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20 agosto 2025

Solidarietà a Leonardo Pistoia di Viareggio

Le gazzette amano presentarsi come espressioni di "libera informazione" e puntello della democrazia. Questo, a sentire chi ci scrive. In concreto, e da anni, sono invece alle prese con tirature da ridimensionare, vendite a rotta di collo, bilanci tenuti in piedi dal Dipartimento dell'Editoria (sempre che basti), e linee editoriali surreali dove la gara a chi ospita le opinioni e gli intenti più sporchi anche dal punto di vista morale pare non avere seri limiti.
A tutto questo nel mese di agosto si aggiunge anche una costante scarsità di argomenti.
Nel 2025 i foglietti della costa toscana hanno chiuso i numeri dedicando spazio a Leonardo Pistoia. Che sarebbe un ventunenne di Viareggio cui piace quella politica che si regge su ideali e principi anche se molto rara. O almeno così garantisce la sua autoschedatura sul Libro dei Ceffi (qui su Archive).
Gli ideali e i principi che apprezza gli hanno fatto guadagnare qualche ora di relativa notorietà come organizzatore di passeggiate serali antidegrado, come fanno da svariati anni i minicandidati "occidentalisti" a qualche consultazione elettorale.

🚶Non mi fermo. Dopo Ferragosto torneremo in strada per la Camminata per la Sicurezza.
📍Viareggio – Torre del Lago
La data precisa verrà comunicata a breve, ma una cosa è certa: questa volta dobbiamo essere ancora di più.
La sicurezza non è un privilegio, è un diritto. E per difenderlo dobbiamo esserci tutti, uniti, determinati e visibili.
Porta amici, familiari, colleghi: ogni persona conta, ogni passo è importante.
💪Insieme possiamo fare la differenza.
#CamminataPerLaSicurezza #Viareggio #TorreDelLago #UnitiperlaSicurezza #NonMiFermo

 Da questo punto di vista Viareggio è un po' vivace: si vede che vi esistono ambienti sociali favorevoli ai guitti dell'"occidentalismo" più abietto. A testimonianza della serietà dell'intento anche l'esistenza di una pagina personale su Wikipedia, presente in Google ma precipitosamente cancellata da qualcuno, probabilmente convinto che il giovane Pistoia per adesso non abbia fatto nulla che gli valga l'inclusione tra le grandi figure di interesse enciclopedico come Albert Einstein o Alvaro Vitali.
L'impegno gli sarebbe costato anche un'aggressione, denunciata con toni da sceneggiatura.



📣 DENUNCIA PRESENTATA 📣
A chi ancora parla, insinua o mette in dubbio: ecco la risposta.
Ho sporto denuncia ufficiale per lesioni personali aggravate e all’interno c’è riportato nero su bianco anche l’avvertimento che mi è stato dato da chi mi ha aggredito.
Non mi farò intimidire, non mi fermerò e non mi piegherò davanti a chi vuole screditarmi o fermare questa battaglia.
La verità è scritta negli atti ufficiali, e chi continua a diffamare dovrà assumersene la responsabilità.
Questa non è solo una mia lotta: è la lotta di tutti noi per una città sicura, libera dalla paura e dal controllo dei criminali.
Io non mollo. Anzi, vado avanti con ancora più forza.💪🔥
#Verità #Giustizia #IoNonMollo #TorreDelLago #Sicurezza
Una cosa che avrebbe rafforzato la sua determinazione e che gli ha attirato qualche attestazione di solidarietà (qui su Archive).
Invece dopo Ferragosto Leonardo Pistoia -che secondo le gazzette non svolgerebbe alcuna attività lavorativa- è stato arrestato come un indesiderabile qualsiasi, e non certo per aver organizzato un colpo di Stato.
Sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, lesioni personali. Il gazzettaio riferisce anche delle dichiarazioni della sua vittima, sottoposta da mesi a continue violenze psicologiche, minacce, danneggiamenti, percosse e a un'aggressione fisica sotto la minaccia di un coltello e di un manganello effettivamente reperiti dalla gendarmeria.
Al momento in cui scriviamo è verosimile che ad attendere Leonardo Pistoia sia un futuro piuttosto difficile, e non è nel nostro stile spingerci oltre con l'infierire sui motivi che lo hanno fatto associare alla casa circondariale di competenza. Motivi che probabilmente non sono nemmeno estranei alla sua familiarità con l'ambiente di Torre del Lago, una località che ha il pregio di attirare frequentatori le cui propensioni hanno senz'altro il merito del non prestarsi a equivoci.
Tanto basti per adoperarsi nei modestissimi limiti del possibile a far sì che Leonardo Pistoia abbia qualche difficoltà ad avvalersi del diritto all'oblio per i prossimi cinque, dieci, venti o trent'anni. Internet ha una memoria più che discreta, cosa che chi apprezza la politica che si regge su ideali e principi anche se molto rara tiene senz'altro in buona considerazione. 


Oltre che su Blogspot, questo scritto viene pubblicato anche su Poliverso/Friendica e su iononstoconoriana.com



19 giugno 2025

Tel Aviv. Anzi no, Haifa. Un eroe normale, una gatta felice e una torta

 


Questa presa in giro del sionismo da gazzetta e dei temi ricorrrenti nelle produzioni degli hasbaristi mantenuti dal Dipartimento per l'Editoria è stata scritta nel 2010 da Miguel Guillermo Martinez Ball. Quindici anni dopo lo stato sionista ha aggredito la Repubblica Islamica dell'Iran. Che non è rimasta compostamente a prenderle e ha reagito lanciando missili a centinaia e bucando più volte le difese antiaeree. Con danni considerevoli, pare, e non solo sugli asili nido e sui rifugi per micetti abbandonati.
Ora, va detto che chi capitasse su iononstoconoriana.com per la prima volta potrebbe pensare che gli scritti qui pubblicati siano lievemente favorevoli alla Repubblica Islamica dell'Iran. Il che non è vero per niente, perché iononstoconoriana.com è schierato con la Repubblica Islamica dell'Iran nel modo più deciso e inequivocabile.
Chi scrive spera vivamente che la Repubblica Islamica dell'Iran sia un boccone troppo grosso per Bibi, e che Bibi ne finisca strozzato.
E pazienza per Fiamma Nait e Deborah Firenstein.

