Incontro tra l'Imam Khamenei e Hugo Chavez, presidente della Repubblica Bolviariana del Venezuela.
La Repubblica Islamica dell'Iran ha una vita diplomatica e di scambi internazionali oltremodo vivace, per essere un paese abitualmente classificato come "isolato sul piano internazionale". Il che fa pensare che tanto isolamento stia, nel piano "occidentalista", in una posizione compresa tra il desiderabile ed il menzognero.
Traduzione da Conflicts Forum.
L'articolo è stato presentato alla conferenza internazionale su rinnovamento e Ijtihad intellettuale nell'Imam Khamenei, Beirut, 6-7 giugno 2011.
Uno dei concetti fondamentali da tenere presenti quando si affronta l'argomento della leadership dell'Ayatollah al-Udhma Imam Khamenei è il fatto essenziale che egli venne scelto come successore della imponente figura rappresentata dallo Imam Khomeini (la benedizione su di lui). Il fatto che l'ultimo Imam fosse un personaggio straordinario, che ha rivoluzionato il ruolo del tempo e dello spazion nel Fiqh e nel Ijtihad, che era arif -o gnostico-, che era filosofo e poeta di talento, che era un leader politico che aveva guidato con coraggio una Rivoluzione Islamica che ha davvero cambiato il nostro mondo, rende quasi impossibile per qualsiasi successore riempire degnamente il vuoto enorme lasciato dalla sua scomparsa.
L'Ayatollah Khamenei possiede comunque tutte le qualità su nominate ed ha guidato con successo la Rivoluzione Islamica e la Repubblica Islamica dell'Iran attraverso tempi molto turbolenti e mutevoli, in un mondo irto di pericoli. Mi spingo a dire che per certi aspetti la sua leadership si è rivelata anche più impressionante di quella del precedente Imam, in quanto Khamenei non ha avuto dalla sua il vantaggio di esser stato l'iniziatore della Rivoluzione.
Il ruolo di leader gli piovve praticamente addosso, nonostante egli stesso si opponesse con forza. Nel breve discorso che tenne davanti all'Assemblea dei Saggi, il corpo costituzionale chiamato a scegliere i candidati al Wali-e Faqih e a supervisionarne l'opera, e che era composto di Mujtahid di alto livello come lui, si espresse proprio in senso contrario alla proposta, che era stata avanzata, di nominarlo Guida. Chiese poi ai componenti dell'assemblea se avessero capito quale peso gli stessero mettendo sulle spalle, e chiese loro se davvero lo avrebbero seguito come Guida. Si trattava di domande non prive di importanza, dal momento che molti dei componenti dell'assemblea erano più vecchi dell'Ayatollah Khamenei. Alcuni di essi, come Khamenei stesso, aevevano avuto un ruolo importante nel rovesciamento dello Shah e rappresentavano già per proprio conto delle importanti figure pubbliche del periodo successivo alla rivoluzione. Nonostante Khamenei si opponesse con tanta insistenza, essi presero comunque la loro decisione. Dopo esser stato eletto dall'Assemblea dei Saggi (egli stesso votò no) le telecamere lo inquadrarono ed apparve chiaro a tutti che non era affatto compiaciuto. Per la storia in generale, questo dettaglio rappresenta un'importante ed interessante nota a margine, perché rivela il suo atteggiamento nei confronti del potere e dell'autorità, e l'atteggiamento disinteressato che mantenne accedendo ad entrambi.
Meno di un mese dopo la nomina, in un discorso affermò che non avrebbe voluto neppure diventare membro del consiglio incaricato di scegliere la Guida, cosa che era stata discussa in modo serio durante gli ultimi giorni e le ultime ore di vita dell'Imam Khomeini, figurarsi poi diventare nientemeno che il Wali-e Faqih. Aggiunse di aver pregato di non rimanere in nessun modo coinvolto con la Guida, se il fatto doveva compromettere la sua posizione nell'Aldilà. Nello stesso discorso, disse poi che si sarebbe comunque dimostrato forte nel portare le sue responsabilità, dal momento che questo grave incarico era ricaduto sulle sue spalle (3 luglio 1989) e che avrebbe tenuto fede ai suoi principi.
La storia a seguire avrebbe dimostrato che aveva detto il vero.
