venerdì 19 luglio 2024

Simone Cristicchi ricorda Giorgio Gaber. La Firenze Che Non Conta ricorda anche qualcos'altro

 

Firenze, 18 luglio 2024. Simone Cristicchi in piazza dell'Isolotto per la Gaberiana.

Firenze. Il 18 luglio 2024 Simone Cristicchi è stato ospite alla Gaberiana in piazza dell'Isolotto. Una iniziativa su Giorgio Gaber cui ha partecipato anche Paolo Jannacci e presentata da Andrea Scanzi.
Nel suo scambio con Cristicchi Scanzi ha ricordato anche lo spettacolo Magazzino 18, che nel 2014 fu oggetto al Teatro Aurora di Scandicci di una contestazione piuttosto partecipata ad opera della Firenze Che Non Conta.
Cristicchi ha assicurato che l'episodio -il più rimarchevole di una serie di accadimenti analoghi- avrebbe solo tirato la volata alla sua carriera teatrale, che il suo spettacolo non avrebbe mai avuto fini apologetici o propagandistici e che l'idea era quella di dare una visione "a volo d'uccello" degli eventi in Istra e Dalmacija negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Nel 2014 l'impressione non fu certo questa.
Wu Ming ospitò un lungo scritto dello storico Piero Purini dallo stimolante titolo "Quello che Cristicchi dimentica".
In questa sede riportammo invece un testo di Claudia Cernigoi, anch'esso difficile da considerare un elogio.
Lo spettacolo -ha assicurato poi Cristicchi- lasciò entusiasta l'allora borgomastro Matteo Renzi, che avrebbe auspicato una nuova rappresentazione a Firenze: sarebbe stato davvero il benvenuto, gli disse per telefono.
"Sono passati dieci anni e non l'ho più sentito".
Probabile che il ben vestito Renzi si entusiasmi facilmente e altrettanto facilmente passi ad altro, si potrebbe dire con un po' di understatement.
La Firenze Che Non Conta invece non è altrettanto facile agli entusiasmi.
E soprattutto non passa facilmente ad altro.
I temi cari alla propaganda -in una città dove il verde, il bianco e il rosso a bande verticali di uguali dimensioni sono spesso tollerati- erano, sono e sperabilmente saranno problematici e controproducenti.


Firenca je naš!

...Firenca je naš!

martedì 16 luglio 2024

Alastair Crooke - Francia: l'Operazione Jupiter e la rivoluzione che incombe


Luglio 2024. Le elezioni politiche francesi come dubbio argine al populismo

Traduzione da Strategic Culture, 15 luglio 2024.

Le élite di Bruxelles hanno tirato un lungo sospiro di sollievo: la Destra francese è stata bloccata. I mercati hanno fatto spallucce compiaciuti: occorre che tutto cambi perché nulla cambi, e il Centro troverà senz'altro un modo.
Macron è riuscito a bloccare la destra e la sinistra populista imponendo lo scavo di una trincea centrista che bloccasse entrambi i poli. Un blocco tattico che ha avuto successo.
Il partito di destra della Le Pen -con il 32% dei voti espressi- ha ottenuto 125 seggi: appena il 22% del totale. La sinistra ha ottenuto 180 seggi con una quota del 26% dei voti, il blocco Ensemble di Macron ha ottenuto 159 seggi con il 25% dei voti.
Nessun partito tuttavia ha abbastanza seggi per governare: di solito sono necessari circa 240-250 seggi. Se dobbiamo considerarla una vittoria si tratta senz'altro di una vittoria di Pirro. Le sinistre comprendono uno spettro di posizioni opposte -dagli anarchici ai leninisti contemporanei- in cui il nucleo di Melenchon non collaborerà mai con i centristi di Macron, né con i seguaci della Le Pen.
Lo storico Maxime Tandonnet afferma che pensare che Macron abbia ottenuto qualcosa di diverso da un fiasco costituisce un'interpretazione degli eventi eroicamente errata:
L'operazione Jupiter è degenerata nel peggior scenario possibile. È una impasse totale.
È impossibile formare un governo che funzioni partendo da un parlamento che è una mischia. Macron ha rifiutato le dimissioni del premier perdente, chiedendogli di rimanere ad interim.
Ebbene, come osserva Henri Hude, ex direttore della ricerca dell'Accademia militare di Saint-Cyr:
Nessuno può dubitare che in Francia sia in atto una rivoluzione. Le spese dello Stato e del Welfare State superano di gran lunga risorse che è quasi impossibile aumentare in modo significativo, sia attraverso la crescita economica sia attraverso la tassazione...
L'unico modo per lo Stato di far quadrare i conti è quello di accumulare un debito crescente, che può essere sostenuto solo da tassi di interesse molto bassi, ma soprattutto dalla possibilità di emettere denaro all'infinito, "dal nulla", grazie al legame privilegiato dell'euro con la Germania [alto rating per i Bund a 10 anni].
Se queste condizioni agevolate dovessero venire meno, "i finanzieri sono dell'idea che la Francia dovrebbe tagliare gli stipendi dei suoi dipendenti pubblici -o ridurne il numero- di circa un terzo, e le pensioni di tutti di un quinto. Questo è ovviamente irrealizzabile".
"Quello che viene definito debito in realtà è un insieme di deficit di bilancio e di deficit commerciale e sarebbe stato eliminato trent'anni fa con la svalutazione della moneta nazionale.
Solo che questo artificio del debito [va sempre più a beneficio dei ricchi]... mentre la popolazione in generale non smette di lamentarsi mentre vive in una specie di sogno roseo tenuta com'è nella più cieca ignoranza circa lo stato delle nostre finanze... Detto questo, la classe dirigente è ben consapevole della situazione, ma preferisce non parlarne, perché nessuno sa cosa fare".
Non c'è dubbio che al momento della verità, quando gli Stati inizieranno a dichiarare fallimento... l'Occidente sarà scosso nel profondo; alcuni di essi salteranno come tappi di champagne. L'economia dovrà essere riorganizzata. Forse assisteremo anche a una rivoluzione culturale. È stato il fallimento dello Stato francese -non dimentichiamolo- a provocare la Rivoluzione francese...
Ma ci si può chiedere: perché questo [comportamento monetario scriteriato] non può continuare all'infinito? Questo è ciò che scopriremo, ma non è ancora il momento.
Oggi, ancor prima che venga dichiarata la bancarotta, la perdita di fiducia nelle istituzioni, l'impotenza dei poteri pubblici orbati di prestigio e di autorità, e l'insofferenza verso il Presidente fanno prevedere l'energia dell'onda d'urto che si scatenerebbe se questo fallimento venisse all'attenzione del pubblico. Uno scenario "alla greca" è improbabile in Francia. Meglio puntare su qualcos'altro (inflazione controllata e svalutazione dell'euro?).
Naturalmente, la Francia non è sola. "Il sistema dell'euro avrebbe dovuto costringere i Paesi dell'euro a comportarsi in modo saggio e virtuoso in campo finanziario. Invece è successo il contrario". Il solido credito della Germania ha permesso agli altri Stati dell'UE di "appoggiarsi" pesantemente al rating privilegiato tedesco per autoindulgere a un debito incommensurabile, mantenendo artificialmente bassi i livelli di debito sovrano dell'UE.
Finché dura la posizione privilegiata del dollaro USA dovrebbe reggere anche quella dell'euro, se non fosse che la guerra in Ucraina sta rovinando in primo luogo l'industria tedesca. La Francia deve già affrontare una procedura per deficit eccessivo da parte dell'UE, al pari di altri Stati membri. La Germania ha messo un freno al debito e deve effettuare tagli per quaranta miliardi di euro. Nella maggior parte dell'Eurozona sono in atto misure di austerità.
Il dollaro USA, che occupa il vertice di questa piramide liberale del debito, si sta sgretolando di pari passo con l'ordine mondiale basato sulla supremazia occidentale. Le placche geostrategiche del mondo -così come il suo Zeitgeist culturale- si stanno spostando.
In parole povere, il problema messo inavvertitamente in luce da Macron è insolubile.
Potremmo definire l'etica emergente come quella di un "nuovo populismo". Scrive Jeffrey Tucker:
Non è né di destra né di sinistra, ma prende in prestito temi del passato da entrambe le parti. Dalla cosiddetta "destra" deriva la convinzione che le persone possano decidere della propria vita e delle proprie comunità meglio di quanto non potrebbero farlo affidandosi a una autorità apicale. Dalla vecchia sinistra, il nuovo populismo prende la rivendicazione della libertà di parola, i diritti fondamentali e un profondo sospetto nei confronti del potere economico e governativo.
Il punto fondamentale è rappresentato dallo scetticismo nei confronti delle élite potenti e radicate. Questo vale per tutti i settori. Non riguarda solo la politica. Riguarda i media, la medicina, i tribunali, il mondo accademico e ogni altro settore di alto livello, in ogni Paese. Si tratta davvero di un cambiamento paradigmatico. Non sembra un fenomeno temporaneo, sembra un fenomeno sostanziale e probabilmente duraturo.
Quello che è successo negli ultimi quattro anni ha scatenato un'ondata di sfiducia di massa [e una pari sensazione che le élite non abbiano legittimità] che era andata accumulandosi per decenni.
Il filosofo Malebranche scriveva (1684) nel suo Traité de Morale: "Gli uomini perdonano tutto, tranne il disprezzo":
Una élite che viene meno ai suoi doveri viene chiamata elitista; da quel momento in poi, la sua attività sembrerà ingiusta e illegittima, ma soprattutto la sua stessa esistenza costituirà un affronto. È questa la fonte dell'odio, della trasformazione dell'emulazione in gelosia, della gelosia in sete di vendetta e, di conseguenza, in guerre.
Cosa fare allora?
Per ripristinare l'ordine statunitense e per mettere a tacere il dissenso, si riteneva necessaria una vittoria della NATO:
Il più grave azzardo e il più grande prezzo per la NATO oggi è il rischio di una vittoria russa in Ucraina. Non possiamo permetterla", ha dichiarato il Segretario Generale Stoltenberg in occasione dell'anniversario della NATO a Washington. "L'esito di questa guerra determinerà la sicurezza globale per i decenni a venire.
Un tale risultato in Ucraina -contro la Russia- sarebbe stato quindi considerato da alcuni a Washington come forse sufficiente a far rinsavire gli Stati ribelli che commerciano in dollari e a ristabilire la supremazia occidentale in tutto il mondo.
Per molto tempo essere un protettorato statunitense è stato tollerabile, persino vantaggioso. Ora non più: L'AmeriKKKa non incute più alcuna soggezione. I tabù stanno crollando.
L'ammutinamento contro l'Occidente postmoderno è mondiale. Ed è chiaro alla maggioranza globale che la Russia non può essere sconfitta militarmente. Sarà la NATO a essere sconfitta.
Ecco il punto debole dell'impresa: Biden potrebbe non restare in circolazione ancora per molto. Tutti se ne rendono conto.
Alcuni leader dell'Unione Europea -quelli che stanno pericolosamente perdendo consenso politico in patria, mentre i cordoni sanitari che hanno eretto contro la destra e la sinistra danno segni di cedimento- potrebbero allo stesso modo vedere la guerra come la salvezza per una Unione Europea che si sta avvicinando a un naufragio fiscale senza rimedio.
La guerra infatti permette di infrangere tutte le regole fiscali e costituzionali. I leader politici si trasformano improvvisamente in comandanti in capo.
L'invio di truppe e l'offerta di jet da combattimento (e di missili a più lunga gittata) potrebbero essere interpretati come l'intenzione di puntare a una guerra europea di più ampia portata. Il fatto che gli Stati Uniti sembrino intenzionati a usare per gli F-16 delle basi in Romania potrebbe essere inteso come il modo per provocare una guerra in Europa e salvare le varie fortune politiche atlantiste che stanno correndo il rischio di un naufragio.
Per contro, esistono prove chiare che gli europei (88%) pensano che "i Paesi membri della NATO [dovrebbero] spingere per una soluzione negoziata in Ucraina". Solo una piccolissima minoranza di intervistati che ritiene che l'Occidente dovrebbe dare priorità a obiettivi come "indebolire la Russia" o "riportare i confini dell'Ucraina alla situazione precedente il 2022". Piuttosto, l'opinione pubblica europea si dimostra in maggioranza favorevole a obiettivi come "evitare l'escalation" e "evitare la guerra diretta tra potenze dotate di armi nucleari".
Ciò che è più probabile, a quanto pare, è che il sentimento contrario alla guerra represso in Europa finisca per esplodere, forse anche portando al rifiuto della NATO nella sua interezza. Per quanto riguarda l'idea che ha della NATO, Trump potrebbe quindi trovarsi a cercare di sfondare una porta aperta.