Il Giornale del Berlusconi Minore, martedì 1 giugno, 2010, sezione Esteri

Mitzi oggi è una gatta felice. Fa le fusa, inarca la schiena e si lascia accarezzare da Ari, che si riposa stanco, nella sua casa di Tel Aviv.
Dalla finestra, nella calda aria della tarda primavera, Ari guarda le scintillanti file di grattacieli che i suoi nonni hanno eretto nel deserto, in una terra senza popolo che sembrava quasi invocare un popolo senza terra. Oggi, Ari non vuole guardare verso il mare. E nemmeno verso le splendide spiagge. I bagnanti, le giovani coppie che si baciano, i bambini spensierati che giocano con le figurine del Milan (anche a Tel Aviv, c'è chi tifa per il Milan e ancora di più per il suo Presidente), non sanno che se possono continuare a godersi la vita in un mondo che li odia, è grazie ad Ari.
Perché Ari custodisce un segreto, che condivide solo con Mitzi e con noi due, e che noi confidiamo a voi.
Ieri mattina lui era in mezzo a quel mare. Non sulle calde spiagge, ma tra le onde alte. Di vedetta, Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali, tre eroi che si conoscono da sempre.
Non è ancora l'alba, quando vedono comparire una nave immensa, che inalbera la bandiera della Mezzaluna dell'Odio. Una sagoma paurosa come un iceberg, che vorrebbe affondare il piccolo, fragile vascello di Ari, Shlomo e Gilad.
Carica di cemento, dicono che sia la nave, e la parola suona terribile per orecchie come quelle di Ari, giovani ma che non dimenticano come Auschwitz e le Piramidi fossero state costruite proprio con il cemento. Carica di sedie a rotelle, dicono.
Ma Ari sa bene a cosa servono: quei vigliacchi di Chamas prendono i loro stessi figli affetti dalla sindrome di Down (tra gli arabi tale sindrome è diffusa, a causa della loro sporcizia e delle loro ripugnanti abitudini), promettono loro un paradiso pieno di caramelle, se si fanno saltare per aria.
Ari è un ragazzo sensibile, che non farebbe male a una mosca. Ma ricorda bene quello che gli ha insegnato il suo istruttore: ogni volta che spari a un bambino in carrozzella, pensa a quanti bambini continueranno a camminare normalmente grazie al tuo gesto. Per fare del bene a quegli altri bambini, devi a volte avere il coraggio di fare male a te stesso imponendoti di uccidere. E' il sacrificio più grande, che tanti israeliani fanno umilmente. Un sacrificio d'amore.
Dalla sua piccola imbarcazione, guardando attraverso il binocolo a raggi infrarossi, Ari vede i visi di decine, centinaia, migliaia di persone, che si affacciano e scrutano le acque oscure.
Hanno i nasi che fremono eccitati: anche al buio, sentono odore di ebreo. Di un piccolo ebreo, disperso e quasi solo, in mezzo alle onde. Come la terra fragile che Ari improvvisamente si trova a dover difendere, un paese che vorrebbe disperatamente vivere in pace, ma deve sempre difendersi.
Anche contro il cemento e le sedie a rotelle, anche in mezzo al mare, pieno di acqua, di squali e di antisemiti.
Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali. In quel momento, Ari pensa a Leah. Lei è bella, lui è timido; ma Leah non sa che Ari è anche un eroe.
Ari conosce il proprio dovere. Anche se la nave è carica di terroristi e assassini, deve dare loro una possibilità.
E' quel senso innato di altruismo che hanno tutti gli israeliani, che lo porta a dare il preavviso, anziché affondare l'imbarcazione con un semplice colpo di siluro, come avrebbe fatto chiunque altro alla vista di una nave civile in acque internazionali.
Con voce forte e chiara, grida alla nave: "You dirty son of bitch terroristim, I Israeli man I take you prison every you you tink you do Hitler in my sea I do more bad in your ship!"
Ari sa di aver fatto tutto il possibile per salvare le persone a bordo. Anche se lo odiano, lui comunque pensa prima a loro: gli israeliani sono fatti così. Anche quando sanno che gli altri ne approfitteranno.
Lanciano la fune e si issano a bordo: Ari, Shlomo e Gilad.
Hanno il fiato corto per lo sforzo.
Vedono attorno a loro una selva di visi indemoniati. Dicono di essere pacifisti, ma i ragazzi sanno cosa sono in realtà: schiere di SS e sanguinari macellai muslumaniaci.
Lo sguardo di Ari si fissa per un momento su uno di loro.
E' un ragazzo vestito, anzi mascherato, da cuoco. E' della stessa età di Ari, ma quanto è diverso! Lo sguardo strabico, il labbro contorto da anni di antisemitismo, e tra le mani regge, no, ostenta una torta. Una torta.
Ari riconosce quella torta. Morbida e cremosa. E sa cosa vuol dire.
Capisce il messaggio di odio che quel ragazzo gli sta lanciando.
Ari non dimenticherà mai la scena nel film. Il tavolo con la torta. L'ufficiale nazista, le dita ancora ricoperte di crema, che con i suoi stivali immacolati prendeva a calci una ragazza ebrea. Una ragazza che aveva le stesse lentiggini di Leah.
Fu solo allora, vedendo la torta, che Ari iniziò a sparare.

05 giugno 2025

Casaggì Firenze. Non per scelta ma per destino



Terra e Appartenenza, Discendenza e Popolo.
Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori, dicono.

Alfonsos, babis, badini, badolla, blatte, breshkagji, broccoli, broscari, cabibi, carcamanos, cifarielli, dagos, digici, digók, espaguetis, garlics, ginos, greaseballs, guidos, guineas, itaka, italiaantje, italianots, italiohn, italiot, katzener, katzelmacher, lianta de gnole, macaroni, maiaramina, makaronarji, makaroniarz, mão de vaca, marinielli, minghiaweisch, mozzarellaniggers, paštari, pepinos, pigne, pizzagang, pizzaman, pizzavreter, pepperoni, polpettos, ritals, scafuri, schinkebròtli, sentas, shitalians, spaghettivreter, spaghettis, spaghettifresser, tanos, tschinggali, tulios, vallish, verräter, wops, zabari.


21 maggio 2025

Alastair Crooke - La transizione che sta portando a un nuovo ordine mondiale è per lo più incomprensibile per l'Occidente

Negli Stati Uniti, a dire la verità, che ci sia bisogno di cambiare il quadro generale è una cosa di cui hanno preso atto appena adesso.
La leadership europea e coloro che hanno tratto ogni vantaggio dalla finanziarizzazione adesso si lamentano con alterigia della "tempesta" scatenata da Trump sul mondo, e ridicolizzano i fondamenti delle sue iniziative economiche come se fossero qualcosa di astruso e di completamente fuori dalla realtà.
Il che è assolutamente falso.
Come sottolinea l'economista greco Yanis Varoufakis, di come stessero realmente le cose in Occidente e di come fosse necessario un cambiamento generale aveva già parlato con chiarezza l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker addirittura nel 2005.
La dura realtà del paradigma economico liberale globalizzato era evidente già allora:
Ciò che tiene insieme il sistema globalizzato è un massiccio e crescente flusso di capitali dall'estero, che supera i 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo e continua a crescere. Questo non ci provoca alcuna sensazione di tensione. Come nazione, non siamo consapevoli del fatto che stiamo prendendo denaro in prestito, né del fatto che stiamo mendicando. Non offriamo nemmeno tassi di interesse attraenti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori una protezione contro il rischio che il dollaro scenda.
Per noi è tutto molto comodo. Riempiamo i nostri negozi e i nostri garage con merci provenienti dall'estero, e questa concorrenza è servita da forte calmiere per i prezzi del mercato interno. Questo ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante i nostro risparmi diminuiscano e la crescita sia rapida.
Tutto questo ha fatto comodo anche ai nostri partner commerciali e a chi fornisce capitali. Alcuni, come la Cina [e l'Europa, in particolare la Germania], sono diventati pesantemente dipendenti dall'espansione del nostro mercato interno. E le banche centrali dei paesi emergenti si sono dimostrate per lo più disposte a tenere sempre più dollari. E il dollaro dopotutto è la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale che esista al mondo.
Il problema è che questo stato di cose apparentemente comodo non può andare avanti all'infinito.
Appunto. E Trump sta facendo saltare in aria il sistema del commercio per ricominciare da zero. Quei liberali occidentali che oggi digrignano i denti e lamentano l'avvento della "economia trumpiana" semplicemente negano che Trump abbia per lo meno preso atto dell'aspetto più importante che questo stato di cose ha per gli Stati Uniti, vale a dire che esso non può andare avanti all'infinito che che i tempi del consumismo basato sul debito ormai sono finiti già da un pezzo.
È bene ricordare che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale in vita loro non hanno conosciuto altro che il confortevole mondo descritto da Volcker. Non c'è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare a qualcosa che esuli dal loro orticello. Questo non vuol dire, ovviamente, che la soluzione di Trump funzionerà. È possibile che la peculiare forma di riequilibrio strutturale promossa da Trump possa in concreto peggiorare le cose.
Ciononostante, una qualche forma di cambiamento sostanziale non è più rimandabile. Altrimenti la scelta sarà tra un lento scivolare verso la bancarotta e un precipitarvi a rotta di collo.
Il sistema globalizzato e basato sul dollaro ha funzionato bene all'inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità produttiva del dopoguerra in un'Europa dollarizzata da pochissimo, che consumava il surplus. Anche l'Europa ha goduto dei vantaggi di un contesto macroeconomico favorevole; i suoi modelli basati sulle esportazioni e garantiti dal mercato statunitense.
La crisi oggi in atto è tuttavia inziata quando il paradigma si è invertito, quando gli Stati Uniti sono entrati in un'era di deficit strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire una piramide rovesciata di "attività" derivate, fondate su un minuscolo perno di attività reali.
La crisi dovuta a questo squilibrio strutturale è una cosa già grave di per sé. Ma la crisi geostrategica occidentale va ben oltre la semplice contraddizione strutturale tra i flussi di capitali che si riversano in entrata e un dollaro "forte" che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Essa è infatti strettamente legata al concomitante crollo delle ideologie di base che fanno da sostegno alla globalizzazione liberale.
È proprio questa profonda devozione occidentale all'ideologia -oltre alla bambagia di cui è stato generoso il sistema descritto da Volker- ad aver scatenato un tale fiume di rabbia e di scherno nei confronti dei piani di "riequilibrio" di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha qualcosa di positivo da dire a riguardo, ma nessuno nemmeno propone alcuna alternativa praticabile. La loro animosità nei confronti di Trump non fa che sottolineare il fatto che anche la teoria economica occidentale è andata in bancarotta.
Il che significa che a un livello più profondo la crisi geostrategica dell'Occidente implica il crollo di una ideologia archetipica e al tempo stesso quello di un assetto elitario sclerotizzato.
Per trent'anni Wall Street ha venduto castelli in aria in cui il debito non contava. Un'illusione che è appena andata in frantumi.
Qualcuno che capisce che il paradigma economico occidentale e il consumismo iperfinanziarizzato e basato sul debito hanno fatto il loro tempo, e che cambiare è inevitabile, effettivamente c'è. Ma l'Occidente ha investito così tanto nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti ne sono irretiti. La parola d'ordine è sempre la stessa, vale a dire che "non ci sono alternative".
Il fondamento ideologico del modello economico statunitense si trova innanzitutto nell'opera di Friedrich von Hayek intitolata Verso la schiavitù: qualsiasi intervento governativo nella gestione dell'economia sarebbe una violazione della "libertà" e sarebbe la stessa cosa che il socialismo. Il fondamento archetipico dell'ideologia sarebbe poi nato dall'unione del pensiero di von Hayeck con la Scuola Monetarista di Chicago rappresentata dalla persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto la versione statunitense di Verso la schiavitù. E che -ironicamente- sarebbe stata intitolata Capitalismo e libertà.
L'economista Philip Pilkington scrive che l'illusione di Hayek per cui mercati e "libertà" sarebbero la stessa cosa, in sintonia con la corrente libertaria profondamente radicata negli Stati Uniti, "si è diffusa al punto da saturare completamente il discorso pubblico":
Tra persone ben educate e in pubblico, si può certamente essere di sinistra o di destra, ma si sarà sempre neoliberisti per un verso o per l'altro; altrimenti, semplicemente, non ci sarà consentito partecipare al dibattito. Ogni paese può avere le sue peculiarità... ma in linea di massima seguono tutti un modello simile: il neoliberismo basato sul debito è innanzitutto una teoria su come riorganizzare lo Stato per garantire il successo dei mercati e del loro attore principale, che sono le moderne società per azioni.
Ecco quindi il punto fondamentale: la crisi della globalizzazione liberale non può comportare il mero riequilibrio di una struttura fallimentare. Lo squilibrio è comunque inevitabile quando tutte le economie perseguono allo stesso modo, tutte insieme e tutte contemporaneamente, il modello anglosassone "aperto" basato sulle esportazioni.
No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico per cui quando gli individui (e gli oligarchi) perseguono ciascuno il massimo del proprio utile individuale -grazie alla magia della mano invisibile del mercato- i loro sforzi combinati finiscono nel loro insieme per andare a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).
In effetti l'ideologia a cui l'Occidente si aggrappa con tanta tenacia, secondo cui la motivazione umana è utilitaristica e solo utilitaristica, è un'illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell'utilità esclude a priori la presa in considerazione del mondo reale, cosa che rende la teoria non verificabile.
Il fatto paradossale è che Trump è comunque il primo di tutti i massimizzatori utilitaristi! È quindi il profeta di un ritorno all'era dei magnati statunitensi del XIX secolo, o è il sostenitore di un ripensamento ancora più radicale?
Insomma, l'Occidente non può passare a una struttura economica diversa -come potrebbe essere un modello "chiuso" a circolazione interna- proprio perché dal punto di vista ideologico ha investito oltremodo nei fondamenti filosofici di quella attuale, tanto che metterli in discussione sembra essere la stessa cosa che tradire i valori europei e i valori libertari che negli Stati Uniti hanno un valore fondante. E che derivano dalla Rivoluzione francese.
Il fatto è che oggi come oggi in Occidente il concetto dei "valori" ateniesi che esso rivendica è screditato quanto la sua teoria economica ha perso credito tanto nel resto del mondo, quanto presso una parte significativa di una popolazione irritata e disillusa.
In buona sostanza, non si vada a cercare presso le élite europee una visione coerente del nuovo ordine mondiale che si sta affermando. Esse sono in piena crisi e sono troppo occupate a cercare di salvarsi dal crollo della sfera occidentale e dalla temuta punizione da parte dei loro elettori.
La nuova era segna anche la fine della vecchia politica: le dicotomie dei "rossi contro i blu" e della "destra contro sinistra" stanno perdendo di significato. E si stanno già formando nuove identità politiche e nuove aggregazioni, anche se la loro definizione è ancora incerta.

