sabato 15 febbraio 2025

Il tramonto dell'Occidente

 

Un sabato mattina di febbraio, il funerale di una donna molto benvoluta la cui famiglia ha affrontato cinque lutti dei più gravi in meno di due anni.
Alla funzione hanno presenziato alcune centinaia di persone. Gli organizzatori, previdenti, la avevano allestita in una sala cinema di un circolo cattolico.
Prima dell'Agnus Dei erano già squillati, insistenti e a lungo, almeno cinque cellulari.
Al raccoglimento della mesta assemblea contribuivano anche alcune fedeli manifestamente insofferenti per la durata dell'omelia, circa sette minuti.
Dopo l'eucaristia i quattro celebranti hanno lasciato il microfono ad alcuni amici e parenti perché aggiungessero qualche ricordo.
"Ci hai dato un tutorial per affrontare la vita. Noi saremo i tuoi follower e aspetteremo i tuoi like".
Si attende la formula di congedo conservando a fatica la necessaria compostezza.
Spengler, non sei nessuno.

sabato 8 febbraio 2025

Firenze. Il Giorno del Piagnisteo dei consiglieri comunali Gandolfo, Sirello, Draghi e Chelli



"Al CPA Firenze Sud va in scena il solito triste teatrino negazionista", comunicatostampano dal consiglio comunale di Firenze Giovanni Gandolfo, Angela Sirello, Alessandro Draghi e Matteo Chelli.
Che non amano le bandiere a bande orizzontali blu, bianca e rossa di uguali dimensioni con al centro una stella rossa bordata d'oro.
In allegato al comunicato stampa hanno messo una foto scattata a distanza di sicurezza; qui ce n'è una appena un po' meglio.
Dal momento che il triste teatrino negazionista (come lo chiamano loro) è sempre il solito, può essere la solita anche la considerazione di chi scrive.
Che condivide, partecipa e contribuisce in modo fattivo all'esposizione di quella bandiera, in questo 2025 preparata anche con lodevole anticipo.
Esporre la bandiera della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in occasione del Giorno del Piagnisteo ha almeno quattro significati, ordinati dal più contingente al più generale.
1. Evidenziare la propria contrarietà alla propaganda governativa e all'agenda mediatica conseguente.
2. Sottolineare un completo disaccordo con la politica dell'esecutivo in carica, a prescindere dal suo orientamento, mettendone apertamente in discussione la legittimità.
3. Deridere i sostenitori dello stesso esecutivo, con particolare riferimento a chi occupa posizioni in organi elettivi di qualsiasi livello.
4. Riaffermare una sostanziale estraneità verso lo stato che occupa la penisola italiana e verso i suoi simboli.
Ne zaboravimo dragu Jugoslaviju, ni zalaganje za mir maršala Tita!

venerdì 7 febbraio 2025

Alastair Crooke - Il dentro e il fuori. La soluzione (geopolitica) di Trump, il più grande imbonitore




 Traduzione da Strategic Culture, 6 febbraio 2025.

