Traduzione da Strategic Culture, 20 agosto 2018.
In uno scritto dal titolo Lenin aggiornato James Jatras, ex diplomatico statunitense, pone un interrogativo molto pertinente. Per prima cosa racconta di come il Presidente Trump abbia incontrato il Presidente Putin e sembra aver fatto qualche progresso nell'alleviare le tensioni bilaterali. "Immediatamente si scatena il putiferio: Trump viene chiamato traditore. In senato arriva il maledetto atto sulle sanzioni, e Trump è costretto a mettersi sulla difensiva."
A quel punto il senatore Rand Paul si reca da Putin a Mosca, nota Jatras. Paul porta una lettera del presidente degli USA, in cui si propongono moderati passi verso la distensione. Rand Paul incontra dei senatori russi e li invita a Washington per continuare i colloqui; "immediatamente si scatena il putiferio: Paul viene chiamato traditore. Il Dipartimento di Stato scopre che i russi sono colpevoli di aver fatto ricorso ad armi chimiche illegali (nel Regno Unito)... ed impone delle sanzioni. Trump è costretto a mettersi ancora di più sulla difensiva."
Chiaramente Trump è stato fin dal principio "percepito dai globalisti fautori dell'ordine neoliberista come un pericolo mortale per il sistema cui essi devono la propria ricchezza," osserva Jatras. Il grosso interrogativo che Jatras avanza in seguito a quanto accaduto è come può una tale isteria collettiva essersi sviluppata in un'ostilità talmente viscerale che parti dello establishment anglosassone si ritrovano pronte a intensificare l'ostilità verso la Russia fino al punto di rischiare un "conflitto [nucleare] catastrofico e inarginabile". Come mai la passione delle élite per la salvezza del globalismo è tanto forte da pretendere che esse rischino l'estinzione del genere umano? Jatras ipotizza che ci si trovi ad avere a che fare con impulsi psicologici oltremodo potenti.
Jatras risponde evocando lo spirito dell'epoca di Lenin, quel 1915 in cui egli considerò l'idea di una guerra civile interna alla Russia intesa come contraria alla Russia in quanto tale, contro la sua storia, la sua cultura, la sua relgione, il suo retaggio intellettuale e politico. Dieci milioni furono le vittime del repulisti; Lenin disse allora "Io sputo sulla Russia. [Il massacro non è che] una tappa che dobbiamo affrontare sulla strada che porta alla rivoluzione mondiale [ovvero, secodo la sua concezione di un comunismo universale]."
Nel suo libro Black Mass il professor John Gray nota che "il mondo in cui ci troviamo... è cosparso dei rottami di progetti utopistici che, seppure inquadrati in un contesto laico che negava verità alla religione, erano di fatto il veicolo di miti religiosi." Ispirati dall'umanesimo dei Lumi di Rousseau giacobini rivoluzionari scatenarono il Terrore come violenta rappresaglia per la repressione delle élite. I boscevichi trotzkisti massacrarono milioni di persone in nome di una rifondazione dell'umanità alla luce dell'empirismo scientifico; i nazisti fecero qualcosa di simile in nome del razzismo scientifico di stampo darwiniano.
Tutti questi progetti utopistici (e assassini) sono effettivamente il frutto di un tipo di pensiero meccanicistico, a binario unico, che si è evoluto in Europa nel corso dei secoli e che, almeno per il caso del pensatore europeo occidentale, ha generato l'imperturbabile sensazione di essere nel giusto.
Queste certezze, che si presumono frutto di empirismo e che sono ormai radicate nell'ego umano, hanno innescato il risveglio di nozioni apocalittiche che appartengono alla precedente concezione giudaico-cristiana: la storia sarebbe stata in qualche modo un percorso diretto a una qualche trasformazione della condizione umana, qualcosa di diretto ad una fine in cui tremenda sarebbe stata la punizione dei corrotti e in cui un mondo radicalmente nuovo e redento avrebbe atteso gli eletti. Nel mondo di oggi, essa non è mossa da un atto divino, ma "organizzata" dai Lumi umani.
La redenzione del mondo dalla suo stato di corruttela doveva essere portata in essere tramite i principi illuministici della razionalità e della scienza. Ci si aspettava che un'era di pace avrebbe fatto seguito alla fine dei tempi.
Questi rivoluzionari millenaristi, esponenti del nuovo scientismo che speravano di imporre alla storia uno squassante punto di discontinuità in cui il corpo politico sarebbe stato purgato dei difetti della società umana, non erano in ultima analisi altro che alfieri laici del mito apocalittico ebraico e cristiano.