16 maggio 2025

Spaghetti, pallone e campi di concentramento



Verso la fine degli anni Ottanta la propaganda politica illustrava e vantava i successi dell'economia. Lo stato che occupa la penisola italiana era (dicevano) la sesta o quinta potenza economica mondiale. L'agenda "occidentalista" era patrimonio di qualche vecchio ringhioso e un ricco milanese che di lì a qualche anno avrebbe fondato un partito per non finire in galera faceva ancora il ricco milanese che poteva evitare di finire in galera senza andare a decidere il destino di tantissime persone che non desideravano affatto il suo interessamento.
Nel 2025 lo stato che occupa la penisola italiana è sparito da certe classifiche -o meglio, vi figura eccome ma è bene non farle vedere troppo in giro- e il ricco milanese che aveva fondato un partito per non finire in galera è morto. Prima di morire però ha passato una trentina d'anni a dare visibilità, cariche e agibilità politica ai migliori alfieri dell'agenda "occidentalista" oggi comunemente condivisa. Alfieri che aveva personalmente tirato fuori dalle fogne. I risultati sono stati eccezionali: dopo tanti anni e tantissimo logorante e assiduo impegno la propaganda politica non illustra e non vanta i successi dell'economia. Illustra e vanta i campi di concentramento.
Uno di questi campi di concentramento si trova nella Repubblica d'Albania ed è stato argomento di molti telegazzettini. Anita Likmeta è nata a Durrës e potrebbe essere tacciata di filocomunismo solo dai gazzettieri più ligi e dai più repellenti tra i buoni a nulla che usano le "reti sociali" per sporcare ovunque. In "L'aquila nera, una storia rimossa del fascismo in Albania" si esprime sull'argomento in termini che difficilmente troveranno posto in televisione.
Oggi l'Albania non combatte più per l'Europa. Oggi l'Albania è la sua discarica. Nell'estate del 2024, il governo italiano ha reso ufficiale ciò che per anni si è cercato di mascherare dietro la retorica della cooperazione internazionale: il primo sbarco di migranti sulle coste albanesi non è stato un atto di accoglienza, ma di espulsione. Il 16 ottobre, sedici uomini provenienti dal Bangladesh e dall'Egitto, intercettati nel Mediterraneo, sono stati trasferiti a Shëngjin sotto sorveglianza militare. Non più vite in fuga, non più persone in cerca di futuro, ma un problema logistico da dislocare altrove, lontano dagli occhi, dal cuore e dalla coscienza collettiva. L'accordo prevede fino a 36.000 trasferimenti all'anno: un flusso continuo di esseri umani trattati come scarti, destinati a essere ammassati in centri di detenzione oltre il confine europeo, in un limbo amministrativo senza volto né voce. L'Albania di oggi è l'angolo dimenticato dove si scaricano gli affari sporchi, gli accordi mai dichiarati, i progetti senza futuro. La terra che nessuno difende e tutti vogliono controllare. Siamo rimasti una frontiera, ma non una che si protegge: una che si sfrutta, che si vende al miglior offerente.

10 maggio 2025

Firenze. Il Comitato cittadini attivi San Jacopino difende orgoglioso i bottegoni Esselunga



Il Comitato cittadini attivi San Jacopino è una roba da Libro dei Ceffi che si premura di specificare di essere apolitico, il che significa che politico lo è eccome, almeno dai tempi dell'islamofoba da taschino Francesca Lorenzi.
Nel maggio 2025 sul Libro dei Ceffi è comparsa questa convocazione.
Sit-in
Giovedi 15 maggio 2025
ore 18:15
Insieme per la sicurezza
per chiedere al governo fiorentino e forze
dell'ordine più sicurezza e presidi
Basta spaccio, basta degrado
basta furti e sciacalli nei
supermercati Esselunga
Più telecamere di sicurezza
Presidio delle forze dell'ordine interforze
Basta scippi, aggressioni, spaccate .

Ritrovo davanti Esselunga via Galliano
Giardino Galliano Palazzo INPS Via Toselli
Siete tutti invitati comitati, associazioni gruppi FB A
Partecipare per la nostra sicurezza portate striscioni