Si può fare l'impossibile? L'AmeriKKKa è per istinto una potenza espansionistica che ha bisogno di nuovi campi da conquistare e di nuovi orizzonti finanziari da dominare e da sfruttare. Gli Stati Uniti sono fatti così. Lo sono sempre stati.
Come puoi fare però se sei Trump e ti vuoi ritirare dalle guerre alla periferia dell'impero ma vuoi anche costruire l'immagine brillante di un'AmeriKKKa muscolare e in espansione, alla guida della politica e della finanza mondiali?
Il Presidente Trump è da sempre un uomo di spettacolo e una soluzione ce l'ha; è quella di lasciar perdere il costrutto ideologico ormai privo di credito di una egemonia muscolare ameriKKKana a livello globale e di suggerire piuttosto che le guerre a durata indefinita fin qui condotte non sarebbero mai dovute essere "le nostre guerre"; poi, come ha anticipato e suggerito Alon Mizrahi, iniziare a ricolonizzare quello che già era stato una colonia: il Canada, la Groenlandia, Panama, e naturalmente anche l'Europa.
Bene, l'AmeriKKKa sarà più grande, Trump sarà decisamente muscolare come con la Colombia, darà spettacolo alla grande ma allo stesso tempo limiterà la pretesa degli USA di essere al centro delle questioni di sicurezza al solo emisfero occidentale. Come Trump continua ad asserire, gli ameriKKKani vivono "nell'emisfero occidentale", non in Medio Oriente o da altre parti.
Trump tenta così di staccarsi dall'espansionismo periferico e dalle sue guerre, che sarebbero "il fuori" - per proclamare che "il dentro" -cioè le pertinenze dell'emisfero occidentale- è diventato più grande ed è indiscutibilmente ameriKKKano. E questo è quello che conta.
È un cambiamento importante. Il suo pregio è che molti ameriKKKani iniziano a riconoscere che si tratta di una visione più aderente alla realtà. L'AmeriKKKa resta espansionista per istinto, e questo non cambia, ma molti ameriKKKani sono convinti che sia necessario concentrarsi su ciò di cui l'AmeriKKKa ha bisogno sul piano interno e sul suo "vicinato".
Mizrahi chiama questo aggiustamento tra il dentro e il fuori "autocannibalizzazione": l'Europa fa parte della sfera d'interesse dell'Occidente e dell'Occidente l'"Europa" si considera il progenitore, eppure l'amministrazione Trump si è impegnata a ricolonizzarla, sia pure in chiave trumpiana.
È risaputo che è stato Robert Cooper, un alto diplomatico britannico inviato a Bruxelles, a coniare nel 2002 l'espressione "imperialismo liberale" per indicare il nuovo obiettivo dell'Europa. Si trattava di un imperialismo basato sul soft power. Tuttavia, Cooper non riusciva a liberarsi di un certo orientalismo europeo da vecchio impero, e scriveva:
La sfida per il mondo postmoderno è quella di fare l'abitudine all'idea dei due pesi e delle due misure. Tra di noi ci comportiamo seguendo le norme di una aperta e sicura collaborazione. Ma quando abbiamo a che fare con gli Stati più antiquati, al di fuori del continente postmoderno dell'Europa, dobbiamo tornare ai più rudi sistemi di un'epoca passata: la forza, l'attacco preventivo, l'inganno, tutto quanto è necessario per trattare con coloro che vivono ancora nel mondo ottocentesco in cui ogni Stato faceva testo per conto proprio. Tra di noi rispettiamo senz'altro le leggi; ma quando andiamo nella giungla, dobbiamo ricorrere alle leggi della giungla.
La visione del mondo di Cooper ha influenzato il pensiero di Tony Blair e lo sviluppo della politica europea di sicurezza e difesa.
La élite dell'Unione Europea, tuttavia, iniziò a nutrire l'ottimistica convinzione di avere avuto l'accesso all'autentico status di impero. Un impero di primo piano nel potere mondiale, e uno status dato dal fatto che le sue leggi controllavano un mercato di quattrocento milioni di consumatori. La cosa non ha funzionato. L'Unione Europea ha adottato lo stratagemma di Obama che promette di creare un ambiente in cui vige una sorta di "controllo mentale": sarebbe possibile "creare" la realtà gestendone la narrazione.
Ai cittadini europei non è mai spiegato con correttezza che un impero transnazionale come l'Unione Europea implicava (e richiedeva) la rinuncia alla sovranità data dai processi decisionale ad opera dei rispettivi parlamenti. I cittadini hanno immaginato più che altro di entrare a far parte di un'area di libero scambio. Invece sono stati condotti al dato di fatto dell'Unione Europea tramite la dissimulazione e l'attenta gestione di una "realtà" comunitaria costruita apposta.
L'aspirazione europea a diventare un impero liberale sembra essere molto appannta dopo l'assalto culturale di Trump a Davos. L'aria che si respira fa piuttosto pensare al passaggio da un clima culturale a un altro.
Elon Musk sembra aver ricevuto l'incarico di far uscire la Germania e la Gran Bretagna dalla vecchia visione del mondo e di farle entrare in quella nuova. Nell'agenda di Trump è un elemento importante, poiché questi due Stati sono i principali fautori della guerra in favore di una supremazia globale piuttosto che di una supremazia nell'emisfero occidentale. I fallimenti decisionali dell'Europa negli ultimi anni, tuttavia, rendono l'Europa un obiettivo ovvio per un Presidente determinato a imporre un radicale mutamento culturale.
Il riorientamento di Trump ha dei precedenti. Anche l'antica Roma si ritirò dalle province imperiali periferiche per concentrarsi sul proprio nucleo centrale quando le guerre lontane drenarono troppe risorse dal centro e il suo esercito si ritrovò superato sul campo. Roma non avrebbe mai apertamente ammesso di essersi ritirata.
Il che ci riporta al radicale cambiamento tra dentro e fuori in atto oggi. In pratica pare che si tratti di "imperversare come un turbine impazzito" sul piano interno -che è la cosa che per la sua base elettorale conta di più- e di manifestare un comportamento confuso e imprevedibile nel campo della politica internazionale. Si continua con i mantra ideologici dell'ancien régime e con le statistiche controfattuali, ma poi si manda tutto all'aria sparpagliando qua e là qualche considerazione di segno opposto. Per esempio, sul cessate il fuoco a Gaza viene fuori che "è la loro guerra", dove con loro si intende lo stato sionista, ovvero che l'interesse dello stato sionista non coincide per forza con quello degli USA, e poi ci si mette come se fosse un inciso che Putin potrebbe avere già deciso di "non accordarsi" sull'Ucraina.
