Traduzione da Strategic Culture,
27 gennaio 2020.
I tre firmatari europei stanno per portare l'Iran davanti all'arbitrato dell'ONU per gli accordi sul nucleare: l'Iran risulterebbe inadempiente rispetto agli obblighi previsti.
L'Iran se ne è in parte ritirato, questo è vero. Ma che ci sarebbe stato un suo parziale ritiro dagli impegni era previsto quando fu redatta la bozza degli accordi. Data la mancanza di fiducia fra le parti, nel trattato fu inserita una clausola per cui se una parte fosse venuta meno ai propri impegni anche l'altra avrebbe potuto comportarsi di conseguenza. Gli USA ovviamente non ottempereranno agli obblighi: si sono unilateralmente ritirati dal trattato, e si potrebbe dire che anche la UE come garante risulta inadempiente.
Si tratta di argomentazioni anche valide, ma in larga misura prive di rilevanza. Si pensa che sulle dispute, come l'affermazione degli europei per cui l'Iran starebbe venendo meno ai propri obblighi, vengano decise nel contesto dell'arbitrato. Alle parti vengono concessi trenta giorni -con una proroga fino a sessantacinque, forse- per trovare una qualche soluzione. Se non si arriva a un accordo, la disputa finisce davanti al Consiglio di Sicurezza.
E qui sta il (grosso) problema: se l'Iran risultasse inadempiente tutte le sanzioni irrogate dall'ONU prima del trattato tornerebbero immediatamente in vigore. L'unica eccezione si verificherebbe soltanto se tutti i paesi del Consiglio votassero per mantenere la sospensione. Fatto salva questa improbabile eventualità, l'insieme delle sanzioni verrebbe ripristinato in blocco. E questo ripristino in blocco è stato insistentemente indicato da Obama come un importante risultato dei negoziati da lui condotti, per tenere buoni quanti criticavano l'accordo.
Bene, siamo realisti: in sede arbitrale ci potrà senz'altro essere qualche discussione a livello giuridico sul fatto che il ritiro degli USA dagli accordi abbia reso inevitabile -e giustificabile- il mancato rispetto degli impegni da parte dell'Iran. Ma è tutta roba che non vale niente.
Trump ha fatto pesanti pressioni sugli europei perché aprissero formalmente il ricorso all'arbitrato, ovviamente non perché la questione venisse risolta, ma perché arrivasse al Consiglio di Sicurezza. E in quella sede è pacifico che gli USA non voteranno certo per la sospensione delle sanzioni.
Ecco. Con l'arrivo della lamentela europea al Consiglio di Sicurezza, il ripristino in blocco delle sanzioni diventa inevitabile. E sarà così, per quanto riguarda l'Iran e gli accordi sul nucleare. Saranno fatti fuori.
In ogni caso il problema non è il ripristino delle sanzioni: oggi come oggi l'Iran sta soffrendo da parte degli USA sanzioni più severe di quanto non lo fossero prima dell'accordo. L'Iran considererà decaduti gli accordi e tornerà alla precedente politica sull'arricchimento, con o senza la supervisione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Avere un programma nucleare costituisce una carta importante per contare politicamente, come dimostra tuttora Kim Jong Un. Ma non è neppure questo il problema.
I falchi antiiraniani in USA e nello stato sionista saranno contenti. A loro modo di vedere saranno riusciti a riportare la questione nucleare iraniana davanti a una scelta che prevede due possibilità soltanto: o l'Iran si mette nell'ordine di idee (comunicando con l'inviato statunitense Brian Hook) che non gli verrà consentito di arricchire uranio, concorda a un periodo di transizione, accetta un "trattato" legale, acconsente allo smantellamento dei missili che possiede, smantella la rete di formazioni irregolari e la smette con la politica aggressiva a livello regionale, o affronta un'azione militare.
La giustificazione di Boris Johnson per portare al Consiglio di Sicurezza il (presunto) mancato rispetto degli impegni da parte dell'Iran, in modo da aprire a Trump la via per negoziare un nuovo accordo, è palesemente puerile e probabilmente è stata da lui espressa solo come un modo per adulare Trump.
Forse gli europei hanno calcolato che essendo improbabile che le pressioni di Trump conducano al crollo economico dell'Iran, si possa considerare che l'Iran sopravviverà tranquillamente con l'aiuto di Russia, Cina, India, e in qualche misura anche dell'India.
L'Iran poi con l'attacco missilistico contro Ein al Assad si è dimostrato capace di colpire dolorosamente e con efficacia le basi statunitensi in Medio Oriente. Che sono tutte vulnerabili. Il livello sofisticato dell'attacco iraniano e le competenze dell'Iran in materia di elettronica avranno preso Washington di sorpresa, almeno un po'.