Comitato cittadini attivi
San Jacopino
Dal che veniamo a sapere che non solo esiste un governo fiorentino, ma che se uno ha bisogno di sostanze contenenti i principi attivi della cannabis sativa, del papaver somniferum, dello erythroxylum coca o altre ancora può rivolgersi ai bottegoni Esselunga, pur presidiati da ladri e canes aurei che magari richiedono qualche precauzione.
A proposito di precauzioni, chi ha redatto il volantino deve conoscere molto bene i suoi polli e in un "paese" dove basta usare decentemente il congiuntivo per rischiare di essere aggrediti fisicamente da qualche ciabattona diplomata alla scuola della vita ha pensato bene di non correre rischi inutili. Ha ridotto all'osso i segni di interpunzione e nell'originale ha evitato anche quella noiosa e incomprensibile alternanza tra maiuscole e minuscole con cui scrivono i tuttologi tridosati con il siero. Tra i risultati più simpatici uno ibis redibis non morieris in bello in cui pare di capire che portando striscioni si contribuisca alla sicurezza
Una iniziativa importante e costruttiva, dalle consegne chiare. Perché mai non plaudire a un contributo così rilevante per la vita politica e sociale di Firenze.
Abbiamo più volte ricordato come a Firenze ci sia un bottegone ogni cinquecento metri, come il signor Caprotti e i suoi eredi siano stati protagonisti in negativo di alcuni pessimi episodi della vita economica locale, e di come il fatto che adesso anche l'unico ruolo accordato ai sudditi con una qualche buona grazia, che è quello di consumatori, sia messo in discussione non solo e non tanto dagli individui problematici attirati da quella che si è voluta ad ogni costo ergere a rilevantissima agenzia socializzatrice non istituzionale, ma anche e soprattutto dalla devastazione dei redditi in corso da oltre trent'anni, che nulla e nessuno intende -e neppure può- fermare. Il democratismo rappresentativo può trovare qualche legittimazione solo ripetendo l'unico copione che conosce, che è quell'accanimento contro le figure marginali in cui sono specializzate moltissime gazzette e cui oggi danno volenterosa mano anche figure di un livello chissà perché ritenuto superiore. C'è anche l'intelligenza artificiale, con cui trattare foto di tagliagole più o meno melaninodotati -a metà strada tra la realtà e l'allucinazione a contenuto persecutorio- a beneficio dell'idiozia naturale dell'elettorato di riferimento.
Il bottegone nella sua vera essenza fa ottima figura in un film del 1978 che lo ritrae come ambiente ideale per dei morti viventi.
In un film del 1978, è bene ripetere.
In altre parole, il bottegone costituisce una realtà tale, e si pone in un contesto tale, che le persone serie possono al massimo meravigliarsi del fatto che chi vi entra brandendo una scure rappresenti l'eccezione.
Che la vita "occidentale" sia sovvertita al punto che qualcuno si senta in dovere di manifestare per difendere un posto del genere, meraviglia ancora meno.

24 aprile 2025

Firenze. Sulla prospettata chiusura del consolato statunitense di Lungarno Vespucci



 A Firenze un personaggio è un individuo dalle caratteristiche comportamentali che gli consentono di attirare sulle prime un'attenzione incuriosita e non malevola, ma destinato a rivelarsi dopo non molto tempo una compagnia tra l'imbarazzante e l'ingestibile a causa di opinioni, decisioni, azioni e comportamenti avventati, scriteriati, velleitari, incompetenti o semplicemente idioti ma comunque in grado di riguardare molti terzi con le loro conseguenze. Conseguenze sempre negative, ma di difficile attribuzione causale per chi non abbia assistito da vicino ai comportamenti che ne sono stati la causa.
La tendenza dell'amministrazione statunitense a cooptare personaggi in grado di far sparire il Presidente Dwayne Camacho, Frito Pendejo e gli altri protagonisti di Idiocracy, già ben affermata da decenni, pare aver accelerato dopo l'insediamento di Donald Trump per il suo secondo mandato.
Uno di questi è lo straricco e viziato Elon Musk, cui Trump ha affidato addirittura un ministero per l'efficienza governativa nel cui stemma figura molto appropriatamente e molto giustamente un cane.


Prima di stancarsene presto, come tutti i ricchi viziati, questo Musk avrebbe tagliato spese e personale con quegli you are fired che da quelle parti ti mettono immediatamente ad arrangiarti da solo perché amici e conoscenti spariscono come per incanto. Nulla di particolarmente rivoluzionario o innovativo, visto che sono almeno quarant'anni che dicono di non aver fatto altro. Sempre che non si tratti di armi, o di agevolazioni fiscali per i ricchi. Negli ultimi tempi la weltanschauung "occidentalista" ha finalmente perso le ultime remore e può dispiegarsi senza neppure doversi preoccupare di mettere in conto opposizioni concrete neppure minime.
Insieme a un commensale che si chiama Marco Rubio, questo Musk avrebbe messo in piedi anche una "radicale riorganizzazione del Dipartimento di Stato" chiudendo sedi e licenziando gente. La sede consolare fiorentina di lungarno Vespucci sarebbe tra quelle da chiudere.
Finalmente si tolgono dai piedi, la reazione immediata di molte persone serie.
Solo che le cose non stanno propriamente in questo modo. La presenza statunitense potrebbe diventare anzi ancor più fastidiosa.
Il Corriere Fiorentino così riporta il 23 aprile 2025 considerazioni attribuite a Marco Rubio:
Così com'è, il dipartimento è ipertrofico, burocratico e incapace di svolgere la sua essenziale missione diplomatica in questa nuova era di grande competizione tra potenze. Negli ultimi quindici anni il dipartimento ha registrato una crescita senza precedenti e i costi sono aumentati vertiginosamente ma, lungi dal vedere un ritorno dell'investimento, i contribuenti hanno assistito a una diplomazia meno efficace ed efficiente.
Un ortolano che constati le cattive condizioni di una partita di banane appena consegnatagli non si esprimerebbe in termini diversi. Dietro le righe si vedono gli ultimi sviluppi tendenziali -per non dire l'ultima moda- della politica "occidentalista": dal disprezzare la diplomazia nei confronti di paesi in cui esportare la democrazia a mezzo missile da crociera è passata a disprezzare la diplomazia in quanto tale. Un disprezzo che passa dal definanziamento e anche dal rifiuto del soft power. Questo abdicare a una costellazione di pratiche che comprende anche l'influenza culturale potrebbe sembrare scriteriato, ma un certo immaginario fatto di strade della California, generali Lee, rambi allo stato brado, fonzarelli a pollici alzati e con il "Reader's Digest" per attirare gli spiriti meno ardenti non ha alcun legame con la realtà da decenni, sempre che ne abbia mai avuto uno. E forse lo spettacolo dell'idiocrazia vigente e delle sue conseguenze sulla vita quotidiana, che di legami con la realtà statunitense ne ha fin troppi, è bene tenerlo quanto possibile in secondo piano.
I due micropolitici fiorentini Francesco Casini e Francesco Grazzini invece hanno reagito come se qualcuno gli avesse spento la luce per dispetto mentre facevano i compiti con "I Quindici" sulla scrivania, rifacendosela con l'esecutivo di Roma e con la madre non sposata che vi ricopre il ruolo di Primo Ministro. Probabile che la rilevanza letteralmente garzonale della loro opinione abbia loro risparmiato conseguenze più consistenti di qualche risatina di scherno.
Il modo per ottenere un ritorno dell'investimento esiste ed è dei più ovvi, tanto più che lo stabile è di proprietà governativa statunitense dal 1949.
Per prima cosa il consolato chiude.
Fine.
Le diciannovenni che vanno a Firenze in cerca di grane e poi si presentano a chiedere aiuto in lungarno Vespucci appena qualcuno gliene procura si rivolgeranno a Roma o a Milano; non rappresentano certo una fonte di entrate.
I quattro gatti che ci lavorano si arrangino, vadano a piangere dai sindacati. Ecco come finisce chi si fida degli ameriKKKani, si potrebbe infierire; nella penisola italiana la politica liberista -di cui il "sovranismo" altro non è che uno sviluppo ulteriormente incarognito- ha sempre contato su una base elettorale sicura che per lei una ciotola di maccaruna c'a' pummarola 'n coppa ci sarebbe sempre e comunque stata e che se perdi il lavoro è colpa tua. In quelle file il principio di realtà avanza da decenni a colpi di falce fienaia, ma evidentemente ancora non basta.
Palazzo Calcagnini o Canevaro di Zoagli ha di per sé tutto quello che serve per diventare uno charming resort: stucchi dorati, scalone monumentale, archi, colonne e un intero piano nobile. L'organizzando fine dining restaurant potrebbe essere chiamato "The bicorn in Florence" a ricordo dei vecchi tempi, così come locali dalle stesse pretese hanno spesso nomi che rimandano a realtà precedenti dove si lavorava sul serio. Con i suoi trenta euro per un goccio di liquore -pardon, per il settore mixology- e duecentosettanta per un menu scoperta garantirebbe spazi, frequentazioni e atmosfere dei più adatti alle trattative d'affari attirando una clientela di livello e consentendo di arrivare al punto senza perdite di tempo e di denaro. Ripensandoci anche il personale consolare in esubero potrebbe trarre vantaggi: perché non riassumerlo per posizioni come quella di sguattero o di cameriera ai piani, con una retribuzione pari a un terzo di quella precedente?
La diplomazia non è mai rifuggita da mezzi di questo genere, anzi. Solo che con alcune notevoli eccezioni -la prima che viene in mente è Joachim von Ribbentrop- a frequentare certi ambienti e a disporre di certi mezzi sono di solito individui e compagini che della diplomazia sono per lo meno disposti ad ammettere la liceità e l'utilità.

18 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump smantella un ordine mondiale in crisi: nuove opportunità sorgono dal caos



Traduzione da Strategic Culture, 16 aprile 2025.

