domenica 20 giugno 2021

Firenze - A Santo Spirito centinaia di ragazzi distruggono il cordolo messo dall'amministrazione comunale a tutela del sagrato

 

Nel 2021 l'amministrazione comunale ha considerato una priorità irrinunciabile inibire l'accesso al sagrato di Santo Spirito, in una piazza che per qualche insondabile motivo conserva il carattere popolare che ha sempre avuto.
La preparazione gazzettiera è andata avanti per mesi. La pianificazione anche, con divieti e ordinanze fatti rispettare con tutti i ritrovati tecnologici a disposizione della gendarmeria.
Tutto -a sentir loro- in nome della vivibilità e dell'interesse generale. Che si tratti di un'iniziativa utile solo a ribadire la ferma volontà di gentrificare quanto si ostina a sfuggire alla Disneyland del Rinascimento lo sanno tutti benissimo, ma di solito omettono di rivendicarlo.
Nel 1977 -racconta Filippo Scòzzari- il borgomastro bolognese Zangheri e la questura
avevano proibito di sedersi sui gradini di San Petronio, per motivi d’ordine pubblico. Era così, in quegli anni. A qualcuno della nomenklatura veniva in mente una stronzata da due lire, e subito le veniva conferita l’aureola di Editto Per Il Buongoverno. Non che abbiano smesso. Nell’occasione però, qualche bolognese non incazzato, non precario, non studente, non autonomo, non giovane cominciò a sospettare che forse Zangheri cominciava ad entrare nel buio di una astiosa senilità kremlinica, ed il divieto anti studente di mostrare in piazza i maròni pelosi durò l’espás dun matén. Era divertente. Se da compagno voglioso di partecipare indirizzavi all’Unità le tue rimostranze di cittadino perplesso non succedeva un bel nulla. Se come maresciallo in pensione le esternavi al Resto del Carlino apriti cielo, e la noxia veniva rimossa in tre secondi. L’ansioso PCI. Non è stata sofferta la strada per arrivare a Prodi. Solo lunga.
La differenza è che nel 1977 un bagatellfall era un bagatellfall; adesso, l'agenda politica delle amministrazioni locali si compendia di robetta come questa. Sono letteralmente ridotti a non sapere più cosa proibire e sanzionare.
Fatto sta che per ribadire l'autorità e la fondatezza della decisione e in previsione di ulteriori inasprimenti, il 17 giugno l'amministrazione ha fatto intronare attorno al sagrato un coso di gòmena e fittoni.
Il giorno successivo moltissime persone serie hanno tolto di mezzo tutto quanto e hanno rimesso le cose a posto facendo a pezzi la gòmena e usandola per il salto della corda, rovesciando i fittoni e coprendoli di scritte a dileggio dell'amministrazione.
Il primato della realtà sul mondo descritto dalle gazzettine è stato ristabilito.
La gendarmeria difficilmente rimarrà inattiva perché su cose come questa i borgomastri tendono a una certa permalosità, per cui chi scrive si rende fin da ora disponibile a contibuire ad eventuali sottoscrizioni.
Inutile rendicontare l'infastidita indignazione gazzettiera: sappiamo tutti molto bene che la "libera informazione" è capacissima di ammettere e di lodare in modo sperticato certe iniziative, ma esse devono svolgersi a Minsk o a Tehran.
Sta di fatto che, come nel caso della Bologna del 1977, anche nella Firenze del 2021 qualche fiorentino non incazzato, non precario, non studente, non autonomo, non giovane ha cominciato ad avere la conferma -più che il sospetto- che ci sia un limite anche a certe alzate d'ingegno. Il signor Vanni Santoni ha riassunto questo sentire sul Cinguettatore.
È stato corroborante, e anche un po’ rassicurante, vedere che ieri sera un bel gruppone di allegri ragazzini si è messo, tra musica e balli, a giocare al salto della corda con le gomene che erano state posizionate, assieme ai loro orribili supporti di cemento, a deturpare la basilica di Santo Spirito.
Ci sarà di certo chi dirà che anche la più legittima delle proteste, quella contro uno scempio doppio –capolavoro architettonico deturpato, più lo spazio pubblico tolto ai cittadini– fosse essa stessa "degrado". È allora importante affermare subito che non è così. E non solo perché protestare è legittimo (e in questo caso doveroso). Non è così, perché il degrado non sono le piazze vive e vissute dai cittadini, ma architetture ostili che imbruttiscono lo spazio di tutti e limitano l'accesso alla città. Ed è importante anche ricordare, specie a chi questa città la amministra, che i cittadini, i fiorentini, i loro cittadini, sono quelli che rifiutano in massa queste brutture: sono proprio quei ragazzini che saltavano ridendo su quelle corde, e non i turisti di giornata o le società con sede all'estero e cento appartamenti su AirBnb.
Ci sarà anche chi dirà che "allora i cordoni non bastano", e invocherà cancellate o muri di plexiglas o filo spinato pur di impedire che la gente faccia ciò che ha sempre fatto da 500 anni: stare sul sagrato di Santo Spirito, un luogo peraltro specificamente progettato per dialogare con la piazza. A quelli si ricorderà che se il problema sono coloro che pisciano in giro alla notte, vanno installati del bagni pubblici, di cui la città è drammaticamente carente e che se il problema sono quelli (invero rarissimi) che hanno comportamenti effettivamente molesti, la città deve intervenire per evitare quei singoli comportamenti, e non usarli come pretesto per danneggiare tutta la cittadinanza, togliendole uno degli ultimi spazi vivi e vitali di un centro già prostrato da anni di politiche atte a favorirne lo svuotamento e la conseguente turistificazione.

