mercoledì 31 ottobre 2018

Alastair Crooke - I fondamenti metafisici dell'attuale angoscia globale



Traduzione da Strategic Culture, 20 agosto 2018.


In uno scritto dal titolo Lenin aggiornato James Jatras, ex diplomatico statunitense, pone un interrogativo molto pertinente. Per prima cosa racconta di come il Presidente Trump abbia incontrato il Presidente Putin e sembra aver fatto qualche progresso nell'alleviare le tensioni bilaterali. "Immediatamente si scatena il putiferio: Trump viene chiamato traditore. In senato arriva il maledetto atto sulle sanzioni, e Trump è costretto a mettersi sulla difensiva."
A quel punto il senatore Rand Paul si reca da Putin a Mosca, nota Jatras.  Paul porta una lettera del presidente degli USA, in cui si propongono moderati passi verso la distensione. Rand Paul incontra dei senatori russi e li invita a Washington per continuare i colloqui; "immediatamente si scatena il putiferio: Paul viene chiamato traditore. Il Dipartimento di Stato scopre che i russi sono colpevoli di aver fatto ricorso ad armi chimiche illegali (nel Regno Unito)... ed impone delle sanzioni. Trump è costretto a mettersi ancora di più sulla difensiva."
Chiaramente Trump è stato fin dal principio "percepito dai globalisti fautori dell'ordine neoliberista come un pericolo mortale per il sistema cui essi devono la propria ricchezza," osserva Jatras. Il grosso interrogativo che Jatras avanza in seguito a quanto accaduto è come può una tale isteria collettiva essersi sviluppata in un'ostilità talmente viscerale che parti dello establishment anglosassone si ritrovano pronte a intensificare l'ostilità verso la Russia fino al punto di rischiare un "conflitto [nucleare] catastrofico e inarginabile". Come mai la passione delle élite per la salvezza del globalismo è tanto forte da pretendere che esse rischino l'estinzione del genere umano? Jatras ipotizza che ci si trovi ad avere a che fare con impulsi psicologici oltremodo potenti.
Jatras risponde evocando lo spirito dell'epoca di Lenin, quel 1915 in cui egli considerò l'idea di una guerra civile interna alla Russia intesa come contraria alla Russia in quanto tale, contro la sua storia, la sua cultura, la sua relgione, il suo retaggio intellettuale e politico. Dieci milioni furono le vittime del repulisti; Lenin disse allora "Io sputo sulla Russia. [Il massacro non è che] una tappa che dobbiamo affrontare sulla strada che porta alla rivoluzione mondiale [ovvero, secodo la sua concezione di un comunismo universale]."
Nel suo libro Black Mass il professor John Gray nota che "il mondo in cui ci troviamo... è cosparso dei rottami di progetti utopistici che, seppure inquadrati in un contesto laico che negava verità alla religione, erano di fatto il veicolo di miti religiosi." Ispirati dall'umanesimo dei Lumi di Rousseau giacobini rivoluzionari scatenarono il Terrore come violenta rappresaglia per la repressione delle élite. I boscevichi trotzkisti massacrarono milioni di persone in nome di una rifondazione dell'umanità alla luce dell'empirismo scientifico; i nazisti fecero qualcosa di simile in nome del razzismo scientifico di stampo darwiniano.
Tutti questi progetti utopistici (e assassini) sono effettivamente il frutto di un tipo di pensiero meccanicistico, a binario unico, che si è evoluto in Europa nel corso dei secoli e che, almeno per il caso del pensatore europeo occidentale, ha generato l'imperturbabile sensazione di essere nel giusto.
Queste certezze, che si presumono frutto di empirismo e che sono ormai radicate nell'ego umano, hanno innescato il risveglio di nozioni apocalittiche che appartengono alla precedente concezione giudaico-cristiana: la storia sarebbe stata in qualche modo un percorso diretto a una qualche trasformazione della condizione umana, qualcosa di diretto ad una fine in cui tremenda sarebbe stata la punizione dei corrotti e in cui un mondo radicalmente nuovo e redento avrebbe atteso gli eletti. Nel mondo di oggi, essa non è mossa da un atto divino, ma "organizzata" dai Lumi umani.
La redenzione del mondo dalla suo stato di corruttela doveva essere portata in essere tramite i principi illuministici della razionalità e della scienza. Ci si aspettava che un'era di pace avrebbe fatto seguito alla fine dei tempi.
Questi rivoluzionari millenaristi, esponenti del nuovo scientismo che speravano di imporre alla storia uno squassante punto di discontinuità in cui il corpo politico sarebbe stato purgato dei difetti della società umana, non erano in ultima analisi altro che alfieri laici del mito apocalittico ebraico e cristiano.
Il mito millenarista ameriKKKano, allora come oggi, aveva -ed ha- le proprie radici nella fervida convinzione che gli USA abbiano un destino manifesto, una "nuova Gerusalemme", che rappresenta la migliore speranza dell'umanità per un futuro utopistico. La credenza in un destino speciale si riflette nella convinzione che gli USA debbano guidare, o meglio, che abbiano il dovere di costringere, l'umanità sulla via che porta al futuro.
Si potrebbe eccepire che l'originario umanesimo illuminista, ricco di "buoni propositi", non ha alcun rapporto col giacobinismo o con il bolscevismo trotzkista. In pratica però le somiglianze sono sostanziali: sono tutte varianti laiche di un utopistico percorso di redenzione di un'umanità imperfetta. Una cerca di redimere l'umanità attraverso la distruzione rivoluzionaria dei settori sociali irredimibili. L'altra colloca le radici della redenzione in un processo teleologico di fusione delle identità culturali e cerca anche di indebolire il senso di appartenenza che deriva dai legami di sangue e dal territorio, in modo da creare una tabula rasa su cui possa fondarsi una nuova identità cosmopolita, omogeneizzata e non nazionale, che sarà sia pacifica che democratica.
