mercoledì 30 ottobre 2024

Firenze. Scrivere "Palestina libera da israel nazisionista" non va bene. "Gz1spckrJbzsC" sì.

 


Firenze, località Ponte a Ema.
Nel gennaio 2024 qualcuno notò il muro di contenimento delle carreggiate della A1 e lo usò per esprimersi in modo molto negativo nei confronti dello stato sionista.
La scritta "Palestina libera da israel nazisionista" durò quanto un gatto in autostrada; metafora adeguata, visto il contesto.
Considerammo che la scritta fosse stata qualcosa come "SgUErTz50012" nessuno si sarebbe neanche sognato di intervenire con tanta rapidità.
Nell'ottobre 2024 lo stesso muro figura infiorato con queste inferiorate.
Che come tali non infastidiscono nessuno.
Con ogni probabilità finiranno per resistervi fino a sbiadirsi.

martedì 29 ottobre 2024

Alastair Crooke - Decapitare in modo eclatante i vertici della Repubblica Islamica dell'Iran? La "follia" di Netanyahu

 


Traduzione da Strategic Culture, 27 ottobre 2024.

È probabile che presto scoppi un conflitto su larga scala fra stato sionista e Iran, dice il ministro della Difesa dello stato sionista Gallant. La guerra avrà inizio quando lo stato sionista lancerà l'attacco che incombe da tempo. Gallant ha promesso che l'attacco contro l'Iran sarà "letale, preciso e soprattutto sorprendente", e ha aggiunto che l'Iran "non capirà nemmeno cosa gli è successo e in che modo".
In che modo. Una espressione rivelatrice.
A tutt'oggi non c'è traccia della risposta letale promessa da Gallant. Sembra che lo stato sionista, che inizialmente aveva attribuito importanza a una risposta rapida e diretta, stia aspettando che le batterie di missili anti-balistici THAAD vengano installate e che le truppe statunitensi che le gestiranno arrivino nello stato sionista.
Il THAAD probabilmente non è in grado di capovolgere la situazione. Il 1 ottobre l'Iran ha dimostrato la sua capacità di saturare e sopraffare le difese aeree sioniste lanciando due successive salve di missili balistici. Il dato fondamentale sull'arrivo del THAAD è che da un lato lo stato sionista è a corto di missili da intercettazione e dall'altro che impelagare gli Stati Uniti in una guerra tra USA e Iran è molto più importante per Netanyahu che rispettare i tempi.
Le batterie THAAD paradossalmente potrebbero fare proprio questo, attirare gli Stati Uniti nella guerra. Con le forze statunitensi ora dispiegate sul terreno a sostegno della propria cinetica azione militare contro l'Iran, lo stato sionista inserisce di fatto una cordoncino di innesco statunitense nel dramma bellico: se dei soldati statunitensi dovessero essere uccisi, gli Stati Uniti si ritroverebbero in guerra con l'Iran e si sentirebbero obbligati a reagire con forza alla morte dei loro soldati.
Netanyahu vuole questa guerra da venticinque anni. Ora può vederla prendere forma concreta, proprio davanti ai suoi occhi. Inoltre dal suo punto di vista arriva in una congiuntura favorevole: poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi, in cui quasi tutti i candidati stanno facendo a gara per dichiarare la propria fedeltà allo stato sionista.
Per essere chiari, non si tratta di roba con cui scherzare. Potrebbe evolvere in un ampio conflitto con la Russia, se Teheran dovesse essere minacciata. Il genocidio dello stato sionista a Gaza e il bombardamento disumano -al di là di ogni legge di guerra- dei civili in Libano per costringerli a sottomettersi al terrore hanno trasformato la Russia in un partner dell'Iran a tutti gli effetti. La Russia ha quindi lavorato duramente per integrare le difese iraniane con i propri sistemi di difesa di punta.
Il ruolo della Russia tuttavia si limiterà probabilmente alla fornitura di ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance), a quella dei più aggiornati sistemi per la guerra elettronica, a qualche missile e forse a quella di qualche batteria da difesa aerea S-400, anche se il loro arrivo in Iran non è stato confermato.
L'interesse principale dei russi sarà quello di verificare le prestazioni di queste armi contro un attacco da parte dello stato sionista.
Se dovessero funzionare bene, darebbero un notevole impulso alla deterrenza generale russa.
E qui sta il punto chiave: per i sionisti e per i neoconservatori ameriKKKani, il percorso per tagliare le zanne a Mosca passa dalla sconfitta e dalla decapitazione di Tehran. Una vittoria dell'Iran -la vittoria della Resistenza, quindi- farebbe l'interesse della Russia.
