16 maggio 2025

Spaghetti, pallone e campi di concentramento



Verso la fine degli anni Ottanta la propaganda politica illustrava e vantava i successi dell'economia. Lo stato che occupa la penisola italiana era (dicevano) la sesta o quinta potenza economica mondiale. L'agenda "occidentalista" era patrimonio di qualche vecchio ringhioso e un ricco milanese che di lì a qualche anno avrebbe fondato un partito per non finire in galera faceva ancora il ricco milanese che poteva evitare di finire in galera senza andare a decidere il destino di tantissime persone che non desideravano affatto il suo interessamento.
Nel 2025 lo stato che occupa la penisola italiana è sparito da certe classifiche -o meglio, vi figura eccome ma è bene non farle vedere troppo in giro- e il ricco milanese che aveva fondato un partito per non finire in galera è morto. Prima di morire però ha passato una trentina d'anni a dare visibilità, cariche e agibilità politica ai migliori alfieri dell'agenda "occidentalista" oggi comunemente condivisa. Alfieri che aveva personalmente tirato fuori dalle fogne. I risultati sono stati eccezionali: dopo tanti anni e tantissimo logorante e assiduo impegno la propaganda politica non illustra e non vanta i successi dell'economia. Illustra e vanta i campi di concentramento.
Uno di questi campi di concentramento si trova nella Repubblica d'Albania ed è stato argomento di molti telegazzettini. Anita Likmeta è nata a Durrës e potrebbe essere tacciata di filocomunismo solo dai gazzettieri più ligi e dai più repellenti tra i buoni a nulla che usano le "reti sociali" per sporcare ovunque. In "L'aquila nera, una storia rimossa del fascismo in Albania" si esprime sull'argomento in termini che difficilmente troveranno posto in televisione.
Oggi l'Albania non combatte più per l'Europa. Oggi l'Albania è la sua discarica. Nell'estate del 2024, il governo italiano ha reso ufficiale ciò che per anni si è cercato di mascherare dietro la retorica della cooperazione internazionale: il primo sbarco di migranti sulle coste albanesi non è stato un atto di accoglienza, ma di espulsione. Il 16 ottobre, sedici uomini provenienti dal Bangladesh e dall'Egitto, intercettati nel Mediterraneo, sono stati trasferiti a Shëngjin sotto sorveglianza militare. Non più vite in fuga, non più persone in cerca di futuro, ma un problema logistico da dislocare altrove, lontano dagli occhi, dal cuore e dalla coscienza collettiva. L'accordo prevede fino a 36.000 trasferimenti all'anno: un flusso continuo di esseri umani trattati come scarti, destinati a essere ammassati in centri di detenzione oltre il confine europeo, in un limbo amministrativo senza volto né voce. L'Albania di oggi è l'angolo dimenticato dove si scaricano gli affari sporchi, gli accordi mai dichiarati, i progetti senza futuro. La terra che nessuno difende e tutti vogliono controllare. Siamo rimasti una frontiera, ma non una che si protegge: una che si sfrutta, che si vende al miglior offerente.

10 maggio 2025

Firenze. Il Comitato cittadini attivi San Jacopino difende orgoglioso i bottegoni Esselunga



Il Comitato cittadini attivi San Jacopino è una roba da Libro dei Ceffi che si premura di specificare di essere apolitico, il che significa che politico lo è eccome, almeno dai tempi dell'islamofoba da taschino Francesca Lorenzi.
Nel maggio 2025 sul Libro dei Ceffi è comparsa questa convocazione.
Sit-in
Giovedi 15 maggio 2025
ore 18:15
Insieme per la sicurezza
per chiedere al governo fiorentino e forze
dell'ordine più sicurezza e presidi
Basta spaccio, basta degrado
basta furti e sciacalli nei
supermercati Esselunga
Più telecamere di sicurezza
Presidio delle forze dell'ordine interforze
Basta scippi, aggressioni, spaccate .

Ritrovo davanti Esselunga via Galliano
Giardino Galliano Palazzo INPS Via Toselli
Siete tutti invitati comitati, associazioni gruppi FB A
Partecipare per la nostra sicurezza portate striscioni

Comitato cittadini attivi
San Jacopino
Dal che veniamo a sapere che non solo esiste un governo fiorentino, ma che se uno ha bisogno di sostanze contenenti i principi attivi della cannabis sativa, del papaver somniferum, dello erythroxylum coca o altre ancora può rivolgersi ai bottegoni Esselunga, pur presidiati da ladri e canes aurei che magari richiedono qualche precauzione.
A proposito di precauzioni, chi ha redatto il volantino deve conoscere molto bene i suoi polli e in un "paese" dove basta usare decentemente il congiuntivo per rischiare di essere aggrediti fisicamente da qualche ciabattona diplomata alla scuola della vita ha pensato bene di non correre rischi inutili. Ha ridotto all'osso i segni di interpunzione e nell'originale ha evitato anche quella noiosa e incomprensibile alternanza tra maiuscole e minuscole con cui scrivono i tuttologi tridosati con il siero. Tra i risultati più simpatici uno ibis redibis non morieris in bello in cui pare di capire che portando striscioni si contribuisca alla sicurezza
Una iniziativa importante e costruttiva, dalle consegne chiare. Perché mai non plaudire a un contributo così rilevante per la vita politica e sociale di Firenze.
Abbiamo più volte ricordato come a Firenze ci sia un bottegone ogni cinquecento metri, come il signor Caprotti e i suoi eredi siano stati protagonisti in negativo di alcuni pessimi episodi della vita economica locale, e di come il fatto che adesso anche l'unico ruolo accordato ai sudditi con una qualche buona grazia, che è quello di consumatori, sia messo in discussione non solo e non tanto dagli individui problematici attirati da quella che si è voluta ad ogni costo ergere a rilevantissima agenzia socializzatrice non istituzionale, ma anche e soprattutto dalla devastazione dei redditi in corso da oltre trent'anni, che nulla e nessuno intende -e neppure può- fermare. Il democratismo rappresentativo può trovare qualche legittimazione solo ripetendo l'unico copione che conosce, che è quell'accanimento contro le figure marginali in cui sono specializzate moltissime gazzette e cui oggi danno volenterosa mano anche figure di un livello chissà perché ritenuto superiore. C'è anche l'intelligenza artificiale, con cui trattare foto di tagliagole più o meno melaninodotati -a metà strada tra la realtà e l'allucinazione a contenuto persecutorio- a beneficio dell'idiozia naturale dell'elettorato di riferimento.
Il bottegone nella sua vera essenza fa ottima figura in un film del 1978 che lo ritrae come ambiente ideale per dei morti viventi.
In un film del 1978, è bene ripetere.
In altre parole, il bottegone costituisce una realtà tale, e si pone in un contesto tale, che le persone serie possono al massimo meravigliarsi del fatto che chi vi entra brandendo una scure rappresenti l'eccezione.
Che la vita "occidentale" sia sovvertita al punto che qualcuno si senta in dovere di manifestare per difendere un posto del genere, meraviglia ancora meno.