L'obiettivo è rappresentato da una società globale cosmopolita liberata dalle pastoie della religione, della cultura nazionale, della comunità, del genere e della classe sociale. La tolleranza un tempo ritenuta componente essenziale della libertà ha subìto una metamorfosi orwelliana da cui è riemersa con connotati opposti, come strumento di repressione. Qualsiasi leader nazionale che si schieri contro questo progetto, qualsiasi cultura nazionale contraria, qualsiasi orgoglio nazionale che sottolinei i progressi compiuti da un qualche paese in particolare costituiscono chiaramente un ostacolo per questa prospettiva universalistica, e devono essere distrutti. Insomma, i millenaristi di oggi possono anche rifuggire dalla ghigliottina, ma sono esplicitamente coercitivi, anche se in maniera diversa, nei confronti della progressiva "cattura" della narrativa e delle istituzioni statali.
Dunque, c'è in vista uno spazio globale che riconoscerà una sola umanità internazionale e globale. Un quadro molto simile a quello che volevano i trotzkisti.
Allora, com'è stato precisamente che la Russia e il signor Putin sono diventati l'antitesi di questo progetto utopistico, e hanno innescato tali isterici timori nelle élite globaliste?
Sono dell'idea che la cosa sia nata da una sempre crescente consapevolezza delle élite occidentali che tanto il monoteismo formale giudaico cristiano (e latino) che ha conferito all'Europa occidentale la propensione ad insistere sulla propria specificità e sul proprio itinerario lineare quanto l'ideologia millenaristica laica che lo accompagna sono entrambi in discussione e sono entrambi in declino.
Henry Kissinger afferma che l'Occidente (e dunque la NATO) sta sbagliando a "pensare che esista una sorta di evoluzione storica destinata a percorrere l'Eurasia, senza capire che da qualche parte in questo percorso essa si imbatterà in un'entità molto diversa da quella westphaliana [l'idea occidentale di stato liberaldemocratico orientato verso l'economia di mercato]." Ormai è ora di abbandonare "le vecchie pretese," sottolinea Kissinger, perché "ci troviamo in un'epoca molto, molto grave per tutto il mondo."
Non c'è dubbio che all'indebolirsi della religione rivelata e della sua controparte utopistica laica sia collegato il generale crollo delle certezze ottimistiche che fa capo all'idea di una concezione lineare del progresso, certezze in cui sono in molti -specie tra i giovani- a non credere più, a fronte del mondo reale.
Quello che davvero infastidisce le élite globalistiche è la tendenza contemporanea, manifestatasi soprattutto in Russia, verso un pluralismo che tiene conto in ciascun caso della cultura, della storia, della religiosità, dei legami di sangue e di lingua, e che vede in questo riappropriarsi dei valori tradizionali il modo per restituire sovranità a ciascun popolo. Il concetto russo di Eurasia contempla culture diverse autonome e sovrane; almeno implicitamente, rappresenta un rifiuto della teologia latina centrata sull'uguaglianza e dell'universalismo riduttivo al quale si arriverebbe tramite la redenzione.
L'idea invece è quella di un raggruppamento di nazioni, ciascuna delle quali guarda alla propria cultura e alla propria identità primordiale; questo significa che la Russia è russa secondo la propria concezione culturale russa, e non si permette di farsi costringere a imitare le tendenze all'occidentalizzazione. Il punto debole, in questo raggruppamento di nazioni euro asiatiche, che le identità culturali sono complesse e dalla storia multiforme. Esse sfuggono all'ossessione imperante per la riduzione di ogni nazione ad una singolarità di valore e ad una singolarità di significato. Il terreno per la collaborazione e per il dialogo si amplia al di là del "noi contro di loro", per abbracciare i multiformi strati delle identità complesse e dei relativi interessi.
Perché tutto questo sembra tanto diabolico alle élite globali occidentali? Perché atteggiamenti tanto isterici? Bene: esse intravedono nella dottrina euroasiatica come la intendono i russi (e più in generale nel populismo) una versione camuffata dei vecchi valori presocratici: per gli antichi, tanto per fare un esempio, il concetto stesso di "uomo" in quel senso non esisteva. Esistevano invece gli uomini: i greci, i romani, i barbari, i siriaci e così via. Una concezione ovviamente opposta a quella dell'" uomo" universale e cosmopolita.
Dopo che l'impero romano ebbe fatto proprio il cristianesimo come forma dissidente e occidentalizzata dell'ebraismo, né l'Europa né il cristianesimo rimasero più fedeli alle proprie origini o alla propria stessa natura. Il monoteismo assoluto, nella sua forma dualistica, era profondamente estraneo alla mentalità europea. Il cristianesimo latino dapprincipio tentò senza molto successo di reprimere i valori antichi, per poi decidere che era meglio cercare di assimilarli al proprio interno. Il cristianesimo ortodosso russo è riuscito a mantenere una propria linea, mentre la Chiesa di Roma ha sofferto molte crisi, non ultime quella dell'illuminismo e quella della dissidenza protestante che ha percorso l'Europa occidentale.
Le élite fanno bene a mostrarsi timorose. Nella modernità scompare qualsiasi norma esterna al di là del conformismo civile che possa guidare l'individuo nella propria vita e nelle proprie azioni, e l'incoraggiato sradicamento dell'individuo rispetto a qualsiasi forma di struttura (classi sociali, chiesa, famiglia, società e genere) ha prodotto un recupero in qualche modo inevitabile di concetti rimasti comunque latenti e semidimenticati.
