domenica 27 aprile 2014

Firenze. Una sigaretta n'i'ddegrado, in mezzo all'insihurézza di piazza Santo Spirito


In Piazza Santo Spirito si svolge ogni venticinque aprile una festa dal carattere politico lodevolmente poco ambiguo, animata da organizzazioni e persone poco affascinate dalle mode e ancor meno propense a cambiare bandiera.
Musica e ristoro attirano ogni volta un crescente numero di persone che vanno ad aggiungersi ai frequentatori abituali della piazza,
I variopinti frequentatori abituali della piazza costituiscono da anni una sicurezza: fanno da parafulmine alle invettive di micropolitici e gazzettieri di varia bassezza e stipendio senza mai scomporsi.
Uno di essi si avvicina. Pare una persona senza fissa dimora, visibilmente poco lucida e dall'igiene che si potrebbe senz'altro definire approssimativa.
Chiede a gesti una sigaretta.
Gliene vengono porte due.
Sempre a gesti, ne rifiuta una.
Si fa accendere l'unica sigaretta accettata e ringrazia più volte.
Un fatto che è da solo una lezione.

sabato 26 aprile 2014

Nella Repubblica Araba di Siria avanza il processo di riconciliazione nazionale



Traduzione da Conflicts Forum.

E' "una prospettiva sconfortante" -scrive Yezid Sayigh del Carnegie Middle East Centre- "ma i tempi in cui Assad avrebbe potuto essere sconfitto da un'opposizione guidata da autentici incapaci e da un movimento ribelle frammentato sono finiti". Quello di Sayigh è uno scritto ponderato e anche se il suo essere schierato con l'opposizione emerge dai toni sconfortati che lo permeano, il suo autore resta uno degli analisti della situazione in Siria più consapevoli e strategicamente attendibili; il pensiero del mainstream occidentale sulla Siria ha in lui un'avanguardia. Per qualcuno di quelli che hanno fatto proprie queste posizioni suonerà ancora più perentoria e senza compromessi la sua affermazione secondo la quale "in realtà il processo di Ginevra è ormai lettera morta".
Nella sua opera iconoclastica, Sayigh si spinge anche oltre: arriva a demolire il mantra del mainstream che assicura che senza Ginevra la Siria sarebbe condannata a rimanere senza rimedio "ostaggio di uno stallo militare". "Il conflitto entra nel suo quarto anno e la situazione sul terreno è tutt'altro che statica", afferma Sayigh respingendo lo shibboleth dello stallo. Sottolinea come secondo ogni evidenza gli Stati Uniti non aumenteranno significativamente il livello del loro impegno militare e come l'Arabia Saudita non possa farlo perché impedita in questo sia dal no della Giordania per una escalation militare che coinvolga il suo territorio, sia dall'inisistenza con cui gli ameriKKKani impongono limiti alle forniture di armi. "A tre anni di distanza dal giorno in cui l'Esercito Arabo Siriano è stato chiamato a sedare l'insurrezione popolare nel paese", scrive Sayigh in un altro articolo, "il suo superiore addestramento, la sua organizzazione ed il suo potere di fuoco hanno iniziato a tradursi in un vantaggio decisivo. Il governo ha consolidato le proprie posizioni al nord, e si trova in una buona posizione per parare l'offensiva dei ribielli da sud".
Sayigh prosegue: "Come ha affermato John Brennan, direttore della CIA statunitense nel corso di una conferenza pubblica a marzo 2014, 'La Siria dispone di un vero e proprio esercito' che costituisce 'una grande forza armata convenzionale dotata di un temibile potere di fuoco'. Esso trae significativi vantaggi tanto dall'appoggio di esperti iraniani e russi e dal nuovo adestramento alla guerra in ambiente urbano quanto dall'apporto di combattenti non siriani, soprattutto dallo Hezbollah libanese, dalle milizie sciite irachene, dai Pasdaran iraniani e da volontari di altra provenienza. Non sta solo resistendo, anzi". "Se le cose vanno avanti così, e ci sono davvero pochi motivi per pensare che non andrà in questo modo- le forze governative avranno il sopravvento e conseguiranno il controllo effettivo di una massa critica del paese per la fine del 2015, se non prima".
L'affermazione di Brennan è in qualche modo asciutta e di tipo tecnico, e la cosa non deve sorprendere. Sia Brennan che Sayigh ci stanno in buona sostanza dicendo che la Siria è il punto cruciale in cui è in atto una prova di forza tra due visioni del futuro inconciliabili tra loro, non solo sul futuro della Siria, ma sul futuro di tutto il Medio Oriente. Una è rappresentata dal mondo approssimativo, dogmatico ed intollerante degli jihadisti e dei loro mèntori, l'altra è la concezione di un Medio Oriente pluralista, meno grossolana, non settaria e maggiormente tollerante. Sayigh e Brennan indicano, ciascuno a suo modo, che nella prova di forza ancora in corso è questa seconda concezione che oggi come oggi sta avendo la meglio. Si tratta di una cosa molto significativa per il Medio Oriente nella sua interezza, ma la politica potrà farlo proprio soltanto quando il risultato dello scontro si consoliderà, e non prima di quel momento.
Sayigh chiude scrivendo che intanto che i cosiddetti "Amici della Siria" continuano ad invocare una soluzione internazionale, anche in Occidente si vede chiaramente che non ci sono sbocchi per il processo di Ginevra così come è stato concepito. Il Presidente Assad resterà al suo posto, a controllare qualsiasi processo di transizione, e il fatto triste è che possono volerci degli anni prima che possa consolidarsi una autentica opposizione. Sayigh pensa che è possibile che una nuova opposizione "non possa concretizzarsi fino a quando l'opposizione politica oggi esistente e la ribellione armata non avranno perso la battaglia" [il corsivo è nostro, N.d.A.]. Comunque, l'idea di Sayigh di uno spazio politico vuoto, che dovrebbe sorgere in Siria come inevitabile risultato del fallimento di Ginevra è forse frutto di un punto di vista troppo polarizzato. Dalla definitiva cristallizzazione dei risultati della epocale prova di forza oggi in atto emergerà una politica tutta nuova, e questo emergere è già iniziato, come spieghiamo nelle righe che seguono. 
Quello di Sayigh è uno dei possibili punti di vista sulla realtà, ma ha il difetto di essere, in una certa misura, uno sguardo dall'esterno, uno sguardo della diaspora in esilio e condiviso dalla maggior parte degli esperti dei think tank. Lo si potrebbe riassumere nell'espressione "niente Ginevra, niente ruolo di primo piano per l'opposizione in esilio, allora non esiste soluzione". Esiste un altra realtà a cui Sayigh non fa alcun riferimento salvo derubricarla a "pacificazione con la forza". Ed è tutta un'altra questione: è una storia interna alla Siria, in cui i toni predominanti non sono quelli dello sconforto. In Siria è in atto un processo dinamico di riconciliazione che sta suscitando molto interesse all'interno del paese; un interesse che coinvolge anche alcuni gruppi armati. La maggior parte dei siriani, tra cui c'è chi aderisce alle istanze dell'opposizione in esilio e chi no, ha smesso di credere a quanto previsto da Ginevra dopo aver sentito quello che si diceva a Ginevra II. Non pochi siriani si sono fatti l'idea che all'Occidente non interessa arrivare ad una soluzione politica per il bene del paese, e che gli occidentali vogliono solo che Assad se ne vada; più in là non ci arrivano. Ogni potere esecutivo dovrebbe andare in mano agli esiliati del Consiglio Nazionale Siriano tenuti a balia dall'Occidente, che in tutti gli ambienti in Siria hanno un sostegno trascurabile, ammesso e non concesso che ce l'abbiano
I mass media occidentali e i think tank d'Occidente fanno poca attenzione a questa realtà, perché essa non tiene conto né di Ginevra né della "Coalizione Nazionale Siriana": si tratta di qualche cosa di assolutamente contrario a quel consenso generale per una fine del conflitto orchestrata a livello internazionale che in Occidente si dà per scontato. Tuttavia, se Sayigh ha ragione a dire che alcuni diplomatici occidentali scorgono già la parola fine per il processo di Ginevra, è probabile che abbiano iniziato ad accorgersi che dal punto di vista militare, politico e sociale la Siria sta scivolando sempre più velocemente verso un nuovo equilibrio; una dinamica interna che forse sarebbe il caso di considerare in futuro con maggiore serietà.
Il processo di riconciliazione non è stato intrapreso dalla politica ufficiale. Esso è nato spontaneamente, dal basso e dai siriani qualsiasi, che hanno scoperto di essere degli "attori sociali" di primo piano, soprattutto nei contesti locali. In breve, esso si è consolidato nel momento in cui le persone hanno iniziato ad acquisire una consapevolezza diversa, a considerare se stesse in modo differente, a vedersi in un altro modo e ad agire secondo la propria iniziativa. Da un certo punto di vista i comitati per la riconciliazione oggi esistenti in un numero sempre crescente di città e paesi ricordano i comitati popolari che nacquero durante l'intifada palestinese, e che furonon in seguito sconfitti con la repressione dal movimento politico ufficiale. 
Un aspetto, forse il più evidente, del processo di riconciliazione è stato quello militare: vari gruppi armati dell'opposizione hanno negoziato direttamente delle tregue con l'Esercito Arabo Siriano; in altri casi la popolazione locale si è ribellata agli insorti e li ha cacciati dalla città o dal paese; in altri casi ancora, la popolazione ha organizzato delle milizie per la propria difesa ed ha chiesto armi alle forze governative.
A queste iniziative il governo siriano ha risposto consentendo agli ex insorti di tenere gli armamenti leggeri, e di continuare a considerarsi dei combattenti con tutte le conseguenze che questo ha per l'autostima e per lo status sociale. Di fatto gli ex dissidenti sono stati riassorbiti dal sistema politico locale; aiutano a difendelro e partecipano alle decisioni a livello locale. A questo non si è arrivati senza aspri contrasti. Molte persone che hanno avuto da soffrire o i cui congiunti sono stati uccisi spesso conservano rancori e insistono sul fatto che i "criminali" debbano essere perseguiti e non riabilitati. Il governo tuttavia pensa che si debba arrivare ad una riconciliazione, nonostante il dolore che molti possono provare.
Poi c'è un altro aspetto, che è quello della riscoperta dell'essere attori sociali. Questo è l'aspetto che presenta le più feconde potenzialità dal punto di vista politico. Sono nati comitati popolari nelle città e nei paesi: il Ministero per la Riconciliazione li sovvenziona con dei fondi, ma essi attirano anche donazioni volontarie da parte di privati cittadini. 
Nonostante operino con gli auspici del Ministero, i comitati, che comprendono amministratori locali, insegnanti, militari, sindacalisti, attiviste del mondo femminile e volontari, prendono decisioni per conto proprio. Cercano di reclutare insegnanti volontari che colmino i vuoti nelle scuole, di costituire gruppi di lavoro per il restauro delle abitazioni danneggiate, di arrangiare sistemazioni per le famiglie rimaste senza casa, di fornire sostegno alle donne che hanno subito stupri o violenze, e di mettere in contatto tra lofo gli imprenditori perché uniscano i loro sforzi per far ripartire le piccole imprese. Come hanno detto alcuni, la gente non aspetta più che Damasco decida cosa si deve fare, ed agisce per conto proprio. Il punto è proprio questo: i siriani qualsiasi si stanno riscoprendo attori sociali, ma in un modo molto diverso -ed opposto- a quello dei gruppi armati radicali.
Cosa sta succedendo in Siria? in un certo senso si tratta di un cambiamento un po' sfuggente e difficile da definire in modo empirico, anche perché si tratta di un cambiamento che si verifica a livello locale; le condizioni locali lo condizionano ed ha una natura polverizzata. Succede spesso che sistemi sociali che hanno attraversato un conflitto ed una crisi -il Sud Africa ne costituisce un esempio- escano da tutto questo psicologicamente mutati. Le esperienze traumatiche, individuali o collettive che siano, possono portare ad un crollo psicologico oppure ad un rafforzamento, anche ad un indurimento, e ad una mobilitazione. Nel caso della Siria, chi si reca a Damasco può accorgersi del fatto che nonostante la guerra di logoramento con gli insorti continui, con colpi di mortaio che piovono a casaccio ogni giorno sui quartieri di periferia, i damasceni sono più determinati, più decisi e più fiduciosi in se stessi.
In cosa si tradurrà tutto questo a livello di stato nazionale? E' troppo presto per dirlo con certezza, ma quanto successo in Iran a seguito degli avvenimento del 2009 mostra che quando si esce da una crisi a livello nazionale è possibile intraprendere percorsi politici nuovi: le elezioni iraniane dello scorso anno hanno sancito un netto mutamento di direzione, e si è trattato di un cambiamento che è venuto dall'interno del sistema.
Perché un cambiamento potrebbe generarsi in questo modo? I siriani dicono che ad innescare questo mutamento di consapevolezza è stato il fatto che i siriani hanno capito all'improvviso e tutti insieme che quello che stava succedendo in Siria non aveva nulla a che fare con riforme, democrazia o partecipazione popolare alle politiche governative, e che invece aveva molto a che fare con il rovesciamento del sistema sociale esistente e con l'imposizione ai siriani di qualche cosa che era estraneo al loro modo di vivere, al loro percorso storico nei campi cdella cultura, della società e della politica.
Oggi come oggi l'attenzione non si concentra sui dettagli della politica, come la riforma dell'articolo 8 della costituzione; sono tutte cose che possono aspettare. La gente pensa di essere coinvolta in una lotta per l'esistenza, in una guerra. E in guerra le energie servono a sopravvivere, a vivere ogni giorno, a vincere la battaglia. Alla politica ci si pensa dopo.
Molte cose hanno contribuito negli ultimi tempi a rafforzare nei siriani l'idea di essere in lotta per la propria stessa esistenza. Ci hanno pensato i proclami -seguiti dai fatti- che arrivavano dagli stati del Golfo, ci hanno pensato i discorsi di Ginevra II, ci ha pensato quel che si prospetta per i palestinesi, e ancor più sicuramente hanno contribuito gli ultimi avvenimenti in Ucraina. Uno dei commentatori di meglio provata esperienza su cui contiamo in Siria ci ha riferito che per un paio di settimane nel paese si sono interrotte le discussioni sulla guerra in corso e che la gente non faceva che parlare dell'Ucraina. E' evidente che in Siria ed in Iran, sia a livello di gente comune che a livello governativo, si è ben capito quale portata strategica abbiano gli eventi in corso in Ucraina. Ai siriani è risultato fin troppo semplice identificare la loro situazione con quella dell'Ucraina, ed "ammirare Putin per essersi opposto alle macchinazioni occidentali", come ha perentoriamente notato un ben ammanicato cittadino siriano.
Oggi come oggi la politica in Siria è fatta di un'unica pretesa: il ritorno ad un minimo di sicurezza e alla normalità della vita quotidiana. Il motivo per cui stiamo assistendo, come in Iran, ad un ritrovarsi attorno al sistema esistente intanto che prende forma il desiderio di una nuova politica, è essenzialmente questo. Il governo pare lo abbia capito bene; ecco per quale motivo vengono spese tanti sforzi nel processo di dialogo e di riconciliazione nazionale. 