martedì 9 luglio 2024

Alastair Crooke - Ingannati e trattati come matti per anni in nome della "democrazia", e poi è crollato tutto in una notte

Alastair Crooke sul dibattito Biden - Trump del 27 giugno 2024.

  Traduzione da Strategic Culture, 8 luglio 2024.

Il direttore del Wall Street Journal Gerry Baker afferma: "Siamo stati "ingannati e trattati come matti per anni nel nome della 'democrazia'". Col dibattito fra i candidati alla presidenza degli USA tenutosi giovedi Questo inganno è "crollato" con il dibattito presidenziale di giovedì [27 giugno 2024, n.d.t.]".
"Finché il mondo non ha visto la verità [...] la finzione delle buone condizioni del signor Biden [contro] la 'informazione manipolata'... suggerisce che loro [i democratici] pensavano evidentemente di mandarla avanti e di poter farla franca.[Tuttavia] perpetuando questa finzione hanno anche rivelato il loro disprezzo per gli elettori e per la democrazia stessa".

Baker prosegue:
Biden ha avuto successo perché ha fatto dell'adeguarsi alla linea del partito la sua professione di una vita. Come tutti i politici in cui l'ego supera i talenti, si è fatto strada seguendo pedissequamente la linea del partito qualsiasi cosa essa dettasse... Infine, in un ultimo atto di servilismo partitico, è diventato il vicepresidente di Barack Obama. Il massimo del successo per chi non è una cima, ma è leale: la posizione di vertice per lo yes man sperimentato.
Solo che poi, proprio quando era pronto a scivolare verso un comodo e meritato oblio, il partito si è trovato ad aver bisogno di una punta di diamante... Cercavano una figura di riferimento leale e affidabile, una bandiera di comodo sotto cui far navigare il vascello progressista nei meandri più profondi della vita statunitense con la missione di far progredire lo statalismo, l'estremismo climatico e l'autolesionismo. Non c'era veicolo più affidabile e conveniente di Joe".
Se è così, allora chi è stato a comandare sul serio negli USA in questi anni?
"Voi [democratici in campagna elettorale] non potete ingannarci, imbrogliarci e trattarci come matti per anni su come quest'uomo abbia brillantemente assolto ai suoi compiti e come abbia costituito una forza risanatrice per l'unità nazionale - e ora che la verità è venuta a galla venirci a dire qualcosa come 'va bene, finisce qui, grazie a tutti e andiamo avanti'", avverte Baker.
[Adesso] le cose stanno andando terribilmente male. Gran parte del suo partito non ha più bisogno di lui... in un atto truffaldino di un cinismo straordinario [stanno cercando di] scambiarlo con qualcuno più utile alla loro causa. Una parte di me pensa che non dovrebbe essere permesso loro di farla franca. Mi trovo nella strana posizione di voler fare il tifo per il povero Joe borbottante... Sono tentato di dire alla macchina democratica che si mobilita freneticamente contro di lui: Non potete fare questo. Non potete ingannarci, dissimulare e trattarci come matti per anni.
Qualcosa di significativo è scattato all'interno del sistema. Si ha sempre la tentazione di ascrivere certi fatti alle contingenze immediate, ma persino Baker sembra alludere ad una serqua di inganni e di raggiri che va ben indietro nel tempo e che è venuta fuori all'improvviso solo adesso.
Alcuni accadimenti dall'apparenza effimera e contingente possono essere indicatori dell'esistenza di contraddizioni strutturali più profonde e non risolte.
Quando Baker scrive che Biden è l'ultima "bandiera di comodo" sotto cui i ceti dominanti hanno potuto far navigare il vascello progressista nei meandri più profondi della vita statunitense "con la missione di far progredire lo statalismo, l'estremismo climatico e l'autolesionismo" - sembra probabile che si riferisca agli anni Settanta, quelli della Commissione Trilaterale e del Club di Roma.
Gli anni '70 e '80 sono stati il momento in cui la lunga parabola del liberalismo tradizionale ha lasciato il posto a un "sistema di controllo" meccanicistico e dichiaratamente illiberale rappresentato da una tecnocrazia manageriale che oggi si spaccia per democrazia liberale senza esserlo.
Emmanuel Todd, storico e antropologo francese, esamina le dinamiche a lungo termine degli eventi che si svolgono nel presente: il principale agente di cambiamento che ha portato al declino dell'Occidente (La Défaite de l'Occident), egli sostiene, è stata l'implosione del protestantesimo di tipo anglosassone negli Stati Uniti e nel Regno Unito, insieme alle sue connotazioni fatte di lavoro, di individualismo e di industria; un credo tra le cui caratteristiche c'era la convinzione che la grazia divina si riflettesse nel successo sul piano materiale e, soprattutto, nel confermare in questo l'appartenenza ai prescelti da Dio.
Mentre il liberalismo tradizionale aveva punti fermi propri, il declino dei valori tradizionali ha innescato lo scivolamento verso la tecnocrazia manageriale e il nichilismo. Secondo Todd la religione in Occidente non è scomparsa, anche se vi è ridotta allo stato vegetativo. Società di questo genere, sostiene Todd, si trovano a galleggiare, in assenza di una sfera metafisica che faccia da guida provvedendo le persone di quanto attiene alla parte non materiale del sostentamento.
La nuova mentalità per cui solo una ricca élite finanziaria, gli esperti di tecnologia, i leader delle multinazionali e delle banche sono in possesso della lungimiranza e della comprensione tecnologica necessarie per manipolare un sistema complesso e sempre più controllato ha cambiato completamente tutto ciò che è politica.
I punti fermi sono scomparsi, al pari dell'empatia. In molti hanno sperimentato il freddo e distaccato disprezzo della tecnocrazia.
Quindi, quando un esperto editorialista del WSJ ci dice che dopo il dibattito fra Biden e Trump alla CNN non si può più ingannare o dare del matto a nessuno, dovremmo sicuramente prestare attenzione; sta dicendo che alla gente alla fine si sono aperti gli occhi.
A servire per dare di pazza alla gente è stata una democrazia di cartapesta, e anche quella dell'AmeriKKKa che si dichiara -nelle sue stesse leggi fondamentali- il pioniere e l'apripista dell'umanità: L'AmeriKKKa come nazione eccezionale: la sola, quella dal cuore immacolato, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli disprezzati e oppressi; l'"ultima e migliore speranza per il mondo".
La realtà era molto diversa. Naturalmente un paese sovrano può campare di menzogne anche per molto tempo. Il problema di fondo -il punto che Todd sottolinea in modo così convincente- è che si può anche riuscire a ingannare e manipolare la percezione del pubblico, ma solo fino a un certo punto.
La realtà era che la cosa non ha più funzionato.