08 maggio 2025

Alastair Crooke - Donald Trump, il campione degli accordi che non conclude accordi



Traduzione da Strategic Culture, 5 maggio 2025.

La versione corrente, sia in Ucraina che in Iran, è che il presidente Trump vuole arrivare a un accordo. In tutti e due i casi la cosa è fattibile, ma sembra che Trump sia comunque riuscito a mettersi con le spalle al muro. Trump tiene a presentare la sua amministrazione come un qualcosa di più spiccio, di più cattivo e di molto meno incline ai sentimentalismi. Essa aspira ad affermarsi, a quanto sembra, anche come qualcosa di più centralizzato, coercitivo e radicale.
In politica interna definire l'ethos trumpiano in questi termini può anche essere fondato. In politica estera tuttavia Trump tergiversa. Il motivo non è chiaro, ma è una cosa che offusca le sue prospettive nei tre settori fondamentali per le sue aspirazioni di "pacificatore": l'Ucraina, l'Iran e Gaza.
Certamente Trump deve la sostanza del suo mandato al dilagante malcontento economico e sociale piuttosto che alla sua pretesa di essere un pacificatore; tuttavia gli obiettivi chiave della politica estera rimangono importanti per mantenere un buon livello di consenso e di inziativa.
Si potrebbe rispondere che nei negoziati internazionali un presidente ha bisogno di circondarsi di personalità determinate ed esperte in grado di sostenerlo. E Trump di queste personalità non ne dispone.
Prima mandare il suo inviato Witkoff a parlare con il presidente Putin, pare che il generale Kellogg abbia presentato a Trump una proposta di armistizio in stile Versailles, basata sull'idea che la Russia fosse alle corde: il piano era formulato in termini che sarebbero stati più appropriati a una capitolazione. La proposta di Kellogg sottintendeva anche l'idea che Trump avrebbe fatto a Putin un "grande favore", a toglierlo dal pantano ucraino in cui era andato a cacciarsi. Ed è proprio questa la linea che Trump ha adottato a gennaio. Dopo aver affermato che la Russia aveva perso in guerra un milione di uomini, Trump aveva aggiunto che "con il suo rifiutare ogni accordo, Putin sta distruggendo la Russia". Disse anche che l'economia russa era "alla rovina" e, cosa ancora più significativa, che avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di imporre sanzioni o dazi alla Russia. In un successivo post su Truth Social, Trump ha scritto: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Debitamente imbeccato dai suoi, il presidente potrebbe aver pensato di offrire a Putin un cessate il fuoco unilaterale e, in men che non si dica, di arrivare rapidamente ad un accordo che avrebbe ascritto a proprio merito. Tutte le premesse su cui si basava il piano Kellogg -il fatto che la Russia soffrisse per le sanzioni e che la guerra ormai in stallo fosse costata enormi perdite- erano false. Nessuno nell'entourage di Trump ha quindi svolto le dovute verifiche sulla strategia di Kellogg? Sembra che -per pigrizia- abbiano preso come modello la guerra di Corea, senza stare neanche a chiedersi se si trattasse di un paragone appropriato o meno.
Nel caso della guerra di Corea il cessate il fuoco lungo la linea del fronte precedette le considerazioni politiche, che arrivarono solo in un secondo momento. E che a tutt'oggi permangono irrisolte.
Con questo insistere anzitempo per un cessate il fuoco immediato durante i colloqui con i funzionari russi a Riyadh, Trump li ha invitati a rifiutare. Soprattutto perché gli uomini di Trump non avevano un piano concreto su come attuare un cessate il fuoco, e si sono limitati a dare per scontato che tutti i dettagli potessero essere affrontati a posteriori. Insomma, la questione è stata presentata a Trump come una facile vittoria.
Cosa che non era.
Il risultato era ovvio: il cessate il fuoco è stato rifiutato. Se al lavoro ci fosse stata gente davvero competente non si sarebbe arrivati a tanto. Nessuno dei funzionari di Trump ha sentito cosa aveva detto Putin il 14 giugno dell'anno scorso, quando aveva esposto con molta chiarezza al Ministero per gli Affari Esteri la posizione russa su un cessate il fuoco, posizione da allora regolarmente ribadita? A quanto pare no.
Eppure, quando l'inviato di Trump Witkoff è tornato dal lungo incontro con il presidente Putin per riferire sulla spiegazione dettagliata fornitagli di persona da quest'ultimo sul perché un qualsiasi cessate il fuoco avrebbe dovuto essere preceduto da un inquadramento politico -a differenza di quanto accaduto in Corea- il generale Kellogg gli avrebbe seccamente ribadito che "gli ucraini non accetteranno mai".
Fine della discussione, a quanto pare. Nulla di fatto.
La situazione è rimasta la stessa, nonostante diversi altri voli diretti a Mosca. A Mosca si attendono conferme sul fatto che Trump è in grado di consolidare la sua posizione e di prendere la situazione in pugno. Fino a quel momento, Mosca è pronta ad agevolare un "ravvicinamento delle posizioni", ma non approverà un cessate il fuoco unilaterale. E nemmeno Zelensky.
A rimanere incomprensibile è come mai Trump non interrompa i flussi di armi e di intelligence statunitensi verso Kiev e non dica agli europei di togliersi dai piedi. Kiev dispone forse di una qualche forma di potere di veto? Gli uomini di Trump non hanno capito che gli europei sperano semplicemente di ostacolare l'obiettivo di Trump, che è quello di normalizzare le relazioni con la Russia? Sarà il caso che comincino a capirlo.
Sembra che il "dibattito" -se così si può chiamarlo- all'interno dell'amministrazione Trump abbia in gran parte escluso i dati reali. Si è svolto ad un livello normativo elevato, dove certi fatti e certe verità sono semplicemente dati per scontati.
Forse ha pesato molto una dinamica analoga al fenomeno dei costi irrecuperabili: più si continua con una linea di condotta -non importa quanto stupida- meno si è disposti a cambiarla. Cambiarla sarebbe interpretato come riconoscere l'errore, e riconoscere l'errore è il primo passo verso la perdita del potere.
E c'è un parallelo nei colloqui con l'Iran.