Tutto questo rappresenta il ritorno a vecchi sistemi di valori, una religiosità quieta; un voltarsi indietro per sentirsi ancora nel mondo e parte di esso. Questi vecchi sistemi di valori sono di fatto rimasti immutati, sia pure sotto i paludamenti del cristianesimo, insieme ai loro miti fondanti e a concetto di un ordine cosmico (il maat egiziano) che ancora turbina ai livelli più profondi dell'inconscio collettivo. Ovviamente non può esistere un ritorno all'antico in tutto dappertutto. Non può trattarsi della semplice restaurazione di quanto esisteva un tempo. Si tratta di un qualcosa da portare avanti come se la giovinezza dovesse rifiorire, secondo il concetto dell'eterno ritorno, a partire dalla nostra stessa decomposizione.
Lo studioso dell'Islam Henri Corbin osservando una volta in Iran un cartellone in cui si vedevano le forme di vasellame di varia foggia tratteggiate sul pannello posteriore di legno di un armadietto, penso che seppure non c'erano più gli ingombri solidi del vasellame in qualche modo era ancora presente lo spazio che avevano occupato, sia pure sotto la forma di un vuoto segnato da una linea. I vecchi concetti e i vecchi valori allo stesso modo hanno lasciato i loro contorni. Ed è questo probabilmente che sta facendo impazzire le élite globaliste: 500 anni fa l'illuminismo travolse il breve rifulgere del mondo antico in Europa che viene chiamato Rinascimento. Adesso le cose stanno in modo opposto, ed è il mondo delle élite di oggi che sta crollando su se stesso. Cose che si pensavano sconfitte al di là di ogni possibilità di recupero stanno cautamente riemergendo dalle rovine. La ruota del tempo gira e ancora una volta ha compiuto il suo percorso. Le cose possono mettersi male, perché il pensiero lineare e a binario unico impiantato in Occidente possiede una intrinseca propensione al totalitarismo. Staremo a vedere.
Come allora, quando l'illuminismo fece strame delle vecchie convinzioni bandendo qualsiasi cosa fosse delfica e imperscrutabile con i bagliori laser del suo scetticismo radicale e causando tensioni psicologiche gravissime (più di 10.000 europei finirono bruciati vivi durante l'isterica caccia alle streghe) oggi ci troviamo davanti a un'ondata ancora incipiente di alterità che emerge dai più profondi livelli della psiche umana per scagliarsi sulle granitiche certezze autocoltivate dell'illuminismo. Le tensioni e l'isteria la seguono, in una maniera simile.
Questo ritorno sta facendo letteralmente impazzire uomini e donne; stanno diventando pazzi quanto basta per rischiare una guerra catastrofica pur di non abbandonare il mito dell'AmeriKKKa e del suo destino manifesto e di non riconoscere i difetti del loro modo di pensare, foriero di divisioni radicali in un mondo che invece va ricondotto a una qualche convergenza.

lunedì 29 ottobre 2018

Alastair Crooke - Arriva l'accordo di Trump su stato sionista e Palestina. Gli arabi sentono odor di fregatura... e di umiliazione in arrivo.



Traduzione da Strategic Culture, 13 agosto 2018.

"Le sanzioni contro l'Iran sono state varate ufficialmente. Si tratta delle sanzioni più severe mai imposte, e a novembre verranno ulteriormente inasprite. Io sto chiedendo la PACE NEL MONDO, niente di meno!"
"Io sto chiedendo la pace nel mondo"? Cosa diavolo significa questo messaggio che il Presidente Trump ha scritto su Twitter? Questo messaggio non è assolutamente confacente al pragmatismo di un uomo d'affari di New York; vuole forse dire che Trump intende mancare di rispetto ad Obama? Che vuol far implodere l'Iran per far tornare gli Stati Uniti il leader in campo energetico? O forse che tolto di mezzo l'Iran si libererà per tutti gli Stati arabi sunniti desiderosi di percorrerlo il cammino fin qui precluso che porta alla normalizzazione dei rapporti e dei traffici con lo stato sionista?
Il curioso utilizzo del maiuscolo per l'espressione PACE NEL MONDO implica il fatto che Trump ha una visione un po' più ampia al di là di questa nuova guerra deliberata contro l'Iran. PACE NEL MONDO fa davvero pensare che Trump ci stia conducendo verso un destino preciso, un destino che non riguarda solo l'AmeriKKKa ma l'umanità intera, nientemeno. Si tratta di una visione apocalittica: un evento che non implica qualche cosa di malvagio, ma il fatto che l'implosione dell'Iran rivoluzionario condurrà in qualche modo l'umanità alla salvezza.
La certezza che i crimini e le follie del passato possano essere superati tramite una qualche onnicomprensiva trasformazione della vita umana è la versione laica di antiche credenze cristiane. L'idea stessa di un qualche accadimento in grado di trasformare l'umanità e di condurla alla salvezza alle proprie radici nelle certezze della religione, in questo caso la corrente apocalittica dell'ebraismo a cui è anche Gesù apparteneva, che venne assimilata dal cristianesimo primitivo.
Questo irrompere del pensiero religioso è farina del sacco di Trump? O forse gli arriva dalla conversione di Ivanka all'ebraismo ortodosso? O forse è emerso dalla base culturale evangelica di Trump e di Pence?