Lo stesso vale per l'Europa. L'aspirazione dell'Unione Europea di diventare un attore geopolitico globale dipendeva dal fatto che l'opinione pubblica fosse convinta che la Francia, lo stato che occupa la penisola italiana, la Germania e così via potessero continuare a esistere come entità nazionali vere e proprie anche se l'UE si accaparrava subdolamente tutte le prerogative decisionali proprie degli stati nazionali. L'ammutinamento alle recenti elezioni europee è stato il riflesso di questo malcontento.
Naturalmente, le condizioni di Biden sono note da tempo. Chi ha gestito il potere prendendo quotidianamente decisioni critiche sulla guerra, la pace, la composizione del sistema giudiziario e i limiti dell'autorità statale? Il pezzo del WSJ fornisce una risposta: "Consiglieri non eletti, membri del partito, familiari intriganti e persone a caso prendono ogni giorno decisioni importanti" su questi temi.
Forse dobbiamo interiorizzare il fatto che Biden è un uomo arrabbiato e senescente che inveisce contro i propri collaboratori. "Durante le riunioni con gli assistenti che stanno preparando i briefing formali, alcuni funzionari di alto livello hanno talvolta fatto di tutto per presentare le informazioni nel tentativo di evitare di provocare una reazione negativa". "È come se dicessero: 'Non ci puoi mettere questo, lo farebbe arrabbiare' o 'Questo metticelo, gli piace'", ha detto un alto funzionario dell'amministrazione. "È una persona molto difficile e la gente ne è spaventata a morte". Il funzionario ha aggiunto: "Non accetta consigli da nessuno se non da quei pochi consiglieri che gli sono più vicini. Questo determina una tempesta perfetta perché si isola sempre di più e sfugge ai loro sforzi per controllarlo".
Seymour Hersh, il noto giornalista investigativo, riferisce che
La deriva di Biden verso il nulla è in corso da mesi, poiché lui e i suoi assistenti di politica estera hanno sollecitato per Gaza un cessate il fuoco che non avverrà mai, e al tempo stesso hanno continuato a fornire le armi che rendono meno probabile un evento simile. C'è un paradosso analogo in Ucraina, dove Biden ha finanziato una guerra che non può essere vinta rifiutandosi al tempo stesso di partecipare ai negoziati che potrebbero porre fine al massacro.
La realtà che sta dietro a tutto questo, come mi è stato detto per mesi, è che Biden semplicemente 'non c'è più', almeno dal punto di vista della comprensione di quanto siano contraddittorie le politiche che lui e i suoi consiglieri in politica estera hanno portato avanti.
Politico ci dice che "L'esperto e isolato gruppo più prossimo a Biden conosce bene gli assistenti di lunga data cui il presidente continua a prestare ascolto: Mike Donilon, Steve Ricchetti e Bruce Reed, e all'esterno della cerchia Ted Kaufman e Klain".
Sono sempre le stesse persone, non ci sono avvicendamenti da quarant'anni... Il numero di persone che possono rapportarsi direttamente col Presidente è diventato sempre più piccolo. Sono mesi che stanno scavando sempre più a fondo nel bunker". E, ha aggiunto lo stratega, "più si entra nel bunker, meno si dà ascolto a qualcuno".
Secondo le parole di Todd, le decisioni vengono prese da un piccolo "giro di Washington".
Naturalmente, Jake Sullivan e Blinken occupano il centro di quella che viene chiamata "visione inter-agenzia". È qui che si discute soprattutto di politica. Non brilla per coerenza dato che ha sede al Comitato per la Sicurezza Nazionale, ma in compenso si distribuisce attraverso una matrice di "gruppi" interconnessi che comprende il Complesso Industriale Militare, i leader del Congresso, i Grandi Donatori, Wall Street, il Tesoro, la CIA, l'FBI, alcuni oligarchi cosmopoliti e i principi del mondo della sicurezza e dell'intelligence.
Tutte queste importanti personalità fingono di avere una visione della politica estera e lottano accanitamente per proteggere l'autonomia del loro feudo. A volte incanalano il loro "parere" attraverso il Comitato per la Sicurezza Nazionale, ma se possono lo trasmettono direttamente all'uno o all'altro degli agenti fondamentali, tramite questo o quel "giro" di Washington.
In ogni caso la dottrina Wolfowitz del 1992 che sottolineava come gli USA dovessero mantenere ad ogni costo la propria supremazia in un mondo post-sovietico con la "eliminazione dei rivali, ovunque possano emergere", rimane ancora oggi la dottrina corrente che guida la linea politica della inter-agenzia.
I problemi insiti in un'organizzazione apparentemente funzionante possono persistere per anni senza che l'opinione pubblica ne sia realmente consapevole o riesca ad accorgersi di quando le cose cominciano a non funzionare. Ma poi all'improvviso -quando arriva una crisi o quando un dibattito nella corsa alla presidenza va come va- ecco che vediamo chiaramente il crollo della manipolazione che ha confinato l'argomento all'interno dei vari giri di Washington.
In questa luce, alcune delle contraddizioni strutturali che Todd ha notato come fattori che contribuiscono al declino dell'Occidente vengono -senza che nessuno se lo aspettasse- messe in luce dagli eventi. Baker ne ha evidenziata una, che rappresenta il patto faustiano fondamentale che consiste nel comportarsi come se si fosse una democrazia liberale che opera in tandem con un'economia liberale "classica", laddove la realtà è quella di una leadership oligarchica illiberale che presiede a un'economia corporativa iperfinanziarizzata. Un'economia che ha sia succhiato ogni vitalità all'economia organica classica e creato disuguaglianze tossiche.
Il secondo agente del declino occidentale è indicato dall'osservazione di Todd per cui l'implosione dell'Unione Sovietica ha incantato a tal punto gli Stati Uniti da dare il via a un paradossale scatenamento dell'espansione di un impero globale basato sulla loro supremazia quando in realtà l'Occidente stava già deperendo dalle sue radici in su.
Il terzo agente del declino risiedeva, sostiene Todd, nel fatto che l'AmeriKKKa si fosse dichiarata la più grande nazione militare del mondo quando in realtà il paese si è liberato da tempo di gran parte della sua capacità manifatturiera (in particolare di quella militare). Esso decide tuttavia di andare allo scontro con una Russia stabilizzata e tornata grande potenza, e con una Cina che si è consolidata come il colosso manifatturiero del mondo anche dal punto di vista militare.
Questi paradossi irrisolti sono diventati gli agenti del declino occidentale, sostiene Todd. E non ha tutti i torti.

martedì 2 luglio 2024

Alastair Crooke - Persa la Russia, l'Occidente sta perdendo anche l'Eurasia



Traduzione da Strategic Culture, 1 luglio 2024.

