martedì 29 marzo 2022

Alastair Crooke - La geopolitica è una cosa che cambia forma di continuo

 


Traduzione da Strategic Culture, 28 marzo 2022.

Esistono casi, molto rari, in cui un singolo aneddoto può riassumere con efficacia il mettersi in moto della storia. L'aneddoto è questo. Nel 2005 Zbig Brzezinski, l'inventore del pantano afghano per l'Unione Sovietica e autore di The Grand Chessboard (che incorporava l'adagio di Mackinder per cui "chi controlla il cuore dell'Asia controlla il mondo" nella politica estera degli Stati Uniti), incontrò a Washington Alexander Dugin, filosofo politico russo e sostenitore di una rinascita culturale e geopolitica di quello stesso cuore. Brzezinski aveva già scritto nel suo libro che, senza controllare l'Ucraina, la Russia non sarebbe mai diventata la potenza dominante in quell'areale; con il suo controllo invece la Russia avrebbe potuto e voluto diventarlo. L'incontro era stato ambientato, in favore delle produzioni propagandistiche, mettendo una scacchiera tra Brzezinski e Dugin; c'era da promuovere il libro di Brzezinski. Il fatto che ci fosse la scacchiera spinse Dugin a chiedere a Brzezinski se considerava gli scacchi un gioco per due. "No," rispose Zbig: "È un gioco per uno. Una volta mosso un pezzo si gira la scacchiera e si muovono i pezzi dell'altro lato. Non c'è nessun altro in questo gioco", precisò Brzezinski. Naturalmente, la partita a scacchi con un solo giocatore era implicita nella dottrina di Mackinder: l'adagio su colui che controlla il cuore era un messaggio per le potenze anglosassoni, affinché non permettessero mai l'esistenza di una massa continentale unificata. E questo ovviamente è proprio ciò che si è messo in moto di questi tempi.
Lunedì 21 marzo Biden ha parlato esplicitamente con la voce di Brzezinski, nel discorso tenuto alla Business Roundtable negli Stati Uniti. Le sue osservazioni sono arrivate verso la fine del breve discorso in cui ha parlato dell'invasione della Russia in Ucraina e del futuro economico dell'AmeriKKKa:
"Penso che questo ci presenti qualche opportunità significativa per operare alcuni cambiamenti concreti. Sapete, siamo ad un punto di inflessione, credo, nell'economia mondiale: [e] non solo per l'economia mondiale ma per il mondo; [qualcosa che] si verifica ogni tre o quattro generazioni. Come ha avuto a dirmi l'altro giorno uno dei miei, in qualità di militare del massimo grado, nel corso di un incontro riservato, sessanta milioni di persone sono morte tra il 1900 e il 1946; da allora abbiamo stabilito un ordine mondiale liberale, e una cosa del genere non accadeva da molto tempo. Sono morte molte persone, ma da nessuna parte sull'orlo del caos. Ecco; adesso le cose stanno cambiando. Ci stiamo dirigendo verso un nuovo ordine mondiale, ed è nostro dovere guidarlo e unire in questo il resto del mondo libero".
Anche stavolta non esiste alcun altro alla scacchiera. Si muove, e poi la si gira di centoottanta gradi per giocare dall'altro lato.
Il dato di fatto è che una contromossa attentamente meditata, e diretta contro lo zeitgeist di Brzezinski, è stata formalmente lanciata a Pechino con la dichiarazione congiunta per cui né la Russia né la Cina accettano che l'AmeriKKKa giochi a scacchi da sola, senza nessun contendente alla scacchiera. La questione essenziale dell'epoca che incombe è questa, la riapertura dei giochi sul piano della geopolitica. Un tema su cui gli altri, gli esclusi, sono pronti a scendere in guerra perché non vedono altra scelta.
Un secondo scacchista si è fatto avanti e insiste per giocare: la Russia. E un terzo è pronto a farlo, la Cina. Altri si stanno silenziosamente mettendo a vedere come va il primo confronto in questa guerra geopolitica. Dai commenti di Biden citati sopra, sembra che gli Stati Uniti intendano usare le sanzioni e tutta la inedita portata delle misure a disposizione del Tesoro degli Stati Uniti contro chi dissidente dalla linea di Brzezinski. La Russia deve diventare un esempio di quello che succederà a qualsiasi sfidante che osi pretendere di giocare a scacchi anche lui.
Ma è un approccio che è difettoso proprio come concezione. Deriva dal celebre detto di Kissinger per cui "chi controlla il denaro controlla il mondo". Un adagio sbagliato fin dall'inizio; la verità è sempre stata che "chi controlla il cibo, l'energia (sia umana che fossile) e il denaro può controllare il mondo". Kissinger ha semplicemente ignorato le prime due condizioni richieste, e l'ultima è diventata quella su cui a Washington si sono fissati.
Il paradosso è che quando Brzezinski scrisse il suo libro, i tempi erano molto diversi. Oggi, in un momento in cui l'Europa e gli Stati Uniti non sono mai stati così strettamente allineati, l'"Occidente" paradossalmente non è mai stato tanto solo. Dapprincipio è sembrato uno scherzo, unire tutto il mondo nell'opposizione alla Russia: l'opinione pubblica mondiale si sarebbe opposta così fermamente all'attacco di Mosca che la Cina avrebbe pagato un prezzo politico alto per non essere saltata sul carrozzone dei contrari ai russi. Ma non è così che sta andando.
"Mentre la retorica statunitense mette alla gogna la Russia per i 'crimini di guerra', la crisi umanitaria in Ucraina ecc.", nota l'ex ambasciatore indiano Bhadrakumar, "le capitali mondiali considerano gli eventi come un confronto tra AmeriKKKa e Russia. Al di fuori del campo occidentale la comunità mondiale si rifiuta di imporre sanzioni contro la Russia, o anche solo di demonizzarla. La dichiarazione di Islamabad, rilasciata mercoledì dopo il quarantacinquesimo incontro fra i ministri degli esteri dei cinquantasette membri dell'Organizzazione della Conferenza Islamica, ha rifiutato di approvare sanzioni contro la Russia. Non un solo paese del continente africano o delle regioni dell'Asia occidentale, dell'Asia centrale, di quella meridionale o del sud-est asiatico ha imposto sanzioni contro la Russia".
In questo caso potrebbe giocare anche un ulteriore elemento. Quando paesi come questi sentono dire cose del tipo "gli eroici ucraini si sono guadagnati il diritto di entrare nel nostro 'club dei valori'", hanno la sensazione di sentire l'Europa "bianca" che si aggrappa indebolita alla zattera di salvataggio.
Il dato reale è che le sanzioni cui Biden ha fatto riferimento nel suo discorso hanno già fallito lo scopo. La Russia non ha fatto default, la borsa di Mosca è aperta, il rublo è in ripresa, la reputazione russa è in ottima salute e la Russia vende energia a prezzi stracciati (anche dopo lo sconto).
In poche parole i traffici passeranno da altre strade, non saranno annullati. Ecco i vantaggi di essere un esportatore di beni quasi interamente prodotti in loco; sono i vantaggi di un'economia da fortezza.
La seconda incongruenza nella politica di Biden è che la dottrina di Von Clausewitz -cui la Russia si attiene in larga misura- auspica lo smantellamento del "centro di gravità del nemico per conseguire la vittoria"; in questo caso presumibilmente, il controllo occidentale della valuta di riserva mondiale e dei sistemi di pagamento. Al contrario, oggi come oggi sono l'Europa e gli Stati Uniti che stanno smantellando se stessi, e che si rinserrano ancora di più nell'inflazione che si impenna e nella contrazione dell'attività economica, in una specie di inspiegabile attacco di masochismo morale.