Trump ha in mente di arrivare a un accordo negoziato con l'Iran che raggiungerebbe il suo obiettivo di un Iran senza armi nucleari. Obiettivo che sarebbe esso stesso tautologico, dato che la comunità dei servizi statunitensi ha già stabilito che l'Iran non possiede armi nucleari.
Come si fa a fermare una cosa che non esiste? Beh, l'intenzione è un concetto estremamente difficile da definire. Quindi, l'entourage di Trump riparte dall'inizio, dal punto fermo originario stabilito dalla Rand Organisation per cui non esiste alcuna differenza qualitativa tra l'arricchimento dell'uranio a fini pacifici e quello a fini militari. Quindi, non dovrebbe essere consentito alcun arricchimento.
Solo che l'Iran l'uranio lo arricchisce, grazie alla concessione di Obama nell'ambito del JCPOA, che lo ha permesso sia pure con alcune limitazioni.
Circolano molte idee su come quadrare il cerchio, ovvero il rifiuto dell'Iran di rinunciare all'arricchimento e l'impossibilità di Trump di usare le parole come armi. Nessuna di queste idee è nuova: importare in Iran materie prime arricchite; esportare l'uranio altamente arricchito dall'Iran in Russia (cosa già fatta nell'ambito del JCPOA) e chiedere alla Russia di costruire l'impianto nucleare iraniano per alimentare l'industria locale. Il problema è che la Russia lo sta già facendo. Un impianto è già in funzione e un altro è in costruzione.
Anche lo stato sionista naturalmente ha avanzato le sue proposte: eliminare alla radice tutte le infrastrutture di arricchimento e le capacità missilistiche dell'Iran.
Solo che l'Iran non accetterà mai.
Quindi, la scelta è tra un sistema di ispezioni e sorveglianza tecnica, implementato in un accordo simile al JCPOA -che non farà la felicità né dello stato sionista né la leadership istituzionale ad esso vicina- o un'azione militare.
Il che ci riporta all'entourage di Trump e ai disaccordi all'interno del Pentagono.
Pete Hegseth ha fatto avere all'Iran questo messaggio, pubblicato su un suo account sui social:
Vediamo il vostro sostegno LETALE agli Houthi. Sappiamo esattamente cosa state facendo. Sapete molto bene di cosa è capace l'esercito statunitense e siete stati avvertiti. Ne pagherete le CONSEGUENZE nel momento e nel luogo da noi scelti.
Chiaramente, Hegseth è un frustrato. Come ha osservato Larry Johnson:
Gli uomini di Trump si sono mossi sulla base di [un'altra] falsa supposizione, ovvero che i collaboratori di Biden non abbiano compiuto seri sforzi per distruggere l'arsenale di missili e di droni degli Houthi. I sostenitori di Trump credevano di poter bombardare gli Houthi fino a sottometterli. Invece, gli Stati Uniti stanno dimostrando a tutti i paesi della regione i limiti della loro potenza navale e aerea... Nonostante più di seicento sortite di bombardamento, gli Houthi continuano a lanciare missili e droni contro le navi statunitensi nel Mar Rosso e contro obiettivi all'interno dello stato sionista.
Pare che gli uomini di Trump si siano prima cacciati in un conflitto con lo Yemen e poi in un negoziato complicati con l'Iran, ancora una volta senza aver controllato di essere tutti d'accordo sullo Yemen. Si tratta davvero di un ragionamento di gruppo?
In una situazione di incertezza come quella attuale, la solidarietà viene vista come un fine in sé e nessuno vuole essere accusato di "indebolire l'Occidente" o di "rafforzare l'Iran". Se devi sbagliare, meglio sbagliare in compagnia del maggior numero possibile di persone.
Lo stato sionista lascerà correre? Sta lavorando alacremente con il generale Kurilla (il generale statunitense al comando del CENTCOM) nel bunker sotto il Dipartimento della Difesa, preparando piani per un attacco congiunto contro l'Iran. Lo stato sionista sembra molto impegnato in questa occupazione.
Tuttavia, l'ostacolo fondamentale al raggiungimento di un accordo con l'Iran è ancora più cruciale, in quanto -così come è attualmente concepito- l'approccio degli Stati Uniti ai negoziati viola tutte le regole su come avviare un trattato di limitazione degli armamenti.
Da un lato c'è lo stato sionista, che ha armi nucleari e la capacità per lanciarle con sottomarini, aerei e missili. Lo stato sionista il ricorso alle armi nucleari lo ha anche minacciato, sia recentemente a Gaza sia durante la prima guerra in Iraq, in risposta ai missili Scud di Saddam Hussein.
A mancare, qui, è un minimo di principio di reciprocità. Si dice che l'Iran minaccia lo stato sionista, quando è lo stato sionista a minacciare regolarmente l'Iran. E lo stato sionista ovviamente vuole che l'Iran sia neutralizzato e disarmato, mentre insiste per non dover rendere conto di niente: niente trattato di non proliferazione, niente ispezioni dell'AIEA, nessuna ammissione.
I trattati di limitazione agli armamenti avviati da JF Kennedy e da Krusciov derivavano dal successo dei negoziati con cui gli Stati Uniti ritirarono i propri missili dalla Turchia prima che la Russia ritirasse i propri da Cuba.
Deve essere chiaro a Trump e Witkoff che proposte sbilanciate come quella che rivolgono all'Iran non hanno alcuna relazione con le realtà geopolitiche e sono quindi prima o poi destinate al fallimento. La squadra di Trump si sta mettendo con le spalle al muro da sola, costringendosi ad un'azione militare contro l'Iran di cui poi dovrà assumersi la responsabilità.
Trump questo non lo vuole, l'Iran non lo vuole. Quindi, si è approfondita la questione? L'esperienza dello Yemen è stata presa in considerazione nella sua interezza? Quelli di Trump hanno pensato a qualche via d'uscita? Un modo innovativo per uscire da questo dilemma e di ripristinare almeno in parte una parvenza di trattato di limitazione degli armamenti come lo si intende in modo classico potrebbe essere l'avanzare l'idea, da pare di Trump, che è giunto il momento che lo stato sionista aderisca al trattato di non proliferazione e che sottoponga le sue armi all'ispezione dell'AIEA.
Trump lo farà? No.
Il motivo è ovvio.
La trasformazione degli USA voluta da Trump passa dal ricostruire gli USA innanzitutto.

29 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump e il disastroso piano Kellogg per l'Ucraina




Traduzione da Strategic Culture, 28 aprile 2025.