A Washington la scorsa settimana avranno anche reagito con una breve scrollata di spalle, a leggere la dichiarazione di Sergei Lavrov all'ambasciatore statunitense a Mosca. La Russia stava dicendo agli Stati Uniti: "Non siamo più in pace"!
Non è solo questione di non essere più in pace. La Russia ha considerato gli Stati Uniti responsabili dell'attacco con una bomba a grappolo su una spiaggia della Crimea durante la festa di Pentecoste di domenica scorsa, attacco che ha causato diversi morti (tra cui bambini) e molti feriti. Gli Stati Uniti insomma sarebbero parte a tutti gli effetti della guerra per procura in Ucraina; l'ordigno era uno ATACM fornito dagli Stati Uniti, programmato da specialisti statunitensi e basato su dati della stessa provenienza. Nella dichiarazione russa si legge che "seguiranno certamente misure di ritorsione".
Insomma, da qualche parte una luce ambrata ha preso a lampeggiare con sfumature rosa e rosse. Il Pentagono ha capito che era successo qualcosa: "Non si può fare finta di niente; la situazione potrebbe degenerare". Il Segretario alla Difesa -era da marzo 2023 che non si faceva sentire- ha preso il telefono per chiamare la sua controparte russa: "Gli Stati Uniti si rammaricano per la morte di civili; gli ucraini avevano piena contezza degli obiettivi".
L'opinione pubblica russa, comunque, è ovviamente furibonda.
Il modo di dire della diplomazia per cui "adesso la situazione non è né di guerra né di pace" descrive la cosa solo a metà.
La Russia è persa, per l'Occidente. In modo molto più grave di quanto si creda.
Il Presidente Putin nella sua dichiarazione al Consiglio del Ministero degli Esteri all'indomani di un G7 tenutosi nel tintinnare di sciabole, ha spiegato come siamo arrivati a questo punto cruciale e di escalation inevitabile. Putin ha specificato che la gravità della situazione richiedeva di pensare a una sorta di ultima offerta per l'Occidente. Putin ha affermato perentorio che "non si tratta di un cessate il fuoco temporaneo per consentire a Kiev di preparare una nuova offensiva, né di un congelamento del conflitto, ma piuttosto di giungere a una conclusione definitiva delle ostilità".
È senz'altro chiaro che l'unico modo credibile per porre fine alla guerra in Ucraina sarebbe un accordo di "pace" frutto di negoziati tra Russia e Stati Uniti.
Questa convinzione tuttavia ha le sue radici nella nota visione che mette gli Stati Uniti al centro di ogni cosa: "Aspettiamo Washington...".
Lavrov ha sarcasticamente commentato, in parafrasi, che se qualcuno è convinto che stiamo "aspettando Godot" e che "non vediamo l'ora", si sbaglia.
Mosca ha in mente qualcosa di molto più radicale, che sconvolgerà l'Occidente.
Mosca -e la Cina- non intendono aspettare i comodi dell'Occidente. Intendono invertire completamente il paradigma dell'architettura di sicurezza: creare un'architettura alternativa per il vasto spazio dell'Eurasia, nientemeno. L'intenzione è quella di uscire dall'attuale confronto a somma zero. Non si intende arrivare a un nuovo confronto, ma la nuova architettura intende comunque costringere gli "attori esterni" a ridurre la loro egemonia sul continente.
Nel suo discorso al Ministero degli Esteri, Putin ha esplicitamente prospettato il crollo del sistema di sicurezza euroatlantico e l'emergere di una nuova architettura: "Il mondo non sarà più lo stesso", ha detto.
Cosa intendeva dire?
Yuri Ushakov, il principale consigliere di Putin per la politica estera, ha chiarito al Forum Primakov la telegrafica allusione di Putin. Ushakov avrebbe detto che la Russia è sempre più convinta che non ci sarà una riorganizzazione a lungo termine del sistema di sicurezza in Europa. E senza una profonda riorganizzazione non ci sarà una "conclusione definitiva" (parole di Putin) del conflitto in Ucraina. Ushakov ha spiegato che questo sistema di sicurezza unificato e indivisibile in Eurasia deve sostituire i modelli euro-atlantici ed euro-centrici, che stanno diventando obsoleti.
"Questo discorso [quello tenuto da Putin al Ministero degli Esteri russo] a mio parere indica la direzione per ulteriori iniziative del nostro Paese sulla scena internazionale, compresa la costruzione di un sistema di sicurezza unico e indivisibile in Eurasia", ha detto Ushakov.
I pericoli derivanti dalla troppa propaganda sono risultati evidenti in un precedente episodio in cui un grande Stato si è trovato intrappolato dalla demonizzazione dei propri avversari da esso stesso condotta. Anche l'architettura di sicurezza del Sudafrica per l'Angola e l'Africa sud-occidentale (oggi Namibia) andò in pezzi nel 1980; all'epoca mi trovavo sul posto. Le Forze di Difesa sudafricane conservavano ancora un residuo della loro immensa capacità distruttiva nel nord del Sudafrica, ma l'uso di quella forza non produceva alcuna soluzione politica e nessun miglioramento. Piuttosto, stava portando il Sudafrica all'obsolescenza, proprio la situazione in cui si troverebbe oggi il modello euroatlantico secondo Ushakov. Pretoria voleva un cambiamento; era pronta -in linea di principio- a stringere un accordo con la SWAPO, ma il tentativo di arrivare a un cessate il fuoco andò in fumo all'inizio del 1981.
Il problema più grande era che il governo sudafricano dell'apartheid aveva avuto un tale successo di propaganda demonizzando la SWAPO come "marxista e terrorista" che l'opinione pubblica era contraria a qualsiasi accordo, e ci sarebbe voluto un altro decennio -oltre a una rivoluzione geostrategica- prima che la cosa diventasse finalmente possibile.
Oggi, la "élite" che sovrintende alla sicurezza degli Stati Uniti e dell'Unione Europea ha avuto un tale successo con la sua propaganda antirussa -dai toni altrettanto esagerati- che anch'essa è finita nella stessa trappola. Anche se lo volessero (e comunque non vogliono), l'idea di un'architettura di sicurezza alternativa potrebbe semplicemente rivelarsi, e per anni, al di là di ogni possibile negoziato.
Quindi, come ha sottolineato Lavrov, i Paesi eurasiatici sono giunti alla consapevolezza che la sicurezza del continente deve essere costruita dall'interno, e che deve essere libera e lontana dall'influenza statunitense. In questo costrutto il principio dell'indivisibilità della sicurezza -una qualità non prevista per il progetto euroatlantico- può e deve diventare il concetto fondamentale per la costruzione della struttura euroasiatica, ha specificato Lavrov.
In questa "indivisibilità" si trova una concretizzazione non solo nominale delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite, compreso il principio dell'uguaglianza sovrana.
I Paesi eurasiatici stanno unendo gli sforzi per contrastare insieme le pretese statunitensi di egemonia globale e l'ingerenza dell'Occidente negli affari degli altri Stati, ha dichiarato Lavrov mercoledì al Forum Primakov.
Gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali "stanno cercando di interferire negli affari" dell'Eurasia, trasferendo le infrastrutture della NATO in Asia, organizzando esercitazioni congiunte e creando nuovi patti. Lavrov ha previsto che

"Questa è una lotta geopolitica. Lo è sempre stata e forse durerà a lungo; forse non vedremo la fine di questo processo. Tuttavia, è un dato di fatto che il percorso verso il controllo dall'oceano di ciò che avviene ovunque avvenga viene adesso contrastato dal percorso verso l'unione degli sforzi dei Paesi eurasiatici".
L'avvio delle consultazioni su una nuova struttura di sicurezza non indica ancora la fondazione di un'alleanza politico-militare analoga alla NATO; "inizialmente potrebbe esistere sotto forma di un forum o di un meccanismo di consultazione dei Paesi interessati, non gravato da eccessivi obblighi organizzativi e istituzionali", scrive Ivan Timofeev.
Tuttavia i criteri con cui sarà organizzato questo sistema, ha spiegato Maria Zakharova,
"... non solo garantiranno una pace duratura, ma eviteranno anche grandi sconvolgimenti geopolitici dovuti alla crisi della globalizzazione costruita secondo i modelli occidentali. Creeranno garanzie politico-militari affidabili per la protezione della Federazione Russa e degli altri Paesi della macroregione dalle minacce esterne, creeranno uno spazio libero da conflitti e favorevole allo sviluppo, eliminando l'influenza destabilizzante degli attori extraregionali sui processi eurasiatici. In futuro, ciò significherà ridurre la presenza militare delle potenze esterne in Eurasia".
Il presidente onorario del Consiglio per la politica estera e di difesa della Russia Sergei Karaganov in una recente intervista ha tuttavia formulato una analisi più sobria:
Purtroppo ci stiamo dirigendo verso una vera e propria guerra mondiale, una guerra vera e propria. Le fondamenta del vecchio sistema globale stanno cedendo e i conflitti deflagreranno. È necessario bloccare il percorso che porta a questa guerra... I conflitti sono già scoppiati e sono in atto in ogni settore.
L'ONU è sulla via del'estinzione perché è legata all'apparato occidentale ed è quindi irriformabile. Bene, che rimanga. Ma dobbiamo costruire strutture parallele... Penso che dovremmo costruire sistemi paralleli espandendo i BRICS e la SCO, sviluppando la loro interazione con l'ASEAN, la Lega degli Stati Arabi, l'Organizzazione dell'Unità Africana, il Mercosur latinoamericano, eccetera.
In generale, siamo interessati a creare nel mondo un sistema di deterrenza nucleare multilaterale. Quindi, personalmente non sono preoccupato dall'emergere di nuove potenze nucleari e dal rafforzamento di quelle vecchie, semplicemente perché affidarsi alla ragione delle persone non funziona. Deve esistere la paura. Bisogna fare maggiore affidamento su una deterrenza nucleare che incuta paura, e che ispiri a tenere un registro assennato.
Quella della politica nucleare è oggi una questione complessa e controversa in Russia. Alcuni sostengono che una dottrina nucleare russa troppo restrittiva può essere pericolosa, se dovesse finire con indurre gli avversari a comportarsi con snobistica indifferenza; vale a dire, se gli avversari dovessero diventare indifferenti o indifferenti all'effetto di deterrenza al punto da ignorarne la concretezza.
Altri preferiscono un atteggiamento da ultimissima istanza. Tutti concordano comunque sul fatto che l'architettura di sicurezza eurasiatica dispone di molti passi di escalation oltre a quello nucleare.
Tuttavia, le potenzialità di un "blocco di sicurezza" nucleare a livello continentale a fronte di una NATO equipaggiata con armi nucleari è evidente: Russia, Cina, India, Pakistan -e ora la Corea del Nord- sono tutti Stati dotati di armi nucleari, il che comporta di per sé un certo grado di potenziale di deterrenza.
La definizione di altri passi di escalation sarà senza dubbio al centro delle discussioni del vertice dei BRICS di Khazan del prossimo ottobre, perché un'architettura di sicurezza non è, per concetto, materia esclusivamente militare. L'agenda comprende questioni commerciali, finanziarie e in materia di sanzioni.
La logica insita nell'invertire il paradigma militare della NATO in favore di un sistema di sicurezza eurasiatico alternativo sembrerebbe per forza di cose implicare che se il paradigma della sicurezza deve essere invertito, anche l'egemonia finanziaria e commerciale occidentale deve essere invertita.
L'abbandono del dollaro ovviamente, è già all'ordine del giorno. I meccanismi per tradurre operativamente questo intento potrebbero essere svelati in ottobre. Ma se l'Occidente si sente libero di sanzionare l'Eurasia a suo piacimento, è anche possibile che l'Eurasia sanzioni a sua volta gli Stati Uniti, l'Europa o entrambi.
Sì, la Russia possiamo darla per persa, sia pure non per sempre. E potremmo perdere molto di più. La visita del Presidente Putin in Corea del Nord e in Vietnam ha un suo scopo, se la si considera nel contesto della progettata architettura di sicurezza euroasiatica. Entrambi i paesi ne fanno parte.
E per parafrasare la celebre poesia di Kavafis,
E perché, all'improvviso, questa inquietudine e questa confusione?
(Come sono divenuti seri i volti!)
Perché è scesa la notte e i russi non arrivano.
E alcuni dei nostri sono tornati dalle frontiere dicendo
Che non ci sono più russi.
E ora, che ci succederà senza i russi?
Loro, bene o male, erano una soluzione.