 

venerdì 4 giugno 2021

Campioni d'Occidente: Cristian Rustignoli


Riceviamo e pubblichiamo un commento con questo contenuto.
Sono Rustignoli Cristian chi a fatto questo articolo social e un demente io non o nulla a che fare con Oriana alepoca ero il n 1 dei traslochi Firenze e provincia appaltatore comune Firenze traslocatore smaltitire enti regione Toscana ora sono sempre traslocatore e presidente ass volontariato Lorenzo Bardellino tetto lavoro e aiuto sociale per tutti per chi a bisogno di una mano sociale contattatemi per lavoro idemil mio numero e 3395006826 e levare ste buffonate illusive se no vi denuncio buccie
Il signor Rustignoli si è sentito offeso da uno scritto in cui si lodavano le sue competenze di traslocatore e gli si augurava di poterle usare per traslocare una sedicente interlocutrice angelica.
Chissà perché.
Non aveva letto il disclaimer qui accanto; eventuali minacce, legali e non, saranno immediatamente esposte al pubblico ludibrio in questa stessa sede.
Si sarebbe risparmiato la fatica.
Si sarebbe risparmiato una figuraccia.
La foto viene dall'autoschedatura sul Libro dei Ceffi di un Cristian Rustignoli di Firenze che -tra scritte su' bracci e cane d'ordinanza- potrebbe benissimo corrispondere a lui.
Vanno notate anche le peculiarità grammaticali e sintattiche del testo.
Lo stato che occupa la penisola italiana obbliga tutti i suoi sudditi a dieci anni di istruzione obbligatoria, oggetto di generosissimi stanziamenti pubblici; evidentemente non sempre sono soldi ben spesi.
Gli dobbiamo comunque delle scuse per due motivi.
Innanzitutto, per non aver prontamente messo in evidenza le sue rimostranze; il commento è del 30 maggio 2021 (sei anni abbondanti dopo il post) e questo scritto è del 4 giugno successivo.
In secondo luogo, per aver scritto male il suo nome. Lo ringraziamo dunque per la precisazione, e provvediamo a cambiare da Christian a Cristian il titolo dell'articolo che lo riguarda.


martedì 1 giugno 2021

New York Times - Le postazioni dell'esercito afghano si arrendono a valanga alle forze talebane

 

Su un foglio scritto a mano gli accordi firmati da ufficiali afghani e capi talebani
per la resa di una postazione militare a Mehtarlam. 
Vent'anni leaving no stone unturned. Complimenti per i risultati.


Traduzione da New York Times, 27 maggio 2021.

Decine di avamposti e di basi sotto assedio -oltre a quattro capitali di distretto- si sono arresi agli insorti soltanto questo mese. Il collasso avanza sempre più veloce nelle campagne man mano che le truppe statunitensi si ritirano.