Come nota Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, "Quello che è chiaro è che la politica occidentale basata sulle sanzioni è la cosa peggiore di tutte. Stiamo subendo uno shock energetico che sta gonfiando ulteriormente le entrate per una Russia in guerra... Serpeggiano i timori di una rivolta in stile gilets jaunes in tutta Europa, il sospetto che la volubilità del pubblico non tollererà l'impennarsi del costo della vita una volta che gli orrori dell'Ucraina avranno perso il loro carattere di novità sugli schermi televisivi".
Anche stavolta forse possiamo attribuire questo comportamento paradossale all'ossessione di Kissinger per il potere del denaro, e al suo trascurare altri fattori fondamentali.
Tutto questo ha causato l'insinuarsi di un certo disagio nei corridoi del potere in alcune capitali della NATO sulla direzione che sta prendendo il conflitto in Ucraina: La NATO non interverrà, non implementerà una no-fly zone e ha ignorato le nuove richieste da parte di Zelensky per ulteriori materiali militari. A prima vista si direbbero le conseguenze del gesto "disinteressato" con cui 'Occidente intende evitare una guerra nucleare. La realtà è che lo sviluppo di nuove armi può imporre trasformazioni geopolitiche da un momento all'altro; è il caso ad esempio del missile antibunker intelligente e ipersonico Kinzhal sviluppato dai russi. In buona sostanza, la NATO non può prevalere militarmente contro la Russia in Ucraina.
Sembra che il Pentagono si sia -per il momento- imposto nella contesa con il Dipartimento di Stato e abbia iniziato a correggere la narrativa.
Si mettano a confronto queste due narrazioni statunitensi.
Il Dipartimento di Stato ha sottolineato lunedì 21 marzo che gli Stati Uniti stanno esortando Zelensky a non fare concessioni alla Russia in cambio di un cessate il fuoco. Il portavoce "ha esplicitamente affermato che è aperto a una soluzione diplomatica che non comprometta i principi fondamentali al centro della guerra del Cremlino contro l'Ucraina. Quando gli è stato chiesto di sviluppare questo punto, Price ha detto che la guerra è una questione che trascende la contesa fra Russia e Ucraina. "La cosa fondamentale è che in questa situazione sono in gioco principi che possono essere applicati in modo universale". Price ha detto che Putin stava cercando di violare "dei principi fondamentali".
Solo che il Pentagono ha fatto ricorso a due "bombe-verità" nella sua contesa con lo Stato e il Congresso per evitare il confronto con la Russia: "La condotta della Russia nella guerra brutale racconta una storia diversa dalla visione ampiamente accettata secondo cui Putin è intenzionato a demolire l'Ucraina e infliggere il massimo danno ai civili, e rivela la condotta strategicamente equilibrata del leader russo", ha riferito Newsweek in un articolo intitolato I bombardieri di Putin potrebbero devastare l'Ucraina, ma non lo stanno facendo. Ecco perché. Si fa riferimento a un analista anonimo della Defense Intelligence Agency (DIA) del Pentagono che afferma: "Il centro di Kiev è stato appena toccato. E quasi tutti gli attacchi a lungo raggio sono stati diretti contro obiettivi militari". Un ufficiale dell'aeronautica militare statunitense in pensione, che ora lavora come analista per un appaltatore del Pentagono, ha aggiunto: "Abbiamo bisogno di capire come la Russia si sta effettivamente comportando. Se ci limitiamo a dirci convinti che la Russia sta bombardando indiscriminatamente o [che] non riesce a infliggere maggiori danni perché il suo personale non è all'altezza del compito o perché è tecnicamente inetto, allora non ci stiamo rendendo conto del reale andamento delle cose".
La seconda "bomba-verità" colpisce direttamente il drammatico ammonire di Biden sulla "false flag" delle armi chimiche. Reuters ha riferito che "Gli Stati Uniti non hanno ancora notato alcun indizio concreto di un imminente attacco russo con armi chimiche o biologiche in Ucraina, ma stanno monitorando da vicino i flussi di informazioni a questo proposito, ha detto un alto funzionario della difesa statunitense".
Biden si trova preso in mezzo, fra il dire che "Putin è un criminale di guerra", ma anche che non ci sarà nessun confronto fra NATO e Russia. "L'unica fine della partita ora come ora", ha detto un alto funzionario dell'amministrazione in un incontro riservato all'inizio di questo mese, "sarebbe la fine del governo di Putin. Fino ad allora e per tutto il tempo che Putin rimarrà al potere, [la Russia] sarà uno stato paria che non sarà mai riaccolto nella comunità delle nazioni. La Cina ha commesso un errore enorme nel pensare che Putin la farà franca".
Eccola, la linea guida: permettere al macello ucraino di andare avanti, restare inoperosi a guardare gli "eroici ucraini dissanguare la Russia", fare abbastanza per far proseguire la guerra fornendo alcune armi ma non abbastanza da intensificarla, e presentarla come una eroica lotta per la democrazia a beneficio dell'opinione pubblica.
Il punto è che le cose non stanno andando così. Putin potrebbe sorprendere tutti a Washington uscendo dall'Ucraina quando l'operazione militare russa avrà raggiunto i suoi obiettivi. Quando Putin parla dell'Ucraina -a proposito- di solito non fa riferimento alla sua parte occidentale, diventata Ucraina perché aggiunta da Stalin.
E le cose non stanno andando così nemmeno con la Cina. Blinken ha detto per giustificare le nuove sanzioni imposte alla Cina la settimana scorsa: "Siamo impegnati a difendere i diritti umani in tutto il mondo e continueremo a usare tutte le misure diplomatiche ed economiche per promuoverne la responsabilità".
Le sanzioni sono state imposte perché la Cina non ha ripudiato Putin. Solo per questo. Il linguaggio della responsabilità -e dell'espiazione- usato, però, può essere compreso solo come espressione della woke culture contemporanea. Basta presentare qualche aspetto della cultura cinese come politicamente scorretto (come razzista, repressivo, misogino, suprematista o offensivo), ed essa diventa politicamente scorretta all'istante e nella sua interezza. Questo significa che qualsiasi aspetto di essa può essere addotto a piacimento dall'amministrazione come meritevole di sanzione.
E si torna al problema di cui sopra: il rifiuto dell'Occidente di accettare che altri si accostino alla scacchiera. Cosa può fare la Cina, se non fare spallucce a fronte di questa pretesa assurda.
Biden, nel suo discorso alla tavola rotonda, ha tirato ancora una volta in ballo un nuovo ordine mondiale; ha arguito che presto cambieranno tutte le carte in tavola.
Ma forse sarà un cambiare le carte in tavola diverso dai soliti. Uno che farà tornare molte cose come stavano fino a qualche tempo fa, quando davvero funzionavano. La politica e la geopolitica cambiano forma in ogni momento.