venerdì 25 aprile 2014

Firenze, elezioni amministrative 2014. Achille Totaro, che è grasso e di Scandicci, è atteso il 21 maggio nel quartiere di San Frediano


21 mag. Totaro in S. Frediano?? Nessuno spazio ai fascisti di merda.
La scritta è comparsa a fine aprile su un muro del quartiere in oggetto.
Le scritte sul muro, quando non sono ridotte a tag scimmieschi da yankee di complemento, hanno alcuni pregi indiscutibili, primo tra tutti l'avere un rapporto con il mondo reale un po' più solido di quanto lo abbiano altre forme di comunicazione.
Il carattere perentorio di toni e contenuti fa pensare che per garantire al più corpulento tra i candidati "occidentalisti" di passare una mezz'ora tra i gazzettieri a ciarlare d'iddegràdo e dell'insihurézza senza correre il rischio di fare incontri sgraditi la gendarmeria avrà non poco di cui occuparsi.

mercoledì 23 aprile 2014

Firenze, elezioni amministrative 2014. "La Nazione" aiuta la campagna elettorale scrivendo per due giorni di escrementi umani


I tempi in cui l'occidentalame gazzettiero imperversava e costruiva allarmi sociali a pro dei ben vestiti che li facevano diventare decreti legge cominciano a sfumare; la disamina dei motivi alla base di questo fenomeno è stata esposta in questa sede molte volte e non c'è bisogno di infliggerla nuovamente a chi legge.
Questo non vuol dire che un certo modo di fare i gazzettieri non abbia introdotto usi e consuetudini durissimi a morire, anche perché consentono spesso di "chiudere" un numero senza affaticarsi eccessivamente.
 Diciamo pure senza affaticarsi per niente.
Mescolando lo strumento della delazione con le pressanti istanze elettorali (i'ddegrado e la sihurézza) oltre che con la necessità di far giornata evitando con cura di trattare temi che siano imbarazzanti per davvero, La Nazione di Firenze è riuscita per due giorni ad occuparsi di escrementi umani, sia nell'edizione cartacea riportata sopra, sia in quella web.
Alle elezioni amministrative manca circa un mese e l'articolo di gazzetta ha suscitato reazioni varie, di varia e sfaticata paternità. Ora che l'offerta politica è uniforme e che i suoi unici costituenti rappresentati dal "più mercato" e dal "più galera" differiscono tra un proponente e l'altro per dettagli minimi, da quella che La Nazione ha avuto anche il coraggio di vantare come una esclusiva possono trarre vantaggio tutti gli aspiranti sindaci indistintamente.
Nessuno, che si sappia, ha detto o scritto l'unica cosa che era sensato dire o scrivere: vista la familiarità e la competenza con cui tratta l'argomento, La Nazione farebbe davvero bene a limitare la sfera delle proprie trattazioni al campo degli escrementi umani, a prescindere dalle urgenze della campagna elettorale.

martedì 22 aprile 2014

Magdi Apostata Condannato Allam candidato alle elezioni europee del 2014



Nel maggio 2014 è prevista nella penisola italiana una serie di consultazioni elettorali, per organi amministrativi locali e per il parlamento europeo.
In cinque anni la propaganda "occidentalista" è diventata l'ombra di quella che fu: i temi usurati, la fine di moltissime gazzette locali, l'arrivo a sentenza di qualche causa civile intentata a suo tempo da gente stanca di sentirsi dare di terrorista da qualche buono a nulla con la cravatta, la saturazione del panorama mediatico, la diffusione di temi e contenuti sempre più lontani da qualunque barlume di realtà e soprattutto il sistematico scippo dell'agenda politica da parte dei sedicenti avversari l'hanno privata di inventiva e mordente.
Questo non significa che essa non avanzi le solite istanze, con l'ancor più solito sprezzo del ridicolo.
Magdi Apostata Condannato Allam non ha bisogno di presentazioni.
Quando abbiamo visto la sua propaganda elettorale abbiamo pensato ad uno scherzo.
Una reazione normale, davanti a materiali che dopo l'universo e la stupidità umana, mostrano infinita anche l'umana spudoratezza.
La cosa più interessante e che ad affrontare l'argomento è stato il "Corriere della Sera", del quale Magdi Allam fu per anni lo strapagato vicedirettore.
Ecco: presentandolo al pubblico, il Corriere fa letteralmente finta di non conoscerlo.
Problemi con la geografia per Magdi Cristiano Allam, candidato alle europee con Fratelli d’Italia: egiziano naturalizzato italiano, si scaglia contro gli immigrati e si propone di difendere gli italiani ma, nella cartina dell’Italia, dimentica Sardegna e Sicilia[*].
Liquidato in venti parole come un mangiaspaghetti qualsiasi.
Il "partito" che ha accettato la candidatura di un elemento del genere è lo stesso che nelle stesse settimane considera l'essere grassi e di Scandicci le migliori prerogative per chi intenda diventare borgomastro a Firenze.
Deve trattarsi di una compagine titanica.



[*] Il nome dello stato che occupa la penisola italiana ricorre nel testo originale. Ce ne scusiamo come sempre con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.

lunedì 21 aprile 2014

Pepe Escobar - L'Ucraina e la grande scacchiera



Traduzione da Asia Times.