Portato all'euforia dall'eliminazione da parte dello stato sionista di gran parte dei vertici di Hezbollah e rincuorato forse da segnali non autorizzati (e sbagliati) per cui l'Iran che potrebbe rispondere in modo superficiale a un attacco sionista, la squadra di Biden potrebbe considerare a portata di mano la nascita di un nuovo Medio Oriente a guida sionista.
Lo Stato Maggiore del Pentagono interverrà per fermare la marcia verso il conflitto, come ha fatto per i piani di escalation di Blinken in Ucraina? Sembra improbabile. Finora gli USA hanno sostenuto senza riserve lo stato sionista. E hanno accettato di inviare le batterie THAAD.
Lo Stato Maggiore avrà certamente percepito il forte sentimento filosionista del Congresso, in netto contrasto con il crescente disincanto nei confronti dell'Ucraina.
Tuttavia affrontare l'Iran -sostenuto da Russia e Cina- non è cosa da poco: si può davvero vincere? E se così non lo fosse? E se lo stato sionista perdesse e quindi gli USA perdessero? Sarebbe un terremoto, un'umiliazione che scuoterebbe il mondo occidentale.
Un commentatore, James Kroeger, prevede in modo intrigante che "l'attacco dello stato sionista, se arriverà, sarà un altro attacco fatto per decapitare. Questa volta eseguito in modo ancora più sbalorditivo di quello messo a segno contro Nasrallah".
Il Pentagono non approva i piani delle forze armate dello stato sionista per attaccare i giacimenti petroliferi iraniani e nemmeno l'industria nucleare nel sottosuolo, ma i casi in cui ha fornito sostegno allo stato sionista quando ha preso di mira i leader della Resistenza che fa opposizione allo stato sionista sono stati molti. Le forze armate dello stato sionista non hanno forse appena usato ottantadue bombe statunitensi da duemila libbre a Beirut per uccidere Nasrallah con la piena complicità degli Stati Uniti?
Come concetto di base, è probabile che gli Stati Uniti approvino e magari permettano un attacco che elimini i principali leader iraniani a Teheran, nella convinzione che l'Iran sarebbe troppo stordito per rispondere con un attacco da guerra totale contro stato sionista. Dopo tutto, cosa ha fatto l'Iran dopo l'uccisione di Nasrallah? Ha attaccato alcune basi aeree delle forze armate dello stato sionista, ma in modo da non uccidere nessuno. Questo ha forse dissuaso lo stato sionista dall'osare attaccare nuvamente l'Iran?
Ciò che il Pentagono non approverebbe è il ricorso ad armi nucleari per decapitare il governo iraniano, perché potrebbe essere sufficiente a scatenare la guerra totale che il Pentagono tanto teme. Ma cosa succederebbe se l'astuto stato sionista, dopo aver accettato l'assistenza dell'AmeriKKKa in un'operazione con cui sferrare un attacco con una bomba convenzionale del tipo bunker buster contro la Guida Suprema, decidesse per proprio conto di lanciare anche un'atomica tattica o strategica su Teheran che devasti completamente la catena di comando iraniana?
L'intento dello stato sionista non è quello di evitare una guerra totale con l'Iran, ma quello di scatenarne una. E l'uso di una testata nucleare su Tehran farebbe proprio questo. Garantito al 100%. Bibi sa che dopo un tale attacco, se l'Iran risponderà attaccando lo stato sionista con ogni mezzo a disposizione, sarà in grado di far approvare al Congresso una dichiarazione di guerra contro l'Iran.
Gli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato [insieme al Congresso] verrebbero prima mobilitati per negare il fatto che siano state usate armi nucleari, e poi per caricare emotivamente le scuse sul perché lo stato sionista abbia dovuto usarle "per difendersi". Il tema che ripeteranno all'infinito? "Povero stato sionista, minacciato di annientamento dai terroristi, ha fatto ricorso alle uniche armi che gli rimanevano per sconfiggere il Male contro cui stava combattendo...".
Follia? Sì. La follia di Netanyahu. Eppure, l'enigmatica formulazione di Gallant su un attacco "letale, preciso e soprattutto sorprendente: l'Iran non capirà nemmeno cosa gli è successo e in che modo" costituisce una strana formulazione che si adatta perfettamente a questa tesi di Kroeger.
Una grande incognita: Il Pentagono sarà in grado di prendere una posizione e di rifiutare di adeguarsi? Il Pentagono si è sempre opposto a una guerra totale tra Stati Uniti e Iran. Per quale motivo? Perché tutte le guerre iniziate per azzardo negli ultimi anni hanno avuto come risultato la sconfitta dell'AmeriKKKa.