mercoledì 26 giugno 2024

Alastair Crooke - La guerra di Putin: cambiare la mentalità statunitense


Traduzione da Strategic Culture, giugno 2024.

Il G7 e la successiva conferenza di Bürgenstock in Svizzera possono essere intesi a posteriori come tesi a preparare il terreno per una guerra prolungata in Ucraina. I tre intenti espressi dal G7, ovvero il patto di sicurezza decennale per l'Ucraina, l'emissione di prestiti a favore dell'Ucraina per cinquanta miliardi di dollari e il sequestro degli interessi sui fondi congelati russi consentono di farsi un'idea. Ci sarà tra poco una escalation.
L'espressione di questi obiettivi è stata pensata per preparare agli eventi l'opinione pubbblica occidentale. E nel caso in cui ci fossero dubbi, l'aspra bellicosità nei confronti della Russia espressa dai protagonisti delle elezioni europee era abbastanza evidente: hanno cercato di trasmettere senza mezzi termini l'idea di un'Europa che si prepara alla guerra.
Cosa ci aspetta dunque? Secondo il portavoce della Casa Bianca John Kirby "La posizione di Washington su Kiev è "assolutamente chiara": "Innanzitutto, deve vincere la guerra".
Innanzitutto deve vincere la guerra. Punto primo, stiamo facendo tutto il possibile per essere sicuri che ci riesca. Poi, quando la guerra sarà finita... Washington aiuterà l'Ucraina a costruire una base industriale militare.
Se questo non fosse chiaro, l'intenzione degli Stati Uniti di prolungare le ostilità e portare la guerra in profondità nel territorio russo è stata sottolineata dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan: "L'autorizzazione all'uso dell'Ucraina di armi statunitensi per attacchi al di là dei confini si estende a qualsiasi luogo [da cui] le forze russe stanno attraversando il confine". Ha inoltre affermato che l'Ucraina può usare gli F-16 per attaccare la Russia e utilizzare i sistemi di difesa aerea forniti dagli Stati Uniti "per abbattere gli aerei russi -anche se nello spazio aereo russo- se stanno per attaccare all'interno dello spazio aereo ucraino".
Ai piloti ucraini è stata accordata facoltà di fare il processo alle intenzioni, nel caso dei caccia russi? Allora dobbiamo attenderci che i parametri della facoltà accordata si amplino rapidamente e che arrivino fino alle basi aeree da cui i cacciabombardieri russi decollano.
Il Presidente Putin è consapevole del fatto che la guerra sta per trasformarsi radicalmente, e in modo estremamente pericoloso. Nel suo discorso al Consiglio del Ministero degli Esteri ha descritto nel dettaglio come il mondo sia arrivato a questo punto cruciale, che potrebbe portare a scambi nucleari.
La gravità della situazione ha imposto di presentare all'Occidente una ultima possibilità, che Putin ha enfaticamente affermato riguardare "non un cessate il fuoco temporaneo per consentire a Kiev di preparare una nuova offensiva; né di un congelamento del conflitto"; le sue proposte riguardano piuttosto la piena conclusione delle ostilità.
"Se, come in passato, Kiev e le capitali occidentali le rifiutano, alla fin fine sono affari loro", ha detto Putin.
Tanto per essere chiari, Putin quasi di certo non si aspettava che le sue proposte venissero accolte in Occidente con reazioni che non fossero sprezzanti o derisorie. Né Putin avrebbe mai pensato nemmeno per un momento che l'Occidente non si sarebbe rimangiato la parola, qualora si fosse giunti a un'intesa in questi termini.
Se è così, perché il Presidente Putin ha fatto una proposta del genere nel fine settimana del 22 giugno a un Occidente di cui non si fida e la cui reazione era tanto prevedbile? Forse dobbiamo cercare all'interno come con le matrioske, piuttosto che concentrarci sull'involucro esterno: alla piena conclusione delle ostilità cui pensa Putin probabilmente non si arriverà in modo credibile ricorrendo a un mediatore di pace che faccia la spola fra le parti. Nel suo discorso al Ministero degli Esteri, Putin rifiuta cose come il "cessate il fuoco" o il "congelamento". Egli cerca qualcosa di definitivo un accordo duraturo e solidamente impostato.
Una soluzione di questo tipo -come Putin ha già accennato- richiede la creazione di una nuova architettura per la sicurezza mondiale; se ciò accadesse, una soluzione definitiva per l'Ucraina sarebbe parte implicita di un nuovo ordine mondiale. Vale a dire, con il microcosmo di una soluzione per l'Ucraina che sorge implicitamente dal macrocosmo rappresentato dall'accordo tra gli Stati Uniti e le potenze dell'Europa continentale, e che stabilisce i confini in base ai rispettivi interessi nel campo della sicurezza.
Questo è chiaramente impossibile in questo momento, con la mentalità statunitense psicologicamente bloccata all'epoca della Guerra Fredda degli anni Settanta e Ottanta. La fine di quella guerra -l'apparente vittoria degli Stati Uniti- ha posto le basi per la Dottrina Wolfowitz del 1992, che insiste sulla indiscussa supremazia statunitense in un mondo post-sovietico, oltre che sulla "eliminazione dei rivali ovunque essi possano emergere".
La Dottrina Wolfowitz prevedeva inoltre che gli Stati Uniti avrebbero inaugurato un sistema di sicurezza collettiva da essi stessi guidato, e la creazione di una zona democratica di pace". La Russia, invece, è stata trattata in modo diverso: era un paese uscito dai radar. È diventata insignificante come concorrente geopolitico agli occhi dell'Occidente, i suoi gesti distensivi sono stati respinti e le garanzie fornitele contro l'espansione della NATO sono diventate lettera morta. Mosca non poteva fare nulla per impedire una simile evoluzione sul terreno. Lo stato successore della potente Unione Sovietica non era alla sua altezza, e quindi non era considerato importante abbastanza da essere coinvolto nei processi che decidevano i destini del mondo. Eppure, nonostante le dimensioni e la sfera di influenza ridotte, la Russia ha continuato a essere considerata un attore chiave negli affari internazionali.
Oggi la Russia è un attore globale di primo piano sia nella sfera economica che in quella politica. Tuttavia, per le classi dirigenti degli Stati Uniti, la parità di status tra Mosca e Washington è fuori discussione. La mentalità da Guerra Fredda infonde ancora nella Beltway una ingiustificata fiducia nel fatto che il conflitto ucraino possa in qualche modo portare al collasso e allo smembramento della Russia.
Nel suo discorso, Putin ha invece prospettato il crollo del sistema di sicurezza euro-atlantico e l'emergere di una nuova architettura. "Il mondo non sarà più lo stesso", ha detto Putin. Implicitamente, egli lascia intendere che un tale cambiamento radicale sarebbe l'unico modo credibile per porre fine alla guerra in Ucraina. Un accordo che emerga dal più ampio quadro di una ripartizione consensuale degli interessi tra il Rimland e lo Heartland -per dirla con Mackinder- rispecchierebbe le esigenze di sicurezza di ciascuna parte e non sarebbe raggiunto a spese della sicurezza altrui. Per essere chiari, se questa analisi è corretta la Russia potrebbe non avere così tanta fretta di chiudere la questione in Ucraina. La prospettiva di un simile negoziato globale tra Russia-Cina e Stati Uniti è ancora lontana.
Il punto è che la mentalità occidentale non è ancora cambiata a sufficienza. Per Washington, trattare Mosca con pari dignità resta una cosa fuori questione.
La nuova narrativa statunitense prevede che i negoziati con Mosca non si intraprendano ora, ma che forse diventeranno possibili all'inizio del nuovo anno, dopo le elezioni in USA. Ebbene, Putin potrebbe sorprendere ancora una volta non escludendo questa prospettiva, ma respingendola sulla base dell'assunto per cui gli USA non sarebbero ancora pronti a negoziati per completa fine delle ostilità, soprattutto perché un simile dato di fatto si accorderebbe con le voci di una nuova offensiva ucraina che sarebbe in preparazione per il 2025. Naturalmente, è probabile che molte cose cambino nel corso del prossimo anno.
I documenti che delineano un ipotetico nuovo ordine, tuttavia, erano già stati redatti dalla Russia nel 2021 ed erano stati debitamente ignorati dall'Occidente. La Russia probabilmente può anche permettersi di rimanere in attesa degli eventi sul campo in Ucraina, nello stato sionista e nella sfera finanziaria.
Tutto quello che sta accadendo, in ogni caso, sta andando nella direzione prevista da Putin. Sono tutti eventi interconnessi e hanno il potenziale per portare a mutamenti profondi.
In poche parole, Putin sta aspettando che si formi negli USA una mentalità adatta. Su questo si mostrava molto fiducioso sia a San Pietroburgo che la scorsa settimana al Ministero degli Esteri.
Sembra che le preoccupazioni del G7 per l'Ucraina riguardino più le elezioni negli USA che non la realtà dei fatti: questo implica che la priorità, anche nello stato che occupa la penisola italiana, fossero le esigenze elettorali piuttosto che il desiderio di iniziare una guerra vera e propria. Ma potrebbe anche essere una impressione errata.
Gli oratori russi intervenuti in questi recenti incontri -in particolare Sergei Lavrov- hanno lasciato intendere che l'ordine di arrivare alla guerra con la Russia sarebbe già arrivato. L'Europa sembra, sia pure in modo improbabile, prepararsi alla guerra. Facendo molte chiacchiere sulla coscrizione.
Tutto questo si dissolverà con il passare di una calda estate fitta di scadenze elettorali? Forse.
La fase successiva potrebbe comportare una escalation occidentale tramite provocazioni all'interno del territorio russo. La Russia reagirà con forza a qualsiasi superamento delle linee rosse (quelle vere) da parte della NATO, o a qualsiasi provocazione del tipo false flag, adesso ampiamente messe in conto dai blogger militari russi.
E qui sta il pericolo serio: nel contesto della escalation il disprezzo degli USA per la Russia rappresenta il pericolo più grave. L'Occidente oggi dice di considerare l'idea che si arrivi a uno scambio nucleare come un bluff di Putin. Il Financial Times ci dice invece che la pazienza in materia che la Russia ha avuto verso l'Occidente sta arrivando agli sgoccioli.
Se questo è vero, i funzionari occidentali hanno della realtà un'idea completamente sbagliata. Intendere e prendere sul serio gli ammonimenti russi sul nucleare è l'unico modo per escludere il rischio che le armi atomiche entrino in gioco, intanto che si va verso l'escalation a furia di rendere pan per focaccia.
Anche se dicono di ritenere tutto un bluff, gli attori statunitensi non mancano di sottolineare il rischio di uno scambio nucleare. Se lo ritengono un bluff, sembra che si basino sulla presunzione che la Russia abbia poche altre possibilità fra cui scegliere.
Ma questo sarebbe errato: ci sono diversi passi verso la escalation che la Russia può compiere prima di arrivare a impiegare un'arma nucleare tattica: contrattacco commerciale e finanziario, fornitura simmetrica di armamenti avanzati agli avversari dell'Occidente (in reazione alle forniture statunitensi all'Ucraina); taglio delle reti che portano in Ucraina energia elettrica proveniente da Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania, attacchi ai valichi di frontiera da cui entrano munizioni in Ucraina, e infine fare come gli Houthi, che hanno abbattuto diversi droni statunitensi sofisticati e costosi mettendo fuori uso l'infrastruttura statunitense di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