Il capo della CIA John Brennan ha detto che quelli che hanno rovesciato il governo di Kiev stanno "conducendo operazioni tattiche" nel quadro di un'offensiva "antiterrorista" nell'est dell'Ucraina. Il Dipartimento di Stato degli USA, per tramire del suo portavoce Jennifer Psaki, ha fatto sapere che si tratta di affermazioni "completamente false". Questo significa che Brennan ha dato l'ordine di passare all'azione. D'ora in poi la "campagna antiterrorista", come la si è chiamata con un tocchettino di retorica alla George Diabolus Bush, degenera in farsa.
Il retriever danese della NATO, Anders Fogh Rasmussen, guaisce sulla rafforzata presenza sul fronte est dell'alleanza: "Avremo più aerei in cielo, più navi in mare e maggiore prontezza sulla terra".
Si colleghino i due fatti. La guerra postmoderna secondo due tirapiedi.

O pagate o vi congeliamo a morte
L'Ucraina è a pezzi, da ogni punto di vista pratico. In  tutti gli ultimi tre mesi il Cremlino si è mantenuto su un atteggiamento consistente nell'incoraggiare Bruxelles a trovare una soluzione per gli enormi problemi economici dell'Ucraina. A Bruxelles non hanno fatto nulla; erano occupati a scommettere sul rovesciamento del governo, a tutto vantaggio di Vladimir Klitschko, il peso massimo burattino dei tedeschi noto anche come Klitsch il boxer.
Il governo è stato rovesciato, solo che a rovesciarlo è stato il Khaganato di Nullandia: un sottoscala neo-con al Dipartimento di Stato, capeggiato dall'assistente del Segretario di Stato per l'Europa e gli affari eurasiatici Victoria Nulands. Ora il Presidente degli Statio Uniti può scegliere tra due burattini: il cioccomiliardario Petro Poroshenko e "Santa Yulia" Timoshenko, ex primo ministro ucraino, ex detenuto e presidente in pectore. All'Unione Europea invece è rimasto il conto da pagare. Un conto che non c'è modo di pagare: e qui arriva il Fondo Monetario Internazionale con uno dei suoi "aggiustamenti strutturali" che spedirà gli ucraini in un inferno anche peggiore di quello che già conoscono.  
Nonostante il clima isterico che il Ministero della Verità degli USA ha instaurato in tutte le sue succursali nel mainstream occidentale, il Cremlino non ha bisogno di invadere un bel nulla. Questo è bene che sia chiaro. Se la Gazprom non viene pagata, non deve far altro che chiudere la diramazione ucraina dell'Oleodottistan. Se questo succede, Kiev non potrà fare altro che usare parte delle scorte destinate a qualche paese della UE perché agli ucraini non manchi l'energia necessaria a tenere in vita se stessi e le proprie fabbriche. E l'Unione Europea, la cui "politica energetica" è una barzelletta già per proprio conto, dovrà fare i conti con un altro problema che si è procurata da sola.
L'Unione Europea resterà vittima di un perenne gioco al ribasso, se Bruxelles non si mette sul serio ad un tavolino insieme con Mosca. Ancora non lo ha fatto e c'è una sola spiegazione: le fortissime pressioni di Washington, esercitate per tramite della NATO.
Un'altra cosa dev'essere chiara, come contromossa all'isteria dilagante: l'Unione Euopea è il miglior cliente della Gazprom, di cui assorbe il 61% delle esportazioni. E' una relazione complessa, e si basa sull'interdipendenza: la capitalizzazione del North Stream, del Blue Stream e del South Stream in via di completamento comprende imprese tedesche, olandese, francesi e dello stato che occupa la penisola italiana.
Certo, la Gazprom ha bisogno del mercato europeo. Ma fino ad un certo punto, visto il corposissimo accordo con la Cina sul gas siberiano che verrà siglato con ogni probabilità il mese prossimo a Pechino, nel corso della visita di Putin a Xi Jinping.

La chiave inglese tra gli ingranaggi
Il mese scorso, mentre andava in scena l'accidentato spettacolo ucraino, Xi Jinping era in Europa a stringere accordi e a promuovere un altro ramo della Via della Seta diritto diritto fino in germania.
In un ambiente sano e non hobbesiano, una Ucraina neutrale non avrebbe che da guadagnare dalla propria posizione di punto di incrocio privilegiato fra l'Unione Europea e quell'Unione Eurasiatica che si va prospettando; sarebbe anche uno snodo fondamentale per la nuova Via della Seta che è protagonista delle iniziative cinesi. I rovesciatori del governo, invece, scommettono sull'ingresso nell'Unione Europea (che non avverrà, fine della questione) e sul diventare una testa di ponte della NATO (che è quello che vuole il Pentagono).
Per la prospettiva di un mercato comune che va da Lisbona a Vladivostok, che è quello che sia Mosca che Pechino vorrebbero e che anche per l'Unione Europea sarebbe un'occasione d'oro, il disastro ucraino è una vera chiave inglese tra gli ingranaggi.
E a trarre vantaggio dalla chiave inglese c'è una sola parte in causa: il governo degli Stati Uniti.
L'amministrazione Obama può anche aver capito -la parola fondamentale è può- che il governo degli Stati Uniti ha perso la battaglia per il controllo dell'Oleodottistan che va dall'Asia all'Europa, a dispetto di tutti gli sforzi di Dick Cheney. Quella che gli esperti di questioni energetiche chiamano la rete di sicurezza asiatica sta progressivamente cambiando, così come sta cambiando la miriade di legami che la collegano all'Europa.
Questa chiave inglese è tutto quello che rimane all'amministrazione Obama, ancora alle prese col tentativo di ostacolare la piena integrazione economica dell'Eurasia.
L'amministrazione Obama, ovviamente, vede la crescente dipendenza dell'Unione Europea dal gas russo come un'ossessione. Di qui la sua idea di proporre il gas statunitense all'Europa come alternativa a quello che arriva dalla Gazprom. Ammesso e non concesso che la cosa sia realizzabile, ci vorrebbero almeno dieci anni e senza nessuna garanzia di successo. L'alternativa vera sarebbe il gas iraniano, dopo la composizione della questione nucleare e dopo la caduta delle sanzioni occidentali. Tutto questo, e la cosa non sorprende, viene visto come fumo negli occhi da varie fazione interne al sistema delle lobby statunitense.
Tanto per cominciare, gli Stati Uniti non possono esportare gas in paesi con cui non hanno stretto un accordo di libero scambio. A questo problemuccio si potrebbe ovviare in grande misura con la partnership transatlantica su cui si sta negoziando in segreto tra Washington e Bruxelles (si veda Breaking bad in southern NATOstan, Asia Times online, 15 aprile 2014).
Intanto l'amministrazione Obama continua col suo "divide et impera" per incutere timore agli attori più piccoli: si agita al massimo lo spettro di una Cina malvagia e militarista, nel tentativo di rafforzare l'ancora incerto "rivolgimento verso l'Asia". Il tutto rimanda a quello che Zbig Brzezinski fodmalizzò ancora nel 1997, nel suo The Grand Chessboard, affinandone poi i dettagli in favore del suo allievo Obama: il dominio degli Stati Uniti sull'Eurasia.
Il Cremlino non si farà trascinare in un bailamme militare. Possiamo pensare che Putin abbia capito qual è la mossa fondamentale per il controllo della scacchiera: il rafforzamento della partnership strategica tra Russia e Cna, fondamentale come la sinergia con l'Europa nella produzione di risorse energetiche. E soprattutto, la mostruosa paura delle élite finanziarie statunitensi dell'inevitabile processo oggi in corso, il superamento del petrodollaro, guidato dai BRICS e che vede coinvolti anche i principali paesi del Gruppo dei venti.
In ultima analisi, tutto questo mostra la progressiva messa da parte del petrodollaro, intanto che va affermandosi un intero paniere di valute come monete di riserva per il sistema internzionale. I BRICS sono già al lavoro per costruire una propria alternativa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, e lo fanno investendo in un paniere di valute di riserva ed in una banca di sviluppo per i BRICS. Mentre il tentativo di costruire un nuovo ordine mondiale stenta a prendere forma nei vari punti del Sud del Mondo, i robocop della NATO sognano la guerra.
 

sabato 19 aprile 2014

Repubblica Islamica dell'Iran: il negoziato sul nucleare come viene presentato dalla stampa iraniana