venerdì 25 ottobre 2024

Il testamento spirituale di Yahya Sinwar



La "libera informazione" ha ritratto Yahya Sinwar praticamente come un sorcio.
Yahya Sinwar è morto con la divisa addosso, combattendo fino all'ultimo respiro contro le forze armate dello stato sionista.
Se ne pubblica qui il testamento spirituale.


Sono Yahya, il figlio di un rifugiato che ha trasformato l’esilio in una patria temporanea e ha fatto di un sogno una battaglia incessante. Mentre scrivo queste parole, ricordo ogni momento della mia vita: dalla mia infanzia nei vicoli, ai lunghi anni di prigionia, a ogni goccia di sangue versata sul suolo di questa terra.
Sono nato nel campo di Khan Yunis nel 1962, in un periodo in cui la Palestina era solo un ricordo lacerato e mappe dimenticate sui tavoli dei politici.
Sono l’uomo che ha intrecciato la sua vita tra fuoco e cenere, e ha capito presto che vivere sotto occupazione significa non avere altro che una prigione permanente.
Sapevo fin da giovane che la vita in questa terra non è come qualsiasi altra, e che chi nasce qui deve portare nel cuore un’arma indistruttibile, e capire che la strada verso la libertà è lunga.
Le mie volontà per voi iniziano qui, da quel bambino che ha lanciato la prima pietra contro l’occupante e che ha imparato che le pietre sono le prime parole con cui possiamo farci sentire da un mondo che osserva in silenzio le nostre ferite.
Ho imparato nelle strade di Gaza che una persona non si misura per gli anni della sua vita, ma per ciò che dà alla sua patria. E così è stata la mia vita: prigioni e battaglie, dolore e speranza. Sono entrato in prigione per la prima volta nel 1988 e sono stato condannato all’ergastolo, ma non conoscevo la via della paura.
In quelle celle oscure, vedevo in ogni muro una finestra verso l’orizzonte lontano e in ogni sbarra una luce che illuminava il cammino verso la libertà. In prigione, ho imparato che la pazienza non è solo una virtù, ma un’arma… un’arma amara, come bere il mare goccia dopo goccia.
Il mio consiglio per voi: non temete le prigioni, poiché sono solo una parte del nostro lungo cammino verso la libertà. La prigione mi ha insegnato che la libertà non è solo un diritto rubato, ma un’idea nata dal dolore e affinata dalla pazienza.
Quando sono stato rilasciato con l’accordo “Wafa al-Ahrar” nel 2011, non sono uscito come ero prima, ne sono uscito più forte e la mia fede è aumentata nel fatto che quello che stiamo facendo non è solo una lotta passeggera, ma piuttosto il nostro destino che portiamo fino all’ultima goccia del nostro sangue.
Io vi esorto a resistere senza cedimenti e a conservare senza compromessi la dignità e il vostro attaccamento a un sogno che non muore.
Il nemico vuole che abbandoniamo la resistenza, per trasformare la nostra causa in un eterno negoziato. Ma vi dico: non negoziate per una cosa che vi spetta di diritto. Temono la vostra fermezza più delle vostre armi.
La resistenza non è solo un’arma che portiamo con noi; è piuttosto il nostro amore per la Palestina in ogni nostro respiro, è la nostra volontà di restarvi nonostante l’assedio e le aggressioni.
Io vi esorto a rimanere fedeli al sangue dei martiri, a coloro che se ne sono andati e che ci hanno lasciato su questo cammino pieno di spine. La strada per la libertà è segnata dal sangue dei martiri; fate che il loro sacrificio non sia reso vano dai calcoli dei politici e dai giochi della diplomazia.
Siamo qui per portare a compimento ciò che essi hanno iniziato e non ci faremo distogliere dal nostro cammino, costi quello che costi. Gaza è stata e rimarrà un saldo baluardo, il cuore della Palestina che non smette mai di battere, anche quando il mondo intero ci crolla addosso.
Quando ho assunto la guida di Hamas a Gaza nel 2017, non si è trattato solo di una transizione di potere, ma della continuazione di una resistenza iniziata con le pietre e proseguita con le armi. Ogni giorno sentivo il dolore del mio popolo sotto assedio e sapevo che ogni passo verso la libertà aveva un prezzo.
Ma vi dico: il prezzo della resa è molto più grande. Pertanto, aggrappatevi alla terra come una radice si aggrappa al suolo, poiché nessun vento può sradicare un popolo deciso a vivere.
Nella battaglia dell'Alluvione di Al Aqsa non sono stato il leader di un gruppo o di un movimento, ma la voce di ogni palestinese che sogna la propria liberazione. Sono stato guidato dalla mia convinzione che la resistenza non sia solo una scelta, ma un dovere.
Volevo che questa battaglia fosse una nuova pagina nel libro della lotta palestinese, una battaglia in cui le fazioni si unissero e tutti si schierassero in un’unica trincea contro un nemico che non ha mai fatto distinzione tra un bambino e un anziano o tra una pietra e un albero.
L'Alluvione di Al Aqsa è stata una battaglia delle anime prima ancora che dei corpi e della volontà prima che delle armi. Quello che ho lasciato dietro di me non è un’eredità personale, ma un’eredità collettiva per ogni palestinese che ha sognato la libertà, per ogni madre che ha portato sulle spalle il figlio martire, per ogni padre che ha pianto amaramente per sua figlia assassinata da un proiettile traditore.
Le mie ultime volontà sono quelle di ricordare sempre che la resistenza non è vana e non sta solo in un proiettile sparato; la resistenza è una vita vissuta con onore e dignità.
La prigionia e l’assedio mi hanno insegnato che la battaglia è lunga e la strada difficile, ma ho anche imparato che i popoli che rifiutano di arrendersi fanno miracoli con le proprie stesse mani.
Non aspettatevi che il mondo faccia giustizia per voi; ho vissuto e testimoniato come il mondo rimanga muto di fronte al nostro dolore.
Non aspettatevi giustizia; siate voi la giustizia. Portate il sogno della Palestina nei vostri cuori e trasformate ogni ferita in un’arma e ogni lacrima in una fonte di speranza.
Questa è la mia volontà: non abbandonate le vostre armi, non lasciate cadere le pietre, non dimenticate i vostri martiri e non compromettete un sogno che vi spetta di diritto. Siamo qui per restare, nella nostra terra, nei nostri cuori e nel futuro dei nostri figli.
Vi affido alla Palestina, la terra che ho amato fino alla morte e il sogno che ho portato sulle spalle come una montagna indomita.
Se cado, non cadete insieme a me; portate al mio posto la bandiera mai caduta e fate del mio sangue un ponte per una generazione più forte nata dalle nostre ceneri. Non dimenticate mai che la patria non è una storia da raccontare ma una realtà da vivere; da ogni martire, mille combattenti della resistenza nascono dal ventre di questa terra.
Se ci sarà una nuova alluvione e io non sarò tra voi, sappiate che sono stata la prima goccia nelle onde della libertà e ho vissuto per vedervi continuare il viaggio.
Siate una spina nella loro gola, un’alluvione che non defluisce, e non calmatevi finché il mondo riconoscerà noi come i legittimi titolari del diritto; noi non siamo dei numeri nei notiziari.
Che Dio ci guidi e protegga tutti.

giovedì 24 ottobre 2024

Tomaso Aramini, "Pensando ad Anna". Un film ispirato a un libro di Pasquale Abatangelo



Firenze. Nel febbraio 2023 Pasquale Abatangelo -un ultrasettantenne che ha scontato una lunghissima detenzione perché combattente in una formazione irregolare- presentò il suo libro autobiografico Correvo pensando ad Anna al Centro Popolare Autogestito Firenze Sud.
L'iniziativa non piacque al ben vestito Federico Bussolin, all'epoca consigliere comunale per la Lega al Comune di Firenze, e a una certa Barbara Nannucci
Come da diversi anni nostra abitudine in molti casi analoghi, ci comportammo in modo esattamente opposto a quello auspicato da questi due signori; ci recammo con puntualità alla presentazione e ci occupammo con una certa cura del volume, raccomandandolo ai nostri lettori.
Nel giugno 2024 gli elettori fiorentini si espressero nel più costruttivo dei modi circa la linea politica di Bussolin e Nannucci e la Lega ottenne 8695 voti; nel 2019 ne aveva avuti 25923.
Nell'ottobre 2024 veniamo a sapere che Tomaso Aramini ha curato un lungometraggio legato ai temi del libro, e in particolar modo a quello delle rivolte carcerarie degli anni '70 nella penisola italiana. Pasquale Abatangelo vi compare come uomo di salde convinzioni che non si è mai pentito né dissociato.
Consideriamo quindi un piacevole dovere raccomandare anche la visione del film.

lunedì 21 ottobre 2024

Una casa per Lucia Cardamone



Firenze, quartiere di Gavinana.
Dopo la visita del 2017 e quella del 2016 -e chissà se ce ne sono state altre nel frattempo- si è nuovamente fatto vivo l'architetto Lucia Cardamone.
I cui messaggi si fanno sempre più laconici.