mercoledì 23 marzo 2022

Firenze. Controradio riporta la risposta degli occupanti dello stabile di viale Corsica 81 al borgomastro Nardella



In questa sede non si è mai fatto alcun mistero di non avere grande stima per la "legge" dello stato che occupa la penisola italiana, specie per le sue implicazioni in materia di attivismo politico, "degrado" e "insicurezza".
Allo stesso modo si sono più volte documentate le affissioni anarchiche reperite sui muri di Firenze, che a fronte dell'agenda politica del democratismo rappresentativo ci sono sempre sembrate degli inattaccabili monumenti di concretezza.
Si riporta con diligenza un altrettanto solido scritto elaborato dagli occupanti di uno stabile occupato da dieci anni, sgomberato dalla gendarmeria senz'altra motivazione che le intemperanze dei suoi frequentatori, che avrebbero goduto senz'altro di maggior tolleranza (se non di approvazione) se invece che motivazioni politiche avessero avuto pretesti legati al bestiale mondo del pallone.
L'iniziativa della gendarmeria è parsa poco fondata e poco costruttiva persino alle gazzette, risaputamente propense ad assecondare i ben vestiti che chiamano terrorista chiunque non procuri loro un reddito.
Occupazioni, scontri di piazza, cortei?
Va tutto benissimo.
Purché a Minsk, a Mosca, a Damasco, a Tehran o a L'Avana.


Abbiamo ascoltato con un misto di rabbia e divertimento le parole di Nardella ai microfoni di Controradio che, di fronte alle critiche mosse dagli abitanti del quartiere nei confronti dello sgombero del nostro spazio di Viale Corsica si arrampica sugli specchi per difendere il deserto che la su amministrazione, giorno dopo giorno, continua a creare. Una realtà che, udite udite, per gli ascoltatori di Controradio contribuiva a rendere più sicura la zona.
Affermazione che deve aver generato nel nostro sindaco, impegnato da sempre a lucidare solo il suo centro vetrina, non poco imbarazzo. L’ennesima conferma di quello che in molti sanno già: la sicurezza non la fanno la militarizzazione dei quartieri, i massicci dispiegamenti di polizia e le telecamere. La sicurezza è data da un quartiere vivo, dalle relazione sociali, dal mutuo appoggio e dalla solidarietà di chi vive fianco a fianco, non certo dalle forze dell’ordine che nascondono dietro ad una finta impotenza quello che in realtà non è altro che menefreghismo. Non è stato certamente il comune a rendere un luogo come l’Area Cani autogestita, prima abbandonata all’incuria e allo spaccio, un posto in cui incontrarsi e socializzare, in cui si sono svolti eventi e concerti.
Ai legittimi dubbi di chi si chiede come un’immobile vuoto e murato possa essere promotore di decoro e legalità il sindaco preferisce rispondere con i suoi soliti mantra che suonano come parole vuote. Nardella si appella alla legalità, quella della sinistra che rappresenta. La legalità di un palazzo che dopo essere stato al centro di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta da parte di uno dei tanti palazzinari fiorentini è rimasto abbandonato all’incuria senza essere mai trasformato nell’opera di compensazione che doveva essere. La legalità di chi riesce ad accedere a fondi e spazi del comune perché da sempre amica di chi nelle stanze di Palazzo Vecchio tiene il culo al caldo da anni.
Bene, su casa nostra da sempre svetta la scritta Illegalità di massa perché consapevoli che giustizia e legalità non sono la stessa cosa e che nelle aule di tribunale ciò che loro chiamano giustizia è solo sinonimo di repressione.
La nostra giustizia è un’altra. È la consapevolezza che lasciare case vuote e murate quando la gente muore di freddo per strada è criminale anche se legale. È la consapevolezza che non servono né il permesso né i fondi di qualcuno per organizzarsi ed aiutare chi è in difficoltà o per essere promotori di attività culturali e sociali. È la consapevolezza che una presa di coscienza collettiva, che l’autogestione e la difesa della dignità delle persone sono più importanti della burocrazia e dei codici di chi vuole un mondo immutabile e rassegnato alla sua vita fatta di solo consumo.
Nardella si arroga il diritto di dividere tra autogestioni buone e cattive, dando una narrazione tossica e falsa di quelli che sono stati percorsi di autorecupero reali e dal basso.
Parla del Lumen e di come abbia contribuito e rendere vivo un luogo prima usato come base di spaccio, angolo dimenticato di un quartiere popolare come le Minime. Si dimentica però che tra il “degrado”, come direbbero loro, e il bando di recupero ci è corsa l’esperienza de I’ Rovo, occupazione agricola che ha ridato vita al posto, abitandolo e avendone cura. Proprio per questo ha subito attacchi e tentativi di incendio da parte delle bande di spacciatori che ne volevano rientrare in possesso. L’amministrazione comunale si è sempre disinteressata alla sicurezza del posto, preferendo ghettizzare il problema in un angolo di periferia e lasciando a chi lo sentiva suo il compito di difenderlo. E quando ci sono riusciti? Sgomberati, rimossi dalla lista dei possibili beni comuni e la colonica assegnata ad un’associazione non indigesta al comune.
Ridicole poi le affermazioni su Mondeggi Bene Comune Fattoria senza padroni, nata dal fallimento di un’azienda di proprietà della provincia. Mondeggi è stata per anni la spina nel fianco della Città Metropolitana, interessata a venderla per fare cassa velocemente.
Speranza infranta da una serie di aste andate a vuoto. Scontratasi con il forte supporto della comunità locale ha dovuto battere in ritirata, avanzando solo nell’ultimo anno timide proposte di dialogo con gli occupanti e proponendo progetti di legalizzazione. Se non li puoi sconfiggere, unisciti a loro, o quantomeno prova a comprarli.
È quindi evidente come si diventi, agli occhi delle istituzioni, “buoni” o “cattivi” secondo la disponibilità o meno a scendere a compromessi. Ma quando ci si rifiuta di svuotare di significato le proprie lotte, anche solo in parte, per trattare con chi ci vuole reprimere si è di sicuro cattivi.
Questo è l’ennesimo esempio di come il potere tenti di sfruttare le differenze di pratiche, metodi e visioni interne ai movimenti per dividere, isolare e atomizzare le realtà di lotta.
Ma il movimento fiorentino non casca nella strategia divide et impera di un’amministrazione con l’elmetto. Ne è la prova la solidarietà che abbiamo ricevuto da tutte le realtà locali e non, che non si sono tirate indietro e hanno abbracciato con fierezza e gioia le azioni e le pratiche che ci siamo rivendicati negli anni.
Per questo continueremo a ripetere, ora e sempre: si parte e si torna insieme!