A Washington la politica intesa come guerra è un endemismo. Ma il numero delle vittime al Pentagono ha iniziato a salire vertiginosamente. Tre dei principali consiglieri del segretario alla Difesa Hegseth sono stati sospesi e poi licenziati. La guerra continua, e adesso nel mirino c'è lo stesso segretario. La cosa è importante perché l'attacco a Hegseth arriva nel mezzo di un feroce dibattito interno all'amministrazione Trump sulla politica nei confronti dell'Iran. I falchi vogliono l'eliminazione definitiva di tutte le capacità nucleari e militari dell'Iran, mentre molti "moderati" mettono in guardia contro un'escalation militare; secondo quanto riferito, Hegseth era tra coloro che mettevano in guardia contro un intervento in Iran.
I recenti licenziamenti al Pentagono sono stati tutti identificati come appartenenti all'ala dei dubbiosi. Uno di questi, Dan Caldwell, ex consigliere capo di Hegseth e veterano dell'esercito, ha scritto un post in cui criticava aspramente i falchi, e successivamente è stato licenziato. In seguito è stato intervistato da Tucker Carlson. In particolare, Caldwell descrive in termini durissimi le guerre statunitensi in Iraq e in Siria ("criminali"). Questo atteggiamento negativo nei confronti delle guerre precedenti sembra essere un tema ricorrente tra i veterani statunitensi di oggi.
A quanto pare i tre membri dello staff del Pentagono sono stati licenziati non per aver divulgato informazioni riservate, ma sostanzialmente per aver dissuaso Hegseth dal sostenere la guerra contro l'Iran; i sostenitori dello stato sionista invece a quella guerra non hanno affatto rinunciato.
Le arroventate linee di frattura che dividono falchi e “repubblicani” tradizionalisti si ritrovano anche per la questione dell'Ucraina, anche se l'appartenenza alle fazioni può cambiare leggermente. I sostenitori dello stato sionista e i falchi statunitensi in generale si ritrovano sia a sostenere la guerra contro la Russia sia ad avanzare posizioni perentorie nei confronti dell'Iran.
Il commentatore conservatore Fred Bauer osserva che quanto a impulsi bellicisti, in Trump se ne trovano di contrastanti:
Influenzato dalla guerra del Vietnam della sua giovinezza... Trump sembra profondamente contrario ai conflitti militari a lungo termine, ma allo stesso tempo ammira una politica fatta di forza e di spavalderia. Una cosa che vuol dire eliminare i generali iraniani, lanciare attacchi aerei contro gli Houthi e aumentare il budget della difesa a mille miliardi di dollari.
Se le pressioni per la sua rimozione dovessero avere successo e Hegseth dovesse uscire di scena, la contesa potrebbe diventare ancora più feroce. E c'è già una prima vittima: la speranza di Trump di porre rapidamente fine al conflitto in Ucraina non esiste più.
Questa settimana il team di Trump (comprese entrambe le fazioni in lotta, Rubio, Witkoff e il generale Kellogg) si è riunito a Parigi con vari rappresentanti europei e ucraini. Durante l'incontro la delegazione statunitense ha avanzato una proposta di cessate il fuoco unilaterale russo-ucraino.
In aeroporto a riunioni terminate Rubio ha detto con chiarezza che il piano per un cessate il fuoco era un'iniziativa statunitense "da prendere o lasciare". Le varie parti -la Russia, Kiev e i membri europei della "coalizione dei volenterosi"- avevano solo pochi giorni per accettarlo, altrimenti gli Stati Uniti si sarebbero "chiamati fuori" e della guerra se ne sarebbero lavati le mani.
Il quadro presentato, secondo quanto riferito, è quasi -forse al 95%- identico a quello proposto a suo tempo dal generale Kellogg: si tratta, cioè, sempre del suo piano, reso noto per la prima volta nell'aprile 2024. Sembra che Trump abbia fatto propria questa "formula Kellogg", anche se all'epoca era nel pieno della campagna elettorale e difficilmente poteva seguire da vicino i complicati dettagli della guerra in Ucraina.
Al generale Kellogg è verosimile che si debba anche l'ottimismo con cui Trump considera possibile mettere termine alle ostilità in Ucraina con uno schiocco di dita, ovvero attraverso l'applicazione di limitate pressioni asimmetriche e minacce su entrambi i belligeranti, e secondo i tempi decisi a Washington.
In sostanza il piano era frutto del consenso vigente negli ambienti governativi sul fatto che gli USA avrebbero potuto arrivare a imporre una soluzione negoziata, con condizioni in linea con gli interessi statunitensi e ucraini.
Le ipotesi implicite nel piano di Kellogg erano che la Russia fosse altamente vulnerabile alla minaccia di sanzioni (la sua economia era percepita come fragile), che avesse subito perdite insostenibili e che la guerra fosse in una fase di stallo. Kellogg ha quindi convinto Trump che la Russia avrebbe accettato prontamente i termini proposti per il cessate il fuoco, sebbene questi si fondassero su ipotesi palesemente errate circa la Russia e le sue presunte debolezze.
L'influenza di Kellogg, con i suoi fallaci presupposti, si è resa fin troppo evidente in gennaio quando Trump, dopo aver affermato che la Russia aveva perso un milione di uomini (in guerra), ha proseguito dicendo che "Putin sta distruggendo la Russia, col suo rifiutare un accordo", aggiungendo -apparentemente come se fosse un'osservazione a margine- che Putin potrebbe aver già deciso di "non accettare un accordo". Trump disse anche che l'economia russa è "alla rovina" e -cosa ancora più significativa- che avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di imporre sanzioni o dazi alla Russia. In un successivo post su Truth Social, Trump ha scritto: "Farò un grande FAVORE alla Russia, la cui economia è in crisi, e al presidente Putin".
Tutte le ipotesi di Kellogg erano prive di qualsiasi fondamento nella realtà. Eppure Trump sembra averle accettate senza riserve. E nonostante i tre lunghi incontri personali successivi di Steve Witkoff con il presidente Putin, in cui Putin ha ripetutamente affermato che non avrebbe accettato alcun cessate il fuoco fino a quando non fosse stato concordato un inquadramento politico, i sostenitori di Kellogg hanno continuato a dare per scontato che la Russia sarebbe stata costretta ad accettare la mano che Kellogg le tendeva, viste le (presunte) gravi "battute d'arresto" subite in Ucraina.
Se le cose stanno così, non sorprende che i termini del quadro per un cessate il fuoco delineati da Rubio questa settimana a Parigi sembrassero più quelli che si rivolgerebbero a una controparte sul punto di capitolare, piuttosto che a uno Stato che prevede di raggiungere i propri obiettivi con mezzi militari.
In sostanza, il piano Kellogg mirava a ottenere una "vittoria" degli Stati Uniti a condizioni in linea con la volontà di mantenere aperta l'opzione di continuare contro la Russia una guerra di logoramento.
Ma cosa prevede il piano Kellogg? In sostanza, mira a congelare la situazione lungo la linea del fronte. All'Ucraina non sarebbe impedito in via definitiva un ingresso nella NATO, ma piuttosto di rinviare l'adesione a un lontano futuro. Non sono previsti limiti alle dimensioni di un futuro esercito ucraino né restrizioni al tipo o alla quantità di armamenti a disposizione delle forze ucraine. Anzi, dopo il cessate il fuoco gli Stati Uniti potrebbero al contrario riarmare, addestrare e sostenere militarmente delle future forze armate. Insomma, si tratterebbe di tornare ai tempi del dopo Maidan del 2014. Inoltre l'Ucraina non cederebbe alcun territorio alla Russia ad eccezione della Crimea, che sarebbe riconosciuta dagli Stati Uniti come russa (l'unica concessione a Witkoff?); la Russia eserciterebbe un mero "controllo" sulle quattro regioni che attualmente rivendica, ma solo fino alla linea del fronte; i territori al di là del fronte rimarrebbero sotto il controllo ucraino (si veda qui per la "mappa di Kellogg"). La centrale nucleare di Zaporizhya sarebbe territorio neutrale, controllato e gestito dagli Stati Uniti. Non viene fatto alcun riferimento alle città di Zaporizhya e di Kherson, che la Russia considera costituzionalmente proprio territorio ma che si trovano oltre la linea del fronte.
A quanto pare il piano non delineava alcuna soluzione politica e lasciava all'Ucraina la libertà di rivendicare tutti i suoi ex territori ad eccezione della Crimea.
Il territorio ucraino a ovest del fiume Dnieper sarebbe però diviso in tre zone, rispettivamente di responsabilità britannica, francese e tedesca. Cioè gestite dalle forze della NATO. In ultimo, non sono previste garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti.
Rubio ha successivamente fatto avere i dettagli del piano al ministro degli Esteri russo Lavrov, il quale ha risposto con calma che qualsiasi piano per un cessate il fuoco dovrebbe avere come primo obiettivo la risoluzione delle cause alla base del conflitto.
Witkoff si reca a Mosca questa settimana per presentare a Putin un piano chiaramente votato al fallimento e per cercare di ottenere il suo consenso. Gli europei e gli ucraini si riuniranno mercoledì prossimo a Londra per formulare una loro risposta a Trump.
Cosa succederà adesso? È ovvio che il piano Kellogg non scioglierà certo le ali al vento. La Russia non lo accetterà e probabilmente nemmeno Zelensky, anche se gli europei cercheranno di convincerlo sperando di "mettere Mosca in difficoltà" facendo fare alla Russia la figura del guastafeste principale. Secondo quanto riferito, Zelensky ha già respinto la clausola sulla Crimea.
Gli europei potrebbero scoprire che il fatto che non siano previste garanzie di sicurezza o di sostegno da parte degli Stati Uniti rappresenta una pietra tombale per la loro aspirazione di dispiegare truppe in Ucraina nel contesto del cessate il fuoco. Trump si laverà davvero le mani dell'Ucraina? Probabilmente no, dato che la leadership istituzionale neoconservatrice degli Stati Uniti dirà a Trump che farlo indebolirebbe la narrativa ameriKKKana della "pace attraverso la forza". Trump potrebbe adottare una posizione di sostegno "a bassa intensità", dichiarando che quella "non è mai stata la sua guerra" intanto che cerca una "vittoria" contro la Russia sul fronte commerciale.
In buona sostanza che Kellogg non ha servito bene il suo padrone. Gli Stati Uniti hanno bisogno di intrattenere con la Russia delle relazioni che funzionano. I sostenitori di Kellogg hanno contribuito nel presentare a Trump una raffigurazione della Russia gravemente errata. Putin è un attore serio, che dice ciò che pensa e pensa ciò che dice.
Il colonnello Macgregor riassume così:
Trump tende a vedere il mondo attraverso la lente degli accordi. [Porre fine alla guerra in Ucraina] non è una questione di accordi. Si tratta della vita e della morte di nazioni e popoli. Non c'è alcun interesse per una sorta di accordo a breve termine che conferisca a Trump o alla sua amministrazione l'aura della grandezza. Non ci sarà alcuna vittoria personale per Donald Trump in tutto questo. Non succederà mai.