Il mito millenarista ameriKKKano, allora come oggi, aveva -ed ha- le proprie radici nella fervida convinzione che gli USA abbiano un destino manifesto, una "nuova Gerusalemme", che rappresenta la migliore speranza dell'umanità per un futuro utopistico. La credenza in un destino speciale si riflette nella convinzione che gli USA debbano guidare, o meglio, che abbiano il dovere di costringere, l'umanità sulla via che porta al futuro.
Si potrebbe eccepire che l'originario umanesimo illuminista, ricco di "buoni propositi", non ha alcun rapporto col giacobinismo o con il bolscevismo trotzkista. In pratica però le somiglianze sono sostanziali: sono tutte varianti laiche di un utopistico percorso di redenzione di un'umanità imperfetta. Una cerca di redimere l'umanità attraverso la distruzione rivoluzionaria dei settori sociali irredimibili. L'altra colloca le radici della redenzione in un processo teleologico di fusione delle identità culturali e cerca anche di indebolire il senso di appartenenza che deriva dai legami di sangue e dal territorio, in modo da creare una tabula rasa su cui possa fondarsi una nuova identità cosmopolita, omogeneizzata e non nazionale, che sarà sia pacifica che democratica.
L'obiettivo è rappresentato da una società globale cosmopolita liberata dalle pastoie della religione, della cultura nazionale, della comunità, del genere e della classe sociale. La tolleranza un tempo ritenuta componente essenziale della libertà ha subìto una metamorfosi orwelliana da cui è riemersa con connotati opposti, come strumento di repressione. Qualsiasi leader nazionale che si schieri contro questo progetto, qualsiasi cultura nazionale contraria, qualsiasi orgoglio nazionale che sottolinei i progressi compiuti da un qualche paese in particolare costituiscono chiaramente un ostacolo per questa prospettiva universalistica, e devono essere distrutti. Insomma, i millenaristi di oggi possono anche rifuggire dalla ghigliottina, ma sono esplicitamente coercitivi, anche se in maniera diversa, nei confronti della progressiva "cattura" della narrativa e delle istituzioni statali.
Dunque, c'è in vista uno spazio globale che riconoscerà una sola umanità internazionale e globale. Un quadro molto simile a quello che volevano i trotzkisti.
Allora, com'è stato precisamente che la Russia e il signor Putin sono diventati l'antitesi di questo progetto utopistico, e hanno innescato tali isterici timori nelle élite globaliste?
Sono dell'idea che la cosa sia nata da una sempre crescente consapevolezza delle élite occidentali che tanto il monoteismo formale giudaico cristiano (e latino) che ha conferito all'Europa occidentale la propensione ad insistere sulla propria specificità e sul proprio itinerario lineare quanto l'ideologia millenaristica laica che lo accompagna sono entrambi in discussione e sono entrambi in declino.
Henry Kissinger afferma che l'Occidente (e dunque la NATO) sta sbagliando a "pensare che esista una sorta di evoluzione storica destinata a percorrere l'Eurasia, senza capire che da qualche parte in questo percorso essa si imbatterà in un'entità molto diversa da quella westphaliana [l'idea occidentale di stato liberaldemocratico orientato verso l'economia di mercato]." Ormai è ora di abbandonare "le vecchie pretese," sottolinea Kissinger, perché "ci troviamo in un'epoca molto, molto grave per tutto il mondo."
Non c'è dubbio che all'indebolirsi della religione rivelata e della sua controparte utopistica laica sia collegato il generale crollo delle certezze ottimistiche che fa capo all'idea di una concezione lineare del progresso, certezze in cui sono in molti -specie tra i giovani- a non credere più, a fronte del mondo reale.
Quello che davvero infastidisce le élite globalistiche è la tendenza contemporanea, manifestatasi soprattutto in Russia, verso un pluralismo che tiene conto in ciascun caso della cultura, della storia, della religiosità, dei legami di sangue e di lingua, e che vede in questo riappropriarsi dei valori tradizionali il modo per restituire sovranità a ciascun popolo. Il concetto russo di Eurasia contempla culture diverse autonome e sovrane; almeno implicitamente, rappresenta un rifiuto della teologia latina centrata sull'uguaglianza e dell'universalismo riduttivo al quale si arriverebbe tramite la redenzione.
L'idea invece è quella di un raggruppamento di nazioni, ciascuna delle quali guarda alla propria cultura e alla propria identità primordiale; questo significa che la Russia è russa secondo la propria concezione culturale russa, e non si permette di farsi costringere a imitare le tendenze all'occidentalizzazione. Il punto debole, in questo raggruppamento di nazioni euro asiatiche, che le identità culturali sono complesse e dalla storia multiforme. Esse sfuggono all'ossessione imperante per la riduzione di ogni nazione ad una singolarità di valore e ad una singolarità di significato. Il terreno per la collaborazione e per il dialogo si amplia al di là del "noi contro di loro", per abbracciare i multiformi strati delle identità complesse e dei relativi interessi.