Forse il ritratto sprezzante di Putin come sconfitto in Ucraina era più che altro ad uso del Senato degli Stati Uniti in vista delle udienze per il gradimento dei candidati agli incarichi federali. Le affermazioni di Trump sono arrivate pochi giorni prima che Tulsi Gabbard affrontasse il Senato, e la Gabbard è già stata criticata dai falchi statunitensi per i suoi presunti sentimenti filo putiniani, oltre ad essere stata oggetto di una campagna mediatica fitta di insulti da parte dello Stato profondo.
Quello che è sembrato un atteggiamento irrispettoso nei confronti di Putin e della Russia -e che in Russia ha levato reazioni rabbiose- è stato assunto da Trump apposta per i senatori statunitensi, visto che in Senato Trump ha alcuni dei suoi avversari più accaniti?
E le vergognose considerazioni di Trump sul ripulire Gaza dai palestinesi, da mandare in Egitto o in Giordania (concordate con Netanyahu, secondo un ministro dello stato sionista) erano forse a uso della destra dello stato sionista? Secondo il citato ministro, l'incoraggiamento dell'emigrazione volontaria dei palestinesi adesso è una questione tornata all'ordine del giorno, proprio come i partiti di destra desideravano da tempo e come molti nel Likud di Netanyahu speravano. Musica per le loro orecchie.
Trump si è forse mosso in anticipo, con un'alzata di ingegno pensata per salvare il governo di Netanyahu dall'imminente collasso in occasione della seconda fase del cessate il fuoco e dalla minaccia di un'uscita di scena della sua componente di destra? L'obiettivo di Trump in questo caso erano i ministri Ben Gvir e Smotrich?
Trump ingenera confusione in modo mirato, e non chiarisce mai a chi siano rivolte di preciso le considerazioni che esprime in ogni momento.
Esiste forse in ogni caso un qualche cosa di sostanziale, nel commento di Trump secondo cui la questione di un eventuale Stato palestinese deve essere risolta "in qualche altro modo" rispetto alla formula dei due Stati? Forse. Non dobbiamo ignorare la forte inclinazione di Trump verso lo stato sionista.
Netanyahu deve affrontare aspre critiche per aver gestito male sia il cessate il fuoco a Gaza che quello in Libano. La sua colpa è stata quella di promettere una cosa a un partito e il contrario all'altro, che poi è un vecchio vizio. Ha promesso alla destra la ripresa delle ostilità a Gaza, ma nell'accordo di cessate il fuoco effettivo si è impegnato senza mezzi termini a porre fine alla guerra. In Libano, da una parte lo stato sionista si era impegnato a ritirarsi entro il 26 gennaio, dall'altra i suoi militari sono ancora lì. La cosa ha levato una marea umana di libanesi che stanno tornando a sud sperando di rientrare in possesso delle proprie case.
Di conseguenza, Netanyahu in questo momento dipende totalmente da Trump. Non gli basterà ricorrere a qualche mossa astuta per togliersi dai guai: Trump lo tiene in pugno. Trump gli strapperà i cessate il fuoco e dirà a Netanyahu di non attaccare l'Iran, almeno finché non sarà stato lui a sondare la possibilità di un accordo con Tehran.
Con Putin e con la Russia accade il contrario. In questo caso Trump non ha a disposizione alcuna leva, per dirlo con la parola preferita a Washington. E non ha alcuna leva per quattro motivi.
In primo luogo, perché la Russia rifiuta fermamente l'idea di qualsiasi compromesso che "si riduca al congelamento del conflitto lungo la linea del fronte, cosa che darà tempo agli Stati Uniti e alla NATO di riarmare quanto rimane dell'esercito ucraino per poi riprendere le ostilità".
In secondo luogo, perché le condizioni poste da Mosca per porre fine alla guerra si riveleranno inaccettabili per Washington, in quanto non sarebbero suscettibili di essere presentate come una "vittoria" ameriKKKana.
In terzo luogo, perché la Russia ha un chiaro vantaggio militare: l'Ucraina questa guerra sta per perderla. Le principali roccaforti ucraine vengono ora conquistate dalle forze russe senza che venga loro opposta resistenza. Questo porterà a un effetto valanga. "L'Ucraina potrebbe cessare di esistere se non si apriranno negoziati seri prima dell'estate", ha recentemente avvertito il capo dell'intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov.
In quarto luogo, soprattutto, perché la parola leva non riflette affatto la storia. Quando popolazioni che occupano una stessa area geografica hanno versioni diverse e spesso inconciliabili della storia, l'idea occidentale di procedere per scambi in modo da "dividere lo spettro del potere" semplicemente non funziona. Le parti contrapposte non si sposteranno, a meno che una soluzione non riconosca e non tenga conto della loro storia.
Gli Stati Uniti hanno bisogno di “vincere” sempre. Trump è in grado di capire che le ineluttabili dinamiche di questa guerra impediscono di presentare qualsiasi risultato di una serie di scambi come una chiara "vittoria" per gli Stati Uniti? Certo che è in grado di capirlo. Lo capisce o lo capirà, quando ne sarà informato a livello professionale dai suoi.
La logica della situazione in Ucraina, per essere chiari, fa pensare che il Putin dovrebbe tranquillamente consigliare a Trump di allontanarsi dal conflitto ucraino, in modo da non doversi ritrovare a mettere il suo nome su quella che per l'Occidente è una disfatta.
Questa settimana Putin ha lasciato intendere che il conflitto ucraino potrebbe terminare in poche settimane; Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.
Se Trump volesse una "vittoria", cosa altamente probabile, dovrebbe lasciarsi guidare dalle numerose allusioni di Putin; lo schieramento di missili a medio raggio da parte di entrambi i contendenti stanno portando a rischi più gravi; la situazione invoca un nuovo accordo di limitazione. Trump potrebbe ritrovarsi col poter dire di averci salvato tutti dalla terza guerra mondiale; e in questo potrebbe esserci più di un fondo di verità.

