Nel corso della settimana compresa fra il 3 e il 10 maggio 2013 ci siamo occupati principalmente di identificare quale razionalità sottenda agli attacchi dello stato sionista contro la Siria verificatisi venerdi e sabato, e di definirne le possibili conseguenze. Lo stato sionista ha affermato che gli attacchi erano diretti a far sì che Hezbollah non ottenesse armamenti strategici in grado di cambiare le regole del gioco. Nel corso degli ultimi anni che Hezbollah si stesse muovendo in questo senso è stato raccontato a tutto l'Occidente in più di un'occasione: si è parlato dei missili superficie-aria S300, poi dei Fateh 110, e alla fine di armi chimiche. I paesi occidentali l'hanno presa per buona e hanno quindi acconsentito al "diritto" accampato dai sionisti; d'altronde, il pretesto è di quelli che i sionisti sanno di difficile contestazione da parte dei paesi occidentali.
Ad una settimana di distanza, però,
non ci sono prove sostanziali del fatto che gli armamenti destinati a Hezbollah siano stati effettivamente intercettati. E' vero che il centro di ricerca chiamato
Jurmana, un sito ben conosciuto e reralizzato apposta per sopperire alle necessità di armi dei movimenti di resistenza in Libano e in Palestina, è stato attaccato domenica con dei missili di spettacolare effetto pirotecnico; tuttavia fonti di Hezbollah hanno
informalmente asserito che una partita di armamenti "efficaci" gli era appena stata consegnata con successo. La cosa ha trovato riscontro anche presso esperti negli ambienti della stampa sionista.
Probabilmente in connessione con quanto successo, da venerdi in poi il Libano era stato soggetto a ripetuti voli a bassa quota da parte di aerei sionisti: come se i sionisti non fossero riusciti a colpire il loro obiettivo primario, stessero comunque cercando di localizzare il carico ma avessero fallito nel fermarlo. Questo se Hezbollah sta riferendo con esattezza, cosa che è probabile. E' piuttosto verosimile, comunque, che lo stato sionista sia entrato in possesso di qualche informazione incompleta su un trasferimento di armamenti a Hezbollah, e che poi i suoi portavoce l'abbiano presentata nel corso del loro giro propagandistico in Europa come pezza d'appoggio per gli attacchi.
Adesso che si è posata la polvere, pare che le perdite a Damasco siano state molto, molto
inferiori di quanto preteso dalle fonti dell'opposizione -L'esercito siriano è un esercito di leva; perdite dell'ampiezza di quelle denunciate non possono essere realisticamente tenute nascoste alla popolazione in generale- e che
l'attacco non abbia sortito alcun risultato strategico dal punto di vista militare. Hezbollah è già armato di tutto punto e i servizi sionisti già da qualche tempo vanno dicendo che i missili Fateh 110 facciano parte del suo arsenale.
Tutto questo fa pensare che l'attacco abbia avuto più motivazioni politiche che motivazioni oggettive. Che cosa volevano ottenere i sionisti, allora? In Medio Oriente si pensa che vi siano due possibilità. La prima ha a che fare con la tempistica; l'attacco è arrivato in un momento in cui l'esercito siriano sta guadagnando terreno in modo significativo a spese dell'opposizione armata. Ci sono alcune voci prive di riscontro secondo le quali l'attacco sionista su Damasco, condotto in modo molto visibile e in stile shock and awe, possa esser stato ideato per schioccare le dita all'opposizione e per facilitare un suo attacco entro Damasco appena prima dell'incontro moscovita di Kerry e Putin; se l'attacco ci fosse stato e avesse avuto successo, avrebbe messo in mano all'opposizione delle buone carte da far valere in quella circostanza. A nostro modo di vedere è più probabile che tutta la faccenda sia stata messa in piedi per sostenere la corrente di opinioni interna agli Stati Uniti che è già favorevole ad un più diretto intervento in Siria. Lo stato sionista ha di sicuro calcolato -e ha calcolato bene- che poteva anche consentirsi una simile azione dimostrativa in Siria senza che ne scaturisse una guerra; se gli interventisti avessero successo nello spingere Obama ad ignorare la sua stessa "linea rossa" sulla questione siriana grazie a questo precedente, si troverebbero in una posizione più forte per fare la stessa cosa nel caso di un intervento in Iran.
Le ripercussioni strategiche degli attacchi sionisti hanno cambiato la sostanza del conflitto siriano, che da guerra limitata e a breve raggio combattuta all'interno della Siria si è trasformata in un conflitto in cui le parti esterne (i sionisti, l'Iran, Hezbollah e la Russia) sono ad un passo dall'
intervento militare diretto nel conflitto. Questo è il risultato dei tre attacchi sionisti verificatisi fino ad oggi, e della prospettiva che lo stato sionista pensi di realizzare un quarto attacco. Detto in altre parole, l'aggressione sionista mette tutti dinanzi all'accresciuto rischio di un'ecalation del conflitto siriano verso un conflitto regionale più ampio.