Lo shock inflitto da Trump –il suo sottrarre l'AmeriKKKa al ruolo di perno dell'ordine postbellico basato sul dollaro– ha aperto una profonda spaccatura tra coloro che hanno tratto enormi benefici dallo status quo da un lato, e la fazione del Make AmeriKKKa Great Again che era arrivata a considerare lo status quo come un nemico -se non come una minaccia esistenziale- per gli interessi degli Stati Uniti dall'altro. Le due parti sono contrapposte da un'aspra polarizzazione irta di accuse reciproche.
Uno dei dati ironici della situazione è il fatto che il Presidente Trump e i repubblicani di destra abbiano insistito nel denunciare come una dannazione la vantaggiosa posizione del dollaro come valuta di riserva, che ha deviato proprio verso gli Stati Uniti il flusso dei risparmi del mondo che ha permesso loro di godere del privilegio unico di stampare moneta senza conseguenze negative. Almeno fino ad ora. Perché a quanto pare le dimensioni dell'indebitamento iniziano a farsi sentire anche per il Leviatano.
Il vicepresidente Vance adesso paragona la valuta di riserva a un "parassita" che ha corroso la sostanza del suo "ospite" –l'economia statunitense– con l'imposizione della sopravvalutazione del dollaro.
Per essere chiari, il presidente Trump riteneva che non ci fosse scelta: o si rovesciava il paradigma esistente al prezzo di notevoli sacrifici per molti di coloro che dipendono dal sistema finanziario, oppure si lasciava che gli eventi seguissero il loro corso verso l'inevitabile collasso economico degli Stati Uniti. Anche coloro che comprendevano il dilemma degli Stati Uniti sono rimasti comunque piuttosto scioccati dallo sfacciato egoismo con cui Trump ha deciso di "imporre dazi al mondo".
Al contrario di quello che molti affermano, le iniziative di Trump non sono dei capricci o dei gesti impulsivi. Sulle tariffe doganali il suo entourage ha lavorato per anni, e la loro imposizione costituiva parte integrante di un quadro più complesso che integrava gli effetti dei dazi sulla riduzione del debito e sulle entrate con un programma volto a costringere un'industria manifatturiera ormai scomparsa a tornare negli Stati Uniti.
Quella di Trump è una scommessa; potrebbe riuscire oppure no. Rischia una crisi finanziaria ancora più grave, dato che i mercati finanziari sono sovraindebitati e fragili. Ma ciò che è chiaro è che alle sue rozze minacce e al suo umiliare i leader mondiali seguirà una perdita di centralità degli USA che finirà per provocare una reazione nociva sia nelle relazioni con gli altri Paesi sia nella loro disponibilità a continuare ad avere a che fare con attività statunitensi, come i titoli del Tesoro. La sfida della Cina a Trump conferirà all'atmosfera un tono cui si adeguerà anche chi non ha il peso della Cina.
Perché allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere? Perché, dietro le azioni audaci di Trump, osserva Simplicius, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA devono affrontare:
Rimane indiscutibile che la forza lavoro statunitense è stata devastata dalla tripla minaccia dell'immigrazione di massa, dall'anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dall'alienazione di massa e dalla privazione dei diritti civili degli uomini di orientamento conservatore. Questi sono stati fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di fiducia nella capacità dell'industria manifatturiera statunitense di tornare ai fasti del passato, indipendentemente dall'entità dei tagli che Trump deciderà di infliggere a un "ordine mondiale" ormai in crisi.
Trump sta scatenando una rivoluzione per ribaltare questa realtà. La sua speranza è che ponendo fine all'anomia riporterà l'industria negli Stati Uniti.
Esiste una corrente nell'opinione pubblica occidentale –"non limitata affatto agli intellettuali", né ai soli statunitensi– che dispera della "mancanza di volontà" del proprio Paese, o della sua incapacità di fare ciò che è necessario, della sua inettitudine e della sua "crisi di competenza". Questa gente desidera ardentemente una leadership a suo giudizio più dura e più determinata, bramosa di potere illimitato e spietato.
Un sostenitore di Trump di alto rango esprime il concetto in modo piuttosto brutale: "Siamo ora a un punto di svolta molto importante. Se vogliamo affrontare di brutto la Cina non possiamo tollerare incrinature sul fronte interno... È ora di diventare cattivi, brutalmente, duramente cattivi. Le delicatezze sensibili devono essere spazzate via come piume in un uragano".
Non sorprende che in un Occidente dominato da un generico nichilismo possa prendere piede una mentalità che ammira il potere e soluzioni tecnocratiche animate da una quasi compiaciuta spietatezza.
Prendete nota: ci aspetta un futuro turbolento.
A complicare ancora di più il quadro del disfacimento economico dell'Occidente arriva la contraddittorietà delle dichiarazioni di Trump. Potrebbero anche essere parte del suo repertorio, ma la loro casualità fa pensare che nulla sia affidabile e nulla sia costante.
Secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, Trump avrebbe perso ogni inibizione quando si tratta di agire con audacia: "È all'apice del non fregarsene più di niente", ha dichiarato al Washington Post un funzionario della Casa Bianca che conosce bene il modo di pensare di Trump:
Cattive notizie? Non gliene frega un cazzo. Farà quello che deve fare. Farà quello che ha promesso durante la campagna elettorale.
Quando una parte della popolazione di un Paese deplora la "mancanza di volontà" o l'incapacità del proprio Paese di "fare quello che va fatto", sostiene lo Aurelien, essa inizia di tanto in tanto a identificarsi emotivamente con "un altro Paese", ritenuto più forte e più deciso. In questo particolare momento, "il manto" che toccherebbe a "una sorta di supereroe nietzscheano al di là di considerazioni sul bene e sul male"... "è caduto sullo stato sionista" - almeno per una rilevante quota di politici statunitensi ed europei. Aurelien continua:
Nello stato sionista troviamo una società apparentemente occidentale insieme a una linea comportamentale spregiudicata, spietata e improntata a un totale disprezzo per il diritto internazionale e per la vita umana; molti lo trovavano esaltante ed è diventato un modello da emulare. Il sostegno occidentale allo stato sionista su Gaza acquista molto più senso quando ci si rende conto che i politici occidentali e parte della classe intellettuale provano una segreta ammirazione per la spietatezza e la brutalità dello stato sionista in guerra.
La "svolta" imposta dagli Stati Uniti, nonostante i costosi sconvolgimenti che impone, rappresenta anche un'enorme opportunità: quella di passare a un paradigma sociale alternativo che vada oltre il dominio della sfera finanziaria imposta dal neoliberismo. Questa prospettiva, fino ad oggi, è stata negata dall'insistenza con cui le élite hanno ripetuto che "non ci sono alternative". Adesso si è aperto uno spiraglio.
Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione pubblicato circa ottant'anni fa sosteneva che le enormi trasformazioni economiche e sociali a cui aveva assistito durante la sua vita –la fine del secolo di "pace relativa" in Europa dal 1815 al 1914 e la successiva caduta nel caos economico, nel fascismo e nella guerra, ancora in corso al momento della pubblicazione del libro– avevano un'unica causa generale.
Prima del XIX secolo, sosteneva Polanyi, nel "modo di essere" dell'uomo l'economia era una componente organica della società e di essa era sempre stata "parte integrante", subordinata alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali, ovvero subordinata a una cultura civilizzatrice. La vita non era considerata una cosa separata, non era ridotta a particolari distinti, ma era vista come parte di un tutto organico che era la Vita stessa.
Il nichilismo postmoderno è sfociato nel neoliberismo sfrenato degli anni '80 e ha capovolto questa logica. In quanto tale, ha costituito una rottura ontologica con gran parte della storia. Non solo ha separato artificialmente l'"economico" dal "modo di essere" politico ed etico, ma l'economia aperta e liberista (nella sua formulazione di Adam Smith) ha richiesto la subordinazione della società alla logica astratta di un mercato in grado di autoregolarsi. Per Polanyi, questo "significava nientemeno che il funzionamento della comunità come appendice del mercato" e come nient'altro.
La sua proposta –chiaramente– era quella di riportare la società al ruolo dominante in una comunità squisitamente umana, ovvero darle un senso attraverso una cultura viva. In questo senso, Polanyi sottolineava anche il carattere territoriale della sovranità: lo Stato-nazione come condizione sovrana per l'esercizio della politica democratica.
Polanyi avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla Vita stessa come perno centrale della politica, una reazione violenta sarebbe stata inevitabile. È forse questa la reazione cui stiamo assistendo oggi?
In una conferenza davanti a un pubblico di industriali e di imprenditori russi il 18 marzo 2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa per la Russia, quella della "economia nazionale". Putin ha sottolineato sia l'assedio che è stato imposto allo Stato russo sia la risposta russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.
Si tratta di un modo di concepire l'economia già praticato dalla Cina, che aveva giocato d'anticipo sull'offensiva tariffaria di Trump.
Il discorso di Putin –in senso metaforico– costituisce la controparte finanziaria del discorso che tenne al Forum sulla sicurezza di Monaco del 2007, in cui aveva accettato la sfida militare lanciata dalla "NATO collettiva". Il mese scorso tuttavia Putin è andato oltre, affermando chiaramente che la Russia aveva accettato la sfida lanciata dall'ordine finanziario anglosassone dell'"economia aperta".
Il discorso di Putin non conteneva elementi nuovi in senso stretto: sanciva il passaggio dal modello della "economia aperta" a quello della "economia nazionale". La "scuola dell'economia nazionale" (del XIX secolo) sosteneva che l'analisi di Adam Smith, fortemente incentrata sull'individualismo e il cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.
Il risultato di un libero scambio generale non sarebbe stato l'approdo a una repubblica universale, ma al contrario la sottomissione universale delle nazioni meno avanzate alle potenze manifatturiere e commerciali predominanti. I sostenitori di un'economia nazionale contrastarono l'idea dell'economia aperta di Smith sostenendo invece un'economia chiusa che consentisse alle industrie nascenti di crescere e di diventare competitive sulla scena globale.
"Non fatevi illusioni: non esiste nulla al di fuori di questa realtà". Questo l'ammonimento di Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le illusioni", ha detto ai delegati:
Le sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme alla una nuova spirale di rivalità economiche già scatenatasi.
Le sanzioni non sono misure temporanee né mirate, ma costituiscono un meccanismo di pressione sistematica e strategica contro la nostra nazione. Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine internazionale, i nostri concorrenti cercheranno in permanenza di impastoiare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche.
Non dovete sperare in una completa libertà di commercio, di transazioni e di trasferimenti di capitali. Non dovete contare sui meccanismi occidentali per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori... Non sto parlando di sistemi giuridici: semplicemente, essi non esistono! Esistono solo per se stessi! Questo è il trucco. Capite?!
Noi [russi] dobbiamo affrontare le nostre sfide, certamente -ha detto Putin- ma anche gli occidentali devono affrontarne numerose. Il dominio occidentale sta svanendo. Nuovi centri di crescita globale stanno prendendo il centro della scena.
Queste sfide non sono il problema; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin:
daremo priorità alla produzione interna e allo sviluppo delle industrie tecnologiche. Il vecchio modello è finito. La produzione di petrolio e gas sarà semplicemente il complemento di un'economia reale in gran parte interna e autosufficiente, in cui l'energia non sarà più il motore. Siamo aperti agli investimenti occidentali, ma solo alle nostre condizioni, e il piccolo settore "aperto" della nostra economia reale, altrimenti chiusa e autosufficiente, continuerà naturalmente a commerciare con i nostri partner dei BRICS.
La Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere Putin. "In questo modo potremo resistere alle sanzioni e ai dazi". "La Russia è anche in grado di reggere gli incentivi, essendo autosufficiente in termini di energia e materie prime", ha affermato Putin. Un chiaro paradigma economico alternativo, davanti a un ordine mondiale in disgregazione.