giovedì 30 gennaio 2025

Firenze. Guglielmo Mossuto della Lega difende a spada tratta il patrimonio arboricolo cittadino


Firenze. Animo squisito, Guglielmo Mossuto della Lega si dispera se si abbattono gli alberi.


Dal 2019 al 2024 la Lega a Firenze ha avuto in agenda solo la distruzione dei centri sociali cittadini e la diffusione di propaganda.
Dal 2019 al 2024 la Lega a Firenze è passata da 25.923 a 8.695 voti e da sei consiglieri a uno.
L'impegno premia sempre.
Dal giugno 2024 il consigliere eletto per la Lega è Guglielmo Mossuto, in questa sede già deriso più volte per il suo abbondante ricorrere al punto esclamativo nelle comunicazioni affidate all'ufficio stampa del Comune.
Nel gennaio 2025 sono iniziati i lavori per la realizzazione di una terza linea della tramvia fiorentina. Un sistema di trasporto pubblico cui gli "occidentalisti" fiorentini riservano invettive costanti anche quando il principio di realtà consiglierebbe altrimenti. Guglielmo Mossuto si è espresso quindi con veemenza a tutela del patrimonio arboricolo cittadino, pretendendo anche di dettare l'agenda agli avversari politici, secondo un vezzo ricorrente tra gli "occidentalisti" di varia appartenenza, calibro, peso e sovrappeso.
Il suo "partito", come tutti sanno, ha inveito per decenni contro lo stato che occupa la penisola italiana e per altrettanto tempo ha detto di volerlo smembrare. Poi si è limitato a occuparvi ogni carica possibile purché ben retribuita. Nel corso degli anni si è espresso senza riserve a favore di opere pubbliche di alto impatto ambientale e a volte anche di dubbia utilità, dall'ampliamento dell'aeroporto di Peretola alla linea ad alta velocità tra Torino e Lione fino al doppione autostradale Brescia-Bergamo-Milano che per quanto è dato di sapere pare il paradigma degli affari privati fatti con i soldi pubblici. Affari riusciti neanche tanto bene a quanto sembra. Il risultato a bilancio di quella A35, che in quanto impresa privata (per modo di dire) avrebbe dovuto essere per postulato un paradigma di razionalità e di efficienza, era nel 2018 di € -37.183.065, nel 2019 di € -49.133.190, nel 2020 di € -95.758.771, nel 2021 di € -66.078.240 e nel 2022 di € -40.013.526. Nel 2025 la Lega sta impiegando grossa parte della sua forza propagandistica per imporre a Roma l'approvazione di severissime misure contro le manifestazioni di piazza e l'attivismo politico, segnatamente contro ogni iniziativa che contesti l'assennatezza di certe condotte. Difficile pensare che sia un caso.
E se c'è da saturare i media, vanno benissimo anche gli esclamativi di Guglielmo Mossuto.

mercoledì 29 gennaio 2025

Alastair Crooke - Cosa intende fare Trump, vuole arrivare ai ferri corti con la Russia oppure no?



Traduazione da Strategic Culture, 28 gennaio 2025.