Fra le
conseguenze degli attacchi di domenica, fonti sioniste e anche
di altra provenienza (si legga anche
qui) riferiscono della reazione aspramente contraria del Presidente Putin alla notizia dell'attacco. Pare che Putin abbia direttamente ammonito Nethanyahu sul fatto che
la Russia non tollererà altri attacchi contro la Siria e che
ogni altra mossa di questo tipo porterà ad una reazione diretta da parte di Mosca, oltre al trasferimento di altri sistemi d'arma russi in Siria. Nello stato sionista dicono anche chee Nethanyahu avrebbe ricevuto una fredda accoglienza in Cina nel corso della visita che vi ha compiuto alcuni giorni dopo, ma che la cosa non si è spinta fino alla lavata di capo che gli è stata riservata a Mosca. La Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran ha promesso "pieno ed illimitato appoggio" alla Siria, mentre il capo di Hezbollah Seyyed Hassan Nassrallah ha parlato di un ulteriore restringimento dei legami con la Siria e della decisione siriana, conseguente a questo, di accelerare la fornitura di armi a Hezbollah, cui dovrebbero andare anche armamenti in grado di cambiare gli equilibri sul terreno; una diretta sfida ai sionisti. Il leader di Hezbollah ha anche fermamente ribadito la decisione siriana di
reclamare il Golan, quale ulteriore ripercussione degli attacchi sionisti. Siamo sull'orlo di una guerra? A questo punto, probabilmente non lo siamo ancora. Gli sforzi che la politica -statunitense e non- ha compiuto per costringere Obama all'angolo e ad intervenire in Siria a causa del presunto superamento della sua "linea rossa" basata sull'uso di armi chimiche sono arrivati ad un punto morto: come ha spiegato Obama, "Ci sono le prove che armi chimiche in Siria siano state davvero utilizzate, ma io non prendo delle decisioni sulla base del sentito dire. E non posso organizzare una coalizione internazionale sulla base di un sentito dire. Ci abbiamo provato già in passato, e le cose non sono andate bene". Le prove, invece, non ci sono; il giudice del tribunale penale internazionale Carla del Ponte ha emesso una dichiarazione in cui si afferma che c'è il fondato sospetto che del gas nervino sarin sia stato sì utilizzato, ma da parte dell'opposizione più che dal governo. Questo ha consentito ad Obama di buttare la questione tra le more di una approfondita (e lunga) indagine.
Conflicts Forum pensa che Obama, che ha in mente il proprio retaggio storico, sia ancora attaccato al desiderio di essere storicamente considerato come l'uomo che fece uscire gli Stati Uniti dalle proprie controproducenti avventure belliche in Medio Oriente piuttosto che come colui che ne intraprese persino delle altre. Secondo fonti iraniane, il messaggio che è passato all'Iran, alla Siria e alla Russia all'indomani degli attacchi sionisti è che gli Stati Uniti
non stanno per intervenire militarmente. Anche lo stato sionista, di conseguenza, è stato costretto ad allagare gli uffici stampa di dichiarazioni secondo le quali anch'esso
non stava per iniziare una guerra.
Tutto questo quale importanza ha per la Siria? Da tutto questo la Siria esce rafforzata e maggiormente fiduciosa nelle proprie posizioni, sia dal punto di vista militare che dal punto di vista politico. Ci sono
commenti recenti di un ufficiale superiore siriano a dimostrarlo. Nel prossimo futuro al centro dell'attenzione sarà la questione dei possibili negoziati da svolgere in una conferenza internazionale da tenersi alla fine di maggio. Dal punto di vista politico sono stati gli Stati Uniti ad ammiccare per primi; è stata l'AmeriKKKa ad
avvicinarsi alle posizioni russe (come quella che non prevede le dimissioni di Assad come requisito di base) mentre la Siria, l'Iran e Hezbollah negli ultimi giorni hanno mostrato pubblicamente l'irrobustimento del loro fronte di resistenza.
L'Occidente riuscirà a tener fede agli impegni presi con gli accordi di Mosca, presentando un negoziatore credibile e forte come rappresentante dell'opposizione siriana? I russi hanno rapporti tali con Damasco da escludere questa difficoltà. Nel frattempo è possibile che l'esercito della Repubblica Araba di Siria consegua ulteriori successi sul campo. Pare che la cosa non contrarierebbe gli Stati Uniti, segnalando forse l'inizio di un grosso mutamento nel pensiero statunitense. Dai colloqui di Mosca infatti giungono voci secondo le quali
il principale obiettivo degli statunitensi a Mosca è diventato quello di mantenere la saldezza dell'esercito siriano, sia pure sotto il comando di Assad. Sembra in fin dei conti che gli Stati Uniti abbiano
detto addio alla speranza, se mai esistita come tale al di là della forma che può assumere un
pio desiderio, di coltivare un'opposizione in grado di eliminare i gruppi islamici armati -o per lo meno di manifestare l'intenzione di farlo- con particolare riguardo al Fronte di Al Nusra, collegato ad AlQaeda. A questo punto,
gli Stati Uniti sembrano aver fatto proprio il punto di vista secondo il quale l'esercito siriano rappresenta l'unica forza capace di sradicare AlQaeda dalla Siria, e che per giunta sta avendo successo nel farlo. Nessun cessate il fuoco, allora? L'esercito siriano continuerà gli attacchi contro l'opposizione islamica mentre si avrà cura di invitare ai negoziati l'opposizione non jihadista? Si tratta di una prospettiva verosimile? I cosiddetti
laici accetteranno questa divisione? Gli statunitensi stanno già preparando l'opposizione a partecipare ai negoziati, ma l'opposizione laica accetterà di trattare, mentre l'esercito siriano vince sul campo contro il Fronte di Al Nusra? Si terrà mai la conferenza di pace?
Che fare, nel caso essa non si tenga?