16 aprile 2025

Firenze: chi ha messo coperte termiche sulle porte della chiesa della Santissima Annunziata e della scuola Giovanni Villani ha fatto bene



Il 25 marzo 2025 l'arcivescovo di Firenze ha espresso apprezzamento per l'installazione artistica di Giovanni de Gara, che ha chiuso le porte della chiesa fiorentina della Santissima Annunziata usando alcune coperte termiche del tipo usato nei casi di emergenza. E tra i casi di emergenza rientrano anche quei salvataggi in mare su cui gli "occidentalisti" dei partiti che governano a Roma hanno capitalizzato voti per decenni. Ai loro esponenti fiorentini il gesto non è piaciuto; hanno il senso estetico squisito e oltremodo sensibile di chi vagheggia i tempi in cui Firenze era un verziere olezzante di lavanda, e una sensibilità ancora più squisita per qualsiasi cosa accenni al tema, per loro inconcepibile, della giustizia sociale. Il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi e il ben vestito Giovanni Gandolfo si sono recati con premura all'ufficio stampa del Comune deplorando la deriva immigrazionista della sinistra fiorentina -coincidente quindi con la locale gerarchia ecclesiastica, pare di capire- e auspicando una installazione artistica fatta di fogli di via.
E lontana dal centro, ci mancherebbe.
Contestare perentoriamente il cattolicesimo fiorentino, che in materia di giustizia sociale ha -diciamo- una certa consuetudine, non deve essere agevole. Difficile rimetterlo al suo posto statuendo che i preti dovrebbero fare i preti, secondo il costume dei liberisti da gazzetta e del sovranismo con l'aperitivo. Quella è roba che va bene per edificare i buoni a nulla delle reti sociali, che con la realtà e con la competenza hanno un rapporto per lo meno discutibile sempre che ce l'abbiano; a Firenze c'è il serio rischio che a denigrare roba del genere l'unico risultato sia quello di additarla a un certo numero di volenterosi imitatori, dando il via alla sua propagazione.
E difatti pochi giorni dopo qualcosa di simile arriva sulle porte di una scuola elementare nel quartiere di Gavinana. Stavolta l'arcivescovo non c'entra, per cui Draghi e Gandolfo devono ricorrere all'altro caposaldo della roba che passano al gazzettificio, che è la deplorazione della propaganda ideologica. Laddove con ideologico, sempre nel linguaggio "occidentalista", si intende qualsiasi cosa non corrisponda alla linea che si intenderebbe imporre. Tant'è che una installazione artistica fatta di fogli di via anziché di coperte termiche avrebbe riscosso l'approvazione preventiva di questi adusi al ristorante.
Tutta la questione non avrebbe molta rilevanza in sé. Le gazzette grondano roba del genere. Il fatto che qualche metallina -il nome corrente tra i professionisti del soccorso e tra le persone che fanno volontariato sul serio, altro che le risentite esortazioni dei gandolfo- sia stata sufficiente a infastidire una volta di più gente che merita di essere per lo meno infastidita (e derisa) ci ha però convinto a dare un po' di visibilità all'iniziativa, per quanto ci è possibile con un blog e con un sito.




13 aprile 2025

Firenze: chi manifesta contro i'ddegràdo ai bottegoni Esselunga merita di essere deriso


Firenze, aprile 2025. La propaganda del governo di Roma circa quarant'anni fa magnificava risultati economici da quinta potenza economica mondiale. Oggi magnifica la costruzione di campi di concentramento. Nonostante l'impegno la situazione deve essere davvero invivibile se un gruppo di ultracinquantenni si schioda dalla televisione per invocare ancora più repressione.