Traduzione da Conflicts Forum

In questa occasione ci occuperemo di come le questioni che riguardano il progredire dei colloqui dei "cinque più uno" con la Repubblica Islamica dell'Iran vengono trattate dai media iraniani. Il risultato di questi negoziati infatti segnerà un punto di svolta per tutto il Medio Oriente, comunque vadano. In questo modo si intende fornire ai lettori, senza pretesa di esaustività o di completezza, un'idea di quali siano gli argomenti che in questo momento in Iran stanno facendo sì' che l'opinione pubblica e l'opinione di chi si informa vada allineandosi su ateteggiamenti più scettici. Chiaramente, Rohani ha ancora il mandato di andare avanti con i negoziati; la massa critica del sostegno di cui gode è ai massimi livelli, ma questo non significa che questo mandato sia una cambiale in bianco o che goda di tempistiche senza limite. Da quello che si riesce a capire da tutte le posizioni espresse dall'opinione pubblica iraniana, la tendenza in parlamento e tra il pubblico vira verso lo scetticismo nel migliore dei casi, e verso l'irritazione nel peggiore. Perché Rohani possa continuare a contare sul mandato conferitogli per i negoziati con il "cinque più uno" è fondamentale che egli continui a godere dell'appoggio dell'opinione pubblica. Altrettanto chiaro è il fatto che il cambiamento nell'opinione pubblica non è del tutto legato alla natura del processo coinvolto nei colloqui sul nucleare, ma è stato influenzato negativamente sia dalla visita della signora Catherine Ashton sia dalle recenti risoluzioni votate dalla UE in materia di diritti umani. Molti iraniani si aspettavano che l'intrapresa dei negoziati sarebbe almeno servita ad attenuare le critiche nei confronti dell'Iran, che le iniziative di Rohani sarebbero state accolte mostrando un po' meno sguaiatezza nelle critiche verso il modo di vivere degli iraniani. Da questo punto di vista, le aspettative sono state brutalmente castigate e c'è chi vede in questa mala accettazione diffusa la prima avvisaglia di ulteriori giri di vite nel prossimo futuro.
Lo scritto del dottor Nader Sa'ed pubblicato su Javed prende le cose nel modo più positivo e sostiene che i colloqui si svolgono su due assi principali: il primo, dalla prospettiva degli occidentali, è fondamentalmente quello di modificare lo scopo -e dunque il risultato finale- delle attività iraniane di arricchimento dell'uranio affinché esse tocchino i livelli più bassi possibile; il secondo, quello di ridefinire complessivamente le attività in cui è coinvolto il reattore di Arak. Sa'ed mette qui la questione fondamentale: se l'Iran deve rimodellare in modo realistico i propri bisogni energetici fondati sul nucleare strategico sia per l'oggi che -soprattutto- per il domani, cosa succederà se le necessità strategiche di energia per i prossimi decenni, così' interpretate, risulteranno ben più alte di quelle che è possibile soddisfare mantenendo il livello di arricchimento dell'uranio alla quota che il "cinque più uno" è deciso a fissare? Detto altrimenti: qual è il livello di arricchimento per cui è verosimile riuscire ad arrivare ad un accordo e che allo stesso tempo permetta all'Iran di soddisfare le proprie legittime necessità a lungo termine? C'è qualche prospettiva realistica per cui la linea del grafico che indica il livello di accettabilità espresso dai "cinque più uno" potrebbe incontrare quella che fissa le necessità a lungo termine degli iraniani? La questione è complessa, scrive Sa'ed, e questo è il motivo per cui non ci si deve attendere che un accordo arrivi tanto presto.
Scrivendo sul Keyhan di cui è anche capo redattore, Hoseyn Shari'atmadani affronta l'argomento da un'altra prospettiva. Il nucleare costituisce un anello fondamentale in tutto un processo scientifico e tecnico e non si tratta di un qualcosa che si può semplicemente abbandonare senza fare gravi danni al progresso scientifico iraniano nella sua interezza, perché tutti gli aspetti di esso sono fittamente interconnessi. Secondo Shari'atmadani "il nostro paese consuma ogni anno quasi ottomila megawatt di corrente elettrica. Per produrla si dovrebbero consumare duecentoventi milioni di barili di greggio. A suo modo di vedere, il "cinque più uno" chiede proprio questo all'Iran: "bruciate combustibili fossili, ed ottenete soltanto da quelli l'energia elettrica che vi serve". Se l'Iran seguisse questo "consiglio", produrrebbe più di mille tonnellate di biossido di carbonio e libererebbe nell'aria centosettanta tonnellate di particelle incombuste, mescolate a centoquaranta tonnellate di diossido di zolfo e a cinquantacinque tonnellate di diossido di azoto che finirebbero nell'ambiente; soprattutto, bruciare combustibile fossile per produrre elettricità costerebbe all'Iran quasi sei miliardi di dollari l'anno in più rispetto alla produzione che è possibile ottenere con il nucleare. Shari'atmadani conclude ricordando che le riserve nazionali di gas e petrolio stanno rapidamente esaurendosi e che pretendere che l'Iran dia fondo in questo modo alle proprie disponibilità non tiene in alcun conto quello che sarà, tanto per dire, la situazione tra una ventina d'anni. Visto quello che l'Iran ha dovuto passare in materia di sanzioni, non c'è davvero nessuna fretta di consegnare le future generazioni alla mercè dei mercati internazionali e al rischio di un nuovo boicottaggio.
Mehdi Mohammadi mette fondamentalmente in questione tutto l'approccio negoziale dei "cinque più uno", fondato su un "punto di rottura", e anche il modo in cui i negoziatori iraniani stanno affrontando la questione. Secondo gli occidentali esiste un determinato punto nel programma nucleare iraniano che se fosse raggiunto consentirebbe dal punto di vista tecnico all'Iran di "produrre rapidamente e in poco tempo il materiale necessario a realizzare un ordigno nucleare, ovvero venticinque chili di uranio arricchito al 90%, senza che la IAEA o i servizi di spionaggio riescano neppure ad accorgersi della cosa. Questo non ben definito punto sarebbe, a detta degli occidentali, quello che loro considerano il 'punto di rottura'". Dietro la pretesa di limitare l'arricchimento dell'uranio al minimo avanzata dagli occidentali, secondo Mohammadi non vi sarebbe altro che questo concetto. Solo che invece di accettare cervellotiche restrizioni sul numero di centrifughe o sulle riserve di materiale arricchito al cinque o al venti per cento per impedire ogni possibilità che venga raggiunto questo punto di rottura, i negoziatori iraniani a Ginevra avrebbero dovuto rifiutare come tale la stessa logica del punto di rottura. "Non dobbiamo assolutamente accettare idee del genere". Secondo Mohammadi gli ameriKKKani e i sionisti hanno messo in piedi quest'idea per avere la scusa per smantellare ogni struttura per l'arricchimento dell'uranio per uso industriale presente in Iran. "Io mi chiedo questo: perchè mai delle persone perbene dovrebbero dirsi d'accordo con una cosa del genere? Se l'Occidente ha paura di questo punto di rottura, la soluzione giusta è quella di rendere ancor più trasparenti i processi. Perché i nostri si dicono d'accordo nel limitare i nostri piani con questo pretesto?"
Torniamo un momento ai due assi di cui faceva cenno Sa'ed. Dopo quello che prevede la limitazione dei margini e della qualità dell'arricchimento ai livelli più bassi possibili, il secondo asse del "cinque più uno" è rappresentato dalle sanzioni. "Le sanzioni sono ancora in vigore, grazie alla cooperazione informale che gli Stati Uniti hanno preteso dai loro alleati, e vengono continuamente rinnovate e rinforzate sotto varie forme e presentandosi sotto aspetti differenti. Le sanzioni approvate dal Cosiglio di Sicurezza dell'ONU sono ancora più o meno tutte al loro posto, e fino ad oggi non è stato possibile esaminare la questione della loro interruzione. "Inoltre, l'interpretazione normativa del secondo paragrafo del quarto articolo del trattato di non proliferazione [che richiede a tutti i sottoscrittori di fornire assistenza ai paesi che aspirano a sviluppare un programma nucleare pacifico] chiama in causa la volontarietà e l'eventualità, e non unq auqalche obbligatorietà. Magari la nostra diplomazia riuscirà ad usare l'interpretazione normativa in modo da riscrivere il paragrafo perché affermi cose gradite all'Occidente...".
Esiste comunque la prova che questo secondo asse, che già fornisce all'Iran un sollievo molto ridotto (quattro miliardi e duecento milioni di dollari in otto tranches, su cento miliardi di beni iraniani congelati) si discosta di pochissimo dalle già scarse promesse iniziali del "cinque più uno". Suzanne Maloney è una esperta di questioni iraniane del Brookings Institute ed ha riferito ad Al Monitor che gli iraniani erano consapevoli del fatto che avebbero ottenuto "assai poco" dall'accordo provvisorio, per quello che riguarda le sanzioni. La stessa Maloney aveva anche messo in guardia sul fatto che le difficoltà che l'Iran sta incontrando nell'ottenere queste scarse risorse avrebbero fornito agli iraniani motivi ancora maggiori per fidarsi dell'alleviamento delle sanzioni, basato com'è sull'ondivaga autorità della Casa Bianca. Il Presidente Obama ha il potere di alleviare la maggior parte delle sanzioni contro l'Iran, di sei mesi in sei mesi; e sei mesi sono la durata dell'accordo provvisorio. Tuttavia -ha aggiunto la Maloney- la maggior parte delle multinazionali ha bisogno di orizzonti temporali più ampi per concludere accordi significativi. Erich Ferrari è un avvocato di Washington specializzato in materia. Ad Al Monitor ha spiegato che "Dagli iraniani sentiamo dire che nessuno ha idea di cosa sia questo canale finanziario [attraverso il quale convogliare le transazioni d'affari con l'Iran]". Ferrari ha detto anche di non essere affatto sorpreso dal fatto che le banche che operano in paesi che ancora importano greggio dall'Iran stiano ponendo ogni sorta di ostacolo all'Iran nell'ottenere accesso ai quattro miliardi e duecento milioni di dollari che sono stati promessi all'Iran nelle otto distinte quote previste dall'accordo provvisorio. L'ex esperto della CIA Paul Pillar ha sarcasticamente affermato che "la mirabolante macchina delle sanzioni è talmente ben fatta che continua a trasudare potenza e ad avere i suoi effetti anche dopo che è stato spento l'interruttore dell'alimentazione. Quelli del Ministero del Tesoro non possono mica limitarsi a dire 'vai'... Soprattutto, deve fare di più per mettere le banche in condizioni di lavorare decentemente, perché l'accordo provvisorio entri in vigore ed abbia gli effetti che si pensava avrebbe dovuto avere".
Al di là di questo, Rohani e Zarif devono affrontare critiche assai più serie espresse da parte di elementi dell'opposizione che hanno una competenza nel settore. Sostanzialmente Mehdi Mohammadi, che è stato redattore del Keyhan e consigliere del negoziatore Jalili, specifica in una intervista che "L'accordo di Ginevra è un documento in cui i negoziatori si sono detti d'accordo sul fatto che l'Iran rappresenta un'eccezione rispetto a tutti gli altri sottoscrittori del trattato di non proliferazione [che hanno tutti] diritti e doveri precisi [definiti dal trattato]. Inoltre, da come [l'accordo di Ginevra] è stilato si capisce che l'Iran viene considerato un'eccezione, ed alcune restrizioni imposte all'Iran con questo documento non fanno che confermarlo".
Mohammadi continua: "Il documento definisce innanzitutto un primo passo da portare a compimento in sei mesi. Secondo gli occidentali consiste innanzitutto nello stabilire un clima di fiducia, che significa sostanzialmente che per iniziare i negoziati veri e propri l'Iran deve prendere una serie di provvedimenti iniziali destinati ad instaurare quel minimo di fiducia necessaria a far sì che i colloqui continuino. Gli stessi occidentali hanno fatto sapere che questi provvedimenti faranno diventare negoziati veri e propri quelli che sono soltanto dei colloqui. Poi soo stati definiti altri passi successivi per i quali non esiste tempistica. Detto altrimenti, gli occidentali possono pretenderne l'implementazione quando vogliono, perché scadenze non ce ne sono. Uno di questi passi successivi che l'Iran deve compiere è quello di mettere in atto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU; un altro è quello di definire tutte le "questioni essenziali", ivi comprese quelle che possono avere un qualche aspetto militare, per le quali l'AIEA potrebbe voler accedere alle strutture militari iraniane e conferire con gli scienziati addetti. E poi c'è l'ultimo passo, per il quale una tempistica esiste ma che al momento non prevede una vera e propria tabella di marcia. Sappiamo soltanto che le parti hanno convenuto sul fatto che si tratterà di tempi lunghi. Quest'ultimo passo prevede lo smantellamento di parte del programma iraniano per l'arricchimento dell'uranio. Il programma ne uscirà seriamente ridimensionato".
Mohammadi afferma in poche parole che per vari anni l'Iran dovrà accettare limitazioni molto severe all'esercizio dei propri diritti e gli verrà chiesto di cooperare ad esse in modo molto serio ed al di là di tutti gli impegni previsti dal trattato di non proliferazione. Tutto questo, solamente per essere considerato un paese come gli altri. Questo vuol dire che l'Iran resterà in uno stato d'eccezione fin quando gli occidentali non saranno soddisfatti. "In breve, siamo noi stessi a dirci d'accordo sul fatto che gli occidentali hanno il diritto di trattarci come un caso speciale e di fare pressioni su di noi". L'aspetto essenziale della cosa, secondo Mohammadi, è che i negoziatori iraniani hanno accordato agli occidentali il diritto di bollare l'Iran come una minaccia e come un caso eccezionale, per tutto il tempo che vorranno. "Si tratta di una decisione che ha conseguenze molto pericolose per la nostra sicurezza nazionale", sostiene Mohammadi. "In qualsiasi questione riguardi l'Iran, gli occidentali sono sempre partiti dall'assunto che l'Iran deve accettare il fatto che rappresenta un caso eccezionale e che per questo motivo non può aspettarsi di godere degli stessi diritti di cui godono gli altri paesi, o di avere gli stessi doveri degli altri paesi. L'Iran non si è mai detto d'accordo con una cosa del genere. Abbiamo sempre detto che non avremmo lasciato che ci trattassero come un caso speciale e come un'eccezione: invece, i negoziatori hanno accettato che venisse fatto, senza alcuna obiezione".
Inoltre, Mohammadi respinge al mittente la rassicurazione dei negoziatori iraniani, secondo i quali l'AmeriKKKa avrebbe in qualche modo concesso all'Iran il diritto di arricchire uranio: "Nell'accordo di Ginevra non si prevede in nessun punto il riconoscimento del diritto ad arricchire l'uranio. Gli stessi ameriKKKani, la parte che dovrebbe riconoscere questo diritto, hanno detto chiaro e tondo che all'Iran non è stato accordato nulla di simile. La ragione è chiara: sono stati gli ameriKKKani a dire che se avessero riconosciuto all'Iran il diritto di arricchire uranio, poi non sarebbero stati più in grado di imporgli delle restrizioni. Sono stati molto attenti a non includere nell'accordo di Ginevra questo riconoscimento". E non è nemmeno vero, continua Mohammedi, quello che dice il dottor Salehi, per cui se si parla dell'arricchimento nel primo passo da fare e il risultato dell'ultima fase del processo potrebbe contemplare il diritto ad una qualche forma limitata e ristretta di arricchimento, questo significa un implicito riconoscimento da parte del "cinque più uno" del diritto dell'Iran ad arricchire uranio. Secondo Mohammadi Salehi ha torto perché -con i passi successivi per i quali non esiste tempistica- i negoziatori iraniani hanno accettato di obbedire alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che invitano l'Iran a fermare il processo di arricchimento.
"Inoltre, l'intento dell'ultimo passo, in cui l'Iran accetta di porre restrizioni alla percentuale di arricchimento dell'uranio, al suo immagazzinamento e alle sue riserve, è quello di smantellare gran parte del programma di arricchimento oggi in corso. Questo punto è molto importante. La retorica dello smantellamento permea di sé l'accordo di Ginevra. Tutti devono fare attenzione al fatto che l'Iran, secondo l'accordo, è obbligato a smantellare parte del programma. I negoziatori si sono detti d'accordo ed hanno firmato: ecco perché gli ameriKKKani dicono che non consentiranno che questo accordo temporaneo diventi definitivo, e che i negoziati futuri saranno negoziati sullo smantellamento. Guardate il testo dell'accordo: hanno ragione loro. I negoziatori hanno accettato di smantellare, e nel caso si tenga un qualche negoziato, esso verterà sull'ampiezza e la portata dello smantellamento, non certo sul principio [che è il diritto all'arricchimento]".
Mohammadi intende dire che quando i negoziatori iraniani affermano che l'accordo ha istituzionalizzato le attività di arricchimento dell'Iran e che questo risultato è una conquista importante per il paese, ci si deve chiedere "che cosa si intende di preciso con arricchimento? Se intendiamo semplicemente un programma simbolico e di portata minima utile alla mera tutela della nostra reputazione, che non ha valore tecnico e industriale, né tantomeno potrebbe produrre energia a livelli strategici, allora i negoziatori stanno dicendo la verità". Invece, se "il programma di arricchimento è alla base di un programma industriale il cui obiettivo è quello di conseguire competenze industriali, avviare la produzione di combustibile per le centrali e per l'esportazione sul mercato mondiale per migliorare in esso la posizione dell'Iran, l'accordo di Ginevra ce lo impedisce a chiare lettere, e chiude la questione".
Quali saranno le conseguenze dell'accordo? Mehdi Mohammadi afferma senza mezzi termini che pensa che l'industria nucleare ne sarà gravemente colpita. In secondo luogo, gli occidentali hanno potuto concludere che la loro strategia che prevede l'imposizione di cambiamenti ben studiati in Iran può essere perseguita con successo esercitando pressioni sul paese. "Sono sicuro, e di questo ci sono già segni evidenti, che gli occidentali estenderanno questo metodo anche ad altri contesti. Già oggi, riguardo alla situazione mediorientale e ai diritti umani, vanno dicendo che tocca all'Iran prendere provvedimenti che facciano aumentare la fiducia nei suoi confronti". A questo seguiranno ulteriori pressioni. Persino il più ottimista dottor Sa'ed pensa che "è irrazionale" attendersi di arrivare ad un accordo in poco tempo e che ci sarà bisogno di altre tornate di colloqui. A suo dire i recenti sviluppi a livello internazionale, soprattutto la crisi in Ucraina e le reazioni sdegnate che la visita di Catherine Ashton a Tehran ha sollevato hanno direttamente influito sulla politica estera iraniana ed avranno la loro parte nel far sì che questa prima tornata di colloqui porti ad un nulla di fatto.