La retorica di Trump sulla Russia che avrebbe perso un milione di uomini nel conflitto ucraino non è soltanto assurda (il numero reale non raggiunge nemmeno i centomila): il fatto che abbia tirato fuori roba del genere evidenzia come la consueta giustificazione per cui Trump sarebbe solo malaccortamente disinformato sembri sempre meno plausibile.
Dopo aver parlato di un milione di morti russi, Trump asserisce che Putin sta distruggendo la Russia perché non si risolve ad accordarsi. Aggiungendo (apparentemente a margine) che Putin potrebbe aver già deciso di "non arrivare ad un accordo".
Trump poi nota, in un modo che denoterebbe una curiosa mancanza di interesse, che i negoziati dipendono interamente dal fatto che Putin ne sia interessato o meno. Scrive anche che l'economia russa è alla rovina e, soprattutto, afferma che prenderebbe in considerazione sanzioni o dazi doganali contro la Russia se Putin non accettasse di trattare. In un successivo post su Truth Social, Trump scrive: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Si tratta, siamo chiari, di una narrazione di tutt'altro ordine. Non sono più le parole del suo inviato Kellogg o di un altro membro della sua amministrazione; sono le parole di Trump stesso, in qualità di Presidente. Trump risponde alla domanda di un giornalista: "Sanzionerebbe la Russia" se Putin non venisse al tavolo dei negoziati? E la risposta è "Sembra probabile".
Potremmo chiederci quale sia la strategia di Trump. Sembra piuttosto che sia lui, a prepararsi all'eventualità che i negoziati vadano male. Del fatto che Putin ha ripetutamente dichiarato di essere interessato e disponibile a trattare deve essere a conoscenza per forza. Su questo non ci sono dubbi.
Tuttavia Trump smentisce i toni con cui ci si rivolge ai perdenti tornando a quanto pare sul discorso: "Voglio dire... è un meccanismo grande, quindi alla fine le cose si sistemeranno...".
Qui sembra dire che il "grande meccanismo" russo alla fine vincerà. La Russia sarà un vincitore, e non un perdente.
Forse Trump sta pensando semplicemente di lasciare che le dinamiche della prova di forza in atto sul piano militare arrivino al loro esito. Se il suo pensiero è questo non può esplicitarlo con chiarezza, perché le élite europee sprofonderebbero ancora di più in una spirale patologica.
Se poi Trump fosse seriamente intenzionato ad arrivare a negoziati costruttivi con Putin, non è certo un bell'esordio quello di mostrarsi profondamente irrispettoso nei confronti del popolo russo dando a intendere che i russi e il Presidente Putin altro non sarebbero che dei "perdenti" che hanno un disperato bisogno di trattare; la verità è che è stato Trump, in precedenza, a parlare di arrivare ad un accordo entro ventiquattro ore. La sua mancanza di rispetto non sarà apprezzata: non solo da Putin, ma anche dalla maggior parte dei russi.
Trattare i russi da perdenti non otterrà altro scopo che quello di irrigidire l'atteggiamento di quanti in Russia si oppongono a un compromesso sull'Ucraina.
Il livello della cosa è che la Russia, in ogni caso, rifiuta collettivamente l'idea di qualsiasi compromesso che "si riduca a congelare il conflitto lungo la linea di ingaggio, perché questo darebbe tempo per riarmare i resti dell'esercito ucraino per poi iniziare un nuovo ciclo di ostilità. A quel punto dovremmo combattere di nuovo, ma questa volta da posizioni politiche meno vantaggiose", ha osservato il professor Sergei Karaganov. Inoltre, "l'amministrazione Trump non ha motivo di negoziare con noi alle condizioni che noi [la Russia] abbiamo stabilito. La guerra è economicamente vantaggiosa per gli Stati Uniti... e [forse] anche per togliere alla Russia il suo ruolo di potente sostegno strategico del principale concorrente degli USA, che è la Cina".
Il professor Dmitri Trenin prevede allo stesso modo che
Il tentativo di Trump di arrivare in Ucraina a un cessate il fuoco lungo le linee del fronte fallirà. Il piano statunitense ignora le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e non tiene conto delle cause profonde del conflitto. Nel frattempo, le condizioni di Mosca rimarranno inaccettabili per Washington, poiché significherebbero di fatto la capitolazione di Kiev e la sconfitta strategica dell'Occidente. In risposta Trump imporrà ulteriori sanzioni a Mosca. Nonostante la forte retorica antirussa, gli aiuti statunitensi all'Ucraina diminuiranno e gran parte di quest'onere finirà spostato sui Paesi dell'Europa occidentale.