Nei primi tempi dopo l'insediamento, l'Ayatollah Khamenei riferì ai più alti responsabili del Ministero degli Esteri iraniano che la politica estera della Repubblica Islamica dell'Iran avrebbe dovuto basarsi sui tre principi dell'onore o della dignità (عزه) della saggezza (حکمه) e del senso di opportunità (مصلحه). Si spiegherà di seguito in che modo il significato di senso di opportunità in questo caso non contempli le connotazioni negative che hanno a che fare con il mero perseguimento dei propri interessi, attuato in un contesto in cui il fine giustifica i mezzi.
Secondo questa concezione, per arrivare ai più alti obiettivi e ai più alti ideali che uno stato islamico pone avanti a qualunque altra cosa e così come stabilito nella costituzione iraniana, la saggezza ha un ruolo fondamentale. Secondo l'Ayatollah Khamenei, "saggezza significa lavorare basandosi sul ragionamento logico, stabilendo basi solide, facendo passi avanti su un terreno di alto livello e rifuggendo dalle mosse avventate, dall'ignoranza e dall'arroganza (3 agosto 1992)". Egli aggiunge anche che la politica della Repubblica Islamica dell'Iran è guidata da solidi principi. In un precedente discorso Khamenei illustrò la cosa nel dettaglio, affermando che "i risultati delle nostre mosse politiche e diplomatiche non devono essere in contraddizione con i nostri ideali islamici (12 dicembre 1982)".
Di tutto questo sono buoni esempi i quattro casi in cui la repubblica islamica ha reagito, rispettivamente, alle due guerre tra Stati Uniti ed Iraq nel 1991 e nel 2003, alla cosiddetta "guerra al terrore" di Bush ed alla situazione attuale in Libia. Nel 1990 l'Iran condannò aspramente l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein; il risentimento iraniano contro il regime iracheno era molto profondo a causa dell'ingiustificata invasione dell'Iran, del massacro di iraniani innocenti e del tentativo di occupare in permanenza grandi regioni del territorio iraniano compiuto nel 1980, che portò ad otto anni di guerra sanguinosa tra i due paesi.
Dapprincipio, quando l'Iraq occupò il Kuwait, la prospettiva di un confronto militare con gli iracheni preoccupò molto gli USA ed i loro alleati. All'epoca nessuno sapeva che dal diciassette gennaio al ventitré febbraio Saddam Hussein avrebbe sempliciemente lasciato che gli americani e i loro alleati bombardassero i bersagli iracheni per ventiquattro ore al giorno, distruggendo pezzo per pezzo le forze armate irachene e le infrastrutture del paese senza attuare quasi nessuna contromossa. Gli USA si prestarono allora a molte concessioni nei confronti della Repubblica Islamica, nell'intento di attirare l'Iran più vicino alle loro posizioni. Anche il regime iracheno fece per proprio conto molte concessioni dello stesso tipo.
In Iran si discusse molto seriamente su quello che si sarebbe dovuto fare e su quale posizione assumere. Un ben noto componente del Parlamento, che all'epoca era un radicale e che più tardi sarebbe diventato un rispettato membro di quella che viene chiamata "ala riformista", si esibì in un appassionato discorso in aula in cui esortava l'Iran ad unire le proprie forze a quelle del dittatore iracheno. Il signor Motashami, riformista, all'epoca paragonò Saddam Hussein a Khaled ibn Walid ed affermò che la Repubblica Islamica dell'Iran doveva unirsi a lui nella sua battaglia contro gli Stati Uniti.
L'approfondita risposta dell'Imam Khamenei ad eventi come questi e nei confronti del dibattito che ne seguì in Iran si basò sul principio della saggezza (حکمه). Khamenei affermò che sia gli USA che l'Iraq avevano avuto interessi in comune prima dell'invasione del Kuwait, e che entrambi avevano commesso più volte di comune accordo molti crimini contro i popoli della regione.
Secondo il suo parere, l'Iran non poteva prendere parte o agevolare in qualsiasi modo nessuno dei due contendenti, perché entrambi si presentavano simili nei loro comportamenti repressivi e brutali. Il fatto è degno di nota perché è possibile che se l'Iran si fosse schierato con gli USA nella guerra del 1991 contro l'Iraq il paese ne avrebbe ottenuto numerose e sostanziali concessioni ed avrebbe magari risolto molti dei problemi più gravi che ci sono tra esso e gli USA. L'aver deciso di non comportarsi in questo modo è dovuto proprio all'idea di comportarsi con saggezza che è basata su principi fermi.