martedì 22 marzo 2022

Alastair Crooke - Confondere una guerra totale per una guerra tattica: un errore potenzialmente catastrofico

 


Traduzione da Strategic Culture, 21 marzo 2022.

La guerra in corso in Ucraina è stata intesa da una parte -in Occidente inteso in senso ampio- in termini di espressione laica dell'odierna cultura occidentale. In genere è stata presentata come lo scontro fra questa cultura, genericamente presentata come "democrazia", con lo spirito autoritario di Russia, Iran e Cina; culture pregne di valori offensivi, nativisti e scorrettamente repressivi.
Si ritiene che Putin possa aver "sentito che in AmeriKKKa è il momento di una leadership politica debole e, come un giocatore di scacchi che vede un varco sulla scacchiera, ne approfitta per andare all'attacco". In Occidente va per la maggiore questo modo di vedere le cose e non è difficile capire perché questo punto di vista si è trasformato in un'opinione consolidata. Esso è in linea con lo spirito di oggi, secondo cui l'intera politica non è che un dispiegarsi manicheo di "buoni" che vedono le cose in modo "moderno" e culturalmente consapevole, e di quanti invece non sono riusciti a tagliare i ponti con il proprio passato.
Questo però non spiega completamente la frenetica ostilità che ha investito Putin, la Russia e a tutto ciò che è russo. Non si era più visto niente di simile dai tempi della seconda guerra mondiale, e anche allora non tutto ciò che era tedesco veniva ipso facto considerato espressione del Male.
Al netto delle passioni, questa lettura occidentale del mondo ha una sua logica di fondo. Ed è una logica ineluttabile e piena di pericoli. Per esempio, nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti Zelensky ha insistito sul fatto che c'è un paese che sta affrontando un'aggressione che non ha provocato, che ha attirato su di sé il sostegno e la simpatia dal resto del mondo, ma che non è un membro dell'alleanza NATO. Il messaggio era semplice e chiaro: "Vi invito [voi Occidente] a fare di più".
per tutta risposta l'ex Segretario alla Difesa Leon Panetta ha descritto questa settimana Zelensky definendolo "in questo momento probabilmente il più potente lobbista del mondo". Ancora una volta la logica dietro l'idea che la Russia abbia deliberatamente scatenato la più grande guerra di terra in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale per conseguire un vantaggio tattico sulla scacchiera definisce ineluttabilmente anche l'inevitabile reazione: è necessario un maggiore sostegno militare a Kiev, in modo che Putin percepisca il pericolo sul terreno e si muova in modo da proteggere i pezzi di maggior valore.
Finora, il sostegno degli Stati Uniti è rimasto appena inferiore all'intervento diretto della NATO, ma giusto quel tanto. Le parole di Zelensky e il video che ha condiviso (anche se chiaramente realizzato da un'agenzia di PR professionisti: rasatura grossolana, maglietta mimetica eccetera), hanno avuto un impatto emotivo che ha trasformato questa sua comparsa -al pari di quelle organizzate in altre capitali- da qualcosa di ordinario a qualcosa di straordinario.
La domanda d'obbligo è quali saranno le conseguenze.
Panetta ha suggerito in risposta: "Se Putin sta raddoppiando la posta, anche gli Stati Uniti e la NATO devono raddoppiarla".
Occorre essere chiari: Panetta non è da solo. La guerra delle notizie e il bellicismo stanno prendendo piede. C'è chi esorta Zelensky a continuare con messaggi di questo genere, sostenendo che la ritrosia della NATO alla prospettiva di un intervento finirà per incrinarsi.
E se i calcoli sul consenso su cui si basa tutto questo fossero errati? Se rappresentassero una lettura potenzialmente catastrofica del comportamento di Putin e della sua squadra e -cosa più importante- del sentire della maggioranza dei russi?
Semplicemente, considerare il conflitto attraverso una lente così ristretta omette e cancella tutte le sfumature religiose, razziali, storiche, politiche e culturali insite nello scontro. Facilita uno stereotipo semplicistico che può condurre a un cattivo processo decisionale.
Se l'Occidente sbaglia a veder Putin tramite lo stereotipo del leader autoritario e senza principi che porta il suo paese in guerra per qualche effimero guadagno tattico contro l'Occidente, allora l'Occidente può sbagliarsi anche nel pensare di star combattendo una guerra tattica; e sbaglia di conseguenza a pensare che mosse tattiche consistenti nel caricare sofferenze su sofferenze sul piatto dei russi per influenzare la bilancia porteranno come risultato "a una deescalation da parte di un Putin azzoppato".
Ciò che avremmo allora sarebbe una guerra totale con da una parte una Russia che si difende o cessa di esistere e dall'altro lato un "occidente" impelagato dalla logica del suo stesso costrutto, e che si avvicina alla propria "guerra santa", pur laicizzata.
Le parole e il video di Zelensky hanno avuto un forte impatto emotivo nelle capitali occidentali; un impatto chiaramente teso ad alimentare un'atmosfera accesamente emotiva fin quasi al punto di rottura. Questa carica emotiva è benzina sul fuoco per l'angosciosa consapevolezza del declino ameriKKKano, per la consapevolezza che sempre meno paesi si inchinano istintivamente agli Stati Uniti con la condiscendenza con cui lo facevano in passato. È inquietante. Può scatenare l'aggressività che porta a desiderare di colpire di nuovo chiunque osi sminuire l'idea che essi siano un paese indicato dal destino.
Questi contenuti carichi di emotività stanno già accecando i commentatori occidentali di fronte a dati di fatto sul terreno che vengono ignorati e cancellati dalla quotidiana denuncia di atrocità strazianti. Nell'Occidente di oggi, l'analisi è diventata una mera questione di cosa sia culturalmente corretto, e ogni cenno alla realtà sul terreno è diventata quasi un delitto. È il contesto perfetto perché si facciano errori.
Quale può esserne il risultato, a stretto rigore di logica: quello di un Occidente che si impegna in una guerra totale?
Un regista russo più volte premiato, Nikita Mikhalkov, ha tenuto al popolo russo un proprio discorso, quasi un parallelo di quello che Zelensky ha tenuto al Congresso:
