiano intenzione di arrendersi. Mentre continuano gli arresti dei rimanenti capi dei Fratelli, la guida di quello che adesso è diventato un movimento nazionale di protesta islamico e populista inizierà a sparpagliarsi e a diffondersi fino a livello della strada; le conseguenze saranno sgradevoli, anche per i copti che erano a fianco di Sissi mentre dichiarava il colpo di stato in atto.
Gli Stati uniti e l'Unione Europea non hanno saputo tenere conto delle forze sul terreno. Hanno sottostimato l'odio viscerale nutrito dallo "stato profondo" -in Egitto e nei paesi del Golfo- verso i Fratelli Musulmani, e la sua ferma determinazione a toglierli di mezzo una volta per tutte. I segnali che questa antipatia stava diventando una componente fondamentale sono stati ignorati; si è preferito considerare il rovesciamento di Morsi come un "rinnovamento della democrazia" -e rassicurare i militari tramite questo linguaggio "imparziale"- e così gli Stati uniti e l'Unione Europea da una parte hanno fatto la figura degli idioti in Medio Oriente, e dall'altra hanno incassato in Egitto il disprezzo di tutti gli schieramenti.
Le conseguenze immediate di quanto successo non sono prevedibili perché la guida della protesta passa a capi della piazza di cui non si sa nulla; si possono comunque identificare alcuni indicatori di quanto attende in futuro l'Islam sunnita. Circa ventisei anni fa iniziò nell'imminenza del ritiro dell'Unione Sovietica dall'Afghanistan un dibattito sul futuro dell'Islam sunnita, e da questo dibattito nacque un'"idea".
I
sanguinosi eventi di questa settimana al Cairo ci rimandano senza dubbio direttamente ai tempi in cui questa
idea nacque, e all'abbandono da parte dei ranghi più giovani dell'interpretazione dello stato di cose presenti fin qui abbracciata dai Fratelli Musulmani.
L'idea di cui stiamo patrlando si basava sulla convinzione che il piano Sykes-Picot formulato per il Medio Oriente nel primo dopoguerra non sarebbe mai potuto diventare un "contratto sociale" tra popolo e governo. Gli "stati" mediorientali, all'epoca disegnati con tanta cura dalle potenze coloniali, sono andati contro il nucleo stesso del sistema delle credenze condiviso dal popolo, non hanno rispettato la storia e la cultura ed hanno ignorato la demografia. In altre parole, essi non avrebbero mai potuto arrivare ad una vera e legittima "comprensione" tra popoli e governi.
Si è verificata ed è a tutt'ora in essere una rottura del "contratto sociale" morale, evidente sin dagli anni Venti. In questa analisi, una conseguenza di questo è il fatto che i governi nati dal Sykes-Picot possono reggersi solo con la repressione e con la violenza esercitata dai loro apparati di sicurezza. La seconda componente che nutrì il dibattito furono lo shock e l'eccitazione con cui si assisté all'inattesa implosione di una superpotenza mondiale -l'Unione Sovietica- nel corso degli anni Ottanta. Da questa esperienza si concluse ovviamente che le due principali potenze erano comunque vulnerabili perché si erano allargate troppo sia sul piano plitico che sul piano finanziario, cosa che aveva fatto riporre ad esse troppa fiducia nelle illusioni presentate dalla loro narrativa; il venir meno della coesione interna e soprattutto il puro e semplice esaurirsi avrebbe fatto loro perdere la volontà necessaria a reggere l'elaborato meccanismo dell'egemonia globale.