Non è dato saperlo. Ma una volta che ci si trasferisce nel campo della salvezza dell'umanità, abbiamo bisogno di ridefinire la nostra comprensione di quello che vi succede. Quando cerchiamo di capire Trump e lo stato sionista in particolare, possiamo aver bisogno di lasciar perdere l'immagine tipica del negoziatore immobiliare con la testa dura e pensare se non sia mosso da un qualche impulso religoso. In questo caso per avere qualche indizio su ciò che si nasconde dietro lo strano messaggio su Twitter di Donald Trump dobbiamo rifarci al pastore [evangelico] statunitense Robert Jeffress, che ha ricevuto esplicito mandato da Trump e dalla sua famiglia di recarsi a Gerusalemme per ufficiare la cerimonia che segnava il trasferimento in città dell'ambasciata statunitense. Jeffress afferma:
Nel corso della storia Gerusalemme è stata oggetto della devozione sia degli ebrei che dei cristiani, e [rappresenta] il fondamento della profezia [per cui Dio ha affidato per l'eternità la Terra Santa agli ebrei].
Vediamo di spiegare e di fare un po più di chiarezza sulla concezione religiosa che sottende al linguaggio piuttosto forte usato da Jeffress. Fin dai tempi dell'esodo, Israele ha costituito un popolo eletto e distinto. Scegliendosi un popolo e stringendo con esso un'alleanza, Yahvè ne ha fatto un popolo. Questo significa che Israele esisterà come popolo solo fino a quando riconoscerà Yahvè come proprio dio. E quello che vale per il popolo vale anche per il paese, perché solo in Eretz Israel, nella Terra d'Israele, la Torà può trovare piena realizzazione. Diccontro, Eretz Israel ha un significato (dal punto di vista religioso) soltanto finché la Torà vi viene rispettata. Di qui la specificità della terra oltre che del popolo.
Come già detto, la famiglia Trump ha mandato ad ufficiare la cerimonia di Gerusalemme una voce di questo genere. Magari si tratta di una scelta che ha un qualche significato. Altrimenti non avrebbe alcun senso quanto scritto da John Limbert, professore in pensione di studi mediorientali all'accademia navale statunitense ed ex vicesegretario per gli affari iraniani oltre che veterano dell'assedio all'ambasciata USA a Tehran:
Che cosa ha fatto il Presidente Trump? Ossessionato da Obama e con un debole per l'adulazione che gli tributano lo stato sionista e l'Arabia Saudita, ha rifiutato l'idea che la diplomazia potrebbe ottenere dalla Repubblica Islamica più di quanto abbiano ottenuto quarant'anni di inutile e reciproco battersi il petto.
Ha scelto un approccio che unisce bullismo, minacce, accuse e pretese irrealistiche con l'invito al dialogo. Con questo Trump si è assunto un rischio e ha offerto agli iraniani un regalo: l'occasione per dirgli di no, e per battere una potenza straniera forte e minacciosa.
In Iran ancora risuonano le parole che l'Ayatollah Ruhollah Khomeini pronunciò trent'anni fa. Famosa fu la risposta che diede a una domanda circa i negoziati con gli USA: "Perché mai la pecora dovrebbe negoziare con il lupo?" In altre parole, gli ameriKKKani non hanno alcun interesse ad accordarsi con noi: ci vogliono mangiare.
Trump ha infarcito il proprio esecutivo di gente che perora la causa del gruppo dissidente iraniano dei Mujaheddin del Popolo, che è ampiamente detestato; una setta stile Jonestown con un passato discutibile e un ancor più discutibile presente... Gli iraniani sanno che per quanto cattivo possa essere il governo attuale i Mujaheddin del Popolo sarebbero assai peggio, una versione iraniana degli khmer rossi.
Trump ha minacciato punizioni verso qualsiasi paese o qualsiasi società faccia affari con l'Iran, e di impedire a Tehran di vendere greggio. Lo stesso modo di fare degli inglesi nel periodo compreso fra il 1951 e il 1953, prima che si unissero alla CIA per mettere in atto un colpo di stato che rovesciasse il Primo Ministro nazionalista Mohammed Mossadeq. Trump ha minacciato chiaro e tondo di annichilire milioni di iraniani, e poi si è offerto di dialogare con chiunque, ovunque e in qualsiasi momento senza pregiudizi.
Allo stesso tempo il Segretario di Stato di Trump Mike Pompeo ha ulteriormente confuso il messaggio, quale che esso fosse. In un recente discorso tenuto a un pubblico di iraniano-ameriKKKani a Los ANgeles, Pompeo ha parlato dell'Iran come di "quel paese" e ha deplorato tutta la rivoluzione islamica disprezzando così il sacrificio dei milioni di iraniani che hanno combattuto e che sono morti per rovesciare la monarchia e per difendeer il loro paese dagli invasori iracheni. Dopo simili dichiarazioni le sue manifestazioni di rispetto per singoli iraniani e per l'antico retaggio culturale del paese perdono qualsiasi parvenza di sincerità.
Siamo chiaramente davanti ad un esperto statunitense di questioni iraniane profondamente frustrato. Frustrazione che forse è in parte dovuta a una lettura degli eventi dal punto di vista consueto alla politica estera statunitense, che è laico.
La professoressa Elizabeth Oldmixon spiega che per un certo settore della comunità [cristiana] evangelica statunitense "lo status dello stato sionista è veramente, veramente importante perché è in base a questo che essi concepiscono la fine dei tempi." E prosegue: "Quando parliamo di Terra Santa, della promessa della Terra Santa fatta da Dio, stiamo parlando di proprietà immobiliari su entrambe le rive del Giordano. QUindi l'idea di Grande Israele e l'espansionismo sono davvero importanti per questa collettività. Gerusalemme in questo ha un'importanza fondamentale. Essa viene considerata una capitale storica e biblica... Questa gente coltiva delle credenze millenaristiche e pensa che in futuro ci sarà un'età dell'oro in cui Cristo regnerà sulla terra; crede anche che prima del suo ritorno, ci sarà una tribolazione in cui Cristo sconfiggerà il male."