Dobbiamo ricordare in ultimo ai nostri lettori che lo scopo di questo scritto non è quello di produrre argomenti, e neppure quello di passare in rassegna punti di vista contrastanti, ma quello di mostrare in quale prospettiva l'argomento viene dibattuto sui media iraniani con cui devono vedersela Rohani e il suo ministro degli esteri. E' una prospettiva che ha tutto il potenziale per erodere il loro mandato di negoziatori. Alla vigilia delle elezioni presidenziali il campo principalista si divise. I principalisti moderati, che già hanno pagato caro il sostegno dato ad Ahmadinejad e ai sostenitori della linea dura interni alla loro stessa compagine, si sono fatti più cauti e per adesso non appoggeranno gli attacchi che l'ala intransigente sferra contro la diplomazia sul nucleare. Il presidente Rohani ha ancora un ampio sostegno parlamentare ed il sostegno della Guida Suprema, ma, come abbiamo sottolineato, sono tutte cose destinate a indebolirsi in assenza di risultati concreti, soprattutto in quei settori in cui il già scarso beneficio derivante dall'alleggerimento delle sanzioni non viene percepito.

giovedì 17 aprile 2014

Achille Totaro e Fabrizio Quattrocchi



Achille Totaro è grasso e di Scandicci.
Sicché fa il candidato alcalde alle elezioni amministrative di Firenze.
La cosa ha una logica ineccepibile: se a Firenze è stato borgomastro un boiscàut di Rignano, non si capisce perché non possa diventarlo uno grasso di Scandicci.