I teorici del pensiero sunnita all'epoca pensarono che all'Unione Sovietica fosse successo qualcosa del genere. Da questo precedente conclusero che un deliberato programma di "vessazione e di esaurimento" condotto contro la potenza occidentale avrebbe avuto in potenza la capacità di far deflagrare le tensioni interne e di esacerbare le contraddizioni insite negli Stati Uniti, e che anch'essi al pari dell'URSS avrebbero dovuto gettare la spugna in Medio Oriente. In questo modo essi prospettarono un piano d'azione destinato a provocare e punzecchiare l'Occidente fino a spingerlo ad una reazione militare eccessiva, sproporzionata ed estremamente costosa in aperta contraddizione alla sua narrativa fatta di benevolenza, libertà e democrazia, e a minarne la coesione tramite uno sfruttamento deliberato delle contraddizioni interne al campo occidentale, mettendo così alla luce la natura illusoria dell'onniscienza statunitense. Una guerra psicologica di questo tipo, si pensò allora, avrebbe finito per portare all'esaurimento e al collasso l'influenza statunitense nella regione. Come corollario, ai musulmani sarebbe stato dato di assistere alla concomitante caduta degli alleati dell'Occidente, ivi compresi l'Arabia Saudita ed i paesi del Golfo.
E' bene che sia chiaro che questa concezione non ha mai previsto la cacciata degli occidentali dal Medio Oriente con l'uso della forza: questa idea è stata abbandonata. Si prevedeva piuttosto che gli Stati Uniti sarebbero stati costretti a voltare le spalle ai loro professati "valori" liberali per darsi invece ad una crescente militarizzazione, esasperando in questo modo le contraddizioni interne alla società statunitense. Gli Stati Uniti avrebbero finito per abbandonare il Medio Oriente perché esauriti sul fronte interno e per l'implosione della loro società.
Questi pensatori hanno previsto con chiarezza le violente convulsioni sociali che sarebbero scaturite da un appropriato utilizzo delle tattiche di "vessazione e di esaurimento" e dai tentativi di opporsi ad esse ricorrendo alla forza militare. Ma avevano anche intuito che il collasso e il crollo previsti avrebbero lasciato spazio politico e geografico per l'emersione di comunità islamiche locali autonome, che in seguito e con una certa grandiosità sarebbero state chiamate "emirati". Queste società islamiche spesso isolate e composite sarebbero sopravvissute, così si pensava, all'epoca dello sbando e dei disordini nella società civile destinata a sfociare nel collasso dello stato-nazione; questi sporadici embrioni di società islamica avrebbero allora potuto fondersi in un'unica e più ampia identità.
A sostegno della loro tesi i pensatori precisavano che la vittoria contro gli stati crociati sarebbe stata raggiunta proprio per mezzo di emirati musulmani separati e privi almeno all'inizio di ogni coordinamento -ma alla fine destinati ad unirsi contro i crociati- piuttosto che per mezzo di una singola forza come quella guidata da Saladino nei suoi ultimi anni. Un colpo d'occhio sul Medio Oriente, Siria, Libano, Sinai, Libia, Yemen... permette di notare senza difficoltà che la fase dell'instaurazione di embrioni di emirati autonomi, secondo quanto previsto dall'idea, è già a buon punto.
Questa idea, in Occidente, è stata chiamata Al Qaeda.Ha ottenuto qua e là una sorta di spuria istituzionalità che di fatto non le compete, perché nel corso del suo sviluppo essa non contava più di duecento o duecentocinquanta appartenenti; il suo pensiero invece ha fatto il giro del mondo. Non è difficile in effetti impadronirsi del concetto di base, e la sua struttura non necessita neppure di una costruzione istituzionale come si pensa in Occidente. E' più una questione di proselitismo che non di edificazione istituzionale intesa in senso occidentale.
Dapprincipio in Medio Oriente furono in molti a vedere in questa concezione la via maestra per liberarsi dalle pastoie dell'egemonia occidentale. Poi però si è verificata in esso una forte controreazione. E il pensiero dei Fratelli Musulmani, che risale alla crisi degli anni Venti, è venuto prepotentemente alla ribalta. Dopo l'undici settembre molti
musulmani si sono accorti che l'implosione dell'Unione Sovietica aveva lasciato un'unica superpotenza più forte e più pericolosa. La maggior parte dei musulmani ha pensato che la reazione occidentale all'undici settembre abbia peggiorato ovunque le condizioni dei credenti.