E quanto grande è questo settore? "Grosso modo è pari a un terzo della popolazione evangelica ameriKKKana, ovvero circa quindici milioni di persone."
Insomma, dagli USA ecco un triumvirato di emissari religiosi ortodossi che sono tutti membri della famiglia Trump o suoi ex servitori. La loro missione? La PACE NEL MONDO. Che cosa può mai indicare questo concetto, quando Trump ne parla in modo tanto enfatico da usare tutte maiuscole e inquadrandolo nel contesto delle sanzioni devastanti che intende imporre all'Iran, se non il desiderio di concretizzare l'idea de "la Terra Santa promessa per gli ebrei" e portare così a conclusione il lungo conflitto mediorientale? Anche la teologia indica che con la Salvezza anche la "pace" verrà ristabilita.
"Questi cristiani hanno qualcosa in comune con i sionisti religiosi che vivono nello stato sionista," aggiunge la Oldmixon come se si trattasse di una nota a margine nonostante sia un concetto fondamentale: "La generazione che ha fondato lo stato sionista era ampiamente laicizzata. Il loro sostegno in favore di uno stato ebraico non si basava su una profezia biblica. Gli ebrei religiosi sono sempre stati scontenti del fatto che la generazione fondatrice non fosse davvero motivata da una concezione religiosa del popolo ebraico e del suo posto nel mondo. Un'idea che gli evangelici di questo paese condividono: essi sostengono lo stato sionista per motivi religiosi."
Insomma, cosa sta succedendo davvero? Il Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu ha definito "una pietra miliare negli annali del sionismo e dello statyo sionista" il momento in cui la Knesset ha promulgato il mese scorso una legge fondamentale [eloquentemente chiamata "legge sullo stato-nazione"] che specifica come lo stato sionista sia "lo stato-nazione del popolo ebraico, in cui esso realizza il proprio diritto naturale, culturale, religioso e storico all'autodeterminazione."
La legge ha sancito in modo ancora più netto la differenziazione su base religiosa, prevedendo una clausola che punta a privilegiare soltanto le comunità ebraiche, definendo "lo sviluppo degli insediamenti ebraici come valore nazionale" e promettendo "di promuovere e di agevolare la loro fondazione e il loro consolidamento."
Nello stato sionista la legge è stata oggetto di critiche. Alla Knesset è stata approvata di misura, 62 voti contro 55. I detrattori sostengono che essa rappresenta una deviazione rispetto alla democrazia e all'uguaglianza di tutti i cittadini. Al momento, comunque, la nuova legge fondamentale non cambia nulla.
Status diversi dal punto di vista della legge e dei diritti politici sono già una realtà nello stato sionista, così come già esistono maniere legali per istituire comunità segregate. Non esiste alcun "diritto" all'uguaglianza davanti alla legge, e lo stato sionista non è uno stato di tutti i cittadini.
Il punto, in questo caso, non è tanto il problema della discriminazione che occupa i media, ma il passaggio dalla condizione di stato laico, così com'era stato concepito dai sionisti delle origini, alla condizione di stato che funziona secondo un movente religioso. In pratica lo stato sionista va verso una costituzione basata sui primi cinque libri del Vecchio Testamento, quelli che costituiscono la Torà. Una situazione simile a quella dell'Arabia Saudita, che afferma semplicemente che la sua costituzione è rappresentata dal Corano.
Come si è mossa dunque la famiglia Trump? Cosa possiamo concluderne? In primo luogo, Trump ha regalato Gerusalemme allo stato sionista; l'altro elemento profeticamente obbligatorio -dopo l'occupazione di tutta la Terra di Israele- per l'instaurazione di una Terra Santa ebraica. Nel frattempo Kushner si è mosso in modo da togliere di mezzo la questione dello status di rifugiati per i palestinesi del 1948 e per i loro discendenti, proponendo invece di sostenere economicamente i paesi di residenza per promuovere l'assimilazione dei rifugiati. Trump adesso si sta dedicando a disfare l'Iran, la bestia nera del progetto sionista, e si è impegnato a rendere pubblico il suo "accordo del secolo".
Ovviamente non sappiamo cosa esso contempli, ma Netanyahu ha appena messo a punto l'inquadramento legislativo (la legge sullo stato-nazione) in grado di facilitare la trasformazione dell'attuale stato sionista in uno stato religioso ebraico e "unitario". Non è una coincidenza che questo sia accaduto dopo che le forze di difesa dello stato sionista hanno riferito alla Knesset che la popolazione ebraica e quella non ebraica nella zona compresa fra il Giordano e il Mediterraneo sono numericamente pari, con sei milioni e mezzo di persone per parte. La legge sullo stato-nazione elimina effettivamente i rischi del pluralismo politico e dell'uguaglianza dei diritti politici.
Esistono resoconti che fanno pensare che nel piano di Trump gli USA potrebbero riconoscere per proprio conto, con una dichiarazione, uno stato palestinese senza però specificarne la collocazione e senza effettivamente accordargli gli attributi di uno stato. Uno stato meramente nominale, insomma. Senza Gerusalemme come capitale, senza ovviamente alcun diritto al ritorno per i profughi, senza riconoscimento dello status di rifugiati per i palestinesi del 1948 (così chiamati perché cacciati dalle loro case nel 1948) e probabilmente senza neanche un cenno alla questione degli insediamenti. Si capisce che al momento il testo dell'accordo è rimasto in sospeso, perché i partiti religiosi nella coalizione di Netanyahu non vogliono che si faccia neppure menzione di uno stato palestinese, sia pure a livello meramente nominale.