Allora perché considerare la Russia come uno spregevole perdente, a meno che questo non faccia parte della strategia di Trump per chiudere la questione ucraina? La costruzione di una narrazione in cui gli USA sono vincitori senza mezzi termini pare irrealizzabile; allora perché non invertirne i termini? A ostacolare il missione compiuta è solo l'atteggiamento da sconfitti della Russia.
Questo porta inevitabilmente a chiedersi quale sia precisamente il significato del ritorno alla Casa Bianca del "più famoso imputato penale d'AmeriKKKa" e della sua promessa di una "rivoluzione del buon senso".
"Non c'è dubbio che sia rivoluzionario", sostiene Matt Taibbi:
Trump ha galvanizzato il risentimento [che nasce dalla cattiva distribuzione del reddito], mettendo in piedi una versione politica della marcia di Sherman che ha lasciato in fiamme le istituzioni statunitensi. La grande stampa è morta. Il Partito Democratico è a rischio di scissione. Gli ambienti accademici stanno per buttar giù una dose da cavallo di pillole amare, e dopo gli ordini esecutivi firmati lunedì un sacco di responsabili dei programmi per la diversità, l'equità e l'inclusione dovranno imparare a scrivere codice" [cioè, si ritroveranno disoccupati].
 Sì, osserva Taibbi,
mi manda in bestia vedere una serqua da galera di amministratori delegati su cui ci sarebbe parecchio da ridire (in particolare Bezos, Pinchai e il ripugnante Cook) seduti di fronte a Trump, insieme ad altri pezzi grossi di Wall Street... tuttavia, se l'accordo è stato quello per cui il sostegno a Trump avrebbe loro restituito piattaforme che tornano a essere meri e ottusi strumenti di profitto, credo che rimpiangerò la banda che c'era prima. Lo Wall Street Journal è stato probabilmente il più vicino a catturare l'essenza di questa considerazione dell'evento con il titolo in prima pagina di ieri: "La nuova oligarchia è quella vecchia, ma se la passa molto meglio".
Per molti russi, tuttavia, l'impressione lasciata dal discorso in cui Trump li ha trattati da perdenti è che non cambierà nulla: l'idea di infliggere una qualche sconfitta strategica alla Russia è stata una pietra miliare della politica statunitense per così tanto tempo che ha finito per trascendere la linea politica dei partiti e viene perseguita in ogni caso, indipendentemente dall'amministrazione che occupa la Casa Bianca. Oggi avrebbe ripreso nuovo vigore: come avverte Nikolai Patrushev, Mosca si aspetta che Washington fomenti apposta i dissidi tra Russia e Cina.
Steve Bannon tuttavia, con il suo solito linguaggio forbito, spiega in qualche modo la stranezza di questo Trump rivoluzionario e della sua deludente "retorica buona per i perdenti".
Bannon avverte che l'Ucraina rischia di diventare "il Vietnam di Trump", se Trump non riuscirà a imprimere una netta svolta agli eventi e si lascerà risucchiare ancora di più dalla guerra. "È quello che è successo a Richard Nixon. Finì per impadronirsi delle operazioni e quella divenne la sua guerra, non quella di Lyndon Johnson", ha osservato Bannon.
Bannon "sostiene la necessità di porre fine agli importantissimi aiuti militari statunitensi a Kiev, ma teme che il suo vecchio capo cada nella trappola tesa da un'improbabile alleanza tra l'industria della difesa statunitense, gli europei e persino alcuni amici dello stesso Bannon, che secondo lui sarebbero adesso mal consigliati".
In una chiamata su Zoom con Alex Krainer Bannon ha trovato conferma alla premessa dei suoi ragionamenti. Trump e i suoi sarebbero passati all'offensiva fin dal primo giorno di mandato: "I giorni del tuono iniziano lunedì". Bannon non parlava però di un'offensiva di Trump contro i cinesi, gli iraniani o i russi. Trump e la sua squadra si stanno preparando ad affrontare loro.
Loro, nelle parole di Bannon, "sono le persone che controllano l'impero più potente del mondo; elezioni o non elezioni, democrazia o non democrazia, non rinunceranno spontaneamente ai loro privilegi e alle loro prerogative: si andrà allo scontro".
Sì, la guerra quella vera è quella sul piano interno, non quella contro la Russia, la Cina o l'Iran, che potrebbe magari diventare un diversivo rispetto allo scontro sostanziale.
Cercando un paragone, se l'obiettivo di Trump fosse davvero quello di arrivare a negoziare un compromesso sull'Ucraina, dobbiamo contrapporre alla sua retorica infarcita di supponenza quella del tentativo di John F. Kennedy, cinquantanove anni fa, di rompere il ciclo di antipatia reciproca che aveva congelato le relazioni tra Est e Ovest dopo il 1945. Colpito dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962, Kennedy voleva infrangere un paradigma sclerotizzato. Kennedy -come Trump- cercava di "porre fine alle guerre" e di essere ricordato dalla storia come un "costruttore di pace".