"Guardate a noi [il popolo russo] e ricordate che faranno la stessa cosa a voi quando mostrerete debolezza ... Fratelli, ricordate il destino della Jugoslavia e non permettegli di fare lo stesso con voi. Sono personalmente convinto che questa non è una guerra tra Russia e Ucraina, non è una guerra tra Russia, Europa e AmeriKKKa. Non è una guerra per quella democrazia cui i nostri partner vogliono convincerci. Questo è un tentativo globale, e forse l'ultimo della civiltà occidentale, di attaccare il mondo russo, l'etica ortodossa, nei loro valori tradizionali. Chi è cresciuto in questi valori non sarà mai d'accordo con quello che ci propongono, dai matrimoni omosessuali alla legalizzazione del fascismo. La guerra è una cosa terribile. Non conosco una persona normale che pensi che la guerra sia una buona cosa. Ma l'Ucraina, l'America e l'Europa hanno cominciato a prepararsi per questa guerra già nel 1991... Ci sono due modi per uscire da questa situazione: o ci difenderemo, o cesseremo di esistere. Per concludere, ecco le sagge parole di un uomo avveduto: "Meglio la forca perché si è stati leali, che la ricompensa perché si è tradito".
Mikhalkov non esprime concetti aberranti. La dottoressa Mariya Matskevich dell'Istituto di Sociologia dell'Accademia Russa delle Scienze spiega che gran parte della popolazione russa considera la guerra in Ucraina come "una lotta santa" e "una guerra della Russia contro tutto il resto del mondo". Aggiunge che questa è una posizione che molti russi trovano molto più congeniale rispetto a una qualsiasi cooperazione con il mondo esterno, e nota che i sondaggi riflettono costantemente -e generalmente in modo accurato- questo modello, così come la convinzione diffusa che ciò che la Russia sta facendo in Ucraina è difendersi da un'aggressione occidentale. Per questo motivo in Russia il sostegno popolare per Putin, per il suo governo e anche per il suo partito Russia Unita è aumentato dopo l'inizio delle ostilità.
La nozione di "guerra totale" è stata ribadita energicamente in una trasmissione televisiva in prima serata da un importante pensatore e autore russo, il professor Dugin. Le sue opinioni hanno ottenuto ampio sostegno: - La guerra in Ucraina non è solo questione di vita o di morte per lo stato russo, ma è questione di vita o di morte per il popolo russo, per la sua cultura e la sua civiltà.
- La realizzazione di un nuovo ordine mondiale passa per una vittoria russa in Ucraina.
- Fino ad ora, l'Occidente non ha mai considerato la Russia come un interlocutore alla pari. La guerra in Ucraina è destinata a cambiare questo dato di fatto.
Si può essere d'accordo o meno con questi punti di vista, ma non è questo l'essenziale. L'essenziale è se questo modo di intendere le cose sia quello del popolo russo oppure no. Se lo è, allora Putin e la Russia non si tireranno certo indietro dopo un'altra bordata di sanzioni occidentali, e nemmeno per i nuovi droni o le nuove armi fornite a Kiev: la guerra totale è, ovviamente, una lotta per l'esistenza. Fino alla fine.
Un eminente accademico serbo, il professor Vladusic, colloca tutto questo in un contesto più ampio:
 "C'è una mappa delle civiltà in Lo scontro di civiltà di Huntington: su quella mappa Ucraina e Russia sono dipinte dello stesso colore, perché appartengono alla stessa civiltà ortodossa. E proprio accanto all'Ucraina inizia il colore scuro con cui Huntington contrassegna la civiltà occidentale:
"[Considerando] la guerra con gli occhi di Huntington, ecco a quale conclusione giungo: la guerra tra Russia e Ucraina è una grande catastrofe per la civiltà ortodossa. L'ipotetica scomparsa della Russia sarebbe anche la fine della civiltà ortodossa, perché non c'è un altro paese ortodosso sufficientemente potente per difendere altre nazioni ortodosse. Huntington mi suggerisce poi che non è mai successo nella storia che un paese passasse da una civiltà all'altra, non perché alcuni paesi non ci abbiano provato, ma perché, semplicemente, le altre civiltà non li hanno mai accettati in via definitiva. Senza la Russia, la quotazione sul piano geopolitico dei restanti paesi ortodossi crollerebbe così tanto che le altre civiltà, nella migliore delle ipotesi, li farebbero scendere al livello di colonie in via di estinzione. Questo, naturalmente, vale anche per l'Ucraina. Nel momento in cui la Russia fosse sconfitta -sconfitta che significherebbe molto probabilmente la sua divisione in più stati- lo stesso destino toccherebbe probabilmente all'Ucraina. E sappiamo tutti cosa significa la parola balcanizzazione".
Sembra che la guerra totale possa diventare inevitabile. Le due diverse interpretazioni della "realtà" non si toccano in nessun punto. La logica è ineluttabile. All'interno di queste architetture dell'odio, fatti storici selezionati o inventati sulla Russia, la sua cultura e la sua natura etnica vengono considerati al di fuori del loro contesto e inseriti in strutture concettuali preconfezionate al fine di accusare il presidente Putin di essere un "delinquente" e un "criminale di guerra".
Se imboccheremo questa direzione, sarà per colpa dell'errore potenzialmente catastrofico di percepire la Russia come un mero attore transazionale; un approccio che deriva dal fatto che l'Occidente sta rinunciando a suo stesso retaggio culturale. Il processo è semplice: in passato un'opera d'arte, un grande libro, veniva letto per gettare luce e comprensione sugli eventi passati. Oggi viene inteso solo come espressione della cultura contemporanea. Basta presentare questa cultura come politicamente scorretta (come bianca, misogina o colonialista), e immediatamente diventa politicamente scorretta, il che significa che diventa criminale qualsiasi menzione di essa.
Come si può dunque comprendere la storia russa?
Non si può, e basta.
Non si può comprendere come la Russia possa intendere la storia come un lungo, millenario susseguirsi di tentativi di arrivare alla sua cancellazione, come espressione di un antagonismo e di un razzismo antislavo dalle radici altrettanto antiche; non si può comprendere come i russi possano vedere il recente intervento degli Stati Uniti nell'ortodossia tradizionale attraverso il patriarcato di Costantinopoli come l'intento di favorire uno scisma nella comunità ortodossa, sia per minare il patriarcato di Mosca (il baluardo del pensiero sociale tradizionale), sia per infondere i semi del liberalismo occidentale e i valori culturali occidentali nelle chiese ortodosse nazionali. Molti russi pii vedono il conflitto ucraino come una "guerra santa" per preservare l'ethos tradizionalista da un impulso culturale occidentale e nichilista.
Si potrebbe anche capire che molti russi considerano la rivoluzione bolscevica, l'intervento neo-liberale degli Stati Uniti dell'era Eltsin e la woke culture di oggi come tutta farina dello stesso sacco, con il bolscevismo considerato null'altro che una woke culture di prima edizione. Come tutto questo cioè non sia considerato altro che una lotta per cancellare la civiltà russa e l'ethos ortodosso.
Noi possiamo anche avere un'idea differente della storia, ma è possibile che i concetti qui espressi rappresentino fedelmente la concezione della maggior parte dei russi. Questo è il punto. Ed è denso di implicazioni sia per la guerra che per la pace.