Il Pentagono si sarà anche reso conto tutto d'un tratto che al momento dell'attacco contro Ein al Assad l'Iran era pronto a una guerra asimmetrica a tutto campo contro gli USA e contro i loro alleati in Medio Oriente. Anche gli USA ovviamente hanno la loro macchina da guerra. Ma un attacco contro l'Iran non sarebbe del tipo di quelli da una botta e via, che alcuni sostenitori degli USA dicono si dovrebbero realizzare contro le infrastrutture nucleari iraniane. L'Iran reagirebbe immediatamente contro tutta una gamma di bersagli statunitensi e anche nello stato sionista. Insomma, la cosa costerebbe cara, e le sue conseguenze sarebbero imprevedibili.
Gli europei probabilmente si sono resi conto che nel pensiero di Washington sta diffondendosi questo nuovo paradigma strategico, e al tempo stesso hanno capito che l'Iraq sta facendo sul serio quando parla di uscita delle forze statunitensi dal paese. E si sono resi conto che la Turchia sembra sia sempre più in orbita di fuga rispetto a Washington. In altre parole si sono accorti che l'Iran ha dimostrato capacità insospettate appena la stretta di Washington sulla regione si è fatta più debole.
Di sicuro i paesi del Golfo hanno interiorizzato i messaggi che l'Iran ha mandato con Ein al Assad e con Kirkuk, e stanno mettendo dei
limiti alla loro dipendenza da Washington, che un tempo era assoluta, stabilendo rapporti con altre potenze regionali come la Russia e aprendo una quantità di canali verso l'Iran. In breve, stanno mettendo su di proposito una vigorosa facciata da Villaggio Potëmkin nell'atmosfera bellicista che ha preso il sopravvento dopo l'assassinio di Soleimani, per impedire che il flusso degli affari si allontani intimorito dal Golfo.
Tutto questo potrebbe far pensare agli europei che hanno sottoscritto il trattato che l'AmeriKKKa non abbia molte possibilità di arrivare a uno scontro diretto con l'Iran; questo significa che l'Iran esercita una deterrenza concreta e che riuscirà a lottare anche sul piano economico, con l'aiuto dei propri alleati. Se l'Iran riesce a mantenere un profilo basso fino a dopo le elezioni statunitensi di novembre, Trump (se confermato) potrebbe rendersi conto che la sua politica non funziona, e tornare sui suoi passi. Anche questo è possibile, certamente.
Se questo è l'ordine di idee, è possibile che tacciare l'Iran di essere venuto meno agli impegni davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU agli europei non sembri un gran che come trattato, soprattutto con lo scemare della tensione in Medio Oriente.
Il professor Mike Vlahos ad ogni buon contro definisce un'altra prospettiva, che gli europei sembrano aver trascurato. Nel suo
Fighting identity Vlahos supera i consueti e logori paralleli per sostenere che gli USA non sono uno stato nazionale qualsiasi, ma un "
leader di sistema", una civiltà-potenza come Roma, Bisanzio o l'Impero Ottomano. Un
leader di sistema è "una struttura identitaria universalistica incarnata da un sistema statale. Un vantaggio prezioso, perché gli Stati Uniti sicuramente possiedono a tutt'oggi questa struttura identitaria".
In secondo luogo, secondo Vlahos la vittoria degli USA contro l'Unione Sovietica ha dato luogo ad un eccesso, portando i leader ameriKKKani a "adottare una weltanschauung ferreamente conservatrice". Insomma, a loro modo di vedere non si tratta di difendere solo il proprio paese, ma piuttosto la sua visione del mondo, e un ordine mondiale basato sul predominio. Mentre i comuni cittadini si abbandonavano agli agi del Nuovo Secolo AmeriKKKano e la loro etica militare si affievoliva, il complesso militare e della sicurezza reagiva diventando di man mano più sicuro che avrebbe dovuto addossarsi il compito di difendere la visione del mondo degli USA che aveva avuto il sopravvento nella Guerra Fredda. "Lo stato" di fatto si è enfiato e si è separato dotandosi di una sottocultura propria, o meglio, di una costellazione di sottoculture statali di tipo militare e burocratico: il cosiddetto "stato profondo". Esso considera che il proprio scopo sia quello di comportarsi come inflessibile custode di questa visione universalistica, al punto (anche se Vlahos non descrive esplicitamente il nesso) da difendere lo stato da quei leader populisti alla Trump, che tradirebbero i loro doveri di custodi o i loro impegni in favore di una qualche concezione mercantilistica che a loro modo di vedere rappresenterebbe un vero e proprio danno.
L'essenziale a questo punto è che mentre il vecchio ordine viene
messo in discussione e infranto sia da Trump che dalla "Resistenza" (cioè coloro che si considerano i custodi del vecchio ordine) "i belligeranti sono diventati talmente duri di cuore che faranno di tutto o quasi pur di prevalere. Il colmo dell'ironia è che [nel] reciproco afflato di vittoria [le parti in campo] rifiutano di lavorare fianco a fianco al riparo del logoro guscio rappresentato dal vecchio ordine costituzionale. Anzi, lavorano fianco a fianco per sovvertirlo. Entrambe le parti considerano il vecchio ordine un ostacolo sulla via per la vittoria. E alla vittoria si arriva tramite la sovversione."