Il 14 aprile 2014 è trascorso ovviamente nell'indifferenza generale il decimo anniversario della morte di un panettiere genovese.
All'epoca la propaganda "occidentalista", prima tra tutte quella della formazione politica cui apparteneva Achille Totaro, ne fece praticamente una icona del suprematismo razziale. Un Macht ist Recht c'a' pummarola 'n coppa a coronare la tracotanza con cui lo stato che occupa la penisola italiana ne aveva aggredito  deliberatamente uno in ginocchio, dopo aver maramaldescamente atteso che gli yankee facessero il grosso del lavoro, e dopo aver ancor più maramaldescamente atteso il via libera di un'ONU calpestata.
Una delle varie schedature a nome Achille Totaro reperibili sul Libro dei Ceffi riporta le righe che seguono: sono compresi gli errori di ortografia ed il registro linguistico da retrobottega di maccheronificio salentino.
Ovviamente c'è anche un riferimento preciso alla sfera sessuale dell'interessato; non avendo dati affidabili sulle competenze pallonistiche, palloniere e palloneggianti di costui, lo stesore del testo ha dovuto rinunciare all'utilizzo di metafore tratte da quell'ambiente ed ha pensato di ricorrere all'unico altro campo con cui i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana pensano di avere una qualche familiarità.
Il 14 Aprile è stato il 10°anniversario dell'assassinio di Fabrizio Quattrocchi commesso da un gruppo di terroristi vigliacchi..in una nazione dove troppo spesso primeggiano tanti buffoni e servi ricordiamo un nostro conazionale con gli attributi.."vi faccio vedere come muore un italiano" Onore a Fabrizio Quattrocchi!
L'incipit della considerazione fa pensare che dell'anniversario si fossero di primo acchito scordati persino quanti devono alla propaganda "occidentalista" una parte non piccola della propria fortuna politica. In ogni caso, fuori dagli ambienti "occidentalisti" si ebbe all'epoca -e si continua ad avere a tutt'oggi- ben altra considerazione delle circostanze in cui si compì il destino del loro conazionale.
SI ricorderà il comunicato stampa oltremodo rivelatore con cui sedicenti "amici" di Fabrizio Quattrocchi ne comunicarono la scomparsa:
16.09 - GLI AMICI DI QUATTROCCHI SCRIVONO LETTERA-COMUNICATO. "Questo comunicato è alla memoria ed in onore del nostro concittadino Fabrizio Quattrocchi costretto a morire in uno Stato straniero per avere quella gratificazione economica che la nostra Costituzione dovrebbe garantirgli". Inizia così una lettera-comunicato che i colleghi e gli amici di Fabrizio Quattrocchi hanno voluto leggere ai giornalisti che tuttora presidiano l'ingresso dell'abitazione dove si trovano i familiari dell'ostaggio ucciso.
Non c'è precario o cassintegrato che non dovrebbe ritenerlo un lodevole esempio di intraprendenza; un manager di se stesso, come andava di moda dire prima che la faccenda delle partite IVA e delle "collaborazioni" si rivelasse per quello che è, ovvero il modo per trasferire di fatto le conseguenze del rischio d'impresa sulle ultime ruote del carro.
Resta da capire, se mai, quali "garanzie" di "gratificazione economica" offrissero ai loro cittadini le costituzioni della Repubblica Irachena e della Repubblica Islamica dell'Afghanistan. C'è da pensare che siano persino morti gratis.
Vale la pena sottolinare anche qualche altro fatto. Più o meno nello stesso periodo e negli stessi anni ci furono altri casi di rapimenti o di disavventure di vario genere, in cui incapparono abitanti della penisola italiana poco inclini ad impugnare le armi ma curiosi di realtà mediorientali diverse dai topless di Sharm el-Sheikh. Nei loro confronti politicanti e gazzettieri, con specifico riferimento ad uno noto per la repulsiva grassezza e per le repellenti "posizioni" da "ateo devoto" o roba del genere, furono molto meno concilianti arrivando a ventilare nero su bianco l'addebito per intero ai malcapitati delle cifre resesi necessarie per rimpatriarli, vivi o morti che fossero. Un utilizzo molto disinvolto dei due pesi e delle due misure che è proprio quello che ci si aspetta da un aggregato di sovrappeso viziati e irresponsabili in cui ogni "occidentalista" che si rispetti può ritrovare le proprie istanze.
Negli anni successivi all'aggressione yankee all'Iraq il mainstream, e purtroppo non solo quello, è stato saturato reclutando chiunque fosse in grado di mostrare incompetenza qualunquista, qualunquismo incompetente, piccineria, obesità mentale e cattiveria spicciola. Il trionfo di un kali yuga in cui la diciassettenne mal depilata che vanta su un rotocalco il proprio passato di ladra di merendine all'asilo costituisce per i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana un soggetto politicamente molto più rappresentativo di un Nobel per la medicina.
La vicenda Quattrocchi fu commentata in modo molto appropriato da Wu Ming, che pubblicò le considerazioni di qualcuno mandato su tutte le furie dal comunicato di cui sopra. Non resta che riportarle tali e quali, ricordando ai più giovani che il titolo dell'articolo è lo slogan che caratterizzò, nel 1994, la prima campagna elettorale di uno degli uomini politici più rappresentativi che la scena politica peninsulare abbia mai prodotto.
Un milione di posti di lavoro - di Wu Ming 1

Leggo che, dopo la morte di Quattrocchi, le varie "aziende che si occupano di sicurezza" e "protezione ravvicinata" sono state inondate di richieste d'ingaggio da parte di baldanzosi giovini e nemmeno-più-tanto, tutti aspiranti eroi.
"Franco, 35 anni, di Genova, ex marò della San Marco, ho operato nelle missioni italiane di pace in Kosovo. Body guard davanti alla discoteca (omissis) di Pietra Ligure. Chiedo di partire per l'Iraq. Attendo risposta presso l'indirizzo di posta elettronica (omissis)"
"Enrico, 27 anni, di Bologna... [già] paracadutista nella Folgore, altezza un metro e novanta, peso 88 chili, esperto in judo, maneggio con disinvoltura Beretta 92S. Pronto a partire in zona di guerra. Attendo risposta".
Queste, tratte da La Repubblica del 18 aprile, sono due delle numerose mail spedite compilando questo modulo:
https://secure.bodyguardservers.com/upload/maianuploader.php
L'Unità del giorno dopo, a pag. 5, ci informa che gli ingaggi passano anche "attraverso una rete speciale, alcune chat collegate ai siti porno". Nulla di strano, è dal rapimento di Elena che si mischiano guerra e patonza.
Nel box a fianco, veniamo a sapere che Roberto Gobbi, titolare dell'agenzia Ibsa, è furibondo con l'intermediario genovese che ha ingaggiato e spedito in Iraq i suoi amici, tra i quali Quattrocchi: "E' uno schifo, lui sapeva bene com'è la situazione in Iraq e sapeva anche che non erano all'altezza di un compito del genere."
Io faccio un'accorata richiesta al signor Gobbi e ai suoi colleghi delle varie DTS, DynCorps etc.: non siate troppo severi, date una possibilità a questi virgulti d'Italia. Assumeteli, prendetene quanti più potete. I nostri ragazzi hanno bisogno di faticare per comprarsi la casa, e purtroppo gli tocca farlo all'estero, che ormai qui in Eurabia i lavori migliori se li prendono gli arabi e i negri e a noi ariani tocca emigrare con la valigia di cartone (e armati fino ai denti).
Assumeteli tutti, e smollateli nel carnaio iracheno. Tutta esperienza, non può che fargli bene. Ma soprattutto farà bene a noialtri, con svariati fasci tolti dalle strade e scarse probabilità che tornino.
Anche l'ingresso della discoteca (omissis) diventerà un posto migliore.
Per non parlare di Bologna, che senza Enrico e la sua Beretta sarà di certo più vivibile.
(19 aprile 2004)
Non resta che ringraziare il "partito" di Achille Totaro e il repellente cicaleccio sul Libro dei Ceffi che riporta il suo nome e cognome.
Ricordare di che cosa siano fatti gli "occidentalisti" e quali siano i loro "valori" non fa certo male.

mercoledì 16 aprile 2014

La crisi in Ucraina e le sue conseguenze sul comportamento della NATO e dell'Occidente secondo Conflicts Forum


 Barricate filorusse a Donetsk nell'aprile 2014 (fonte: The Telegraph).

Traduzione da Conflicts Forum.