24 aprile 2025

Firenze. Sulla prospettata chiusura del consolato statunitense di Lungarno Vespucci



 A Firenze un personaggio è un individuo dalle caratteristiche comportamentali che gli consentono di attirare sulle prime un'attenzione incuriosita e non malevola, ma destinato a rivelarsi dopo non molto tempo una compagnia tra l'imbarazzante e l'ingestibile a causa di opinioni, decisioni, azioni e comportamenti avventati, scriteriati, velleitari, incompetenti o semplicemente idioti ma comunque in grado di riguardare molti terzi con le loro conseguenze. Conseguenze sempre negative, ma di difficile attribuzione causale per chi non abbia assistito da vicino ai comportamenti che ne sono stati la causa.
La tendenza dell'amministrazione statunitense a cooptare personaggi in grado di far sparire il Presidente Dwayne Camacho, Frito Pendejo e gli altri protagonisti di Idiocracy, già ben affermata da decenni, pare aver accelerato dopo l'insediamento di Donald Trump per il suo secondo mandato.
Uno di questi è lo straricco e viziato Elon Musk, cui Trump ha affidato addirittura un ministero per l'efficienza governativa nel cui stemma figura molto appropriatamente e molto giustamente un cane.


Prima di stancarsene presto, come tutti i ricchi viziati, questo Musk avrebbe tagliato spese e personale con quegli you are fired che da quelle parti ti mettono immediatamente ad arrangiarti da solo perché amici e conoscenti spariscono come per incanto. Nulla di particolarmente rivoluzionario o innovativo, visto che sono almeno quarant'anni che dicono di non aver fatto altro. Sempre che non si tratti di armi, o di agevolazioni fiscali per i ricchi. Negli ultimi tempi la weltanschauung "occidentalista" ha finalmente perso le ultime remore e può dispiegarsi senza neppure doversi preoccupare di mettere in conto opposizioni concrete neppure minime.
Insieme a un commensale che si chiama Marco Rubio, questo Musk avrebbe messo in piedi anche una "radicale riorganizzazione del Dipartimento di Stato" chiudendo sedi e licenziando gente. La sede consolare fiorentina di lungarno Vespucci sarebbe tra quelle da chiudere.
Finalmente si tolgono dai piedi, la reazione immediata di molte persone serie.
Solo che le cose non stanno propriamente in questo modo. La presenza statunitense potrebbe diventare anzi ancor più fastidiosa.
Il Corriere Fiorentino così riporta il 23 aprile 2025 considerazioni attribuite a Marco Rubio:
Così com'è, il dipartimento è ipertrofico, burocratico e incapace di svolgere la sua essenziale missione diplomatica in questa nuova era di grande competizione tra potenze. Negli ultimi quindici anni il dipartimento ha registrato una crescita senza precedenti e i costi sono aumentati vertiginosamente ma, lungi dal vedere un ritorno dell'investimento, i contribuenti hanno assistito a una diplomazia meno efficace ed efficiente.
Un ortolano che constati le cattive condizioni di una partita di banane appena consegnatagli non si esprimerebbe in termini diversi. Dietro le righe si vedono gli ultimi sviluppi tendenziali -per non dire l'ultima moda- della politica "occidentalista": dal disprezzare la diplomazia nei confronti di paesi in cui esportare la democrazia a mezzo missile da crociera è passata a disprezzare la diplomazia in quanto tale. Un disprezzo che passa dal definanziamento e anche dal rifiuto del soft power. Questo abdicare a una costellazione di pratiche che comprende anche l'influenza culturale potrebbe sembrare scriteriato, ma un certo immaginario fatto di strade della California, generali Lee, rambi allo stato brado, fonzarelli a pollici alzati e con il "Reader's Digest" per attirare gli spiriti meno ardenti non ha alcun legame con la realtà da decenni, sempre che ne abbia mai avuto uno. E forse lo spettacolo dell'idiocrazia vigente e delle sue conseguenze sulla vita quotidiana, che di legami con la realtà statunitense ne ha fin troppi, è bene tenerlo quanto possibile in secondo piano.
I due micropolitici fiorentini Francesco Casini e Francesco Grazzini invece hanno reagito come se qualcuno gli avesse spento la luce per dispetto mentre facevano i compiti con "I Quindici" sulla scrivania, rifacendosela con l'esecutivo di Roma e con la madre non sposata che vi ricopre il ruolo di Primo Ministro. Probabile che la rilevanza letteralmente garzonale della loro opinione abbia loro risparmiato conseguenze più consistenti di qualche risatina di scherno.
Il modo per ottenere un ritorno dell'investimento esiste ed è dei più ovvi, tanto più che lo stabile è di proprietà governativa statunitense dal 1949.
Per prima cosa il consolato chiude.
Fine.
Le diciannovenni che vanno a Firenze in cerca di grane e poi si presentano a chiedere aiuto in lungarno Vespucci appena qualcuno gliene procura si rivolgeranno a Roma o a Milano; non rappresentano certo una fonte di entrate.
I quattro gatti che ci lavorano si arrangino, vadano a piangere dai sindacati. Ecco come finisce chi si fida degli ameriKKKani, si potrebbe infierire; nella penisola italiana la politica liberista -di cui il "sovranismo" altro non è che uno sviluppo ulteriormente incarognito- ha sempre contato su una base elettorale sicura che per lei una ciotola di maccaruna c'a' pummarola 'n coppa ci sarebbe sempre e comunque stata e che se perdi il lavoro è colpa tua. In quelle file il principio di realtà avanza da decenni a colpi di falce fienaia, ma evidentemente ancora non basta.
Palazzo Calcagnini o Canevaro di Zoagli ha di per sé tutto quello che serve per diventare uno charming resort: stucchi dorati, scalone monumentale, archi, colonne e un intero piano nobile. L'organizzando fine dining restaurant potrebbe essere chiamato "The bicorn in Florence" a ricordo dei vecchi tempi, così come locali dalle stesse pretese hanno spesso nomi che rimandano a realtà precedenti dove si lavorava sul serio. Con i suoi trenta euro per un goccio di liquore -pardon, per il settore mixology- e duecentosettanta per un menu scoperta garantirebbe spazi, frequentazioni e atmosfere dei più adatti alle trattative d'affari attirando una clientela di livello e consentendo di arrivare al punto senza perdite di tempo e di denaro. Ripensandoci anche il personale consolare in esubero potrebbe trarre vantaggi: perché non riassumerlo per posizioni come quella di sguattero o di cameriera ai piani, con una retribuzione pari a un terzo di quella precedente?
La diplomazia non è mai rifuggita da mezzi di questo genere, anzi. Solo che con alcune notevoli eccezioni -la prima che viene in mente è Joachim von Ribbentrop- a frequentare certi ambienti e a disporre di certi mezzi sono di solito individui e compagini che della diplomazia sono per lo meno disposti ad ammettere la liceità e l'utilità.

18 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump smantella un ordine mondiale in crisi: nuove opportunità sorgono dal caos



Traduzione da Strategic Culture, 16 aprile 2025.