Mehtarlam, Afghanistan - Nei malandati avamposti della provincia di Laghman le scorte di munizioni erano finite. Il cibo era scarso. Alcuni agenti di polizia non venivano pagati da cinque mesi.
Poi, proprio quando le truppe statunitensi hanno iniziato a lasciare il paese all'inizio di maggio, i combattenti talebani hanno assediato sette postazioni isolate tra i campi di grano e gli orti di cipolle di questa provincia dell'Afghanistan orientale.
Gli insorti hanno arruolato gli anziani dei villaggi perché si recassero negli avamposti con un messaggio: arrendersi o morire.
A metà maggio 2021 le forze di sicurezza di tutte e sette le postazioni si erano arrese. Dopo lunghi negoziati, secondo gli anziani del villaggio. Ad almeno centoventi tra soldati e poliziotti è stato dato un passaggio sicuro verso la capitale provinciale controllata dal governo, in cambio della consegna di armi e attrezzature.
"Abbiamo detto loro: 'Guardate che siete messi male; rinforzi non ne arriveranno'", ha detto Nabi Sarwar Khadim, 53 anni, uno dei molti anziani che hanno partecipato alle trattative per la resa.
Dal primo maggio secondo gli anziani dei villaggi e secondo i funzionari governativi almeno ventisei tra basi militari ed avamposti solo nelle quattro province di Laghman, Baghlan, Wardak e Ghazni si sono arresi dopo trattative del genere. Con il morale che sprofonda man mano che le truppe statunitensi se ne vanno, e i talebani che sfruttano propagandisticamente ogni resa come se fosse una loro vittoria, nelle campagne afghane ogni crollo alimenta il successivo.