mercoledì 16 marzo 2022

Questo blog è complice di Putin

 

Dopo il settembre del 2001 la "libera informazione" ha avuto campo libero nella completa distruzione mediatica del dissenso, e chi osava contraddire quelli delle gazzette veniva come minimo tacciato di terrorismo a reti unificate, quando non doveva vedersela direttamente con la gendarmeria politica.
Da allora la tendenza non si è mai invertita e con il diffondersi delle "reti sociali" il collodio "occidentalista" è percolato da gazzette e televisioni fino a sporcare ogni luogo telematico immaginabile.
Non che all'epoca mancassero -anche fra le diplomate alla scuola della vita e i laureati all'università della strada che oggi si autoschedano sul Libro dei Ceffi o sulle sue varie filiazioni ripetendo le parole d'ordine della propaganda- gli esempi di quella malafede infantile in cui si mescolano incompetenza e arroganza ormai abituali, ma i forum e i newsgroup, il fatto che internet non fosse ancora di comune diffusione sui telefoni cellulari e il minimo di competenze necessario a utilizzarla rendevano il web un luogo in cui era ancora possibile schernire chi meritava di essere schernito, e ridere tranquillamente in faccia ai ben vestiti ad alto reddito che fra un ristorante e l'altro volevano imporre l'agenda "occidentalista".
L'aggressione russa all'Ucraina ha fornito nuovo slancio a censori e custodi -per lo più autonominati- della liceita democratica, che evidentemente non si auguravano altro. E che sono riusciti a fare assai meglio della volta precedente, anche e soprattutto riuscendo a ritrarre il presidente della Federazione Russa come un individuo mai visto, mai conosciuto, con cui nulla e nessuno hanno avuto a che spartire.
Tutti ucraini di complemento
.
Sbeffeggiarne la chiamata porta alle solite conseguenze.
A guerra in corso, le gazzette grondano delle dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky -un ex comico dalle originali competenze pianistiche- cui viene data carta bianca al punto da lasciare il dubbio che stia mandando avanti un paese in guerra con la stessa parte del corpo che usava per suonare il pianoforte.
Ad ascoltare questo signore che parlava in tutta serietà di "attacco ai valori occidentali" come un'Oriana Fallaci qualsiasi invocando senza mezzi termini un allargamento mondiale del conflitto il borgomastro di Firenze, il Partito Democratico e altri aggregati ancor meno presentabili hanno convocato simpatizzanti e sostenitori fino a riempire piazza Santa Croce.
Nelle stesse ore e nella stessa città si dava prova di tolleranza democratica sgomberando un'occupazione storica e inasprendo le già demenziali norme locali in materia di "decoro" e "sicurezza", che in sede di applicazione possono da molti anni contare su tecnologie che i temuti totalitarismi del ventesimo secolo (invocati ogni due parole per delegittimare qualsiasi contraddittorio) non potevano neanche immaginarsi.
I comportamenti diversi da quelli di consumo, una pur vaga propensione alla bohème che è peraltro già problematico sviluppare in un contesto sociale in cui domina un'omologazione divorante, per tacere delle occupazioni, dell'attivismo politico o addirittura degli scontri con la gendarmeria hanno comunque la massima approvazione da parte delle gazzette e del mondo della politica di rappresentanza.
Basta che si svolgano a Mosca, a Damasco, a L'Avana, a Tehran, a Caracas.
Nell'Occidente che vorrebbero si difendesse armi alla mano è sufficiente tenere comportamenti meno che da educanda in un corteo qualsiasi per vedersela per decenni con la gendarmeria politica ed essere ridotti all'insolvibilità da sanzioni amministrative mai abbastanza pesanti.
Un contrasto che rende irricevibili certi appelli alla difesa di un qualcosa che è indifendibile da decenni, e che si compendia in quella che Lorenzo Milani chiamava mostruosa adorazione del diritto di proprietà e nella risibile libertà di scegliere come indebitarsi per merci e servizi per lo meno inutili, seguiti passo passo dalle telecamere.
Uno di questi bandi di arruolamento, pubblicato in tutta serietà da uno Huffington Post che potrebbe fondatamente ridenominarsi Bullingdon Post, ci è parso decisamente sopra le righe.
Impossibile resistere a toni tanto perentori; lo si consegna ad archive.org per tutelarsi contro eventuali ripensamenti del signor Filippo Rossi o del suo capogazzettiere, e si provvede ad adeguarsi.