La scorsa settimana abbiamo sottolineato come tutte le più importanti questioni di politica mediorientale del Presidente Obama avessero girato in aceto all'improvviso, proprio alla vigilia del breve viaggio di Obama e Kerry nella regione. E' stato come se gli Stati Uniti fossero rimasti vittime di una epidemia di scarogna, e forse le cose sono andate in questo modo: per molti dei massimi politici della zona, che pure hanno punti di vista molto differenti tra di loro, la distonia tra la realtà oggettiva che si sta vivendo in Medio Oriente (il collasso di uno status quo consolidato, con lo scatenarsi delle forze distruttive che questo ha liberato) e la realtà virtuale costituita dall'interpretazione occidentale degli stessi eventi filtrata con l'ottica dell'Illuminismo è diventata troppo grande da sostenere. Il punto fondamentale è questo, anche se ci sono differenze marcate in come ciascun leader politico definisce questa realtà e i demoni ad essa associati. Detto in maniera semplice, i paesi occidentali si pensa abbiano poco da offrire, a fronte di un intero "sistema" -quello arabo- che si sta sgretolando e che sta andando in pezzi e a fronte della paura che ha preso il sopravvento.
Che cosa è cambiato dunque, dopo una settimana di intenso lavoro diplomatico ameriKKKano? Eloquentemente poco. Il Presidente Obama è andato a pranzo con Re Abdullah: è stato come se una coppia formata da soggetti ormai estranei l'uno all'altro si fosse ritrovata per cercare di porre un qualche rimedio al fallimento del proprio matrimonio. Dalle parole educate e dalle dichiarazioni confidenziali in cui la coppia dice di aver deposto ogni irritazione e ogni divergenza sul conto di un legame in cui non si riconosce più emerge con chiarezza una cosa: non ci sarà (ancora) alcun divorzio, ma ci sarà una separazione. La visita di Obama "è stata più un cerotto che una cura vera e propria per i contrasti che esistono tra i due paesi". Essi manterranno rapporti decorosi davanti agli altri, ma in privato ciascuno di essi andrà per la sua strada, libero se del caso di scegliersi un amante differente.
Nel campo dei rapporti tra palestinesi e stato sionista, è evidente che né gli uni né l'altro considerano o intendono considerare la soluzione che al momento va per la maggiore, quella basata sui due stati, quanto il mediatore John Kerry vorrebbe che facessero. Il fatto che riguardo ad una possibile soluzione il mediatore si mostri più coinvolto e più entusiasta di chi è direttamente coinvolto nel problema non è mai stato un buon segno. L'idea che predomina in giro è che il processo di pace sia giunto ad un punto morto, ma questo non è molto probabile. E' la formula dei due stati che è vecchia di vent'anni e che per un po' è giunta a un punto morto laddove prevede l'instaurazione di uno stato palestinese sovrano e indipendente; tuttavia, i leader di entrambe le parti hanno bisogno di un processo di pace di un qualche genere, per trarne un qualche utile. Sembra probabile tuttavia che questo processo di pace consista nell'indebolire progressivamente la posizione palestinese a suon di contentini (per esempio, con qualche scambio di prigionieri) e che finirà per provocare il rovesciamento della leadership palestinese. I palestinesi non sono mai stati tanto deboli, tanto poveri di autostima, tanto a corto di carte da giocare che è difficile pensare che questo "processo di affossamento del processo di pace" possa durare indefinitamente. Ci sarà un sovvertimento di palazzo, come successo a Yasser Arafat. La cosa peggiore è che sarà probabilmente Mohammed Dahlan a venir foraggiato dall'estero per occuparsi della cosa.
I negoziati con la Repubblica Islamica dell'Iran somigliano ogni giorno di più ai negoziati con i palestinesi: sono un "processo di affossamento del processo di pace", come lo hanno chiamato gli ambienti dell'opposizione conservatrice iraniana sin dal loro primo abbozzo. Le dichiarazioni di alcuni funzionari di alto livello dell'amministrazione statunitense fanno pensare che la "soluzione" non sarà ampia come annunciato all'inizio, e non contemplerà una completa caduta del regime sanzionatorio; alcune sanzioni -diciamo pure molte- sono destinate a rimanere: "Wendy Sherman ha suggerito per la prima volta che c'è la possibilità che il processo abbia un esito meno che completo e meno che totale".  Sembra che il governo statunitense, proprio come nel caso dei colloqui con i palestinesi, si sia accontentato di fare il gesto simbolico di approntare una "road map" per passarla poi a chi seguirà, invece di andare alla sostanza della cosa perché farlo avrebbe significato una levata di scudi da parte dell'opposizione politica ameriKKKana ed un potenziale smacco per il governo stesso.
Dopo l'incontro tra Obama ed il re saudita Abdullah, anche per la Siria pare ci si trovi in un contesto gattopardesco. David Ignatius riferisce in termini assai vaghi che il Presidente Obama sembra intenzionato ad estendere gli aiuti sotto copertura all'opposizione siriana, ma soltanto perché servano ad esercitare pressioni su Assad affinché prenda i negoziati più seriamente. Chi decide la rotta a Washington sa benissimo che inviare qualche mitra in più a questi "moderati" che non si sa neanche bene cosa siano, è un gesto privo di effetti
In Medio Oriente ed in Afghanistan, il risultato di una settimana di contatti diplomatici è stato scarso. Per quello che riguarda l'Ucraina, è verosimile che gli Stati Uniti si sitano man mano risolvendo a raffreddare la situazione e che il risultato finale sarà una sorta di federazione  dai legami ampi, non allineata e che consenga una sostanziale autonomia a tre regioni distinte.
Ora, è proprio questo il campo in cui sono implicite le potenzialità di cambiamento di più vasta portata, anche per il Medio Oriente: l'Ucraina e le relazioni tra Stati Uniti e Russia. Obama sta cercando di raffreddare le tensioni con Putin senza troppo chiasso, ma è uno sforzo che ha i suoi oppositori. Oltre ai ben noti sostenitori della guerra fredda interni al governo, un esperto di lungo corso in materia di difesa, l'inglese Richard Norton Taylor, ha scritto: "Secondo un ex segretario alla Difesa di Sua Maestà che si riferiva ai diffusi timori circa il futuro dell'alleanza militare occidentale, 'l'operato di Putin in Crimea per la NATO è stato una specie di frustata' ".
Norton Taylor prosegue scrivendo che "Il timore era che con la fine delle operazioni di combattimento in Afghanistan sostenute dalla NATO, prevista per quest'anno, l'alleanza si ritrovasse senza niente da fare e che i suoi membri situati nell'Europa occidentale operassero ulteriori tagli alle spese per la difesa". Secondo il professor Malcolm Chalmeers, del think tank londinese Royal United Services Institute, "Al quartier generale della NATO si spera che gli avvenimenti in Crimea e in Ucraina siano una scossa per i governi dei paesi membri e facciano loro abbandonare un atteggiamento che i funzionari considerano connivente. Dopo tante dispute sul perché della NATO in Afghanistan, la crisi in Crimea ha fornito all'alleanza una nuova ragione di esistere. Se Putin attaccasse il territorio di uno stato membro, come la Polonia o la Lettonia, gli altri paesi della NATO compreso il Regno Unito sarebbero obbligati a rispondere militarmente".
Non è assolutamente realistico che nei confronti della Russia si arrivi a tanto, ma resta il fatto che l'Ucraina rimane in condizioni di volatile instabilità. Se le cose in Ucraina peggiorano e si arriva alla guerra civile, alla Russia non resterà molto altro da fare se non intervenire per proteggere la popolazione russa. In questo caso la NATO e le lobby delle armi useranno senz'altro questa scusa per spremere ogni dollaro che possono in favore delle spese militari, e in favore di una ampliata ragion d'essere della NATO basata sul pretesto della risorta minaccia russa.
La strategia di de-escalation di Obama è rimasta molto indigesta alla lobby degli armamenti, dai gruppi di pressione della NATO fino ai nostalgici della guerra fredda; lo si nota anche da eventi all'apparenza non collegati e che si verificano all'interno del sistema ameriKKKano: la scorsa settimana J.P. Morgan ha bloccato un trasferimento di denaro proveniente dalla Russia, "col pretesto delle sanzioni antirusse imposte dagli Stati Uniti".
A differenza delle sanzioni fin qui imposte alla Russia dall'Occidente, considerate in larga misura uno scherzo dall'establishment russo, in questo caso in Russia sono davvero andati su tutte le furie. Secondo Bloomberg il ministero degli esteri russo ha bollato la decisione della J.P. Morgan come "illegale e assurda". L'operazione è stata sbloccata, ma se così non fosse stato si sarebbe potuti arrivare sia ad una guerra delle valute, con la Russia che smette di usare il dollaro per il mercato dell'energia, e ad una ritorsione statunitense diretta contro le forniture russe di petrolio e gas (cosa già invocata da qualcuno, al Congresso).
Non c'è dubbioe che il Presidente Obama non abbia alcuna intenzione di percorrere questa china, ma all'interno del sistema statunitense esistono anche un sacco di quelli che i russi e Putin conoscono come "destabilizzatori automatici": il NED (National Endowment for Democracy), USAID, il Dipartimento di Stato, la CIA, i gruppi lobbystici della K street e anche le forze speciali. Tutta gente che usa quei sistemi legati alle operazioni sotto copertura di cui una volta era la CIA ad avere l'esclusiva per destabilizzare i nemici dell'AmeriKKKa. Sono così tanti che fatti come questo di J.P. Morgan che decide in proprio di sanzionare le transazioni russe rimangono una possibilità concreta. In un caso simile, il Medio Oriente si troverebbe sulla linea del fronte sia nella guerra del dollaro, sia in quella dell'approvvigionamento energetico, che avrebbe implicazioni di vasta portata.
I paesi occidentali credono davvero alla loro stessa retorica, quando dicono che Putin ha mire espansionistiche e vuole ricostruire l'impero sovietico? E' questo quello che intendeva l'ex Segretario di Stato Hillary Clinton quando ha detto che il comportamento dei russi in Crimea somiglia a "quello che ha fatto Hitler negli anni Trenta"? Frank Furedi, interrogato da un giornalista russo sul perché l'Occidente rifiuta di ammettere o di riconoscere che le sue azioni possano aver avuto un qualche ruolo nella crisi in Ucraina, giunge "alla sconfortante conclusione che gli argomenti che stanno dietro l'attuale campagna di demonizzazione della Russia si basano su convinzioni sincere".
"Naturalmente c'è un sacco di propaganda, ci sono distorsioni deliberate ed anche un considerevole apporto di pura fantasia in questa campagna mediatica", scrive Furedi, "ma la posizione che essa esprime è stata così ben interiorizzata da tante persone in Occidente che ha finito per diventare, ai loro occhi, la realtà". In effetti, Obama nel suo discorso di Bruxelles non ha fatto altro che dar voce alla consueta narrativa di progresso storico lineare che porta verso valori illuministici condivisi. Quando Obama ha pronunciato il suo discorso, abbiamo pensato che fosse stato in qualche modo obbligato a farlo, anche solo per discostarsi dalla narrativa russa che indica la complicità dell'Unione Europea nella destabilizzazione dell'Ucraina.  Furedi ammonisce che questo atteggiamento superficiale, fatto di moralismo vuoto, che sembra emergere dallo spirito del momento rappresenta un pericolo molto concreto di arrivare ad una escalation con la Russia, e dunque un pericolo per la stabilità mondiale.

domenica 13 aprile 2014

Marco Stella e il suo "Progetto per Firenze". Adesso ci divertiamo noi.


A fine novembre 2013 Marco Stella parlò con i gazzettieri di un costruendo "Progetto per Firenze"; un qualcosa che doveva dare una patina di "partecipazione popolare" alla campagna elettorale per le elezioni amministrative previste per il maggio successivo.
Lo fece, ovviamente, nell'indifferenza generale.

Beh, quasi generale.

Un progetto per Firenze - Una necessaria premessa

C'è anche il Cinguettatore.

sabato 5 aprile 2014

La politica estera statunitense in Medio Oriente tra fallimento e disimpegno. L'opinione di Conflicts Forum.



Traduzione da Conflicts Forum.