In un discorso alla American University di Washington il 10 giugno 1963, JFK i russi li elogiò. Parlò dei loro successi nelle scienze, nelle arti e nell'industria e rese omaggio ai loro sacrifici nella Seconda Guerra Mondiale, che era costata venticinque milioni di persone, un terzo del loro territorio e due terzi della loro economia.
Non fu un mero esercizio di retorica. Kennedy propose il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari, il primo degli accordi sul controllo degli armamenti degli anni Sessanta e Settanta. L'avvisaglia dell'avvio di un taglio netto -ispirato da Bannon- ci sarebbe anche, come nota Larry Johnson: "Il Pentagono avrebbe licenziato o sospeso tutto il personale direttamente responsabile della gestione dell'assistenza militare all'Ucraina. Tutti quanti dovranno affrontare un'indagine sull'uso dei fondi provenienti dal bilancio statunitense".
 Laura Cooper, vicesegretario del Pentagono per la Russia, l'Ucraina e l'Eurasia, ha già rassegnato le dimissioni segnando l'inizio di quello che alcuni vedono come una svolta strategica. Cooper era una figura chiave nella supervisione di aiuti militari all'Ucraina che assommavano a centoventisei miliardi di dollari. La sua dipartita, unita a quello che sembra essere un repulisti dello staff del Pentagono dedicato allo sforzo bellico di Kiev, mette in dubbio che l'Ucraina possa continuare a godere del flusso di armi e finanziamenti statunitensi che riceveva sotto Biden.
La ristrutturazione getta anche un'ombra sul gruppo di contatto per la difesa dell'Ucraina, che sotto Lloyd Austin era arrivato a coalizzare nell'appoggio a Kiev una cinquantina di Paesi.
 Gli Stati Uniti avrebbero ritirato tutte le richieste ai contraenti per la logistica che passa da Rzeszow, da Costanza e da Varna. Nelle basi NATO in Europa, tutte le spedizioni verso l'Ucraina sono state sospese e interrotte. Questo rientra nell'ordine esecutivo di Trump che blocca l'assistenza globale degli Stati Uniti per novanta giorni, in attesa di una verifica e di un'analisi costi-benefici.
Nel frattempo, Mosca e la Cina si stanno debitamente preparando alla prospettiva di un più intenso impegno diplomatico con l'attuale Presidente Trump. Xi e Putin hanno tenuto una videochiamata di novantacinque minuti poche ore dopo l'improvvisata conferenza stampa di Trump nello Studio Ovale. Xi ha fornito a Putin i dettagli della sua conversazione con Trump, che non era stata programmata per coincidere con l'insediamento di Trump ma era stata in origine decisa per dicembre.
Entrambi i leader sembrano inviare a Trump un messaggio condiviso: l'alleanza tra Cina e Russia non è provvisoria. I due Paesi sono uniti nella causa comune rappresentata dalla collaborazione nella tutela dei rispettivi interessi nazionali. Sono disposti a parlare con Trump e ad impegnarsi in negoziati seri. Tuttavia, rifiutano di farsi intimidire o minacciare.
Nikolai Patrushev, consigliere di Putin e membro del Consiglio di sicurezza russo, ha così ritratto il punto di vista russo su questa videochiamata tra i due leader: "Per l'amministrazione Biden, l'Ucraina era una priorità incondizionata. È chiaro che i rapporti fra tra Trump e Biden sono quelli tra due antagonisti. Pertanto, l'Ucraina non sarà tra le priorità di Trump. A lui interessa di più la Cina".
In particolare, Patrushev ha avvertito:
Penso che gli attriti fra Washington e Pechino si aggraveranno e che gli statunitensi li aggraveranno, anche di proposito. Per noi la Cina è stata e rimane il partner più importante, e alla Cina siamo legati da rapporti di cooperazione strategica privilegiata.
Per quanto riguarda la linea russa in relazione all'Ucraina, essa rimane invariata. Per noi è importante che l'Operazione Speciale assolva ai propri compiti, che sono quelli noti e che rimangono invariati. Credo che i negoziati sull'Ucraina debbano essere condotti tra Russia e Stati Uniti senza la partecipazione di altri Paesi occidentali.
Voglio sottolineare ancora una volta che il popolo ucraino ci è ancora vicino, fraterno e legato da vincoli secolari con la Russia per quanto i propagandisti di Kiev ossessionati dalla "ucrainità" sostengano il contrario. Quello che accade in Ucraina ci riguarda. È particolarmente inquietante [quindi] che la violenta imposizione dell'ideologia neonazista e una russofobia rabbiosa distruggano le città un tempo prospere dell'Ucraina tra cui Charkiv, Odessa, Nikolaev e Dnipropetrovsk.
È possibile che nel prossimo anno l'Ucraina cessi del tutto di esistere.