 Nel 2016,
  Gentile Proprietario sono interessata all'immobile in vendita nel suo stabile!
Se fosse il suo mi chiami:
Architetto Cardamone Lucia
3913934355
nel 2017,
Cerco Appartamento
in vendita
Anche da Ristrutturare
Mi contatti
Arch Cardamone
3913934355

Nel 2024,
Cerco una casa
in vendita
Arch. Cardamone
3913934355

L'architetto Cardamone ha sempre meno voglia di chiacchierare.
Il che è comprensibile, quando si cerca invano casa da otto anni.

mercoledì 16 ottobre 2024

Alastair Crooke - Lo stato sionista fa quello che fa perché il piano è sempre stato questo



Traduzione da Strategic Culture, 14 ottobre 2024. 


 Con l'assassinio di Sayed Hassan Nasrallah e di un certo numero di alti dirigenti di Hezbollah a Beirut -espressamente eseguito senza che il Pentagono ne fosse preventivamente informato- Netanyahu ha dato il via a un implicito allargamento della guerra dello stato sionista ai tentacoli della "piovra", per dirla con il termine dello stato sionista: Hezbollah in Libano, Ansarullah nello Yemen, il governo siriano e le forze irachene di Hash'ad A-Shaabi.
Dopo l'assassinio di Ismail Haniyeh e di parte dei quadri dirigenti di Hezbollah (tra cui un alto generale iraniano), l'Iran -demonizzato come la "testa della piovra"- è entrato nel conflitto con una raffica di missili che hanno preso di mira campi di aviazione, basi militari e il quartier generale del Mossad ma che, intenzionalmente, non hanno causato morti.
Lo stato sionista ha così reso gli Stati Uniti (e la maggior parte dei paesi europei) sodali o complici di una guerra che adesso ha preso definitivamente il carattere di una iniziativa neoimperialista contro l'intero non-Occidente. I palestinesi -icone globali dell'aspirazione alla liberazione nazionale- avrebbero dovuto essere spazzati via dalla Palestina storica.
Inoltre, il bombardamento di Beirut e la risposta dell'Iran hanno posto direttamente in conflitto lo stato sionista, sostenuto e materialmente appoggiato dagli Stati Uniti, con l'Iran sostenuto e materialmente appoggiato dalla Russia. Lo stato sionista, avverte il corrispondente militare di Yedioth Ahronoth, "deve fare un colpo di testa e attaccare l'Iran - perché colpire l'Iran 'metterà fine alla guerra in corso'".
Chiaramente, questo segna la fine dei giochi raffinati, della escalation graduale un passo calcolato dopo l'altro, come se si giocasse a scacchi con un avversario che calcola allo stesso modo. Entrambi i contendenti adesso minacciano di prendere a martellate la scacchiera. "Basta con gli scacchi".
Sembra che anche Mosca abbia capito che non c'è modo di giocare a scacchi quando ci si ritrova con un avversario che non è un uomo adulto ma uno spericolato sociopatico pronto a spazzare via la scacchiera e a giocasi il tutto per tutto con una mossa che gli porti una "grande" quanto effimera vittoria.
Secondo una analisi spassionata, o lo stato sionista sta sfidando il proprio stesso esistere sovraesponendosi su sette fronti, oppure spera di invocare proprio una minaccia esistenziale per provocare l'intervento degli Stati Uniti. Come per Zelensky in Ucraina, non ci sono speranze, a meno che gli Stati Uniti non intervengano in modo decisivo con la loro potenza di fuoco. Sia Netanyahu che Zelensky ne sono convinti.
Insomma, in Asia occidentale gli Stati Uniti stanno ora sostenendo nientemeno che una guerra contro l'umanità in se stessa e contro il mondo intero. È chiaro che una cosa simile non può essere nell'interesse dell'AmeriKKKa. I suoi pantagruelici potenti si rendono conto delle possibili conseguenze di un atto di tale macroscopica immoralità contro il mondo? Netanyahu si sta giocando la casa -e con lui adesso anche l'Occidente- sull'esito della sua scommessa alla roulette.
Qualcuno nelle stanze del potere non ha la sensazione che gli Stati Uniti stiano scommettendo sul cavallo sbagliato? Sembra che qualche voce dissenziente e propensa a esprimere riserve ci sia, negli alti quadri delle forze armate statunitensi. Come in ogni gioco di guerra nel Vicino Oriente in cui gli Stati Uniti vengono sconfitti, di queste voci se ne sentono poche. La classe politica nel suo complesso grida vendetta contro l'Iran.
Il perché ci siano così poche voci contrarie a Washington è un tema che è stato affrontato e illustrato dal professor Michael Hudson. Hudson spiega che le cose non sono così semplici e che il contesto non è quello. La risposta del professor Hudson è parafrasata qui di seguito da due lunghi commenti (qui e qui):
Tutto quello che sta succedendo oggi è stato pianificato cinquant'anni fa, nel 1974 e nel 1973. Io ho lavorato allo Hudson Institute per circa cinque anni, dal 1972 al '76. Ho partecipato alle riunioni con Uzi Arad, che è diventato il principale consigliere militare di Netanyahu dopo aver diretto il Mossad. Ho lavorato a stretto contatto con Uzi... Voglio descrivere il graduale prendere forma di tutta la strategia che ha portato agli Stati Uniti di oggi. E gli Stati Uniti di oggi non vogliono la pace, ma vogliono che lo stato sionista prenda il controllo di tutto il Vicino Oriente. Una volta accompagnai il mio mentore Terrence McCarthy allo Hudson Institute per parlare della visione del mondo nell'Islam. Ogni due frasi Uzi mi interrompeva: "No, no, dobbiamo ucciderli tutti". E anche altre persone appartenenti all'Istituto parlavano continuamente di uccidere gli arabi.
Quella di servirsi dello stato sionista come di un ariete a livello regionale per raggiungere gli obiettivi (imperialisti) degli Stati Uniti fu una strategia elaborata soprattutto negli anni '60, dal senatore Henry "Scoop" Jackson. Jackson era soprannominato "il senatore della Boeing" per il suo sostegno al complesso militare-industriale. E il complesso militare-industriale favorì la sua ascesa alla presidenza del Comitato nazionale democratico. Fu anche candidato per due volte, senza successo, alla nomination democratica per le elezioni presidenziali nel 1972 e nel 1976.
Era sostenuto anche da Herman Kahn, che divenne il principale stratega dell'egemonia statunitense all'interno dello Hudson Institute.
All'inizio lo stato sionista non aveva un ruolo importante nel piano statunitense; Jackson (di origine norvegese) odiava semplicemente il comunismo, odiava i russi e aveva un vasto seguito all'interno del Partito Democratico. Solo che mentre si metteva mano a tutto il piano strategico, Herman Kahn conseguì il fondamentale risultato di convincere i responsabili dell'edificazione dell'impero statunitense che la cosa essenziale da fare per mettere le mani sul Medio Oriente era affidarsi allo stato sionista come ad una sorta di legione straniera.
Secondo Hudson questo accordo a distanza ha permesso agli Stati Uniti di recitare la parte del poliziotto buono e allo stato sionista di svolgere il suo ruolo di spietato mandatario. Ecco perché il Dipartimento di Stato ha affidato la gestione della diplomazia statunitense a sionisti militanti: per separare e distinguere il comportamento dello stato sionista dalla pretesa correttezza dell'imperialismo statunitense.