La stessa visione del mondo emerse in occasione degli attacchi sul suolo americano del 2001. Immediatamente dopo il sinistro avvertimento di George Bush del 20 settembre 2001, secondo il quale "O state con noi o state contro di noi", l'Ayatollah Khamenei rispose che l'Iran non poteva né prendere le parti degli Stati Uniti né quelle dei loro contendenti di Al Qaeda, perché entrambi avevano commesso crimini contro l'umanità. Si trattò di un gesto significativo, perché all'epoca tutto il Medio Oriente era molto preoccupato delle conseguenze di un'occupazione americana di almeno due paesi chiave nella regione. Anche molti personaggi di spicco della politica iraniana erano seriamente allarmati su quello che gli USA avevano intenzione di compiere contro l'Iran. L'Imam Khamenei non volle che la Repubblica Islamica cambiasse la sua politica di opposizione e di resitenza contro l'occupazione e l'egemonia occidentale. Più volte ripeté che un passo indietro in questo campo si sarebbe semplicemente tradotto in nuove pretese da parte delle potenze occidentali. Qualcosa di simile emerse con chiarezza quando l'amministrazione del Presidente Khatami insisté per accogliere le richieste occidentali sul programma nucleare iraniano. Lo stesso criterio di saggezza basata su principi non negoziabili è stato applicato nel caso della Libia, laddove sia Gheddafi che la NATO vengono considerati come moralmente impresentabili e come saccheggiatori delle risorse naturali del paese.
Riguardo al sostegno iraniano ai gruppi che si oppongono ai talebani in Afghanistan e a Saddam Hussein in Iraq, va notato che questo sostegno esisteva da molto tempo prima dell'11 settembre 2001. Inoltre, nel corso degli anni Ottanta gli USA hanno fornito un appoggio fondamentale a Saddam, insieme all'Arabia Saudita, agli Emirati Arabi e ai servizi segreti pakistani ed hanno fattivamente contribuito alla presa del potere dei talebani in Afghanistan.
Il continuo sostegno che la Repubblica Islamica dell'Iran ha offerto ai movimenti su ricordati non ha nulla a che vedere con la mutevole politica adottata dagli Stati Uniti dopo gli attacchi del settembre 2001.
Dalla prospettiva dell'Ayatollah Khamenei, saggezza (حکمه) significa raggiungimento della verità tramite la conoscenza e la ragione; qualcosa cui si può giungere soltanto attraverso la completa interiorizzazione di spiritualità e senso di giustizia. Si riferisce una sua affermazione secondo cui "l'Islam che sosteniamo e che incoraggiamo si basa sui tre concetti di spiritualità, ragione e giustizia ed è qualcosa di completamente diverso rispetto all'Islam reazionario ed al liberalismo (16 agosto 2000)". Secondo una simile concezione del mondo l'Iran ha il diritto di perseguire i propri interessi nazionali, ma soltanto nel quadro "dei propri principi e dei propri ideali", come specificato da Khamenei stesso (9 luglio 1991). In particolare, gli interessi nazionali dell'Iran non possono essere definiti in termini di razza, di lingua, di colore della pelle o di nazione di appartenenza (9 luglio 1991). Probabilmente è questa una delle ragioni per cui, stando ai sondaggi condotti da vari istituti americani ed internazionali, a dispetto dell'enorme quantità di propaganda antiiraniana profusa senza interruzione dai canali televisivi governativi o dalle televisioni arabe sponsorizzate dai governi -una propaganda infarcita da una fastidiosa quantità di retorica settaria e razzista- la Repubblica Islamica dell'Iran continua ad essere popolare tra la gente comune dei paesi arabi.
L'onore o la dignità, oppure l'orgoglio inteso nel senso positivo del termine (عزه) rappresentano il secondo dei tre principi fondamentali che orientano le relazioni internazionali. Secondo l'Imam Khamenei dignità ed onore non possono basarsi su questioni di razza o di nazione, tutti concetti che servono soltanco a far sì che "ogni uomo costruisca un muro attorno a se stesso (9 luglio 1991)". Al contrario, il senso dell'onore deriva "dall'avere fede in Allah, nell'essere a Lui rispettosi e nell'adoperarsi come servitori del creato divino e delle altre persone"; non certo dall'orgoglio e dall'arroganza (9 luglio 1991). In altre parole, il concetto di onore è opposto alla condizione di oppressione, alla connivenza nei confronti di essa, al comportarsi da oppressori contro le altre nazioni o gli altri popoli del mondo. Secondo questo punto di vista, il modo in cui una nazione sovrana o un popolo si comportano in relazione ad un senso dell'onore o della dignità così concepiti (عزه) determina la loro identità.