martedì 25 giugno 2024

Le elezioni amministrative a Firenze nel 2024



 Nel giugno 2024 si sono tenute a Firenze le elezioni amministrative, accolte con indifferenza da almeno due elettori su cinque.
Le formazioni "occidentaliste" cinque anni prima non avevano dato prova di particolare attrattiva e tanto meno di particolare efficienza. A Firenze la politica di destra la fa il Partito Democratico e la cosa è nota a tutti. La -spesso presunta- controparte nel 2019 coscrisse un ricco in maglioncino perché impersonasse il volto presentabile di compagini disprezzate e ininfluenti, e lo mandò praticamente da solo a fracassarsi contro il gelo dell'astensionismo e contro la disconferma del voto avverso. Nel 2019 era ancora in corso una mutazione profonda nell'offerta politica "occidentalista", con quello che definimmo il passaggio di bandiera dai liberisti in cravatta ai sovranisti con le pezze al culo. La fine della campagna elettorale attestò che il cambiamento era in buona parte avvenuto, con effetti verificabili sull'efficienza organizzativa; Ubaldo Bocci lasciò i suoi sostenitori senza spumantino tiepido e senza salatini ammosciati perché nessuno si era ricordato di richiedere i permessi per la ZTL per il furgone del catering (qui su Archive).
Cinque anni dopo il signor Eike Schmidt (che è un ricco con la cravatta invece che con il maglioncino) aveva lo stesso compito, tanto semplice quanto improbo: rendere presentabili ciurme e programmi che presentabili non sono.
Questo ha richiesto innanzitutto e ancora una volta di mettere la sordina a individui che tentano di imporre a Firenze una agenda scritta altrove, e quindi aliena prima e ancora che offensiva. Obbedienti, per tutta la durata della campagna elettorale gli esponenti dell'esecutivo in carica nello stato che occupa la penisola italiana hanno tenuto a Firenze un profilo molto basso. Per sperare che il colpo riuscisse doveva sembrare che Eike Schmidt non lo conoscessero nemmeno. Questo non ha impedito che una piccola e miserabile compagnia di guitti imperversasse sul web anche stavolta, con le sue rassegne di cartacce, i suoi inventari di escrementi di cane e la sua esecrazione per ogni caso di marginalità estrema reperibile sulla pubblica via. In tutto questo i materiali disponibili su Welcome to Florence sono stati senz'altro d'aiuto: similia similibus.
L'interesse della compagine "occidentalista" per il bene comune, compendiato come al solito nell'ambiente del pallone, sarebbe stato sottolineato dal colore viola usato senza economia nei materiali di propaganda.
A conferire unitarietà e temibilità di intenti ha pensato invece un certo numero di libagioni fra amici. In almeno un'occasione pare che Schmidt si sia esibito -in pieno giugno- in qualche passo di danza incartato in un abito completo. Quel tipo di combinazione che nei contesti normali si trova a volte a intristire fra le naftaline dell'armadio, a disposizione del personale dei servizi funebri.
Solo che quando non si ha lo straccio di un'idea e quando si opera in un contesto apertamente ostile questa roba non basta.
E difatti non è bastata.

domenica 16 giugno 2024

Colin Powers - Come si finanzia un genocidio. L'economia di guerra dello stato sionista

 

Traduzione da Orient XXI, 12 giugno 2024.


Come tutte le guerre, anche quella dello stato sionista contro Gaza è estremamente costosa dal punto di vista economico e il tasso di crescita dell'economia sionista sta crollando. Al momento un crollo effettivo è stato evitato grazie a sovvenzioni tanto pubbliche quanto private provenienti non solo dagli Stati Uniti ma anche dall'Unione Europea, che ha continuato con gli scambi commerciali come se nulla fosse. E non dimentichiamo l'India e la Cina. Benyamin Netanyahu può continuare tranquillamente col suo genocidio di palestinesi.

L'economia dello stato sionista ha fatto segnare un calo del prodotto interno lordo del 21% nell'ultimo trimestre del 2023 rispetto all'anno precedente; il doppio di quanto previsto dalla banca centrale dopo il 7 ottobre. Nel febbraio 2024 l'agenzia statunitense Moody's ha compiuto un passo senza precedenti declassando lo Stato sionista e le sue cinque maggiori banche commerciali.
Le conseguenze peseranno molto sull'industria tecnologica. In tempi normali questo settore dà lavoro a un cittadino dello stato sionista su sette ed è responsabile di circa la metà delle esportazioni del Paese, di un quinto del prodotto interno lordo e di più di un quarto delle entrate fiscali. Questa performance può essere mantenuta solo con l'accesso a capitali stranieri, il cui costo minaccia di aumentare.
Calo degli investimenti in tecnologia Dalla fine del 2022 gli investimenti nell'alta tecnologia sono in costante calo e alla fine del 2023 hanno raggiunto il 20% rispetto al dato già basso dell'anno precedente. Gli investimenti esteri sono crollati del 29%(1). I primi dati per il 2024 mostrano che i flussi sono al minimo da nove anni a questa parte.
Dal momento che il modello di crescita del Paese è legato a questo settore, simili risultati pongono problemi rilevanti. Tanto più che i progetti del Primo Ministro Benyamin Netanyahu di orientare l'economia verso la produzione di materie prime -a scapito di questo settore che egli considera di dubbia fedeltà politica- stanno andando male. Nel marzo 2024 la Compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi (ADNOC) e la British Petroleum (BP) hanno interrotto i colloqui per la prevista acquisizione della metà del più grande produttore di gas naturale dello stato sionista NewMed Energy, preoccupate per i missili degli Houthi e per le ricadute politiche(2).
Tutto questo solleva qualche interrrogativo sulla sostenibilità dell'economia dello stato sionista e, di conseguenza, sulla sua capacità di continuare con la guerra contro Gaza. Gli economisti del Ministero delle Finanze avevano già stimato che le sole manovre di Netanyahu per cambiare la Costituzione e l'opposizione che questa iniziativa ha incontrato avrebbero portato a un taglio della crescita tra i 15 e i 25 miliardi di dollari -14,9 e 18,6 miliardi di euro- all'anno(3). Uno studio della società di consulenza statunitense RAND ha stimato che le perdite economiche in caso di una campagna militare limitata ma a lungo termine contro la Palestina ammonterebbero a 400 miliardi di dollari -oltre 373 miliardi di euro- in dieci anni(4). Secondo il Ministero delle Finanze l'Operazione Iron Scourge sta costando all'economia 269 milioni di dollari -oltre 350 milioni di euro- al giorno - una guerra a livello regionale sarebbe ovviamente molto più costosa.
È lecito chiedersi se la società dello stato sionista, che vive in un relativo benessere materiale, sarebbe in grado di sopportare un ritorno all'economia di guerra degli anni Settanta, quando le spese militari rappresentavano il 30% del PIL. Anche ignorando questo interrrogativo ne sorgono molti altri: le realtà economiche possono influenzare il percorso seguito dai leader politici e militari? Se sì, in che modo? Le aziende straniere che hanno contribuito al genocidio saranno in grado di mantenere la propria politica nel lungo periodo?