Herman Kahn espose al professor Hudson quali fossero i punti forti di Jackson agli occhi dei sionisti: non era ebreo, era un paladino del complesso militare e un forte oppositore al sistema di contenimento della spesa militare in vigore. Jackson si oppose al contenimento della spesa militare: "la guerra la dobbiamo fare". Provvide quindi a infarcire il Dipartimento di Stato e altre agenzie statunitensi di neoconservatori (Paul Wolfowitz, Richard Pearl, Douglas Fife tra gli altri) che fin dall'inizio introdussero la prospettiva di una guerra mondiale permanente. A farsi carico della linea politica da indicare al governo sono stati innanzitutto, al Senato, alcuni ex assistenti di Jackson.
L'analisi di Herman era un'analisi di sistema: prima si definisce l'obiettivo generale, poi si lavora all'indietro. "Bene, ecco la politica odierna dello stato sionista. Innanzitutto si riducono strategicamente i palestinesi a frazioni isolate. Quelle in cui è stata trasformata Gaza negli ultimi quindici anni".
"L'obiettivo è sempre stato quello di ucciderli. O per lo meno di rendergli la vita così sgradevole da costringerli a emigrare. Questo è il metodo più facile. Perché mai qualcuno dovrebbe voler rimanere a Gaza quando gli succedono cose come quelle che stanno succedendo in questo periodo? Meglio andarsene. E se non se ne andranno dovrete ucciderli. Con le bombe se possibile, perché in questo modo si riducono al minimo le perdite", osserva Hudson.
"Nessuno sembra aver notato che ciò che sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania si basa sul concetto di frazionamento strategico come fu applicato durante la guerra in Vietnam: l'idea era quella di dividere tutto il Vietnam in piccoli lotti, presidiati in ogni punto di passaggio. Quello che lo stato sionista sta facendo ai palestinesi a Gaza e nei territori è stato sperimentato ai tempi del Vietnam".
Osservandoli bene, scrive Hudson, si notava che questi neoconservatori
praticavano una sorta di religione. Ne ho incontrati molti allo Hudson Institute; alcuni di loro, o i loro padri, erano trotzkisti. E si sono impadroniti dell'idea di rivoluzione permanente di Trotsky. L'idea è quella di una rivoluzione in divenire: mentre Trotsky sosteneva che una volta iniziata nella Russia sovietica essa si sarebbe diffusa in tutto il mondo, i neoconservatori l'hanno adattata affermando "No, la Rivoluzione permanente è l'impero statunitense: si espanderà e si espanderà ancora fino a investire tutto il mondo, e niente potrà fermarci".
I neoconservatori di Scoop Jackson fin dal primo momento avrebbero puntato ad arrivare a fare esattamente quello che stanno facendo oggi. Sostenere la potenza dello stato sionista facendone un combattente per procura nella conquista dei Paesi produttori di petrolio, destinati a diventare parte di una Grande Israele.
L'obiettivo degli Stati Uniti è sempre stato il petrolio. Questo voleva dire che gli Stati Uniti dovevano mettere in sicurezza il Vicino Oriente: a questo proposito potevano contare su due eserciti per procura. Due eserciti che fino a oggi hanno combattuto insieme come alleati. Da una parte i jihadisti di Al-Qaeda, dall'altra le forze armate sioniste che li controllano.
Adesso stiamo assistendo al diffondersi del curioso convincimento per cui quello che lo stato sionista sta facendo sarebbe "tutta colpa di Netanyahu, tutta colpa della destra". Invece fin dal principio sono stati protetti e sostenuti con enormi quantità di denaro, con tutte le bombe di cui avevano bisogno, con tutti gli armamenti di cui avevano bisogno, con tutti i finanziamenti di cui avevano bisogno... Tutte cose che sono state loro elargite proprio per fare esattamente quello che stanno facendo oggi. No, non ci può essere una soluzione basata su due Stati perché Netanyahu ha detto: "Odiamo quelli di Gaza, odiamo i palestinesi, odiamo gli arabi: non ci può essere una soluzione basata su due Stati. Ecco la mia mappa”, ha detto alle Nazioni Unite, "questo è lo stato sionista: non c'è nessuno che non sia ebreo nello stato sionista. Siamo uno Stato ebraico". Lo ha detto esplicitamente.
Hudson arriva poi al fondo di tutta la questione. Ci indica la chiave di volta fondamentale, che è la difficoltà, per gli Stati Uniti, di cambiare approccio. La guerra del Vietnam aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di introdurre una leva obbligatoria da parte delle democrazie occidentali non era praticabile. Lyndon Johnson nel 1968 dovette ritirarsi dalla corsa alle elezioni proprio perché ovunque andasse ci sarebbero state manifestazioni contro la guerra.
Il fondamento ineludibile che Hudson sottolinea è la consapevolezza che le democrazie occidentali non possono più mettere in campo un esercito nazionale ricorrendo alla coscrizione. Il risultato è che lo stato sionista -i cui effettivi sono limitati- può sganciare bombe su Gaza e Hezbollah e cercare di distruggere questo o quello, ma né l'esercito dello stato sionista né un qualsiasi altro esercito sarebbero davvero in grado di invadere e di cercare di conquistare un Paese -o anche solo il Libano meridionale- come fecero gli eserciti nella seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti avevano imparato la lezione ed è per questo che sono ricorsi a qualcuno che combattesse per procura.
"Insomma, quali possibilità sono rimaste agli Stati Uniti? Beh, penso che ci sia solo una forma di guerra non atomica che le democrazie possono permettersi, ed è il terrorismo [cioè il perseguimento di un enorme numero di vittime collaterali]. E credo che si debba guardare all'Ucraina e allo stato sionista come all'alternativa terroristica alla guerra atomica", suggerisce Hudson.
Il punto cruciale, osserva Hudson, è questo: cosa può comportare il fatto che lo stato sionista continui a insistere nel voler coinvolgere gli Stati Uniti nella sua guerra regionale? Gli Stati Uniti non invieranno truppe. Non possono farlo. I quadri dirigenti hanno provato con il terrorismo e il risultato del terrorismo è stato quello di far schierare contro l'Occidente tutto il resto del mondo, inorridito dalle stragi gratuite e dalla violazione di tutte le leggi di guerra. Hudson conclude: "Tracce di ragionevolezza nel Congresso non ne intravedo. Penso che il Dipartimento di Stato, l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale e la leadership del Partito Democratico, dato il suo radicamento nel complesso militare-industriale, siano assolutamente coinvolti".
E quest'ultimo potrebbe dire: "Beh, chi vuole vivere in un mondo che non possiamo controllare? Chi vuole vivere in un mondo in cui gli altri Paesi sono indipendenti e hanno una loro politica? Chi vuole vivere in un mondo in cui non possiamo avocare a noi il loro surplus economico? Se non possiamo prendere tutto e dominare il mondo, beh, chi vuole vivere in un mondo fatto in quel modo?".
Questa è la mentalità con cui abbiamo a che fare; praticare un gioco raffinato non cambierà questo paradigma. Un fallimento invece sì.