I funzionari della Casa Bianca dicono inoltre che se i palestinesi continuano a rifiutarsi di avere a che fare con il piano, che gli USA renderanno pubblico in ogni caso, inviteranno la destra religiosa dello stato sionista a imporre le condizioni che la favoriscono: l'annessione di terre nella West Bank e un'ulteriore espansione territoriale col pretesto di consolidare gli insediamenti ebraici ai sensi della legge sullo stato-nazione.
Sembra che il mondo arabo si stia svegliando. Gli arabi si stanno accorgendo che l'accordo del secolo sarà un'umiliazione per il loro prestigio, come umiliante fu il risultato della guerra dei sei giorni. L'obiettivo di Trump è sempre stato questo, instaurare uno stato degli ebrei? Forse che Limbert ha visto le cose al contrario? Invece che essere stati i sauditi ad adulare Trump, è stato Trump a sfruttare i punti deboli nel carattere di Mohammed bin Salman e a trascinare gli arabi in un progetto di cui non avevano afferrato la portata e il fondamento teologico?
In ogni caso il vento è ormai cambiato; re Salman ha tolto dalle mani di Mohammed bin Salman il dossier palestinese; ormai è un anno che il segreto avvolge i termini del famoso accordo del secolo, e fra i leader arabi l'impazienza sta crescendo. La loro condiscendenza non è più scontata: stanno sentendo odor di fregatura.
La ciliegina sulla torta? L'Iran non cederà sotto le sanzioni, e qualunque cosa accada dell'accordo di Trump uno stato sionista chiuso a fortezza su se stesso si troverà in una regione in cui il fuoco della politica si sposta lentamente ma decisamente verso l'alleanza di forze che ha avuto la meglio nell'epica contesa in Siria. Oggi sono l'Iraq, il Pakistan e la Turchia a guardare a est. Domani, quando l'assedio all'Iran si rivelerà un fiasco e l'accordo si rivelerà per quello che è, è possibile che anche alcuni paesi del Golfo (Dubai, il Kuwait ,l'Oman) si orientino come il Qatar verso l'asse Russia-Cina.

sabato 27 ottobre 2018

Alastair Crooke - A meno di una catarsi negli USA, un ordine mondiale basato su tre potenze è destinato a rimanere un sogno



Traduzione da Strategic Culture, 6 agosto 2018.

Il professor Michael Klare in un lungo scritto afferma che i discorsi della campagna presidenziale del 2016, anche se non menzionavano esplicitamente il concetto, tendevano comunque alla prospettiva di un mondo controllato da tre grandi potenze -USA, Cina e Russia- secondo modalità in cui non sarebbero mancati gomitate e spintoni, ma in cui le guerre sarebbero state poche.
Klare afferma che
La prova che Trump ha preso in considerazione un sistema internazionale di questo genere si possono trovare nei discorsi e nelle interviste della campagna del 2016. In essi, più volte ha denunciato la Cina per le sue pratiche commerciali spregiudicate e ha biasimato la Russia per il suo arsenale nucleare, ma non ha mai descritto i due paesi come nemici mortali. Si trattava di rivali o di concorrenti, con i cui capi si poteva comunicare e anche collaborare, nei casi in cui la cosa si rivelava vantaggiosa. Trump accusava d'altra parte la NATO di costituire un limite per la prosperità degli USA e per la loro facoltà di muoversi con successo nello scenario mondiale. Insomma, l'alleanza era assolutamente superflua se i suoi appartenenti non intendevano sostenere le idee di Trump sul come promuovere gli interessi ameriKKKani in un mondo altamente competitivo.
Sono argomenti senz'altro plausibili, e vari autori hanno sviluppato questa linea di pensiero arrivando all'assunto per cui nel 2016 Trump stava vagamente pensando a un grande accordo strategico che sarebbe stato il fondamento per la pace mondiale.
Probabilmente all'epoca le cose stavano così. Io sarei dell'opinione che una simile tesi non ha trovato buona conferma negli eventi, perché l'arte dell'accordo di Trump applicata al contesto geostrategico, come possiamo adesso notare, si fonda sulla pressione e sulla minaccia degli USA e sul costringere la controparte a capitolare. Una tattica che non lascia spazio ad alcuna speranza di arrivare a una concertazione fra tre potenze alla pari e degne di considerazione. Il metodo di Trump non prevede la presa in considerazione dell'altro ma solo pressioni, esercitate con ogni misura possibile, per garantire il predominio statunitense.
O forse -e si tratta di una valutazione che magari pecca di eccessiva generosità- le idee che Trump aveva nel 2016 erano troppo in anticipo sui tempi e hanno dovuto subire delle modifiche dopo una ruvida presa di contatto con la natura della macchina governativa statunitense. In questo caso sarà difficile che un qualsiasi partenariato a tre possa affermarsi prima che l'AmeriKKKa abbia affrontato una sorta di profonda catarsi. I suoi costituenti infatti, come ha detto un senatore statunitensi, semplicemente mancano degli strumenti culturali che gli servirebbero per contemplare l'idea di non essere "i primi al mondo".
Il professor Russell-Mead ha ripreso questa considerazione, scrivendo che la "metamorfosi dell'8 maggio" con cui Donald Trump è uscito dagli accordi sul nucleare iraniano ha rappresentato un cambiamento di direzione: un cambiamento che è il riflesso della "istintiva comprensione [da parte di Trump] del fatto che la maggior parte degli ameriKKKani sono tutt'altro che ansiosi di arrivare ad un mondo post ameriKKKano". I sostenitori del signor Trump non vogliono lunghe guerre, "ma non possono neppure essere persuasi ad accettare stoicamente il declino del paese".