Lo shock inflitto da Trump –il suo sottrarre l'AmeriKKKa al ruolo di perno dell'ordine postbellico basato sul dollaro– ha aperto una profonda spaccatura tra coloro che hanno tratto enormi benefici dallo status quo da un lato, e la fazione del Make AmeriKKKa Great Again che era arrivata a considerare lo status quo come un nemico -se non come una minaccia esistenziale- per gli interessi degli Stati Uniti dall'altro. Le due parti sono contrapposte da un'aspra polarizzazione irta di accuse reciproche.
Uno dei dati ironici della situazione è il fatto che il Presidente Trump e i repubblicani di destra abbiano insistito nel denunciare come una dannazione la vantaggiosa posizione del dollaro come valuta di riserva, che ha deviato proprio verso gli Stati Uniti il flusso dei risparmi del mondo che ha permesso loro di godere del privilegio unico di stampare moneta senza conseguenze negative. Almeno fino ad ora. Perché a quanto pare le dimensioni dell'indebitamento iniziano a farsi sentire anche per il Leviatano.
Il vicepresidente Vance adesso paragona la valuta di riserva a un "parassita" che ha corroso la sostanza del suo "ospite" –l'economia statunitense– con l'imposizione della sopravvalutazione del dollaro.
Per essere chiari, il presidente Trump riteneva che non ci fosse scelta: o si rovesciava il paradigma esistente al prezzo di notevoli sacrifici per molti di coloro che dipendono dal sistema finanziario, oppure si lasciava che gli eventi seguissero il loro corso verso l'inevitabile collasso economico degli Stati Uniti. Anche coloro che comprendevano il dilemma degli Stati Uniti sono rimasti comunque piuttosto scioccati dallo sfacciato egoismo con cui Trump ha deciso di "imporre dazi al mondo".
Al contrario di quello che molti affermano, le iniziative di Trump non sono dei capricci o dei gesti impulsivi. Sulle tariffe doganali il suo entourage ha lavorato per anni, e la loro imposizione costituiva parte integrante di un quadro più complesso che integrava gli effetti dei dazi sulla riduzione del debito e sulle entrate con un programma volto a costringere un'industria manifatturiera ormai scomparsa a tornare negli Stati Uniti.
Quella di Trump è una scommessa; potrebbe riuscire oppure no. Rischia una crisi finanziaria ancora più grave, dato che i mercati finanziari sono sovraindebitati e fragili. Ma ciò che è chiaro è che alle sue rozze minacce e al suo umiliare i leader mondiali seguirà una perdita di centralità degli USA che finirà per provocare una reazione nociva sia nelle relazioni con gli altri Paesi sia nella loro disponibilità a continuare ad avere a che fare con attività statunitensi, come i titoli del Tesoro. La sfida della Cina a Trump conferirà all'atmosfera un tono cui si adeguerà anche chi non ha il peso della Cina.
Perché allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere? Perché, dietro le azioni audaci di Trump, osserva Simplicius, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA devono affrontare:
Rimane indiscutibile che la forza lavoro statunitense è stata devastata dalla tripla minaccia dell'immigrazione di massa, dall'anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dall'alienazione di massa e dalla privazione dei diritti civili degli uomini di orientamento conservatore. Questi sono stati fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di fiducia nella capacità dell'industria manifatturiera statunitense di tornare ai fasti del passato, indipendentemente dall'entità dei tagli che Trump deciderà di infliggere a un "ordine mondiale" ormai in crisi.
Trump sta scatenando una rivoluzione per ribaltare questa realtà. La sua speranza è che ponendo fine all'anomia riporterà l'industria negli Stati Uniti.
Esiste una corrente nell'opinione pubblica occidentale –"non limitata affatto agli intellettuali", né ai soli statunitensi– che dispera della "mancanza di volontà" del proprio Paese, o della sua incapacità di fare ciò che è necessario, della sua inettitudine e della sua "crisi di competenza". Questa gente desidera ardentemente una leadership a suo giudizio più dura e più determinata, bramosa di potere illimitato e spietato.
Un sostenitore di Trump di alto rango esprime il concetto in modo piuttosto brutale: "Siamo ora a un punto di svolta molto importante. Se vogliamo affrontare di brutto la Cina non possiamo tollerare incrinature sul fronte interno... È ora di diventare cattivi, brutalmente, duramente cattivi. Le delicatezze sensibili devono essere spazzate via come piume in un uragano".
Non sorprende che in un Occidente dominato da un generico nichilismo possa prendere piede una mentalità che ammira il potere e soluzioni tecnocratiche animate da una quasi compiaciuta spietatezza.
Prendete nota: ci aspetta un futuro turbolento.
A complicare ancora di più il quadro del disfacimento economico dell'Occidente arriva la contraddittorietà delle dichiarazioni di Trump. Potrebbero anche essere parte del suo repertorio, ma la loro casualità fa pensare che nulla sia affidabile e nulla sia costante.
Secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, Trump avrebbe perso ogni inibizione quando si tratta di agire con audacia: "È all'apice del non fregarsene più di niente", ha dichiarato al Washington Post un funzionario della Casa Bianca che conosce bene il modo di pensare di Trump:
Cattive notizie? Non gliene frega un cazzo. Farà quello che deve fare. Farà quello che ha promesso durante la campagna elettorale.
Quando una parte della popolazione di un Paese deplora la "mancanza di volontà" o l'incapacità del proprio Paese di "fare quello che va fatto", sostiene lo Aurelien, essa inizia di tanto in tanto a identificarsi emotivamente con "un altro Paese", ritenuto più forte e più deciso. In questo particolare momento, "il manto" che toccherebbe a "una sorta di supereroe nietzscheano al di là di considerazioni sul bene e sul male"... "è caduto sullo stato sionista" - almeno per una rilevante quota di politici statunitensi ed europei. Aurelien continua:
Nello stato sionista troviamo una società apparentemente occidentale insieme a una linea comportamentale spregiudicata, spietata e improntata a un totale disprezzo per il diritto internazionale e per la vita umana; molti lo trovavano esaltante ed è diventato un modello da emulare. Il sostegno occidentale allo stato sionista su Gaza acquista molto più senso quando ci si rende conto che i politici occidentali e parte della classe intellettuale provano una segreta ammirazione per la spietatezza e la brutalità dello stato sionista in guerra.