sabato 12 ottobre 2024

Firenze, ottobre 2024. "...No, Francesco Grazzini. La Russia non è nostra nemica."



Nel 2024 qualcuno si è separato da del denaro e per motivi tutti suoi, di cui nulla ci interessa, ha mandato in giro per la penisola italiana delle "vele" pubblicitarie in cui figurano due mani che si stringono. Una ha i colori della bandiera della Federazione Russa, l'altra quelli della bandiera dello stato che occupa la penisola italiana.
La loro comparsa a Firenze non è piaciuta a Francesco Grazzini, un ben vestito limogé in consiglio comunale come vicario del considerevolmente impopolare Matteo Renzi.
Da oltre due anni le ostilità tra Federazione Russa e Ucraina sono diventate guerra aperta. Il democratismo rappresentativo di Firenze ha scopertamente appoggiato la causa ucraina con i toni che gli sono consueti e che ha mutuato dall'"occidentalismo" dei tempi della democrazia da esportazione. Insomma, eccepire alla condotta di Kiev e alle ragioni del suo esecutivo è cosa che porta come minimo a essere ascritti d'ufficio al ruolo dei nostalgici dei gulag.
In queste pagine ha radici consolidate la prassi di reagire a prese di posizione di questo genere assumendo briosamente l'atteggiamento opposto, in modo tanto più intransigente quanto più insistono gazzette e telegazzettini.
Su quale utopia democratica fosse l'Ucraina che si è ritrovata con i russi in casa esiste una letteratura piuttosto corposa. Che da sola non basterebbe per giustificare l'astio di chi si augura senza mezzi termini di vedere un certo numero di persone educate in giro per le strade di Lisbona. Per capire la poca ricettività alle istanze dei matteirenzi occorre considerare anche il fatto che a Firenze in molti ben vestiti autonominatisi custodi del democratismo le simpatie per la causa ucraina vanno spesso di pari passo con quelle per lo stato sionista. Si potrebbe supporre che l'offensiva di Hamas del 7 ottobre 2023 sia risultata intollerabile in certi ambienti perché ha lasciato con un palmo di naso i sistemi di sorveglianza più pubblicizzati del mondo, gettando una luce indesiderata sul "modello Tel Aviv" per la sicurezza urbana e sui suoi sostenitori.
O forse sarebbe meglio dire sui suoi rappresentanti.
In terzo luogo, occupare l'agenda con le nefandezze russe è utile a mettere in secondo piano la continua, metodica, incessante erosione degli spazi di agibilità pubblica e politica; la politica e le amministrazioni "occidentali" sono da anni arrivate al punto di non sapere letteralmente più cosa sanzionare e gli unici comportamenti scevri da sospetto sono quelli di consumo e neppure tutti. Difficile ostentare una qualche superiorità etica quando la pratica politica quotidiana si compendia di un "più mercato" e "più galera" privi di qualsiasi ritegno e sul cui conto non occorre certo dilungarsi.

martedì 8 ottobre 2024

Alastair Crooke - La slealtà verso Tehran


Traduzione da Strategic Culture, 7 ottobre 2024.