Perché tutto questo sembra tanto diabolico alle élite globali occidentali? Perché atteggiamenti tanto isterici? Bene: esse intravedono nella dottrina euroasiatica come la intendono i russi (e più in generale nel populismo) una versione camuffata dei vecchi valori presocratici: per gli antichi, tanto per fare un esempio, il concetto stesso di "uomo" in quel senso non esisteva. Esistevano invece gli uomini: i greci, i romani, i barbari, i siriaci e così via. Una concezione ovviamente opposta a quella dell'" uomo" universale e cosmopolita.
Dopo che l'impero romano ebbe fatto proprio il cristianesimo come forma dissidente e occidentalizzata dell'ebraismo, né l'Europa né il cristianesimo rimasero più fedeli alle proprie origini o alla propria stessa natura. Il monoteismo assoluto, nella sua forma dualistica, era profondamente estraneo alla mentalità europea. Il cristianesimo latino dapprincipio tentò senza molto successo di reprimere i valori antichi, per poi decidere che era meglio cercare di assimilarli al proprio interno. Il cristianesimo ortodosso russo è riuscito a mantenere una propria linea, mentre la Chiesa di Roma ha sofferto molte crisi, non ultime quella dell'illuminismo e quella della dissidenza protestante che ha percorso l'Europa occidentale.
Le élite fanno bene a mostrarsi timorose. Nella modernità scompare qualsiasi norma esterna al di là del conformismo civile che possa guidare l'individuo nella propria vita e nelle proprie azioni, e l'incoraggiato sradicamento dell'individuo rispetto a qualsiasi forma di struttura (classi sociali, chiesa, famiglia, società e genere) ha prodotto un recupero in qualche modo inevitabile di concetti rimasti comunque latenti e semidimenticati.
Tutto questo rappresenta il ritorno a vecchi sistemi di valori, una religiosità quieta; un voltarsi indietro per sentirsi ancora nel mondo e parte di esso. Questi vecchi sistemi di valori sono di fatto rimasti immutati, sia pure sotto i paludamenti del cristianesimo, insieme ai loro miti fondanti e a concetto di un ordine cosmico (il maat egiziano) che ancora turbina ai livelli più profondi dell'inconscio collettivo. Ovviamente non può esistere un ritorno all'antico in tutto dappertutto. Non può trattarsi della semplice restaurazione di quanto esisteva un tempo. Si tratta di un qualcosa da portare avanti come se la giovinezza dovesse rifiorire, secondo il concetto dell'eterno ritorno, a partire dalla nostra stessa decomposizione.
Lo studioso dell'Islam Henri Corbin osservando una volta in Iran un cartellone in cui si vedevano le forme di vasellame di varia foggia tratteggiate sul pannello posteriore di legno di un armadietto, penso che seppure non c'erano più gli ingombri solidi del vasellame in qualche modo era ancora presente lo spazio che avevano occupato, sia pure sotto la forma di un vuoto segnato da una linea. I vecchi concetti e i vecchi valori allo stesso modo hanno lasciato i loro contorni. Ed è questo probabilmente che sta facendo impazzire le élite globaliste: 500 anni fa l'illuminismo travolse il breve rifulgere del mondo antico in Europa che viene chiamato Rinascimento. Adesso le cose stanno in modo opposto, ed è il mondo delle élite di oggi che sta crollando su se stesso. Cose che si pensavano sconfitte al di là di ogni possibilità di recupero stanno cautamente riemergendo dalle rovine. La ruota del tempo gira e ancora una volta ha compiuto il suo percorso. Le cose possono mettersi male, perché il pensiero lineare e a binario unico impiantato in Occidente possiede una intrinseca propensione al totalitarismo. Staremo a vedere.
Come allora, quando l'illuminismo fece strame delle vecchie convinzioni bandendo qualsiasi cosa fosse delfica e imperscrutabile con i bagliori laser del suo scetticismo radicale e causando tensioni psicologiche gravissime (più di 10.000 europei finirono bruciati vivi durante l'isterica caccia alle streghe) oggi ci troviamo davanti a un'ondata ancora incipiente di alterità che emerge dai più profondi livelli della psiche umana per scagliarsi sulle granitiche certezze autocoltivate dell'illuminismo. Le tensioni e l'isteria la seguono, in una maniera simile.
Questo ritorno sta facendo letteralmente impazzire uomini e donne; stanno diventando pazzi quanto basta per rischiare una guerra catastrofica pur di non abbandonare il mito dell'AmeriKKKa e del suo destino manifesto e di non riconoscere i difetti del loro modo di pensare, foriero di divisioni radicali in un mondo che invece va ricondotto a una qualche convergenza.