La "svolta" imposta dagli Stati Uniti, nonostante i costosi sconvolgimenti che impone, rappresenta anche un'enorme opportunità: quella di passare a un paradigma sociale alternativo che vada oltre il dominio della sfera finanziaria imposta dal neoliberismo. Questa prospettiva, fino ad oggi, è stata negata dall'insistenza con cui le élite hanno ripetuto che "non ci sono alternative". Adesso si è aperto uno spiraglio.
Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione pubblicato circa ottant'anni fa sosteneva che le enormi trasformazioni economiche e sociali a cui aveva assistito durante la sua vita –la fine del secolo di "pace relativa" in Europa dal 1815 al 1914 e la successiva caduta nel caos economico, nel fascismo e nella guerra, ancora in corso al momento della pubblicazione del libro– avevano un'unica causa generale.
Prima del XIX secolo, sosteneva Polanyi, nel "modo di essere" dell'uomo l'economia era una componente organica della società e di essa era sempre stata "parte integrante", subordinata alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali, ovvero subordinata a una cultura civilizzatrice. La vita non era considerata una cosa separata, non era ridotta a particolari distinti, ma era vista come parte di un tutto organico che era la Vita stessa.
Il nichilismo postmoderno è sfociato nel neoliberismo sfrenato degli anni '80 e ha capovolto questa logica. In quanto tale, ha costituito una rottura ontologica con gran parte della storia. Non solo ha separato artificialmente l'"economico" dal "modo di essere" politico ed etico, ma l'economia aperta e liberista (nella sua formulazione di Adam Smith) ha richiesto la subordinazione della società alla logica astratta di un mercato in grado di autoregolarsi. Per Polanyi, questo "significava nientemeno che il funzionamento della comunità come appendice del mercato" e come nient'altro.
La sua proposta –chiaramente– era quella di riportare la società al ruolo dominante in una comunità squisitamente umana, ovvero darle un senso attraverso una cultura viva. In questo senso, Polanyi sottolineava anche il carattere territoriale della sovranità: lo Stato-nazione come condizione sovrana per l'esercizio della politica democratica.
Polanyi avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla Vita stessa come perno centrale della politica, una reazione violenta sarebbe stata inevitabile. È forse questa la reazione cui stiamo assistendo oggi?
In una conferenza davanti a un pubblico di industriali e di imprenditori russi il 18 marzo 2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa per la Russia, quella della "economia nazionale". Putin ha sottolineato sia l'assedio che è stato imposto allo Stato russo sia la risposta russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.
Si tratta di un modo di concepire l'economia già praticato dalla Cina, che aveva giocato d'anticipo sull'offensiva tariffaria di Trump.
Il discorso di Putin –in senso metaforico– costituisce la controparte finanziaria del discorso che tenne al Forum sulla sicurezza di Monaco del 2007, in cui aveva accettato la sfida militare lanciata dalla "NATO collettiva". Il mese scorso tuttavia Putin è andato oltre, affermando chiaramente che la Russia aveva accettato la sfida lanciata dall'ordine finanziario anglosassone dell'"economia aperta".
Il discorso di Putin non conteneva elementi nuovi in senso stretto: sanciva il passaggio dal modello della "economia aperta" a quello della "economia nazionale". La "scuola dell'economia nazionale" (del XIX secolo) sosteneva che l'analisi di Adam Smith, fortemente incentrata sull'individualismo e il cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.
Il risultato di un libero scambio generale non sarebbe stato l'approdo a una repubblica universale, ma al contrario la sottomissione universale delle nazioni meno avanzate alle potenze manifatturiere e commerciali predominanti. I sostenitori di un'economia nazionale contrastarono l'idea dell'economia aperta di Smith sostenendo invece un'economia chiusa che consentisse alle industrie nascenti di crescere e di diventare competitive sulla scena globale.
"Non fatevi illusioni: non esiste nulla al di fuori di questa realtà". Questo l'ammonimento di Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le illusioni", ha detto ai delegati:
Le sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme alla una nuova spirale di rivalità economiche già scatenatasi.
Le sanzioni non sono misure temporanee né mirate, ma costituiscono un meccanismo di pressione sistematica e strategica contro la nostra nazione. Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine internazionale, i nostri concorrenti cercheranno in permanenza di impastoiare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche.
Non dovete sperare in una completa libertà di commercio, di transazioni e di trasferimenti di capitali. Non dovete contare sui meccanismi occidentali per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori... Non sto parlando di sistemi giuridici: semplicemente, essi non esistono! Esistono solo per se stessi! Questo è il trucco. Capite?!
Noi [russi] dobbiamo affrontare le nostre sfide, certamente -ha detto Putin- ma anche gli occidentali devono affrontarne numerose. Il dominio occidentale sta svanendo. Nuovi centri di crescita globale stanno prendendo il centro della scena.
Queste sfide non sono il problema; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin:
daremo priorità alla produzione interna e allo sviluppo delle industrie tecnologiche. Il vecchio modello è finito. La produzione di petrolio e gas sarà semplicemente il complemento di un'economia reale in gran parte interna e autosufficiente, in cui l'energia non sarà più il motore. Siamo aperti agli investimenti occidentali, ma solo alle nostre condizioni, e il piccolo settore "aperto" della nostra economia reale, altrimenti chiusa e autosufficiente, continuerà naturalmente a commerciare con i nostri partner dei BRICS.
La Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere Putin. "In questo modo potremo resistere alle sanzioni e ai dazi". "La Russia è anche in grado di reggere gli incentivi, essendo autosufficiente in termini di energia e materie prime", ha affermato Putin. Un chiaro paradigma economico alternativo, davanti a un ordine mondiale in disgregazione.