È notevole il fatto che Russell-Mead colleghi saldamente il mutamento qualitativo deciso da Trump proprio alla "metamorfosi dell'8 maggio", che è stato il momento in cui il presidente ha abbracciato una volta per tutte la linea politica dello stato sionista che prevedeva l'uscita dall'accordo sul nucleare iraniano -decidendo di sanzionare e di mettere sotto assedio l'economia della Repubblica islamica dell'Iran- e che ha appoggiato la vecchia ma mai concretizzata idea di una NATO araba e sunnita capeggiata da Riyadh destinata a confrontarsi con l'Iran sciita.
Col passare del tempo è possibile che Trump si ricordi di Russell-Mead e arrivi alla conclusione che il professore aveva ragione, ovvero che quella specifica decisione ha rappresentato un punto di svolta per la sua presidenza. Una decisione che di fatto ha impedito di raggiungere qualsiasi grande accordo con la Russia o con la Cina. Ed è possibile che concluda che proprio in quel momento ha perso questa possibilità perché la Casa Bianca ha seguito bovinamente Netanyahu nel suo confronto con l'Iran. Ovviamente il disaccordo seminato dai servizi di intelligence politicizzati del Regno Unito e degli Stati Uniti ha ridotto lo spazio disponibile per le manovre politiche di Trump, ma non è certo questo uno dei motivi per cui Russia e Cina non hanno previsto di raggiungere un ampio accordo con Trump. L'Iran di per sé, invece, lo è.
Per quale motivo? Il professor Klare paradossalmente spiega a chiare lettere perché non ci sarà nessun ordine mondiale a tre: perché al centro della partnership strategica fra Russia e Cina c'era e continua ad esserci "la condanna dell'egemonia globale -il dominio di un singolo paese sulle vicende mondiali- insieme all'appello per l'istituzione di un ordine internazionale multipolare". In esso si trovano anche altri concetti fondamentali, compreso il rispetto incondizionato per la sovranità statale, la non interferenza negli affari interni degli altri stati e il perseguimento di vantaggi economici reciproci. [Il corsivo è dell'autore, N.d.T.]
Quando Trump ha fatto propria senza riserve la linea politica dello stato sionista (o meglio, quella di Netanyahu) si è dovuto prendere tutto il pacco. Il documento preparato nel 1996 per Benjaminh Netanyahu da un gruppo di studi capeggiato da Richard Perle e intitolato Clean Break faceva un tutt'uno degli schieramenti neoconservatori statunitensi e sionisti. Schieramenti che sono a tutt'oggi ancora uniti a livello ombelicale. La "squadra di Trump" oggi come oggi è infarcita di neoconservatori che odiano l'Iran senza alcuna riserva. Sheldon Adelson, un importante finanziatore politico di Trump, un sostenitore di Netanyahu e principale istigatore del trasferimento a Gerusalemme dell'ambasciata statunitense è dunque riuscito a collocare il proprio alleato John Bolton -un neoconservatore irriducibile- al posto di primo consigliere per la politica estera di Donald Trump.
Di fatto l' arte dell'accordo è stata trasformata dai neoconservatori in uno strumento per ampliare il potere ameriKKKano piuttosto che per adattare l'ordine economico mondiale in un modo accettabile all'asse Russia-Cina. E oggi come oggi non esiste alcun "vantaggio economico reciproco" che si possa vedere o di cui si possa fare menzione.
Insieme alla linea politica di Netanyahu Trump ha adottato politiche che puntano al rovesciamento del governo iraniano o almeno a far sì che che l'Iran sia costretto a cambiare atteggiamento al punto che i suoi leader siano costretti a rinnegare la rivoluzione iraniana. Con questo "prima lo stato sionista" Trump deve anche acconsentire all'esistenza di un anello di basi militari statunitensi intorno al Golfo destinate a contenere l'influenza iraniana e a sostenere concedendo armi il vecchio e superato progetto della NATO araba. Inoltre, con questo "prima lo stato sionista" non c'è da sorprendersi se Trump scopre che esistono ostacoli al ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria e dall'Afghanistan, laddove un Iran inteso come "attore malevolo da arginare" impedisce a Trump di mantenere l'impegno preso in campagna elettorale sul ritiro dal Medio Oriente.
Oltre al dato di fatto che l'Iran è un alleato strategico sia della Cina e della Russia, dal momento che occupa una posizione chiave sia nella strategia cinese basata sulle vie commerciali che in quella russa sulla supremazia continentale, la strategia che mette al primo posto lo stato sionista rappresenta un ottimo giustificativo per tutte le denunce che Cina e Russia hanno fatto e che continuano a fare: l'uscita degli USA da un accordo internazionale senza alcun motivo; il loro disprezzo per il diritto internazionale; l'insistenza soltanto loro per un assedio economico all'Iran; l'intromissione negli affari interni di un altro paese (con il rafforzamento della dissidenza di cui sono esponenti di Mujaheddin del Popolo), le prepotenze da padroni del vapore contro gli altri paesi affinché assecondino le sanzioni parate contro terzi e il rifiuto dei vantaggi economici reciproci. Trump ha superato ogni limite. Perché mai Russia e Cina dovrebbero fidarsi di lui. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si dice. L'AmeriKKKa è sempre l'AmeriKKKa.
Può essere che Trump avesse poca scelta e che la linea politica nei confronti dell'Iran abbia rappresentato in qualche modo una forzatura? Può essere che l'Iran sia stato il prezzo che gli è toccato pagare per mantenere i neoconservatori entro la portata  della Casa Bianca anziché fuori, per tutelarsi in qualche modo dalle trame di John Brennan e Robert Mueller? Forse gli servono sostenitori economici per la campagna presidenziale del 2020? Forse che a tanto può arrivare soltanto sostenendo senza riserve lo stato sionista?