Verdi, rossi, neri e aderenti alla Prima Internazionale dell'Odio [curiosa invenzione di Magdi Pluricondannato per Diffamazione Allam risalente al 2006] lo eravamo già.
Adesso siamo anche complici di Putin.



martedì 15 marzo 2022

Alastair Crooke - La pressante voglia di guerra dei liberali

 



Traduzione da Strategic Culture, 12 marzo 2022.

Sappiamo tutti che la copertura dei fatti in Ucraina da parte dei media occidentali è stata molto caricata giocando sulla simpatia che in Occidente suscitano (alcune) "vittime" sventurate, e indirizzando il sentire verso un'indignazione morale che chiede con insistenza -o persino pretende- punizione e castigo per i presunti colpevoli. David Brooks sul New York Times innalza ai massimi livelli questo senso di colpa:
"Il credo liberale ha di nuovo il vento in poppa [e ci ha] ricordato non solo cosa significa credere nella democrazia, nell'ordine liberale e nel prestigio del proprio paese, ma anche di agire con coraggio in nome di tutto questo. Tutto questo ci ha ricordato come le battute d'arresto [possano] averci resi dubbiosi e passivi sulle parole sante della democrazia. Ma nonostante tutti i nostri fallimenti, queste sante parole sono ancora brillantemente autentiche".
L'Ucraina può essere molte cose. ...Ma perché scomodare addirittura le "parole sante della democrazia"?
Ogni grave crisi, naturalmente, è anche opportunità per una mitopoiesi; specialmente in un momento di anomia in cui poco meno della metà del corpo sociale crede scoraggiata che il suo paese non si curi di lei e che "il sistema economico, il sistema politico (e le persone che li gestiscono) le si sono coalizzati contro, qualsiasi cosa essa possa fare".
L'establishment anglo-ameriKKKano si è dimostrato abile nell'intuire che, a causa di tale anomia e dell'erosione della nostra "aura di intoccabilità" era il caso di ricorrere a qualche bugia a fin di bene per dare un'ultima boccata di ossigeno all'ordine costituito. Le potenzialità intrinseche a questa ondata di indignazione possono essere sfruttate come casus belli a servizio del liberalismo globale. In fondo il "grande progetto ameriKKKano" basato sulla guerra è il modo migliore per serrare le file e per infondere energia al desiderio di ritrovare il proprio senso di appartenenza alla nazione.
L'Occidente ha alzato i limiti al dominio dello "spazio dell'informazione" imponendo uniformità ai media, stringendo la sua presa sull'informazione, emarginando i pochi giornalisti investigativi rimasti e derubricando ogni scetticismo a connivenza, o "Putinismo". La libertà di pensiero online è disconosciuta; nelle trasmissioni si prefiltrano i punti di vista in modo da censurarli o ammetterli (per esempio, le simpatie neonaziste e la violenza politica contro i russi e la Russia) e si stabilisce un monopolio della verità. In questo modo, quando si viene colti in malafede ogni interferenza difforme dalla retta via viene semplicemente fatta sparire grazie a qualche algoritmo.
Non c'è dubbio che l'Occidente abbia raffinato al massimo grado le proprie capacità belliche in questo campo, ma il suo stesso successo diffonde agenti patogeni fin nei capillari occidentali. Una volta messa in moto, questa dinamica possiede tutto il potere di assuefazione del gioco online. Si scrive la sceneggiatura per un nuovo scenario, si dirige la produzione e poi si mette in scena in video. Molti possono non credere al pezzo che ne risulta, ma non c'è niente che possano fare se non guardarlo in muto, frustrato silenzio. Game over, e hai vinto.
Solo che non è così. Questo è un gioco che si autoalimenta. C'è sempre qualcun altro pronto a ribattere all'ultimo giocatore che ha preso a bersaglio Putin, ad acclamare il nuovo atto di coraggio disinteressato di una vittima, a speculare su altri atti criminali pianificati contro di lui. E così le pretese di rappresaglie e punizioni vengono investite da una inarrestabile corsa al rialzo. La logica della sua struttura rende quasi impossibile, per qualsiasi leader politico, resistere alla marea crescente.
Ecco a che punto siamo: esistono tre piani di realtà talmente separati l'uno dall'altro che non si toccano in nessun punto. C'è il piano della guerra psicologica, che non ha quasi nessuna attinenza con la realtà della situazione militare sul terreno. Esse si manifestano infatti come due opposti: la prima mostra una resistenza eroica contro un esercito russo fallimentare, demoralizzato e azzoppato. Mentre la realtà sul terreno è che "Putin NON è pazzo e che l'invasione russa NON sta fallendo".
Poi c'è il piano di Europa e Stati Uniti insieme in "una intrapresa economica e morale di forte presa sociale e dal morale battagliero" (anche se con una certa propensione al sacrificio, all'autoflagellazione di se stessi) per infliggere una punizione alla Russia. Mentre la realtà è che un "mondo in guerra" - sia guerra vera e propria o guerra finanziaria - sarà un disastro per l'Europa (e per l'AmeriKKKa).
La guerra è inflazionistica. La guerra fa contrarre l'economia (ed è anche inflazionistica). Tutto -petrolio, gas, metalli- tutto sta salendo di prezzo in modo verticale, e l'intera catena di produzione alimentare è sotto pressione da ogni lato. Ma questa situazione è chiaramente meno disastrosa per un super produttore di derrate alimentari e materie prime come la Russia.
Il terzo piano oggetto di scissione presenta da un lato un'attenzione esclusiva e decontestualizzata per gli eventi in Ucraina, che nasconde questo momento di flessione politica ed economica globale e dall'altro quella cosa a tutti evidente e di cui nessuno parla che è il mega progetto Russia-Cina per imporre un ridimensionamento e un contenimento dell'intero ordine egemonico in vigore.
Ci sono altri esempi di simili scissioni, come quella che vuole una Russia isolata ed evitata rispetto a una realtà in cui gran parte del pianeta non sostiene le sanzioni di rappresaglia volute da statunitensi ed europei, ma non importa.
Il punto qui non è solo cosa succede quando queste divergenze entrano in rotta di collisione; piuttosto: cosa succede quando si spinge a forza l'una o l'altra 'realtà' già dotata in proprio di una forte carica emotiva e moralizzatrice, pur essendo perfettamente consapevoli che essa è sbagliata?
Questo è l'elemento patogeno insito nel portare all'estremo la guerra per il dominio dell'informazione.
La domanda che sorge è questa: in che modo si trasformeranno le emozioni se tutto il clamore viene meno ed è il 'cattivo' a vincere la partita? La gente si rivolterà contro i propri attuali leader o sceglierà di raddoppiare la posta chiedendo ancor più sangue intanto che il suo istinto si ribella davanti alla comprensione che a convinzioni consolidate in maniera quasi religiosa è stata inflitta una disconferma? Il risultato di questo dilemma psichico può determinare se ci stiamo dirigendo verso l'escalation e la guerra totale oppure no.
I funzionari dell'intelligence degli Stati Uniti hanno affermato martedì 8 marzo che Putin sta "disperatamente" cercando di mettere fine al conflitto in Ucraina, e qualcuno insinua in privato che potrebbe anche far esplodere un'arma nucleare tattica in una città ucraina pur di tagliare la testa al toro. Spinto dalle delusioni, Putin potrebbe ricorrere all'uso di una piccola bomba atomica: "Sapete, la dottrina russa sostiene che si fa escalation per ottenere il suo contrario, quindi penso che secondo la dottrina il rischio potrebbe aumentare", ha detto Burns, direttore della CIA ed ex ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca.
Ed ecco... la prossima fase dell'escalation. Questo intento adesso lo si attribuisce a Putin, ma in concreto è stato tirato fuori -e con ampia pubblicità- dalla CIA. Si sta forse preparando il terreno? Un'escalation a questo livello non è probabilmente stata messa nero su bianco, e non lo sarà fino a quando, e solo fino a quando, l'opzione di infilare la Russia in un pantano ucraino rimarrà solo sulla carta. Se la narrativa della guerra psicologica -su cui ci si concentra tanto- non regge al confronto con la realtà, il pubblico esigerà delle risposte. Perché lo si è condotto su una via tanto ingannevole? Il contraccolpo, per l'"aura di intoccabilità", sarebbe immenso.
Sono stati trovati laboratori biologici in Ucraina che, secondo quanto riferito, hanno legami con gli Stati Uniti: Quando le ne è stato chiesto conto Victoria Nuland ha sorprendentemente ammesso la loro esistenza, ma ha detto "è preoccupata che la Russia possa impadronirsene, e che è sicura al 100% che se c'è un attacco biologico è colpa della Russia". Giovedì 10 marzo i media britannici hanno titolato: "Putin sta tramando un attacco con armi chimiche in Ucraina". Chiaramente, il fattore paura è stato caricato a favore di una strategia di insurrezione/pantano a lungo termine per la Russia in Ucraina occidentale. È, come ha accennato David Brooks, l'ultimo sussulto nella difesa dell'ordine mondiale liberale.
Tutto questo clamore -piccole bombe atomiche, armi biologiche, armi chimiche...- può davvero portarci alla guerra? James Carden, nel suo pezzo dice che può. E che è già successo. Cita un esempio:
"In una lettera privata scritta nel 1918, il cancelliere tedesco da poco deposto ammise che nel periodo precedente la Grande Guerra, "esistevano circostanze particolari che propendevano a favore della guerra, ivi comprese quelle in cui la Germania nel 1870-71 entrò nel novero delle grandi potenze" e divenne "oggetto di invidia vendicativa da parte delle altre Grandi Potenze, in gran parte -anche se non interamente- per sua stessa colpa".