16 aprile 2025

Firenze: chi ha messo coperte termiche sulle porte della chiesa della Santissima Annunziata e della scuola Giovanni Villani ha fatto bene



Il 25 marzo 2025 l'arcivescovo di Firenze ha espresso apprezzamento per l'installazione artistica di Giovanni de Gara, che ha chiuso le porte della chiesa fiorentina della Santissima Annunziata usando alcune coperte termiche del tipo usato nei casi di emergenza. E tra i casi di emergenza rientrano anche quei salvataggi in mare su cui gli "occidentalisti" dei partiti che governano a Roma hanno capitalizzato voti per decenni. Ai loro esponenti fiorentini il gesto non è piaciuto; hanno il senso estetico squisito e oltremodo sensibile di chi vagheggia i tempi in cui Firenze era un verziere olezzante di lavanda, e una sensibilità ancora più squisita per qualsiasi cosa accenni al tema, per loro inconcepibile, della giustizia sociale. Il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi e il ben vestito Giovanni Gandolfo si sono recati con premura all'ufficio stampa del Comune deplorando la deriva immigrazionista della sinistra fiorentina -coincidente quindi con la locale gerarchia ecclesiastica, pare di capire- e auspicando una installazione artistica fatta di fogli di via.
E lontana dal centro, ci mancherebbe.
Contestare perentoriamente il cattolicesimo fiorentino, che in materia di giustizia sociale ha -diciamo- una certa consuetudine, non deve essere agevole. Difficile rimetterlo al suo posto statuendo che i preti dovrebbero fare i preti, secondo il costume dei liberisti da gazzetta e del sovranismo con l'aperitivo. Quella è roba che va bene per edificare i buoni a nulla delle reti sociali, che con la realtà e con la competenza hanno un rapporto per lo meno discutibile sempre che ce l'abbiano; a Firenze c'è il serio rischio che a denigrare roba del genere l'unico risultato sia quello di additarla a un certo numero di volenterosi imitatori, dando il via alla sua propagazione.
E difatti pochi giorni dopo qualcosa di simile arriva sulle porte di una scuola elementare nel quartiere di Gavinana. Stavolta l'arcivescovo non c'entra, per cui Draghi e Gandolfo devono ricorrere all'altro caposaldo della roba che passano al gazzettificio, che è la deplorazione della propaganda ideologica. Laddove con ideologico, sempre nel linguaggio "occidentalista", si intende qualsiasi cosa non corrisponda alla linea che si intenderebbe imporre. Tant'è che una installazione artistica fatta di fogli di via anziché di coperte termiche avrebbe riscosso l'approvazione preventiva di questi adusi al ristorante.
Tutta la questione non avrebbe molta rilevanza in sé. Le gazzette grondano roba del genere. Il fatto che qualche metallina -il nome corrente tra i professionisti del soccorso e tra le persone che fanno volontariato sul serio, altro che le risentite esortazioni dei gandolfo- sia stata sufficiente a infastidire una volta di più gente che merita di essere per lo meno infastidita (e derisa) ci ha però convinto a dare un po' di visibilità all'iniziativa, per quanto ci è possibile con un blog e con un sito.