Fonti di resilienza a medio termine

Nonostante le oggettive difficoltà, ci sono poche ragioni per credere che le pressioni economiche possano accelerare la fine della guerra nel breve o nel medio termine. Ciò è dovuto alle dimensioni dei mercati finanziari e delle riserve valutarie dello stato sionista da un lato, e alle relazioni esterne dello Stato e dell'economia dall'altro.
1. Mercati dei capitali profondi e riserve abbondanti. La profondità dei mercati dei capitali dello stato sionista consente alla coalizione al potere di finanziare gran parte dei progetti militari a livello locale: quest'anno, circa il 70% dei 60 miliardi di dollari -55,8 miliardi di euro- di titoli di Stato saranno venduti sui mercati nazionali e denominati in New Israeli Shekel (NIS). Inoltre, data la forte domanda da parte delle istituzioni finanziarie locali, i tassi d'interesse rimangono bassi a livello locale, un po' più alti rispetto ai titoli del Tesoro offerti a livello internazionale ma non eccessivamente superiori a quelli attualmente emessi dagli Stati Uniti. Di conseguenza nei primi cinque mesi di quest'anno il Ministero delle Finanze dello stato sionista ha potuto prendere in prestito vendendo titoli di Stato un totale di 67,5 miliardi di NIS -16,7 miliardi di euro- senza doversi accollare pesanti oneri per il rimborso.
Quindi, nonostante il governatore della Banca centrale dello stato sionista non cessi di pronunciare ammonimenti contro un eccessivo indebitamento e nonostante alcuni indicatori segnalino un malessere del mercato Tel Aviv può indebitarsi senza soffrire troppo dal punto di vista finanziario, almeno per il momento. Questo dà ai leader una grande autonomia, che a sua volta si riflette sulla condotta in guerra.
L'accumulo di riserve valutarie negli ultimi due decenni ha un effetto protettivo simile. Dai 27 miliardi di dollari -25 miliardi di euro- del 2005, il valore delle riserve detenute dalla Banca centrale dello stato sionista ha superato i 200 miliardi di dollari -186 miliardi di euro- all'inizio del 2024. Queste attività non solo generano reddito per lo Stato, ma consentono alla banca centrale di difendere lo shekel sui mercati dei cambi(5). Questo contribuisce a mantenere bassa l'inflazione, rafforzando la stabilità dell'economia di guerra.
La violenza genocida dell'esercito richiede tuttavia volumi di munizioni di gran lunga superiori a quelli che i produttori nazionali, che hanno riorientato le loro attività verso prodotti di alta gamma, sono attualmente in grado di produrre. Senza l'incessante flusso di proiettili d'artiglieria, missili, testate e simili quasi tutti provenienti dagli Stati Uniti o da depositi di armi di loro proprietà già presenti nello stato sionista prima di questa guerra (6) e dalla Germania, le attuali campagne a Gaza e nel Libano meridionale andrebbero incontro a un rapido fallimento. Allo stesso modo, senza i cloud forniti da Google e Microsoft e senza la condivisione dei dati di WhatsApp fornita da Meta possiamo essere certi che per lo stato sionista le campagne di omicidi mirati guidate dall'intelligenza artificiale andrebbero incontro a fallimenti altrettanto rapidi.
2. Relazioni estere solide. Il secondo e forse il più importante fattore che spiega la resistenza a medio termine dell'economia dello stato sionista è dato dalla solidità delle sue relazioni estere. Da queste gli arriva ogni tipo di aiuto: dai flussi finanziari al commercio e al supporto logistico, senza dimenticare gli eserciti di riserva della manodopera, come i cinquanta o centomila lavoratori che l'India ha promesso per sostituire i palestinesi in Cisgiordania. Sono cose come queste ad aver consentito che lo stato sionista procedesse a un genocidio. Una vasta costellazione di attori statunitensi, sia pubblici che privati, fornisce attualmente sostegno finanziario alla macchina statale, all'esercito e all'economia. I flussi dal governo federale rimangono i più consistenti. La sovvenzione annuale del Programma di finanziamento militare estero degli Stati Uniti -3,3 miliardi di dollari pari a 3,075 miliardi di euro all'anno dall'amministrazione Obama (2009-2017)- copre generalmente il 15% delle spese per la difesa. Poiché le spese per la difesa sono destinate ad aumentare di quasi 15 miliardi di dollari -13,95 miliardi di euro- entro il 2024, dalla linea di credito gratuita del governo statunitense quest'anno si vedranno aumenti significativi. Lo scorso aprile il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il National Security Act concedendo 13 miliardi di dollari -12 miliardi di euro- di aiuti aggiuntivi alle forze armate statunitensi(7). Di questa somma 5,2 miliardi di dollari sono stati destinati al rifornimento dei sistemi di difesa Iron Dome, Iron Beam e David's Sling, 4,4 miliardi di dollari -4,1 miliardi di euro- alla ricostituzione delle scorte di munizioni esaurite e 3,5 miliardi di dollari -3,2 miliardi di euro- a sistemi d'arma avanzati.


Organizzazioni americane per il budget sionista

Ma non solo. In tutti gli Stati Uniti, anche i singoli Stati, le contee e persino i comuni stanno tirando fuori il libretto degli assegni. Il canale di finanziamento è gestito dalla Development Corporation for Israel (DCI), un ente registrato negli Stati Uniti che agisce come intermediario e sottoscrittore locale per conto del Ministero delle Finanze dello stato sionista. Dal 1951, la DCI emette le cosiddette "obbligazioni dello stato sionista" sul mercato statunitense. Anche se arrivano raramente alla consapevolezza del pubblico, questi strumenti finanziari denominati in dollari e destinati a fornire un sostegno generale al bilancio dello stato sionista rappresentano il 12-15% del suo debito estero totale. Sono quindi una fonte concreta di credito e di valuta forte per Tel Aviv.
Dal 7 ottobre la DCI ha aumentato in modo significativo le vendite di obbligazioni, in parte ampliando la collaborazione con un'organizzazione di destra come l'American Legislative Exchange Council (ALEC). Negli ultimi due decenni l'ALEC è stata una delle forze più influenti dietro le quinte della politica statunitense. Il suo operato consiste tipicamente nel redigere proposte di legge su argomenti che vanno dall'aborto al movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), per poi diffondere i modelli legislativi ai suoi alleati nelle legislature statali; in quella sede diventano legge.
Quest'autunno l'ALEC ha diversificato le sue operazioni mobilitando la sua State Financial Officers Foundation per incoraggiare l'acquisto di obbligazioni dello stato sionista da parte dei fondi pensione pubblici e delle tesorerie statali e municipali. I frutti di questi sforzi sono piuttosto impressionanti: 1,7 miliardi di dollari -1,58 miliardi di euro- in di obbligazioni acquistate in soli sei mesi. Al di là del loro valore materiale per lo stato sionista, questi acquisti rappresentano un grande impegno da parte dell'intero apparato statale statunitense. Sia le autorità locali che il governo federale sono pronti a investire somme significative nelle imprese genocide dello stato sionista.
Purtroppo i cittadini e le istituzioni finanziarie hanno lo stesso atteggiamento dei leader. Anch'essi hanno concesso (e/o agevolato) un gran numero di prestiti allo stato sionista dopo che ha iniziato a distruggere Gaza. Alcuni lo hanno fatto la scorsa primavera, quando hanno acquistato quasi tre quarti delle obbligazioni cui si è appena fatto cenno. All'indomani dell'operazione "Iron Sabre", le banche statunitensi hanno anche organizzato vendite di obbligazioni private per conto dello stato sionista , i cui rendimenti non sono stati resi pubblici.