Se consideriamo la questione della difesa o del ripristino di un'integrità territoriale, che sono di per sé obiettivi degni, è proprio il principio dell'onore a fare la differenza tra le varie politiche che è possibile adottare a questo scopo. Ad esempio, il passato regime egiziano riuscì a riottenere i propri territori dal regime sionista senza perdita di vite umane, ma a condizioni disonorevoli e prive di dignità; fu questa la ragione per cui l'Ayatollah Khamenei si è sempre opposto al ristabilimento di legami diplomatici con il regime di Mubarak nei due decenni ora trascorsi, nonostante il fatto che personaggi influenti nelle amministrazioni di Hashemi Rafsanjani, di Khatami e di Ahmadinejad avessero fatto in questo senso tentativi di propria iniziativa. L'Ayatollah Khamenei ha sempre pensato che Sadat e Mubarak avessero umiliato il grande ed onorevole popolo egiziano.
La lotta dei sudafricani e dei palestinesi contro l'apartheid e contro l'occupazione sono invece onorevoli e dignitose, nonostante l'enorme dispendio di vite umane e di sofferenza. Dal momento che rimanere in silenzio davanti all'oppressione contro altri popoli è qualcosa di contrario ai principi di onore e di dignità, la Repubblica Islamica dell'Iran ha sempre sostenuto con chiarezza e continua a sostenere allo stesso modo entrambi i popoli, nonostante il considerevole prezzo che l'Iran ha dovuto pagare come scotto per questa presa di posizione. Lo stesso principio morale spiega l'appoggio espresso dall'Imam Khamenei per il Libano e per la sua Resistenza, per la Bosnia e per il popolo del Kashmir. Nel caso della Bosnia, la Repubblica Islamica dell'Iran è stato l'unico paese ad aver offerto un sostegno significativo ai bosniaci vittime di brutale violenza. Molti pensano che se l'Ayatollah Khamenei non avesse offerto sostegno al popolo bosniaco durante le sue ore più difficili, oggi non esisterebbe neppure una Bosnia come tale.
L'indipendenza e la libertà dall'egemonia straniera sono condizioni che possono rivelarsi difficili da instaurare anche per i paesi più potenti, che ne hanno così minata la propria dignità. Il Giappone, che fino a tempi recenti è stato la seconda economia mondiale, non è riuscito per interi decenni a rendersi indipendente dalle posizioni americane su nessuna questione rilevante a livello nazionale, regionale o mondiale. Lo stesso vale per la Repubblica di Corea, o Corea del Sud. Il regime saudita, nonostante sia ricchissimo di petrolio, è quasi completamente dipendente dagli USA e dall'Unione Europea in tutti i settori della propria sicureza nazionale. Nonostante l'acquisto di migliaia di miliardi di dollari di armamenti prodotti negli USA e nella UE compiuto negli scorsi tre decenni, i sauditi non sono stati in grado, o non hanno voluto, neppure creare una credibile industria di difesa per conto proprio.
Sotto la guida dell'Ayatollah Khamenei, la Repubblica Islamica dell'Iran è riuscita a raggiungere importanti traguardi nello sviluppo di campi ad alta tecnologia come la ricerca sulle cellule staminali, le nanotecnologie, i satelliti artificiali ed il nucleare pacifico, guerra e sanzioni nonostante. Malgrado le enormi pressioni dai paesi occidentali e da parte dei loro alleati regionali, i principi della dignità e dell'onore continuano a sostenere l'inflessibile posizione adottata dal paese circa il proprio programma nucleare. Di fatto, in questo momento molti di coloro che in Iran avanzano critiche nei confronti della politica estera del paese adesso ritengono che l'atteggiamento adottato dal paese ed improntato alla resistenza abbia viste riconosciute le proprie ragioni. Sono in molti a credere che la cultura della resistenza difesa dall'Imam Khamenei abbia contribuito alle insurrezioni in corso ed ai cambiamenti cui stiamo assistendo. Si pensa anche che la stessa cultura di resistenza abbia reso la Repubblica Islamica popolare nel mondo arabo.