Nel corso dell'ultima settimana le iniziative in politica estera del Presidente Obama non hanno fatto altro che girare in aceto. E, cosa anche peggiore, pare che lo abbiano fatto tutte insieme. Non è facile dire per quale motivo questa costellazione di eventi si sia verificata all'unisono, ma non c'è nessun dubbio sul fatto che Obama in Medio Oriente deve ora vedersela con una monolitica parete di scarogne. Che sia perché i sauditi hanno le mani in pasta in ogni cosa, che sia per Abu Mazen e per la Lega Araba sul riconoscimento dello stato sionista come stato ebraico fino alla liberazione dei detenuti, che sia perché Moshe Yaalon è tutt'altro che contento per il regalino statunitense che si chiama piano di sicurezza, che sia perché in Egitto la fa da padrone lo sdegno per il disgusto con cui in AmeriKKKa si sono accolte le uccisioni e le sentenze collettive contro i Fratelli Musulmani, che sia perché Assad sta mettendo in tavola carte che mostrano che è lui a condurre il gioco sul terreno delle operazioni militari, che sia perché in Iran la musica è cambiata e per il "cinque più uno" le prospettive sono peggiorate, che sia perché ad Ankara sta uscendo di testa un bestione ferito e con il sangue agli occhi, in complesso il Presidente Obama si ritrova ad affrontare un periodo tutt'altro che facile per la politica estera, e -cosa peggiore di tutte- capitato proprio nello scorcio di tempo che porta alle elezioni di metà mandato.
Tanto per essere chiari, i sauditi hanno detto chiaro e tondo che Obama non ha da aspettarsi che a Riyadh gli facilitino la vita, a meno che non cambi registro sull'Iran, non sia favorevole all'intervento militare in Siria e sostenga senza lesinare lo stritolamento dei Fratelli Musulmani in cui è impegnato al Sissi. Nel caso il messaggio non fosse stato abbastanza chiaro, alla vigilia della visita di Obama in Arabia Saudita è stato reso noto il fatto che il principe Muqrin sarà il prossimo nell'ordine di successione dopo l'attuale pretendente al trono. In altre parole, il regno sta dicendo "AmeriKKKa, non pensare di poter intrometterti nella successione per mezzo del tuo favorito, il principe Mohammad bin Naif". Perché fosse chiaro ad Obama che nemmeno i colloqui di pace tra palestinesi e stato sionista sarebbero stati una passeggiata, la Lega Araba si è attenuta, assieme ad Abu Mazen, a dichiarazioni secondo le quali gli appartenenti alla Lega Araba sarebbero d'accordo sull'"assoluta esclusione" di un qualsiasi riconoscimento dello stato sionista come stato ebraico. Abbastanza perché il Segretario di Stato Kerry lasciasse Roma in tutta fretta alla volta di Amman, per cercare di far sì che almeno i colloqui si protraggano oltre la fine di aprile e che continui ad esistere una "road map" che pure fa acqua da tutte le parti. In Egitto, proprio il giorno prima della visita di Obama, al Sissi ha dato il tanto atteso annuncio della sua candidatura alla presidenza. Come per dire agli Stati Uniti "Io sono qui per rimanere. non avete altra scelta che avere a che fare con me, che vi piaccia o no".
A sovrastare il tutto ci sono le relazioni degli Stati Uniti con la Russia. La settimana scorsa abbiamo avanzato l'idea che la politica mediorientale di Obama dipenda fortemente dai buoni rapporti con il Presidente Putin, sia pure non ammessi ufficialmente e mantenuti nell'àmbito del privato. secondo ambienti vicini alla presidenza, si è reso necessario agire senza dare nell'occhio e in modo informale perché certe braci residue della guerra fredda sono ancora accese, anche e soprattutto all'interno della "squadra di oppositori" dell'amministrazione Obama, irritati per la Siria, irritati per i negoziati con l'Iran e animati da un profondo risentimento per una Russia nuovamente in ascesa.
Sembra che, messo all'angolo dai neoconservatori di turno per il suo confronto con Putin su una delle materie più spinose -ossia messo alle strette dai segmenti antirussi e neoconservatori del suo stesso governo- il Presidente Obama non abbia potuto che ammettere che l'Ucraina, dopo tutto, per molti ameriKKKani costituisce un simbolo dalla forte portata psicologica. Per quale altro motivo la situazione politica di uno stato fallito, lontano e di second'ordine dovrebbe assumere un significato tanto forte ed una portata emotiva tanto vasta presso le élite della politica?
L'intraprendenza dei russi è stata percepita come profondamente disturbante, ed ha fatto montare un senso di rabbia, parzialmente sublimato, dovuto al fatto che la storia del mondo non ha preso quella strada dritta che avrebbe dovuto prendere. Di fatto, il Presidente Putin sta incarnando la negazione di quella narrativa che prevedeva "la fine della storia", in cui tutti avrebbero fatto cerchio attorno alla globalizzazione liberale ameriKKKana e alle "regole del gioco" che, autoriproducendosi, l'avrebbero accompagnata. I russi stanno mettendo in dubbio elementi basilari del concetto che ameriKKKani ed europei hanno di se stessi, del modo in cui si vedono ed in cui si definiscono.
Di tutto questo Obama pare essersi accorto, e che abbia capito che se non riesce a rispondere in qualche maniera alle pressioni psicologiche di questo momento, la rabbia sublimata diretta verso la Russia finirà per riverberarsi su di lui. Per questo, a Bruxelles, ha incanalato la questione dell'Ucraina su binari narrativi semplici: nello sfidare Putin, Obama afferma che gli eventi in Ucraina non hanno nulla a che vedere con i tentativi dell'alleanza occidentale di puntare al ventre molle della Russia, ma vanno considerati come null'altro che una scelta dell'occidente civilizzato, una scelta che sostiene una lineare e progressiva spinta verso la libertà, l'individualismo e la democrazia. Siamo tutti in movimento secondo questa traiettoria, e siamo tutti per natura portati ad accettare le "regole del gioco" che governano questo mondo interconnesso e globalizzato e ne presiedono l'espansione. Non c'è posto per chi rifiuta l'ordine internazionale o per chi sabota le regole che sovrintendono all'interconnettività del liberalismo mondiale e ne sovrintendono l'espandersi.
Probabilmente Obama non aveva molte altre scelte che non rilasciare questa generica dichiarazione in sostegno della linearità della storia; doveva mettersi al riparo dalle accuse di corresponsabilità nell'aver lasciato indebolirsi e venir meno una supremazia ameriKKKana che non aveva precedenti. Questa narrativa della storia lineare rappresenta dopotutto la principale giustificazione alla condizione priva di paragoni in cui si trovano gli Stati Uniti. Solo che un approccio del genere, nonostante Obama sia forse obbligato ad attenervisi per tener buono il fronte interno, lo estrometterà d qualsiasi ruolo in Medio Oriente. Negando alla Federazione Russa, all'Iran o alla Siria anche la cortesia di potersi permettere una visione alternativa del futuro, gli Stati Uniti cercano di imporre la narrativa che li considera dominatori mondiali e di avocarsi il ruolo di moralizzatori ed arbitri di quanto è normale o non normale in tutto ciò che è pensiero e comportamento. Questa pretesa finirà inevitabilmente per rendere inestricabile e complesso qualunque negoziato in politica estera, che diventerà ancora più difficile. L'Europa è già divisa (si veda sotto); i russi ed i cinesi rifiuteranno di averci a che fare, ed in Iran ne trarrà ulteriore vantaggio chi si oppone alle richieste degli ameriKKKani.  
In pratica Obama, trovandosi a che fare con un Medio Oriente tanto ostile, deve sperare che le tensioni con la Russia possano in qualche modo essere acquietate senza troppo chiasso, nonostante i discorsi di Bruxelles, e che con Putin si possano di nuovo mettere in piedi relazioni grosso modo funzionanti. In questo modo potrebbe anche sperare di salvare qualcosa della sua politica estera dall'assalto di chi lo avversa ideologicamente sul piano politico. Si tratta di qualcosa che è possibile realizzare perché anche se la Russia riorienterà senza dubbio la sua politica estera in modo diverso alla luce degli eventi in Ucraina, Putin si è sempre dimostrato capace di distinguere caso per caso; potrebbe mostrarsi inflessibile su alcune questioni fondamentali, ma rimanere collaborativo sulle altre.
Angela Merkel sarà molto probabilmente la persona su cui Obama potrà contare di più nel tentativo di salvare qualcosa dal pasticcio ucraino. Il cancelliere tedesco ha detto che "non gli interessa far salire" la tensione con la Russia. "Al contrario", ha affermato, "io sto lavorando perché diminuiscano le tensioni". La Merkel ha detto che l'Occidente "non è arrivato ad un punto che implichi l'imposizione di sanzioni economiche" contro la Russia. "Spero che sarà in grado di evitarlo", ha aggiunto.
C'è un altro politico tedesco, l'ex cancelliere Helmut Schmidt, che scrive regolarmente dei corsivi sul Die Zeit. Secondo Schmidt il modo in cui Putin ha affrontato la questione della Crimea è "perfettamente comprensibile" e le prime sanzioni occidentali, dirette contro singoli individui, sono "perfettamente idiote". "Sanzioni economiche più serie finiranno per colpire tanto l'Occidente quanto i russi", afferma; la decisione di far diventare il G8 un G7 per "punire la Russia" è un errore grave: "Sarebbe stato meglio ritrovarsi tutti attorno ad un tavolo. [Se così fosse stato, a questo punto] la cosa si sarebbe rivelata più utile per la pace di quanto non lo sia la minaccia di sanzioni".
Obama deve anche sperare ardentemente un'altra cosa. Ci sono in giro un sacco di combattenti della guerra fredda, di vecchia e di nuova generazione, sia negli USA che in Europa, che temono sopra ogni altra cosa che in Europa si affermi un asse russo-tedesco. L'affare ucraino ha già aperto delle crepe tra Europa e Stati Uniti, laddove l'intenzione era -come possiamo ricordare secondo le dichiarazioni di John Kerry alla conferenza sulla sicurezza di Monaco- quella di far sì che la situazione in Ucraina ricompattasse l'Europa dietro una rinvigorita leadership degli Stati uniti e della NATO.
Oggi come oggi la NATO non ha alcuno scopo credibile, e mancando uno scopo manca anche una giustificazione alle spese per la difesa. L'Ucraina ha appena fornito alla NATO una causa presentabile per rafforzare una linea Maginot che va dall'Estonia all'Azebaigian e dunque di riformulare i propri obiettivi di fondo. L'industria della difesa non è un cancelliere tedesco, ed il suo interesse è proprio quello di far sì che le tensioni con la Russia si inaspriscano.

martedì 1 aprile 2014

Stendardi d'Occidente


Nei contesti normali uno stendardo è un'insegna che caratterizza stati sovrani, enti pubblici, istituzioni o associazioni ed è costituita da un drappo rettangolare "di seta, cotone o velluto, ricamato, dipinto e spesso listato e frangiato" [*], fissato per tutta la sua larghezza a un pennone sostenuto da un’asta verticale.
Nel contesto contemporaneo invece tocca accontentarsi di stendardi pubblicitari come quelli della foto, accomunati agli stendardi veri soltanto dalla forma e dal sistema di ancoraggio. I materiali sono i più vili che si possano immaginare ed un lampione qualunque funziona egregiamente da asta parodistica. La campagna pubblicitaria in alto ha impestato tutte le superfici verticali di Firenze nel marzo del 2014.
Aria quasi sveglia per lui, a suggerire indulgente dedizione a cattive abitudini, e aria quasi seducente per lei, a suggerire indulgente dedizione a cattive abitudini di altro genere.
Per tutti e due una buona passata al fotoritocco.

E così conciati, pastranelli compresi, possono anche andare insieme ad approfittare dell'offerta di quest'altro stendardo.
Un'ascella per uno, certo.



 [*] Dalla definizione Treccani.