L'idea dei Fratelli Musulmani che si potesse arrivare alla stanza dei bottoni invadendo senza violenza e poco per volta le arterie del potere si è presentata allora come un modo ampiamente accettato per affrontare i gravi problemi della regione. Detto ancora più chiaramente, anche se i movimenti che si rifanno ai Fratelli Musulmani sono stati in aspro disaccordo coi metodi propugnati dall'idea e specialmente con la sua propensione ad accettare i danni collaterali che la sua azione avrebbe causato ai musulmani, ed anche se di contro i simpatizzanti dell'idea hanno sprezzantemente disapprovato i metodi dei Fratelli, entrambe le parti erano d'accordo sulla natura della malattia, che è rappresentata dagli esiti dell'accordo Sykes-Picot, sull'obiettivo ultimo rappresentato dall'instaurazione della legge sacra e sull'emulazione, letterale o virtuale che fosse, delle prime comunità di credenti intese come modello per la società contemporanea.
Questo, fino ad oggi.
Al momento attuale i Fratelli Musulmani sono completamente allo sbando in Egitto ed altrove: la loro dottrina che prevedeva un quieto progredire verso il raggiungimento del potere con la cauta benedizione di un Occidente mezzo riluttante è ridotta in briciole. Dopo l'Algeria, dopo Hamas nel 2006 e dopo il loro spodestamento in Egitto, i Fratellil devono affrontare un coro di "Ve l'avevamo detto: dobbiamo distruggere il sistema e poi ricostruirlo". Con tanquillità, molti giovani e disillusi appartenenti ai Fratelli Musulmani saranno adesso spinti a guardare verso l'idea con altri occhi. Possono benissimo arrivare a convincersi del fatto che Abdallah Azzam e gli altri avessero ragione quando dicevano che gli avamposti e gli alleati dell'Occidente non avrebbero mai lasciato il potere di propria volontà e che Azzam sia stato buon profeta nel prevedere l'imminente collasso degli Stati Uniti e il venir meno della loro influenza. E' chiaro anche che l'idea adesso si sta evolvendo secondo due nuove tendenze: una resta propensa a ricambiare sangue con sangue, l'altra è Ansar al Sharia (i sostenitori della legge sacra), il potere morbido, che si muove con più riguardo per le popolazioni musulmane coinvolte nei conflitti e che predica una maggiore "tolleranza e comprensione" per i musulmani che ricadono sotto il governo degli "emirati".
Quello che colpisce maggiormente, in questo processo di rovesciamento dell'egemonia in cui si passa da una generalmente accettata supremazia della dottrina dei Fratelli Musulmani ad una crescente ma ancora minoritaria identificazione con l'idea -che è poi lo jihadismo salafita, verso il quale negli ultimi due anni l'equilibrio si sta spostando in misura semrpe maggiore- è che circa venticinque anni fa l'Arabia Saudita e i paesi del Golfo sostenevano di proposito gli islamisti contro una superpotenza laica, che era l'Unione Sovietica. Adesso, nel 2013, l'Arabia Saudita è sorprendentemente alleata ai laici e alla sinistra nell'intento di distruggere uno dei filoni maggioritari dell'Islam, che per giunta ha stretti legami con lo wahabismo "autorizzato".
Fin dall'inizio, uno dei principali obiettivi di chi ha aderito all'idea è quello di rovesciare la Casa dei Saud. Se gli Eventi in Egitto condurranno, come fino ad oggi è stato, ad ulteriori sommovimenti nel mondo sunnita, non è improbabile che gli appartenenti all'idea vedranno l'Arabia Saudita scoprire di essersi esposta troppo in Egitto, arrivando a esasperare le contraddizioni interne che minano una sua narrativa di supremazia nel mondo islamico in cui si appoggiano gli islamici in Siria ma se ne appoggia la repressione in Egitto; non è improbabile che la vedranno mostrare segni di esaurimento sottoforma di eccessivi timori nei confronti dei Fratelli Musulmani e della sollevazione araba. Se giungeranno a questa conclusione, è probabile che l'idea suggerirà ai propri simpatizzanti che è adesso il turno dell'Arabia Saudita a fare da bersaglio per le tattiche di "vessazione e di esaurimento".