John Kerry ha detto con chiarezza la scorsa settimana al World Economic Forum come stanno le cose: "Per quanto riguarda la nostra facoltà di far sparire [la disinformazione] il nostro Primo Emendamento rappresenta un ostacolo importante".
Tradotto: governare è tutta questione di controllo della narrazione. Kerry formula in questo modo la soluzione che l'"Ordine internazionale" sarebbe intenzionato ad applicare al fenomeno sgradito di un populismo incontrollato e di un potenziale leader che parla con la voce del popolo; insomma, la "libertà di parola" è inaccettabile per le prescrizioni con cui concorda una inter-agenzia che altro non è che il distillato istituzionalizzato dell'"ordine internazionale".
Eric Weinstein chiama questa situazione l'indebolimento: Il primo emendamento, il genere, il merito, la sovranità, la privacy, l'etica, il giornalismo investigativo, i confini, la libertà... la Costituzione? Tutto da buttar via?
La narrazione della realtà di oggi sarebbe che il lancio da parte dell'Iran il 1 ottobre 2024 di duecento missili balistici -centoottantuno dei quali hanno raggiunto lo stato sionista- sarebbe stato arginato dai sistemi di difesa missilistica sionisti Iron Dome e Arrow, tant'è che l'attacco non ha fatto vittime. È stato "sconfitto e senza conseguenze", ha dichiarato Biden.
Will Schryver, ingegnere tecnico ed editorialista in materia di sicurezza, scrive: "Non capisco come chiunque abbia visto i numerosi video degli attacchi missilistici iraniani contro lo stato sionista non possa riconoscere che si è trattato di una dimostrazione sbalorditiva delle capacità iraniane. I missili balistici iraniani hanno bucato le difese aeree statunitensi e dello stato sionista e varie testate di elevata potenza sono andate a segno contro obiettivi militari dello stato sionista".
Effetto e concretezza stanno quindi nella capacità dimostrata, che è poi la capacità di identificare altri obiettivi, la capacità di fare anche di più. Si è trattato infatti di un esercizio dimostrativo dalla portata limitata, non di un attacco vero e proprio.
Il messaggio era questo, ed è stato fatto sparire.
Come mai l'amministrazione statunitense si rifiuta di guardare in faccia la realtà e di prendere atto di quello che è successo e preferisce invece chiedere al mondo intero -che i video dei missili che impattavano nello stato sionista li ha visti- di "andare avanti" come consigliano le autorità, fingendo che non ci fosse "nulla di importante da vedere"? Questa "faccenda" era solo un fastidio per la governance del sistema e per il consenso, proprio come Kerry ha accusato di esserlo la libertà di parola? Sembrerebbe di sì.
Il problema strutturale, scrive il saggista Aurelien, non è solo nel fatto che la classe dei professionisti occidentali si attiene a un'ideologia che è l'opposto di come la gente comune vive il mondo. Questo è certamente un aspetto. Ma il problema più grande risiede piuttosto in una concezione tecnocratica della politica, politica che non "riguarda" nulla. Non è affatto una politica vera e propria (come disse una volta Tony Blair), ma è un qualche cosa di nichilista e di privo di considerazioni morali.
Non avendo una vera e propria cultura, la classe dei professionisti dell'ordine mondiale occidentale considera la religione obsoleta, e considera la storia pericolosa, perché contiene elementi che possono essere usati in modo improprio dagli "estremisti".
La storia, preferisce quindi non conoscerla proprio.
Questo è quello che produce la miscela di autoattribuita superiorità, ma anche di profonda insicurezza, che caratterizza la leadership occidentale. Da una parte l'ignoranza, dall'altra la paura di eventi e idee che non rientrano nei confini del suo rigido Zeitgeist e che sono percepiti quasi invariabilmente come in postulato contrasto con i suoi interessi. E piuttosto che cercare di discutere e comprendere ciò che è al di fuori della sua portata, la leadership occidentale ricorre alla denigrazione e all'assassinio di chi se ne fa portatore per eliminare questa fastidiosa esperienza.
Deve essere chiaro a tutti che l'Iran rientra in tutte le categorie che più alimentano l'insicurezza occidentale. L'Iran è l'apice di tutto ciò che è inquietante: ha una cultura consolidata e un retaggio intellettuale che si pone in modo esplicitamente diverso -anche se non in contrasto- rispetto alla tradizione occidentale. Si tratta di caratteristiche che tuttavia condannano l'Iran a essere collocato -senza riflettere- tra gli elementi che contrastano con la gestione dell'"ordine internazionale"; non perché sia una minaccia, ma perché risulta disturbante per il quieto passaggio delle consegne.
Ha importanza, questo?
Sì, perché rende molto problematico all'Iran interagire efficacemente con l'allineamento ideologico all'"ordine internazionale".
L'Occidente si è impegnato e ha fatto pressioni perché l'Iran reagisse in maniera contenuta, la prima volta dopo che lo stato sionista ad aprile aveva assassinato un generale iraniano e alcuni suoi colleghi al consolato iraniano di Damasco.
E l'Iran si è adeguato. Il 13 aprile ha lanciato droni e missili verso lo stato sionista in modo tale da inviare un breve messaggio concordato, ovvero preallertato, in merito alle sue capacità. Senza arrivare a un vero e proprio scontro, come richiesto dall'Occidente.
Dopo l'assassinio da parte dello stato sionista di Ismail Haniyeh che era ospite di Teheran per partecipare all'insediamento del nuovo Presidente, i Paesi occidentali hanno nuovamente pregato l'Iran di astenersi da qualsiasi ritorsione militare contro lo stato sionista.