Gli USA affrettano il ritiro

Si prevede che a luglio tutti gli uomini saranno fuori dall'Afghanistan. A negoziare la resa sono stati anche quattro capoluoghi di distretto, sede di un governatore locale, di un capo della polizia e dei servizi; di fatto le strutture governative sono state consegnate al controllo dei talebani e almeno per il momento i funzionari governativi non si sa che fine abbiano fatto.
I talebani già in passato hanno trattato la resa di truppe afgane, ma mai sulla scala e al ritmo con cui hanno ceduto questo mese le basi militari nelle quattro province che si estendono a est, a nord e ad ovest di Kabul. Questa tattica ha eliminato centinaia di effettivi governativi dal campo di battaglia, assicurato il controllo di un territorio strategico e permesso ai talebani di accaparrarsi armi, munizioni e veicoli.
Spesso senza sparare un colpo.
Il cedimento delle basi militari è un indice del rapido deterioramento dello sforzo bellico del governo; gli avamposti cadono uno dopo l'altro, a volte dopo scontri a fuoco ma spesso dopo una vera e propria resa.
Questi progressi sul terreno fanno parte di un piano di più ampio respiro che consiste nel prendere e nel mantenere il controllo del territorio intanto che il morale delle forze di sicurezza risente dell'uscita dalla scena della coalizione internazionale. Acquistare il consenso di polizia e milizie locali e organizzare cessate il fuoco circoscritti permette ai talebani di consolidare le conquiste in una nutrita offensiva militare, attuata nonostante le richieste di colloqui di pace e di un cessate il fuoco a livello nazionale.
"Il governo non è in grado di tutelare le forze di sicurezza", ha detto Mohammed Jalal, un anziano del villaggio nella provincia di Baghlan. "Se combattono verranno uccisi, quindi devono arrendersi".
A trattare i termini della resa sono i Comitati di Invito e Guida talebani, che intervengono dopo che gli insorti hanno tagliato le strade e i rifornimenti agli avamposti circondati. I capi del comitato o i capi militari talebani telefonano ai comandanti delle basi -e talvolta alle loro famiglie- e offrono di risparmiare la vita degli uomini se gli avamposti vengono consegnati insieme ad armi e munizioni.
In diversi casi i comitati hanno dato a coloro che si arrendevano del denaro -in genere sui centotrenta dollari- e abiti civili e li hanno mandati a casa incolumi. Prima però riprendono gli uomini mentre promettono di non ricongiungersi alle forze di sicurezza. Registrano i loro numeri di telefono e i nomi dei membri della loro famiglia, e assicurano loro che saranno uccisi se rientrano nell'esercito.
"Il comandante talebano e il Comitato di Invito e Guida mi hanno chiamato più di dieci volte e mi hanno chiesto di arrendermi", ha detto il maggiore Imam Shah Zafari, 34 anni, un capo della polizia distrettuale nella provincia di Wardak che ha consegnato centro di comando e armi l'11 maggio, dopo negoziati mediati da anziani del posto.
Dopo che i talebani gli avevano dato un passaggio in macchina fino a Kabul, ha detto, un membro del comitato ha telefonato per assicurargli che il governo non lo avrebbe incarcerato perché si era arreso. "Ha detto: 'Abbiamo molto potere nel governo, e possiamo farti rilasciare'", ha detto il maggiore Zafari.
I comitati talebani approfittano di una caratteristica peculiare dei conflitti afghani: combattenti e comandanti passano regolarmente da una parte all'altra, fanno accordi, negoziano le rese e si tengono cari gli anziani dei villaggi per avere influenza sui residenti locali.
L'attuale conflitto è in realtà costituito da decine di conflitti locali. Si tratta di lotte fra individui in intimità tra loro, in cui fratelli e cugini si combattono l'un l'altro e i comandanti di ogni parte incitano, minacciano e negoziano usando il cellulare.
"C'è un comandante talebano che mi chiama continuamente, cercando di fiaccarmi il morale in modo che mi arrenda", ha detto Wahidullah Zindani, 36 anni, un comandante di polizia barbuto e bruciato dal sole che ha rifiutato le richieste talebane di consegnare il suo avamposto nella provincia di Laghman, forte di nove uomini e ben rifornito di munizioni.
Le rese negoziate fanno parte di una più ampia offensiva nel cui contesto i talebani hanno circondato questa primavera almeno cinque capitali provinciali, secondo un rapporto dell'ispettore generale del Pentagono pubblicato il 18 maggio. L'offensiva si è intensificata dopo il primo maggio, giorno in cui è iniziato il ritiro degli statunitensi. I talebani controllano di diverse strade importanti, e hanno isolato le basi militari e le guarnigioni lasciandole vulnerabili.
Le rese hanno un profondo effetto psicologico.
"Chiamano e dicono che i talebani sono abbastanza potenti da sconfiggere gli Stati Uniti e che possono facilmente prendere la provincia di Laghman; 'dovreste tenerlo presente, prima che vi uccidiamo'", ha detto dei comitati talebani Rahmatullah Yarmal, ventinovenne governatore di Laghman, in un'intervista all'interno del suo complesso fortificato nella capitale provinciale di Mehtarlam.
È una tattica di propaganda efficace, ha ammesso il governatore. Così efficace che alcuni comandanti di avamposti ora si rifiutano di parlare agli anziani o ai negoziatori talebani. Ha detto che molti anziani non sono pacificatori neutrali, ma sostenitori dei talebani scelti con cura.