Quello che i paesi europei firmatari del trattato non hanno incluso nelle loro valutazioni è proprio la grande importanza simbolica che entrambe le parti in lotta negli USA attribuiscono al mettere in ginocchio la Repubblica Islamica dell'Iran e a farla pentire di aver fatto la rivoluzione. Gli ambienti militari e della sicurezza lo intenderebbero come un altro segnale di vittoria per l'egemonia ameriKKKana: una vittoria di civiltà importante sul piano simbolico almeno quanto quella contro il "marxismo". Per Trump, nulla potrebbe dimostrare meglio agli ameriKKKani che il suo modo di mettere gli avversari con le spalle al muro ha una valenza strategica, che i rischi sono calcolati e che la contropartita sarà un Iran neutralizzato, privo di capacità nucleari.
Gli europei possono pensare che in fondo non hanno fatto altro che
fare ulteriore pressione sull'Iran affinché sottoscrivesse un accordo con Trump: una cosa tanto razionale, tanto assennata. Solo che gli USA non sono coinvolti in questo tipo di analisi strategica da think tank. Gli USA stanno giocando per vincere, con ogni mezzo, la sporca guerra civile in corso al loro interno. I settori militari e della sicurezza vogliono il predominio dell'energia in Medio Oriente;
non tollereranno che il vantaggio finanziario in dollari che gli deriva dagli armamenti venga a qualsiasi titolo minacciato da una
nuova Via della Seta in sedicesimo controllata dalla Russia, e non permetteranno la marginalizzazione dello stato sionista.
I firmatari europei, rottamando gli accordi sul nucleare iraniano, ci riportano inevitabilmente alla solita narrativa binaria: "mai si dovrà permettere all'Iran di avere armi nucleari; gli iraniani devono rinunciare del tutto ad arricchire uranio, o affrontare le relative conseguenze". Gli europei possono anche avere chiesto a Trump di passare all'azione (o magari glielo hanno chiesto i neoconservatori repubblicani, in cambio del voto contro la sua messa in stato di accusa) ma la cosa potrebbe non essergli di alcun aiuto. Gli accordi sul nucleare iraniano erano in una certa misura un freno per un possibile conflitto: l'Iran ha più volte ribadito che erano l'unico modo possibile per calmare la situazione. Ma adesso, dopo l'uccisione di Soleimani, è improbabile che l'Iran voglia dialogare con Trump. Nessuno si fida di lui, semplicemente. E gli europei hanno appena perso -per colpa loro- credibilità come interlocutori.
L'aut aut che gli europei hanno preparato è un regalo per i neoconservatori ameriKKKani e per i loro alleati evangelici, più di quanto non rappresenti un aiuto per Trump. Esso potrebbe anche tradursi nel fatto che votare per la messa in stato d'accusa di Trump potrebbe essere considerato di comune interesse dagli evangelici da una parte, e dai senatori democratici legati mani e piedi ai settori militari e della sicurezza dall'altra. Al posto di Trump potrebbe salire in carica l'evangelico Pence.
Tendenzialmente le cose non si mettono bene. Le pressioni statunitensi si intensificheranno, in linea con l'aut aut; l'Iran reagirà aumentando l'arricchimento dell'uranio e con azioni di deterrenza. L'attuale allentarsi delle tensioni potrebbe essere di breve durata.
Questo giorno del ricordo è una impostura propagandistica le cui istanze sono state più volte confutate e derise in questa sede, e che più volte saranno confutate e derise anche in futuro.
Nello stato che occupa la penisola italiana ha preso sostanzialmente il carattere di un'imposizione a titolo di legge, ed è vieppiù utile all'apparato governativo e gazzettiero per discriminare una volta di più i buoni dai cattivi, i titolari di diritto di parola dalla feccia da eliminare.
La canzone è appropriata per molti motivi.
- I KUD Idijoti erano di Pula, città nella Istarska županija particolarmente cara -con altro nome, ovviamente- ai giornanti del ricordo.
- Il testo è cantato con una buona pronuncia. Un'ottima lezione di stile per molti giornanti, spesso fieri della loro ignoranza delle lingue slave in un "paese" in cui l'ignoranza tout court è sempre un giustificativo e in casi come il loro diventa tranquillamente un vanto.
- Oltre a non presentare dubbio alcuno in materia di apertissimo e apologetico filocomunismo, la canzone è smaccatamente antibellicista, davvero degna dei pacifinti che dei giornanti mnestici sono l'antitesi da ogni punto di vista e sotto ogni aspetto, a cominciare da una cultura e da una competenza che spesso superano tranquillamente il campo storiografico.
- Nel testo sono stati inseriti versi tratti da Anarchy UK dei Sex Pistols. Come se non fosse abbastanza chiaro l'orientamento punk del gruppo ecco qui un rimando a una realtà commerciale finché si vuole, ma pur sempre in grado di agire da allegra rompiscatole nelle occasioni ufficiali. L'incipit di Anarchy, come noto, chiama in causa l'Anticristo e non è male caricare anche questa sulle spalle di chi tanto dice di tenere alle "radici cristiane" del mondo "occidentale".
Il brano è stato incluso anche in Canzoni contro la Guerra.