Il nuovo Presidente ha dichiarato pubblicamente che funzionari europei e statunitensi avevano offerto all'Iran la caduta delle principali sanzioni in vigore contro la Repubblica Islamica dell'Iran e la garanzia di un cessate il fuoco a Gaza alle condizioni di Hamas in cambio dell'impegno a non attaccare lo stato sionista.
L'Iran ha tenuto duro, accettando di apparire debole agli occhi del mondo esterno. Cosa per la quale è stato aspramente criticato. Tuttavia, il comportamento occidentale ha scioccato l'inesperto nuovo Presidente Pezeshkian: "Loro (gli Stati occidentali) hanno mentito", ha detto. Nessuna delle promesse è stata mantenuta.
A dire il vero, con il nuovo Presidente riformista l'Iran si è trovato di fronte a un vero dilemma. Da una parte, sperava di perseguire una politica di contenimento per evitare una guerra distruttiva. Dall'altra, temeva che questa prova di moderazione potrebbe essere mal interpretata -forse in malafede- e usata come pretesto per una escalation. Insomma, il rovescio della medaglia è che "la guerra stava arrivando in Iran, che lo si volesse o no".
Poi c'è stato l'attacco tramite i cercapersone, quindi la decapitazione di Hezbollah. Compresa la figura iconica rappresentata dal suo leader Seyed Hassan Nasrallah. Con un numero enorme di vittime collaterali. L'amministrazione statunitense (il presidente Biden) ha detto semplicemente che "era stata fatta giustizia".
E ancora una volta l'Occidente ha implorato e minacciato l'Iran perché non intraprendesse ritorsioni nei confronti dello stato sionista. Stavolta invece l'Iran ha lanciato un attacco con missili balistici più concreto, anche se ha deliberatamente omesso di colpire le infrastrutture economiche e industriali dello stato sionista o la popolazione civile, concentrandosi invece su importanti siti militari e dei servizi segreti. Si è trattato, in breve, di un segnale dimostrativo, anche se in una certa misura ci sono stati danni alle basi aeree e ai siti militari e dei servizi. Ancora una volta si è trattato di una risposta limitata.
E per cosa?
Perché l'Occidente reagisse con aperto dileggio. L'Iran sarebbe stato troppo scoraggiato / troppo spaventato / troppo diviso per reagire davvero. In realtà gli Stati Uniti -sapendo bene che Netanyahu sta cercando il pretesto per una guerra con l'Iran- hanno offerto allo stato sionista il loro pieno sostegno una ritorsione in grande stile contro l'Iran: “Ci saranno gravi conseguenze per questo attacco e collaboreremo con lo stato sionista perché sia così", ha dichiarato Jake Sullivan. “Non commettete errori: gli Stati Uniti sono pienamente, pienamente, pienamente a fianco dello stato sionista", ha detto Biden.
La morale della storia è chiara: il Presidente Pezeshkian è stato messo nel sacco dall'Occidente. Un po' come il deliberato "inganno di Minsk" perpetrato dall'Occidente nei confronti del Presidente Putin, un po' come la coltellata alle spalle dell'Accordo di Istanbul II. Qualsiasi condotta improntata alla moderazione, su cui pure insiste tanto l'"ordine internazionale", viene invariabilmente fatta considerare come una manifestazione di debolezza. Il deep state occidentale, la cosiddetta "classe invariabile dei professionisti", rifugge da qualsiasi principio morale. Fa del suo nichilismo una virtù. Forse l'ultimo leader capace di vera diplomazia che mi viene in mente è stato JFK durante la crisi dei missili di Cuba e nei suoi successivi rapporti con i leader sovietici. E cosa gli è successo? È finito ucciso dal sistema.
Naturalmente c'è molta rabbia in Iran. Ci si chiede se la proiezione di potenza del paese non sia stata tanto debole da contribuire in qualche modo ad avallare la propensione dello stato sionista a colpire il Libano in modo così spietato e sfrenato, come a Gaza. Resoconti recenti fanno pensare che gli Stati Uniti dispongano di nuove informazioni tecnologiche su cui lo stato sionista non può ancora contare, che hanno consentito di indivudare la posizione di Sayyed Nasrallah e di passarne i dati allo stato sionista, cosa che avrebbe portato al suo assassinio.
Se l'Occidente dovesse ostinarsi a trattare con sufficienza la condotta moderata perseguita dall'Iran e a confondere la moderazione con l'impotenza, ci sarà da chiedersi se il "partito unico" dell'ordine mondiale europeo e statunitense sarà mai capace di freddo realismo. È in grado di valutare bene le conseguenze di un'eventuale guerra dello stato sionista contro l'Iran? Netanyahu ha chiarito che questo è l'obiettivo del governo dello stato sionista: la guerra all'Iran.
L'errata valutazione dell'avversario e dei suoi punti di forza sconosciuti è spesso il prodromo di una guerra più ampia, come nel caso del primo conflitto mondiale. E lo stato sionista è in preda a un vero furor bellicus per imporre il proprio "nuovo ordine" in Medio Oriente.
L'Amministrazione Biden è "più che disposta" a mettere "la pistola sul tavolo" perché sia Netanyahu a prenderla e a sparare mentre Washington finge di rimanere in disparte. L'obiettivo finale di Washington è ovviamente la Russia.
Che in diplomazia non ci si possa fidare dell'Occidente è chiaro. La morale di questa vicenda tuttavia ha implicazioni più ampie. Se lo stato di cose è questo, in che modo la Russia può pensare di porre fine al conflitto in Ucraina? Sembra che molte altre persone moriranno inutilmente, semplicemente a causa della rigidità del partito unico e della sua incapacità di agire con vera e propria diplomazia.
E molti ucraini sono morti, da quando il processo di Istanbul II è diventato carta straccia.
L'Occidente in questo momento si trova davanti alla prospettiva di almeno una sconfitta schiacciante, se non di due. Viene spontaneo chiedersi se la cosa sarà di qualche insegnamento. Chissà se i professionisti dell'ordine mondiale vorranno almeno prendere atto che ci sono degli insegnamenti da recepire.