martedì 28 gennaio 2025

L'architetto Lucia Cardamone si scopre inclusivo



Firenze. Lucia Cardamone fa l'architetto, non il principiante di violino, il punkabbestia o l'affumicatrice di aringhe. Il motivo per cui nessuno dall'ormai lontano 2016 la vuole fra i piedi come inquilino o come vicino di casa -costringendola a chissà quale precaria sistemazione e a una continua ricerca porta a porta come i piazzisti delle barzellette- resta quindi poco comprensibile.

Ad ogni modo, ecco un nuovo riepilogo delle sue suppliche.

Nel 2016,

Gentile Proprietario sono interessata all'immobile in vendita nel suo stabile!
Se fosse il suo mi chiami:
Architetto Cardamone Lucia
3913934355

nel 2017,

Cerco Appartamento
in vendita
Anche da Ristrutturare
Mi contatti
Arch Cardamone
3913934355

Nel 2024,

Cerco una casa
in vendita
Arch. Cardamone
3913934355


Nel 2025,

Gentile proprietario/a
sono interessata al suo
immobile in vendita
mi chiami per favore
- 3913934355
Cardamone

Questa volta l'architetto Cardamone diventa inclusivo, proprio come inclusiva è la Firenze dei tramezzi in cartongesso e delle serrature a pulsantiera: toglie il titolo professionale e mette un proprietarioslasha. La certezza che chiunque prenda in mano un suo foglietto disponga di un immobile in vendita e sia ansiosissimo di concludere transazioni con lei resta invece la stessa. Anzi, si consolida persino.

lunedì 27 gennaio 2025

Su una autobiografia di Ali Khamenei, Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran


Alla fine del 2024 un piccolo editore lucchese ha pubblicato la traduzione di una autobiografia di Ali Khamenei, dal 1989 guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran.
In condizioni normali un libro del genere non avrebbe attirato l'attenzione di nessuno al di fuori di qualche centinaio di appassionati, e si tratta di una stima molto generosa. La "libera informazione" ha invece statuito che l'iniziativa travalicava i limiti della liceità democratica e l'ha stigmatizzata nella sua interezza con particolare riferimento una presentazione del libro tenuta da una minuscola associazione romana, contro la quale sarebbero stati annunciati anche picchettaggi e manifestazioni.
Il fatto che a levare i più alti lai fosse un foglietto infarcito di sionisti di complemento, di yankee di rincalzo e di "occidentalisti" di vario sovrappeso che dal 1997 fa letteralmente il liberista con i soldi pubblici ci è sembrato sufficiente ad occuparci del libro il più approfonditamente possibile come abbiamo fatto e come continueremo a fare in altri casi analoghi. Se certi signori denigrano qualcosa, la persona seria può adottare l'atteggiamento esattamente opposto fidando di avere buone probabilità di trovarsi nel giusto.
Abbiamo dunque ordinato l'autobiografia ricevendola con diversi giorni di ritardo sul preventivato; chissà che la richiesta non sia stata superiore alle attese, grazie a una pubblicità pur non desiderata.
Il libro non contiene rivelazioni sconvolgenti o dettagli inediti. A contrariare i ben vestiti del sionismo gazzettiero -ammesso e non concesso che il libro si siano degnati di leggerlo- possono essere stati la pessima considerazione che Ruhullah Musavi Khomeini aveva dello stato sionista e quella -venata tuttavia della pietà sarcastica che si riserva ai servi mediocri- che Khamenei aveva della polizia politica dello Shah, che lo stesso stato sionista supervisionava e addestrava. Comprensibilmente, chi si occupa (per lo più non gratis) dell'autonominata "unica democrazia del Medio Oriente" e dell'ancor più autonominato "esercito più etico del mondo" non apprezza troppo.
Vale la pena ricordare che l'Autore fa più volte riferimento ai Mujaheddin e-Khalq, i Mujaheddin del Popolo, ricordando l'ondata di attentati con cui nel 1981 essi avrebbero letteralmente decapitato i vertici della Repubblica Islamica già molto duramente impegnata nella Guerra Imposta dall'Iraq. Lo stesso Khamenei ne rimase vittima, uscendone gravemente invalido. A non apprezzare troppo in questo caso potrebbero essere i cantori di una "dissidenza" che si vorrebbe compendiata di giovani donne tartassate e incarcerate.
Giovani donne che persino gli agenti della repressione avrebbero ogni cura di scegliere con criteri rispettosissimi dell'appetibilità mediatica.
Simili incisi sono piuttosto utili quando si ha a che fare con le gazzette "occidentaliste" perché il loro registro linguistico utilizza in modo estremamente generoso il vocabolo terrorista, finendo normalmente con includere nel suo significato chiunque non procuri un reddito a loro o ai loro padroni. In questa sede invece non si accorda all'Occidente, e men che meno ai suoi apologeti col ristorante in nota spese, alcuna superiorità etica. E si considera un piacevole dovere schernire una "libera informazione" per cui gli scontri di piazza e peggio vanno benissimo quando sono a Tehran, e al tempo stesso plaude alla tecnologia che nelle strade di Firenze consente di sanzionare il minimo segno di dissenso senza che la gendarmeria debba neppure scomodarsi di persona.