O forse il suo far proprie le posizioni dello stato sionista, con la contemporanea ostilità verso l'Iran, è dovuta al suo ossessivo desiderio di disfare tutto ciò che Obama ha fatto? Altrimenti, è possibile che non si sia affatto trattato di una scelta strategica ma di una decisione viscerale, frutto dell'antica ostilità coltivata da Trump verso l'Iran e da una corrispondente predilezione verso lo stato sionista?
Su questo giudicherà la storia, ma intanto questi sono i fatti. Le motivazioni sono un'altra cosa, quello che conta è tutto qui: la politica di Trump in Medio Oriente è destinata al fallimento. Il popolo iraniano non si arrenderà mai. Trump è andato a mettersi all'angolo da solo, grazie a Bibi.
Oltretutto allo stato sionista l'accordo del secolo non frutterà assolutamente quel sostegno dei leader arabi che sembrava possibile all'inizio. Trump potrebbe anche imporre il suo progetto a fronte di nessun sostegno e di nessun consenso da parte dei palestinesi; in questo caso si tratterebbe in fin dei conti di una vittoria di Pirro che porterebbe molto danno agli USA.
Ormai è trascorso un anno e ancora restano da pubblicare i termini dell'accordo. Nel mondo arabo la musica sta cambiando: MbZ e MbS hanno perso il loro status di celebrità; MbS ha fatto carta straccia della questione palestinese e la guerra nello Yemen sta rosicchiando lo status di potenza regionale dell'Arabia Saudita. Di fatto, la guerra nello Yemen sta corrodendo la facoltà saudita di imporre qualunque cosa a chicchessia.
Esistono resoconti, e si tratta di resoconti credibili indicano che John Bolton "pensa di avere il diritto di trattare l'Iran come gli pare. Crede che potremmo [noi USA] combattere una campagna marittima nel Golfo Persico con poche o nessuna perdita e che se necessario [gli USA] possono bombardare il popolo iraniano per scatenare contro i mullah il rancore dovuto alle ristrettezze economiche. Pompeo è d'accordo con lui. Egli sta cercando di tenersi buono il presidente, intanto che persegue con intelligenza e senza chiasso gli obiettivi che condivide con Bolton."
"l'Iran non è l'Iraq," ha scritto Emile Nakleh, ex esperto sul campo della CIA per il Medio Oriente. Ha aggiunto laconicamente che "Trump e il Segretario di Stato Mike Pompeo dovrebbero essere già stati informati sulle differenze che ci sono fra i due paesi... L'Iran è una potenza militare credibile, con una portata regionale. La sua vicinanza geografica all'Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e ad altri paesi appartenenti al filoameriKKKano Consiglio per la Cooperazione nel Golfo rende questi ultimi troppo vulnerabili alle rappresaglie militari iraniane in caso di un attacco statunitense. Per l'Arabia Saudita e per i suoi vicini è molto difficile, nonostanti le batterie antimissile Patriot fornite dagli Stati Uniti proteggere le proprie infrastrutture petrolifere e gli acquedotti."
Forse Mike Pompeo ha avuto anche qualche informazione sugli sciiti e sulla straordinaria resistenza che storicamente hanno dimostrato a fronte di persecuzioni millenarie. L'Iran è il faro degli sciiti di tutto il mondo, sciiti che probabilmente costituiscono il 40% della popolazione mediorientale, e non il 10% come si pensa generalmente.
E Gli sciiti sono maestri della guerra asimmetrica.
Nel caso Trump decidesse di passare la parola alle armi, ecco Nakhleh che ripete l'ammonimento destinato ai responsabili della politica statunitense prima della guerra all'Iraq.
La "liberazione" per mano straniera di un dato paese dal suo stesso governo diventa molto velocemente una "occupazione". Non importa quanto un "liberatore" straniero cerchi di indorare la pillola con gli imperativi morali che sarebbero stati motivo del suo agire. Quando ho consigliato un individuo ai vertici della politica statunitense nell'imminenza della guerra in Iraq sul conto delle possibili reazioni del popolo iracheno alla guerra condotta dagli USA che si prospettava, esso mi ha risposto con sufficienza che "voialtri [la CIA di Nakhleh] dovete capire che noi siamo dei liberatori e non degli occupanti. Noi andiamo a salvare il popolo iracheno da quel tiranno." Io risposi che questa cosiddetta liberazione avrebbe avuto vita breve, e che il mondo islamico non avrebbe sostenuto una guerra statunitense contro l'Iraq, che sarebbe stata considerata come nient'altro che un'altra 'crociata cristiana' contro un paese musulmano."
La "decisione dell'8 maggio" di Trump e la relativa "metamorfosi" dello spirito di fondo della presidenza cui essa ha necessariamente condotto hanno privato il presidente degli USA di qualsiasi contropartita di un qualche conto da offrire a Putin, al di là di qualche colloquio da amiconi e di qualche piccolo accordo sulla Siria stretto lì per lì. Adesso non ha nulla, nemmeno i finti condomini sulla spiaggia in Corea come quelli con cui Trump ha cercato di convincere Kim Jong Un, capace di suscitare un minimo di interesse in mezzo al popolo iraniano.
A meno che gli USA non attraversino un qualche processo catartico, finanziario politico che sia, in grado di far loro abbandonare visioni utopistiche su un'AmeriKKKa la cui unica missione è redimere il mondo, nulla cambierà nella loro immagine. A meno che questo non succeda, continueremo con l'ordine o il disordine mondiale in cui ci troviamo. E continueremo a trovarsi in grave pericolo.