Nella penisola italiana sono almeno trent'anni che in agenda politica trovano posto solo degrado e insicurezza.
Sempre da trent'anni, le persone serie e la politica di base sfuggita all'annientamento fanno presente ogni giorno con tranquillità e costanza che l'unico ruolo accordato dal potere ai sudditi sarebbe stato quello di consumatori. E nemmeno sempre.
Il centro commerciale si è evoluto splendidamente; nato come bottegone, è diventato agorà, cattedrale, tempio. Per gli stessi trent'anni è stato visto di buon occhio dal democratismo rappresentativo perché secondo l'opinione prevalente -cioè l'unica, essendo qualsiasi dubbio pubblicamente derubricato a nostalgia del gulag- avrebbe potuto e dovuto sostituire ogni altra sede fisica di socializzazione togliendo motivo di esistere a un sacco di posti che si avrebbe avuto l'agio di definanziare, denigrare, trascurare e infine chiudere con la prima scusa buona. Per poi metterne a reddito gli spazi.
Anzi, per "restituirli alla città", come dicono loro.
A Firenze una delle più recenti e riuscite restituzioni è consistita nel trasformare una scuola privata in un posto dove per dormire si possono spendere diecimila euro a notte, ma dove per mangiare possono bastarne un centinaio. Quelli che fanno cuocere roba e vorrebbero venderla a quel prezzo hanno chiamato la rivendita "La gamella"; il giro dovrebbe essere quello delle osterie da cinquanta euro a bicchiere e degli empori da trecento euro a calzino. Persino sulla gazzetta che pubblicava la roba di Oriana Fallaci hanno fatto del sarcasmo.
Comunque: per queste restituzioni si procede innanzitutto mondando edifici e dintorni di quella insicurezza e di quel degrado che si combattono facilmente e semplicemente colpendo le condotte e le persone che non piacciono -a prescindere dal loro spessore criminale- perché percepite come d'intralcio per la messa a reddito su accennata.
Il problema è che ancora mancano, malauguratamente, vere politiche di deportazione e di sterminio sistematico. Per cui si ostinano a rimanere in vita persone e gruppi che intralciano la messa a reddito. E che non vivono al di sopra della legge, come affermano i soliti ben vestiti col ristorante in nota spese e la faccia da vicepreside che ti ha beccato a fumare in bagno.
Vivono al di sotto.
Nel senso che hanno una quotidianità talmente infima -redditi ridicoli, solvibilità sotto i piedi, domicilio precario sempre che ce ne sia uno e così via- che le sanzioni li lasciano spesso indifferenti. Anche le più ingegnose, pare. E di questa quotidianità i bottegoni promossi ad agorà e cattedrali sono una delle scene più importanti, visto che ad agorà e a cattedrali si sono voluti promuovere e che sarebbe poco realistico pretendere che qualcuno non li tratti come piazze. A dire il vero anche questa realtà comincia a perdere seriamente attrattiva, sotto i colpi del commercio per via telematica e della generale e inarrestabile contrazione dei redditi.
Insomma, pare che attorno a certi bottegoni graviti una piccola ma consistente umanità che sfida la fantasia sanzionatoria del legislatore e che fornisce un mucchio di materiale a quella "libera informazione" che ogni giorno presenta qualche bagatellfall come se fosse il sacco di Alarico. Le vendite delle gazzette vanno a rotta di collo comunque, chissà che non ci sia un motivo.
I bottegoni non sono luoghi pubblici. Sono luoghi privati, tanto per fare un esempio, dove qualche padrone cui non piace avere in giro troppi ragazzini dal ridotto potere d'acquisto avrebbe anche fatto installare luci che mettono in evidenza acne e altri problemi della pelle in modo da metterli in imbarazzo; si cerchino un altro agorà, un'altra cattedrale. Quale, non è affar suo.
Accedere ai bottegoni significa tollerare di essere videoripresi in ogni movimento, scansionati, parametrati, censiti, valutati, osservati, campionati e sottoposti a una specie di forca caudina se appena si osa uscirne senza aver acquistato niente. Occorrerebbe dimostrare di essersi separati da del denaro anche per andare in bagno[*]. Sullo shelf marketing e sulle molte pratiche che servono a drenare fondi dalla clientela per riversarli nelle tasche del padrone vengono scritti ogni anno scaffali di volumi, per cui è inutile indugiarvi qui.
Il padrone dei bottegoni Esselunga non si peritava certo di presentare la propria libertà di intraprendere e di guadagnare come se fosse la libertà di tutti. Il padrone dei bottegoni Esselunga faceva un grosso vanto del proprio rigore antisindacale; negli anni successivi al "trentennio glorioso" la cosa gli è riuscita bene, i sudditi che stavano cedendo armi politiche e sindacali pagate col sangue in cambio di qualche fettina di salmone potevano anche essere indotti a credere che per loro una ciotola di maccheroni ci sarebbe sempre e comunque stata. Più recentemente i bottegoni Esselunga a Firenze sono incappati in qualche incidente non proprio di percorso. Nel clima sociale inscalfibile in cui esercitare una coscienza politica da scarafaggi è da tanti anni persino motivo di vanto, non stupisce che siano comunque riusciti ad attirare qualche manifestazioncina contro i'ddegràdo e l'insihurézza. La miserabile difesa dei bottegoni come massima espressione dell'impegno civile merita senz'altro di essere accolta con una risata di scherno.



[*] Al bottegone fiorentino di via del Gignoro sono state automatizzate le porte dei bagni, adesso obbedienti solo a un lecito scontrino. Il fantasma del signor Caprotti, che molti ricordano (e deridono) come protagonista di una ridicola battaglia a colpi di gazzetta in cui accusava la concorrenza di filocomunismo, non si scomoda certo per apparire ai dannati della poliuria per dirgli che il bottegone è suo e che quindi fa come gli pare; c'è invece un cartellino con le istruzioni, che accampa scuse su decoro e sicurezza.

11 aprile 2025

Su "Un mare di porti lontani". Le ONG nel Mediterraneo in un documentario di Marco Daffra


Firenze conta molte persone serie che ritengono un piacevole dovere confutare, contrastare, disconfermare e deridere per mezzo di pensieri, parole, opere e omissioni la propaganda "occidentalista" diffusa dall'esecutivo di Roma e dai gazzettifici ad esso contigui. Quando la confutazione, il contrasto, la disconferma e la derisione non sono sufficienti qualcuno ricorre anche ad altri sistemi
In questa lodevole attività la città non cessa di produrre molti esempi documentati, coerenti e di briosa dedizione.
Una sera di aprile abbiamo assistito a un documentario sull'operato delle organizzazioni non governative che collaborano al soccorso di quanti cercano di attraversare il Mediterraneo con imbarcazioni inadeguate. Sulla denigrazione di queste organizzazioni e di quello che fanno molti protagonisti del democratismo rappresentativo hanno costruito solide e lunghissime carriere; al regista Marco Daffra è bastata poco meno di un'ora di interviste e di filmati per ritrarre una realtà ovviamente e pacificamente opposta a quella descritta dalla "libera informazione".
Un mare di porti lontani è uscito nei primi mesi del 2024, il materiale è stato raccolto nel 2023 e i porti lontani sono un riferimento a una delle mille ingegnose trovate con cui l'esecutivo di Roma ha messo legalissimi bastoni tra le ruote a gruppi che all'epoca sarebbero stati secondo Daffra protagonisti di circa il 7% delle operazioni di salvataggio, con gendarmeria, guardia costiera e attori istituzionali in genere ad occuparsi dell'enorme rimanente.
In un anno circa Marco Daffra avrebbe presentato il documentario in oltre cento iniziative nella penisola italiana e nello Stato e Cantone Ticino, trovando un pubblico molto ricettivo soprattutto nelle scuole. La presentazione e la successiva discussione avrebbero spesso riguardato la demolizione della rappresentazione sociale veicolata da una propaganda che per anni ha cercato di ritrarre le organizzazioni non governative e il loro personale nel peggior modo possibile. L'idea che la serietà e la rispettabilità stiano nella giacca e nella cravatta dell'amministratore di condominio buono a nulla o nel pezzo di metallo che segna le ore al polso del consulente finanziario che sparirà col tuo denaro è a tutt'oggi dominante; il fatto che sulla Ocean Viking o sulla Open Arms fossero imbarcati nedici, ufficiali e marinai in maglietta e capelli lunghi presentava al gazzettificio materiale praticamente già pronto; il risultato del "lavoro" dei gazzettieri avrebbe dapprincipio influenzato lo stesso regista.
Io ho la passione per il vin santo e ho preso l'abitudine di produrmelo da solo. Al momento di imbarcarmi per le riprese ho pensato che andavo fra gente con dread, canne e tutto il resto e che un po' di vino avrebbe fatto senz'altro piacere; quindi ne ho portata con me una bottiglia. Come mi hanno accolto? "No, Marco. Grazie, ma alcolici non ne imbarchiamo".

08 aprile 2025

Donald Trump e l'arte della trattativa

 


Alastair Crooke sostiene da anni che il Presidente degli USA Donald Trump abbia introdotto ai massimi livelli della politica statunitense la stessa modalità relazionale orientata al risultato che lo ha portato a un indiscutibile successo nel settore immobiliare. Donald Trump, insieme a quel debordantemente ricco e quasi altrettanto capriccioso Elon Musk che al momento in cui scriviamo è uno dei suoi più ascoltati consulenti, gode da tempo della massima stima di alcuni dei più involuti "occidentalisti" del panorama gazzettiero.
Nel 1981 Stephen King e Peter Straub pubblicarono Il talismano, lungo romanzo di un genere definito dark fantasy, qualsiasi cosa voglia dire.
Tra i protagonisti figura proprio un imprenditore immobiliare di nome Morgan Sloat: l'estratto che segue ne descrive la condotta abituale.
...L'acquisto di quello stabile era stato particolarmente esaltante proprio per l'inclinazione di Sloat a fare tutto da sé.
Dopo aver negoziato con Sawyer l'acquisto del fabbricato con un mutuo a breve e successivamente (dopo uno scontro a fuoco in sede legale) con un mutuo a lungo termine, avevano fissato i loro canoni a un tanto al metro quadro, apportato le necessarie modifiche e offerto i locali a nuovi inquilini. L'unico inquilino che avevano ereditato era il ristorante cinese del pianterreno, che aveva conservato un canone d'affitto pari a un terzo circa di quello che valeva lo spazio che occupava. Sloat aveva tentato di avviare trattative ragionevoli con i cinesi, ma questi, appena ebbero capito che aveva intenzione di aumentare loro l'affitto, avevano improvvisamente perso la capacità di parlare e comprendere la lingua inglese. I tentativi di Sloat si erano faticosamente protratti per alcuni giorni, finché aveva notato un garzone di cucina uscire con un secchio di grasso dalla porta sul retro. Sentendosi già meglio, Sloat l'aveva seguito nell'angusto e buio cul-de-sac e lo aveva visto versare il grasso in un bidone per le immondizie. Non aveva avuto bisogno d'altro. Il giorno seguente, una recinzione di catenelle metalliche separava il cul-de-sac dal ristorante; un giorno dopo ancora un ispettore del Dipartimento di Sanità aveva consegnato ai cinesi un reclamo e una convocazione ufficiale. Ora il garzone doveva trasportare tutti i rifiuti, grasso incluso, prima attraverso la zona pranzo e poi fuori, per uno stretto passaggio delimitato da fil di ferro che Sloat aveva fatto costruire accanto al ristorante. Gli affari si erano messi ad andar male: ai clienti giungevano olezzi strani e sgradevoli dalla vicina spazzatura. I proprietari avevano riscoperto l'uso della lingua inglese e avevano offerto di raddoppiare il loro canone mensile. Sloat aveva risposto con un discorso che traboccava gratitudine e non diceva niente. E quella notte, dopo essersi caricato di tre abbondanti Martini, Sloat era uscito di casa sua e si era recato al ristorante munito di una mazza da baseball con la quale aveva fracassato la lunga vetrata che in precedenza aveva offerto una bella vista sulla via e che ormai dava su un corridoio di reticolato che finiva in un ammasso di bidoni per le immondizie.
Aveva fatto tutte queste cose... ma quando le aveva fatte non era proprio Sloat.
Il mattino seguente i cinesi lo avevano invitato per un nuovo incontro e questa volta gli avevano offerto di quadruplicare la somma. «Ora sì che parliamo da uomini», aveva esclamato Sloat, congratulandosi con i cinesi che lo guardavano con una faccia di pietra. «E vi dirò di più! Per dimostrarvi che siamo tutti amici e collaboratori, copriremo metà del costo della vetrata nuova.»
Nel giro di nove mesi dall'entrata in possesso dello stabile da parte della Sawyer & Sloat, tutti gli affitti erano sostanzialmente cresciuti e le iniziali proiezioni di costi e profitti già apparivano oltremodo pessimistiche. Ormai questo edificio rappresentava uno degli affari più modesti della Sawyer & Sloat, ma Morgan Sloat ne andava orgoglioso non meno che dei possenti nuovi fabbricati costruiti in centro. Gli bastava passare là dove aveva fatto erigere il recinto quando veniva a lavorare ogni mattina per ricordare a se stesso, quotidianamente, fino a che punto aveva contribuito al benessere della Sawyer & Sloat e quanto ragionevoli erano le sue richieste!