Il signor Yarmal ha detto che sessanta ufficiali di polizia che si sono arresi e si sono rifugiati nel complesso governativo a lui affidato sono ora pronti a combattere per riprendere i sette avamposti persi. "Penso che li riconquisteremo in un mese", ha detto.
Solo che poche ore dopo queste parole, il 19 maggio, il vicino capoluogo di Dawlat Shah si è arreso senza alcuna resistenza dopo qualche trattativa. La mattina dopo altri cinque avamposti si sono arresi allo stesso modo nel distretto di Alishing, sempre nella provincia di Laghman, hanno detto i funzionari del distretto.
Queste vittorie talebane sono state facilitate anche da un cessate il fuoco di trenta giorni negoziato dagli anziani il 17 maggio nel distretto di Alingar -un territorio molto conteso- che ha permesso ai talebani di spostare risorse ad Alishing, dove in capo a un paio di giorni hanno costretto i cinque avamposti a trattare la resa. Il 21 maggio i talebani hanno violato il cessate il fuoco con nuovi attacchi ad Alingar, ha riferito il signor Khadim.
Questa serie di cedimenti è il secondo caso analogo in due settimane nel distretto di Laghman.
Il 7 maggio tre avamposti e una base militare hanno ceduto senza combattere e allo stesso modo, ha detto il governatore del distretto di Alingar Nasir Ahmad Himat.
"I soldati hanno semplicemente gettato le armi, sono saliti sui loro veicoli e sono rientrati al capolouogo del distretto o nella capitale provinciale", ha detto Faqirullah, un anziano del villaggio che si fa chiamare solo con il nome.
Una domenica, mentre i combattenti talebani stringevano sulla capitale provinciale, il governatore Yarmal ha annunciato che centodieci uomini delle forze di sicurezza che si erano arresi e diversi comandanti che avrebbero dovuto controllarli erano stati arrestati per negligenza.
Il giorno stesso l'esercito afgano ha annunciato che rinforzi e personale dello stato maggiore erano stati inviati d'urgenza a Laghman per cercare di respingere l'assalto talebano.
Nella provincia di Ghazni il consigliere provinciale Hasan Reza Yousofi ha spiegato di aver implorato i funzionari di inviare rinforzi a un avamposto e a una base militare che sono poi caduti in mano ai talebani durante il mese di maggio. Ha fatto ascoltare una telefonata registrata in cui un ufficiale di polizia, Abdul Ahmad, diceva di aver esaurito le munizioni e che i suoi uomini erano ridotti a bere acqua piovana perché la torre dell'acqua della base era stata distrutta da un razzo.
"Siamo spacciati; chiediamo di continuo rinforzi, ma i funzionari non ci aiutano," diceva la voce registrata. "I talebani hanno mandato gli anziani del villaggio a dirci di arrenderci, che eravamo finiti e che nessuno ci avrebbe aiutato."
Hasan Reza Yousofi ha asserito di non sapere se Ahmad sia sopravvissuto alla caduta del suo avamposto.
Per i talebani il negoziato si è rivelato particolarmente fruttuoso nella privincia di Baghlan, in cui si sono arresi almeno in cento, e in quella di Wardak, dove secondo gli alti gradi i negoziati hanno portato alla resa di centotrenta uomini.
Nella provincia di Laghman le trattative che hanno portato alla resa dei sette avamposti sono durate una decina di giorni. Il signro Khadim è il decano del villaggio, e ha detto che diversi anziani hanno trattato con i comandanti di ogni avamposto.
"Noi gli assicuravamo la vita", ha detto. "Non c'era nulla di scritto, solo la nostra parola."
A qualche miglio di distanza il comandante Zindani ha rifiutato di cedere il suo sperduto avamposto a ridosso del fronte. Ha asserito che gli ufficiali che avevano trattato la resa di tre postazioni nelle vicinanze avevano tradito il loro paese.
Muhammad Agha Bambard è uno dei suoi uomini; ha detto che avrebbe combattuto per vendicare la morte di due fratelli che sarebbero stati uccisi dai talebani. Non si sarebbe mai arreso, ha detto.
I nove uomini del comandante Zindani potevano contare in tutto e per tutto su una mitragliatrice, un lanciarazzi e un Kalashnikov per uno, in un avamposto sgangherato e con le mura schizzate di sangue. Zindani era comunque intenzionato a resistere, e lo ha detto anche al comandante talebano che lo ha chiamato assiduamente al telefono pretendendo la sua resa.
"Gli ho detto che combatto per il mio paese," aveva detto Zindani. "Non sono qui per arrendermi."
Un componente del consiglio provinciale ha riferito che la domenica successiva, quattro giorni dopo, l'avamposto è stato sopraffatto durante uno scontro a fuoco con i talebani. Un poliziotto è stato colpito a morte e il comandante Zindani e i suoi uomini disarmati sono stati fatti prigionieri.
Poche ore dopo i talebani hanno pubblicato un video in cui si vede Bambard interrogato da un comandante talebano; è sdraiato su un materasso, col viso e il collo bendati. Il comandante gli chiede in tono di scherno perché avesse scritto sulla sua pagina Facebook che lui vivo il nemico non avrebbe conquistato la postazione.
"Qui siamo in Afghanistan," ha risposto il ferito.


David Zucchino e Najim Rahim.
Zabihullah Ghazi e Jim Huylebroek hanno contribuito dalla provincia di Laghman.