Anche l'atteggiamento dell'Ayatollah Khamenei nei confronti degli Stati Uniti può essere compreso a partire da questa prospettiva. Egli ritiene che finché gli USA si comporteranno in modo arrogante e prevaricatore e rifiuteranno di riconoscere o di dialogare con gli altri governi su un piano paritario, negoziare con il governo americano o anche soltanto dialogarvi siano azioni pefettamente inutili. E' interessante notare che quello che l'Imam Khamenei e l'Imam Khomeini sono riusciti a dimostrare nel corso degli ultimi trentadue anni è che un paese può vivere senza avere relazioni con gli USA, e anzi continuare a prosperare. Il fatto che l'Iran continui a rafforzarsi nonostante una lunga serie di sanzioni impostegli dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, in questo costretto dagli USA e dai loro alleati occidentali, rende chiaro il fatto che le potenze imperialiste e la loro eurocentrica visione del mondo non sono più nemmeno lontanamente forti quanto loro vorrebbero che il resto del mondo le ritenesse.
Il terzo principio è quello del senso di opportunità (مصلحه). Secondo questa dottrina politica, le azioni della Repubblica Islamica non devono essere in contraddizione con i suoi principi morali. Un utile quindi non deve essere conseguito entrando in contrasto con i principi di onore e di saggezza. In altre parole, le scelte fatte dalla Repubblica Islamica in materia di questioni regionali o internazionali non vanno trattare in modo che il punto di vista utilitaristico predomini sugli altri due, ma considerando il fatto che agire opportunamente significa scegliere il modo di arrivare all'obiettivo che più si confaccia al senso di onore e alla saggezza. Secondo l'Ayatollah Khamenei, "è possibile che in determinate circostanze si debba prestare maggiore attenzione agli obiettivi tattici o che si debbano usare strumenti tattici differenti; in ogni caso lo spirito e l'essenza stessa della pratica politica dello staot islamico non deve e non dovrà cambiare in nessuna circostanza (16 agosto 2004)". Nonostante tutte le difficoltà che comporta il rappresentare una voce praticamente isolata nel suo sostegno di principio ai diritti dei palestinesi, la Repubblica Islamica dell'Iran si è mantenuta salda sulla sua posizione: Israele è un'entità politica che deve cessare di esistere, e tutti i palestinesi devono avere il diritto di ritornare alle loro case. A differenza di quello che molti pensatori di sinistra hanno asserito in passato, ossia che il fine giustifichi i mezzi, il concetto di صلحه che deriva dalla parola صلاح significa buono e giusto, un buono ed un giusto cui si può giungere scegliendo i percorsi migliori. Ed i percorsi migliori sono quelli che passano dalla saggezza e dal senso morale.
La considerazione che l'Ayatollah Khamenei ha di tutti i recenti sommovimenti e di tutto quanto successo negli ultimi tempi in Medio Oriente ed in Nord Africa si basa sulla sua concezione del mondo. Nell'anniversario della scomparsa dell'Imam Khomeini, ha affermato che l'Iran sostiene ogni insurrezione mediorientale che si basi su tre fondamenti: l'Islam, il sostegno popolare e l'indipendenza dall'intromissione occidentale. Ha affermato che la Repubblica Islamica non può sostenere nulla che abbia il sostegno statunitense o israeliano, perché questi due regimi in nessun caso si comporteranno in modo da assecondare gli interessi delle popolazioni mediorientali (4 giugno 2011). Questa visione supera fattori come la razza, l'appartenenza settaria ed il nazionalismo. L'Imam Khamenei lo ha più volte dimostrato, sostenendo i popoli del Sud Africa, della Bosnia, della Palestina, dell'Iraq, i rifugiati curdi ed il Libano; tutti con retroterra differenti per quello che riguarda razza e religione.
Perché uno stato islamico possa funzionare all'interno di questa cornice di valori morali, esso ha bisogno che a guidarlo ci sia uno studioso di scienze religiose di alto livello, che venga visto come giusto, pio e coraggioso e che abba una chiara comprensione dei più complessi fenomeni politici e sociali. In caso contrario, si deve credere che nel mondo complesso e pericoloso in cui viviamo i principi di onore (عزه), saggezza (حکمه) e di senso di opportunità (مصلحه) concepiti secondo una prospettiva islamica non possano essere onorati, né oggi né in futuro.
Sayyed Mohamed Marandi è professore associato di letteratura inglese all'Università di Tehran. E' anche opinionista per varie trasmissioni di informazione e di attualità.