02 aprile 2025

Giovanni Donzelli, Giacomo Salvini e i fratelli di chat


Giovanni Donzelli è un diplomato fiorentino di cui ci siamo occupati molte volte fin dal 2008 e non proprio per farne dei panegirici.
Un presenzialismo mediatico alacre e non esente da piccole disavventure, i meccanismi del promoveatur ut amoveatur e qualche tocco di quella diligente disumanità che è un prerequisito importante per ogni politico "occidentalista" gli hanno consentito una buona carriera in vari e sempre più importanti organi elettivi. Va briosamente sottolineato che le sue iniziative non hanno lasciato tracce rilevanti in nessuno di essi, facendo del suo curriculum l'esatto opposto di quello cui dovrebbe ispirarsi chiunque abbia minime pretese di serietà.
A fine marzo 2025 il (quasi sempre) ben vestito Giovanni Donzelli ha fatto l'ennesimo giro di gazzette per aver accolto con un po' di insofferenza un certo Stefano Salvini. Stefano Salvini avrebbe scritto un libro sul partito in cui Donzelli ricopre ruoli dirigenziali e parlamentari, il che potrebbe anche giustificare certe reazioni poco diplomatiche. Solo che in tutte le sue trecentotrentasei pagine non si trova nulla che consenta di aggiungere qualcosa a ritratti personali e organizzativi già più che eloquenti; diciamo pure che si tratta di una lettura che non aggiunge niente e che quindi niente dovrebbe dare da temere. Occorre comunque specificare che il non indispensabile Fratelli di chat ha contribuito in modo evidente -e per il solo fatto di esistere- a irritare individui e ambienti che meritano di essere irritati, il che è un motivo sufficiente perché le persone serie che ne hanno la possibilità pensino di dedicare qualche ora alla sua lettura.

19 febbraio 2025

Ilaria Salis e la capra ferrata



C'era una vedova, che aveva un figlio. Un giorno, ha detto a questo figlio: «Stai 'n casa. Voglio andare a i' viajo a lavare i' bucato. Bada, non mi lasciare l'uscio aperto, perché ti potrebbe entrare la capra ferrata in casa, con la bocca di ferro e la lingua di spada.» Questo poero bambino volse andare a trovà' sua madre e lasciò l'uscio aperto. Quando fu a mezza strada, si rammentò, che non aveva chiuso l'uscio; tornò indietro. Va per entrare in casa, c'era la capra ferrata: «Chi va là?» «Son io. Son la capra ferrata, con la bocca di ferro e la lingua di spada; e, se t'entri drento, ti affetto come una rapa.» Questo poero bambino si messe sulla porta a piangere. Passò una vecchina: «Cos'hai, bambino mio, che piangi tanto?» «Cos'ho? I' ho lasciato la porta di casa aperta, per andare a trovare mia madre. Mi ci è entrato la capra ferrata. Non so come fare a mandarla via.» «Quanto tu mi dai, te la mando via io?» «Da mia madre vi faccio dare quel, che volete, basta che me la mandate via.» «Mi devi dare tre staja di grano; io te la mando via.» Va a picchiare all'uscio di casa: «Chi è?» «Son io.» «Son la capra ferrata, con la bocca di ferro e la lingua di spada; e, se t'entri drento, ti affetto come una rapa.» Quella donna disse a quel bambino lì: «Senti, bambino mio; non m'importa di quelle tre staja di grano; ma io non te la mando via davvero.» Questo poero bambino non faceva altro che piangere. Passò un vecchio: «Cos'hai, bambino mio, che piangi tanto?» «Poerino! sono disgraziato. Ho lasciato l'uscio di casa aperto. Mi c'è entrato la capra ferrata. Non so come fare per mandarla via.» «Se te mi dai quattro forme di formaggio, te la mando via io.» «Se me la mandate via, quando torna mia madre, io ve le faccio dare.» Va a picchiare alla porta e domanda: «Chi va là?» «Son la capra ferrata, con la bocca di ferro e la lingua di spada; e, se t'entri drento, t'affetto come una rapa.» E questo poero vecchio va da i' bambino: «Senti, bambino mio, poi fare quel che voi, ma io non te la mando via davvero.» Questo poero bambino non faceva che piangere e passò un uccellino: «Cos'hai, bambino mio, che piangi tanto?» «Poerino, che non ho io? M'è entrata la capra ferrata in casa e non mi riesce di mandarla via. Se torna la mia madre, non pole entrare in casa.» «Quanto tu mi dai, te la mando via io?» «Cosa ti devo da', che non ho nulla? Se me la mandi via, ti farò pagare a mia madre.» «Mi devi dare tre staja di panico e io te la mando via.» Dice: «Sì. Io te lo do.» L'uccellino va: «Chi va là?» «Son la capra ferrata, con la bocca di ferro e la lingua di spada; e, se t'entri drento, t'affetto come una rapa.» «E io, cor i' mio becchino, ti beccherò i' cervellino.» E la capra ferrata s'è impaurita e è sortita di casa. E i' bambino ha dovuto pagare tre staja di panico all'uccellino.

Stretta la foglia e largo il bocciolo,
Della pelle di mi' nonno io ne farò un lenzuolo!

La Novellaja Fiorentina di Vittorio Imbriani riportava nel 1871 questa versione de la capra ferrata, una favola di ampia diffusione e dalle molte varianti.
Quando parla di stabili occupati e di movimenti di lotta per la casa, la "libera informazione" ritrae il fenomeno negli stessi termini: la capra ferrata inganna un debole -in questa versione un bambino, in altre una vecchietta- e lo caccia da casa sua con le minacce e con la prepotenza per sistemarcisi lei. Pare che esista addirittura una trasmissione televisiva praticamente monografica, che si avvarrebbe di delatori in servizio permanente verosimilmente sguinzagliati in quel milieu di disperazione e di marginalità che fa la fortuna di molti Michael Lupino.
Nel 2024, la capra ferrata ha preso viso e aspetto umani e definiti; l'incarnazione maligna è diventata l'insegnante precaria e attivista politica Ilaria Salis. In occasione della sua lunga e probabilmente indebita detenzione in Ungheria, terminata solo grazie alla sua elezione al parlamento europeo, una tra le gazzette "occidentaliste" più purulente se ne è occupata con assiduità addossandole una nutrita serie di nequizie. Già questo sarebbe stato sufficiente per interessarsi con intenti costruttivi alla sua vicenda; quando alla fine di gennaio del 2025 gli stessi settori del gazzettificio hanno iniziato ad inveire contro un libro autobiografico curato dalla stessa Salis, abbiamo proceduto immediatamente ad occuparcene in modo esauriente, come nostra abitudine da molti anni in una quantità di casi dello stesso genere.