Certo, come no.
Ma andiamo con ordine.
Mahjabin Hakimi -assicurano in coro le gazzette- era una ragazza afghana che i ferocissimi talebani hanno per questo decapitato. Non contenti, questi biechi esponenti della oppressiva fallocrazia patriarcale avrebbero anche messo in giro foto della sua testa staccata dal corpo.
In capo a qualche ora sono diventati reperibili immagini e dettagli poco confacenti a questa versione dei fatti. Visti i decenni di precedenti analoghi ci sarebbe stato da stupirsi del contrario.
Tra le immagini reperibili, per esempio, difettano le teste tagliate e abbondano foto della Hakimi in montura da non pallavolista.
Il che fa pensare con buona fondatezza che -quale che sia stata la sua fine- la passione per la pallavolo e la riluttanza verso l'adozione dello hijab non c'entrino poi molto. Per non dire per niente.
L'occupazione "occidentale" dell'Afghanistan è finita ad agosto 2021 nel peggiore dei modi, come previsto vent'anni fa dalle persone serie.
Persone serie che la "libera informazione" ha abitualmente silenziato o cui ha tolto di mano il microfono con dei metodi, con una costanza e con una pervasività che qualsiasi propaganda totalitaria non poteva nemmeno immaginare.
A Mao Zedong è attribuito l'assunto per cui i combattenti dovrebbero muoversi tra la gente come i pesci nell'acqua. In vent'anni di occupazione gli "occidentali" hanno ucciso -pare- oltre settantamila pesci e fatto un numero di buchi nell'acqua -cioè vittime civili derubricate con fastidio a "perdite collaterali"- per lo meno doppio.
Con gli ottimi risultati cui si è fatto cenno.
L'enorme somma stanziata per questa splendida iniziativa è servita agli armamenti, alla corruzione e in una certa misura anche a creare una élite locale di collaborazionisti presentata dalle gazzette come unico volto dell'Afghanistan. Gente la cui sorte ha subito dal 15 agosto 2021 il peggiore dei rovesci e che deve essersi resa ancora più insopportabile dei gruppi di cui viene presentata come antagonista, se la Repubblica Islamica dell'Afghanistan è collassata in pochi mesi prima ancora che gli invasori finissero di ritirarsi dopo aver contrattato una pace per nulla onorevole -e senza nemmeno coinvolgere nelle trattative il governo collaborazionista- con i nemici che avevano giurato di sradicare.
La "libera informazione" sta quindi denunciando a getto continuo, e con una fondatezza per lo meno questionabile, prevaricazioni sanguinose e ingiustizie intollerabili che invocano non si sa bene quale vendetta o quale soluzione, visto che di più e di meglio che esportare democrazia per vent'anni a mezzo missile da crociera è difficile che l'"Occidente" e la sua autonominata potenza-guida possano fare. Un repertorio di historiae calamitatum ottimo per chiudere i numeri e per accompagnare l'inventario di marginalità disperate e disperanti tratte dalle periferie delle città "occidentali" caro da anni alla propaganda "occidentalista", accomunati dal fatto di essere per lo più oggetto di indignata denuncia ad opera delle stesse gazzette e delle stesse forze politiche che hanno attivamente contribuito a crearle.
In questo contesto, un esame sarcasticamente obiettivo della narrativa gazzettiera può tenere presente una vecchia storiella inclusa anni fa da Moni Ovadia nei suoi spettacoli.
Nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche radio Erevan pare fosse nota per il rigore della propria agenda. Un giorno quindi lo speaker legge senza tradire nessuna emozione una notizia sensazionale: "Compagni, stamattina sulla Piazza Rossa a Mosca stanno regalando automobili."
Immediatamente il resto della redazione e i piani alti del Partito finiscono nel panico: ma come è possibile che sia arrivata una nota del genere e che sia stata letta come se nulla fosse? Il direttore della radio si precipita in studio: lo speaker gli mostra la nota arrivata da Mosca e tutto risulta regolarissimo.
Tocca a radio Erevan risolvere la grana.
Un addetto ha un'idea: "Proviamo a cercare il vecchio Abrahamowicz, quell'ebreo che vive dietro il Matenadaran... lui le ha passate tutte: i turchi, la guerra, Stalin... sicuramente saprà dirci cosa fare."
Lo mandano a cercare, e il vecchio Abrahamowicz non si fa pregare. Arriva in radio e si fa mettere dietro il microfono. "Non preoccupatevi, ci penso io alla smentita, e lo farò senza che nessuno ci perda la faccia!"
La redazione, che si era già vista al gran completo sulla tradotta per Vladivostok, tira un sospiro di sollievo.
"Compagni in ascolto, salute! Qui Itzak Abrahamowicz da radio Erevan. Ho il piacere di confermare la notizia data qualche ora fa per cui sulla Piazza Rossa di Mosca starebbero donando automobili..."
Gli astanti raggelano.
"...con alcune precisazioni. Innanzitutto, l'evento non riguarda la Piazza Rossa di Mosca, ma via Rustaveli qui a Erevan; poi, non si tratta propriamente di automobili ma di biciclette. E insomma, non è che proprio le regalano. Le rubano...!"