Da Goldman Sachs a BNP-Paribas

Lo sviluppo più significativo è stato l'operazione guidata da Bank of America e Goldman Sachs, che nel marzo 2024 hanno sottoscritto la prima vendita internazionale di obbligazioni dello stato sionista dopo il 7 ottobre. Insieme a Deutsche Bank e BNP Paribas questi finanziatori sono riusciti ad attirare un tale numero di investitori da tutto il mondo da rendere l'operazione la più grande inziativa del genere nella storia dello stato sionista: quasi 7,5 miliardi di eurobond(8).
I contributi da parte di privati dagli Stati Uniti non sono soltanto questi. Sebbene gli investimenti nel settore tecnologico siano complessivamente diminuiti, alcune aziende continuano a immettere capitali nonostante il genocidio in corso. Ad esempio negli ultimi sei mesi Nvidia, leader mondiale nella produzione di chip e nell'intelligenza artificiale con sede a Santa Clara, ha investito somme considerevoli nell'acquisizione di aziende dello stato sionista(9). A dicembre, Intel ha accettato di costruire un nuovo impianto di semiconduttori approfittando di una sovvenzione di 3,2 miliardi di dollari -3 miliardi di euro- e di un'aliquota fiscale estremamente bassa (7,5% anziché 23%). Un mese dopo Palantir Technologies, una società di modellazione di intelligenza artificiale, ha annunciato una nuova partnership strategica con il Ministero della Difesa dello stato sionista.


L'Unione Europea, un'ancora di salvezza

Come dimostra la partecipazione di Deutsche Bank e BNP Paribas all'emissione di Eurobond, l'Europa sta svolgendo un ruolo importante. La Banca Europea per gli Investimenti, con sede in Lussemburgo e di proprietà congiunta dei 27 Stati membri dell'Unione, ha mantenuto la promessa di iniettare liquidità per 900 milioni di dollari -838 milioni di euro- nell'economia dello stato sionista(10). Dal 7 ottobre il programma Horizon Europe, il principale strumento di finanziamento di ricerca e innovazione, ha autorizzato l'assegnazione di quasi un centinaio di sovvenzioni ad aziende e istituzioni dello stato sionista. Su scala più ridotta il Consiglio europeo per gli investimenti (EIC), organizzazione senza scopo di lucro, ha recentemente aumentato i suoi investimenti nelle start up dello stato sionista.
Ma è soprattutto lo scambio di beni e servizi che conta. Il flusso ininterrotto di esportazioni verso il mercato europeo, che rimane il suo principale partner, ha giocato un ruolo chiave nel surplus commerciale dello stato sionista, che ha segnato un 5,1% nell'ultimo trimestre del 2023. Sebbene nelle capitali europee si sia parlato di rivedere l'accordo di associazione dello stato sionista all'Unione Europea, i primi dati pubblicati per il 2024 mostrano che l'UE continua a importare prodotti dello stato sionista: oltre 4,27 miliardi di euro nel primo trimestre. Una somma più o meno in linea con quanto visto negli ultimi anni e che funge da ancora di salvezza per l'economia dello stato sionista.


Gli affari con Cina e India continuano

Il mantenimento da parte di Tel Aviv di legami più o meno pubblici con economie non occidentali ha anche rafforzato la vitalità della sua economia di guerra. Anche se non proprio ai livelli precedenti il 7 ottobre, e senza dubbio ridotti dagli interventi degli Houthi che hanno costretto le compagnie di navigazione a sospendere il commercio diretto, i dati della Banca centrale dello stato sionista indicano che le importazioni dalla Cina sono ancora consistenti: 10 miliardi di dollari (9,3 miliardi di euro) nel primo trimestre del 2024. Esse rimangono una parte vitale dell'economia su base giornaliera, anche se gli investimenti cinesi rimangono depressi per lo più a causa delle pressioni degli Stati Uniti su Tel Aviv.
Il contributo dell'India, che importa grandi quantità di armi dallo stato sionista ed esporta manodopera a basso costo per occupare i posti di lavoro lasciati liberi dai palestinesi, è tutt'altro che trascurabile.
Nonostante le difficoltà è chiaro che le merci indiane continuano ad arrivare nello stato sionista attraverso il Golfo e la Giordania e a rifornire gli scaffali dei negozi.
Infine, bisogna tenere conto delle relazioni ambigue con la Turchia. Sebbene il Ministero del Commercio di Ankara abbia introdotto progressive restrizioni ai traffici con stato sionista a partire dall'inizio di aprile 2024, c'è motivo di credere che la misura non sarà pienamente attuata. Inizialmente la politica prevedeva una moratoria di tre mesi che consentisse alle aziende di evadere gli ordini esistenti attraverso Paesi terzi. È quindi improbabile che la misura porti a una stretta immediata. In secondo luogo, i legami commerciali tra i produttori turchi di acciaio e alluminio e stato sionista sono profondi e di lunga data, e la dipendenza dei produttori turchi da questo mercato è ben nota. Non si può quindi escludere che i produttori turchi trovino un modo per consegnare forniture essenziali non solo alle imprese edili ma anche all'industria degli armamenti, magari attraverso una triangolazione con la Slovenia.
Lo stato sionista può attingere a grandi mercati di capitali e a forti riserve valutarie, nonché avvalersi di solide relazioni con partner economici esteri. Non è soggetto nell'immediato a limiti materiali che gil impediscano di portare a termine il genocidio. A meno che le politiche dei suddetti partner non cambino, lo stato sionista sarà libero di continuare il suo inaccettabile massacro ancora per qualche tempo.


Qualche speranza a lungo termine?

A lungo termine, diversi fattori potrebbero giocare a sfavore di questa economia di guerra. Tra questi la tendenza al disinvestimento menzionata in precedenza e che gli interventi del governo difficilmente riusciranno a invertire. A ciò si aggiunge la possibilità di un aumento delle tasse per ricostituire le riserve. Ma forse la cosa più importante sono le tensioni sociali che il perdurare del genocidio acuirà nei mesi e negli anni a venire. Il Paese è da tempo uno dei più interessati dalla disuguaglianza sociale in tutta la OCSE(11). Secondo criteri di misurazione più sofisticati, il tasso di povertà è attualmente del 27,8% e un terzo della popolazione soffre di insicurezza alimentare. Con buona pace dell'aura di sapore mitologico che ha avvolto la nazione delle start up, risulta anche che la crescita e gli aumenti della produttività raggiunti negli ultimi due decenni sono stati in realtà relativamente bassi. E la fuga dei cervelli ha fatto sentire il suo peso.
A questo stato di cose si aggiunge l'austerità. Dopo aver accumulato enormi deficit durante la campagna contro Gaza, stato sionista sta per accelerare la contrazione del sistema di welfare tagliando la spesa per l'assistenza sociale e per l'istruzione, e intanto spreme le famiglie povere aumentando le imposte al consumo. Non c'è dubbio che ci si debbano aspettare grandi tensioni sociali in un momento in cui la società dello stato sionista è già percorsa da spaccature: tra i pochi che hanno beneficiato del boom tecnologico e immobiliare e i molti altri che non ne hanno ricavato nulla, tra le comunità religiose esentate dal servizio militare e quelle i cui appartenenti devono rischiare la vita per portare avanti la loro idea di conquista; tra una comunità di coloni che beneficia di una speciale dispensa da parte dello Stato e tutte le altre costrette a fare affidamento sui banchi alimentari per garantirsi la sussistenza. In un modo o nell'altro, questo non può che avere un impatto negativo sulla coerenza del progetto statale e sulla capacità dell'attuale governo di perseguire i suoi piani distruttivi.
Per la Palestina, e più in particolare per i palestinesi di Gaza, la situazione è grave. Il tempo necessario perché nella società dello stato sionista si mettano in moto dinamiche sociali di questo genere e perché la capacità dello stato sionista di fare la guerra venga a indebolirsi dall'interno è semplicemente troppo lungo.
Chiunque speri di porre fine a al genocidio può solo asserire che l'unica via percorribile è quella di isolare economicamente lo stato sionista in ogni modo possibile. Finché le solide relazioni esterne del Paese non verranno indebolite o addirittura troncate il motore della violenza dello stato sionista continuerà a girare senza il minimo intoppo. Per bloccarlo fino a far sì che le bombe smettano di cadere è necessario interrompere i circuiti finanziari e commerciali esistenti.


1. Adrian Filut, Economic concerns mount as Israel faces drop in foreign investment and services export, Ctech, 18 marzo 2024.
2. Ani, BP, UAE suspend USD 2 bn gas deal in Israel amid Gaza war, The Economic Times, Bombay, 15 marzo 2024.
3. Nimrod Flaschenberg, Israel’s economy was Netanyahu’s crown jewel. Can apartheid survive without it?, +972 Magazine, 27 marzo 2023.
4. C. Ross Anthony et al., The Costs o the Israeli-Palestinian Conflict, Rand Corporation, Santa Monica (USA), 2015.
5. Galit Alstein, Israel’s $48 billion war leaves it at mercy of bond markets, BNN Bloomberg, Toronto, 22 novembre 2023.
6. Connor Echols, Bombs, guns, treasure: What Israel wants, the US gives, The New Arab, 12 marzo 2024.
7. FY2024 National Security Supplemental Funding : Defense Appropriations, Insight, Congressional Research Service, Washington, 25 aprile 2024.
8. Steven Scheer, Israel sells record $8 billion in bonds despite Oct 7 attacks, downgrade, Reuters, 6 marzo 2024.
9. Meir Orbach, Nvidia continues Israel shopping spree with acquisition of Deci, Ctech, 25 avril 2024.
10. Sharon Wrobel, EU financial arm to invest €900m in Israel, including Western Galilee desalination, The Times of Israel, 25 giugno 2023.
11. Il coefficiente di Gini, che corrisponde a 0 per la perfetta uguaglianza e a 1 per la totale disuguaglianza, è pari a 0,34, contro lo 0,395 degli Stati Uniti e lo 0,298 della Francia.