"Eppure Bethmann considerò che fosse all'opera un altro fattore cruciale: quello dell'opinione pubblica. 'Come spiegare altrimenti', si chiedeva, 'lo zelo insensato e appassionato che non permetteva a paesi come lo stato che occupa la penisola italiana, la Romania e persino l'AmeriKKKa, originariamente non coinvolti nella guerra, di rimanere in pace finché non si fossero trovati immersi anch'essi nel bagno di sangue? Sicuramente si tratta dell'espressione immediata e tangibile del fatto che nel mondo esisteva una disposizione generale alla guerra".
Di fronte alla prospettiva che Putin possa raggiungere i suoi obiettivi senza una guerra di vasta portata, come potrebbero reagire l'Europa e l'AmeriKKKa? Potrebbero reagire in modo molto diverso.
In primo luogo, dobbiamo ricordare che uno degli obiettivi di questo febbrile bellicismo è sempre stato quello di legare l'Europa agli Stati Uniti e alla NATO, e di impedire che la Russia e la Cina cooptassero l'Europa nel progetto di integrazione economica della massa continentale asiatica, dal punto di vista strategico lasciando così da soli gli Stati Uniti a fare l'"isola" in mare.
I neoconservatori più intransigenti hanno conseguito alcuni risultati positivi: Nordstream 2 è stato cancellato, privando l'Europa di una fonte di energia sicura ed economica. Fin dall'inizio, il progetto europeo è stato concepito come un connubio tra risorse russe e capacità produttiva europea. Questa opzione ora non è più praticabile. L'UE si è completamente legata alla febbrile orbita statunitense. E ha eretto una 'cortina di ferro' contro la Russia (e per estensione contro la Cina). Si è autosanzionata imponendosi un paradigma di energia e materie prime ad alto costo e ha fatto di se stessa un mercato prigioniero delle grandi imprese statunitensi dell'energia e della tecnologia ameriKKKana. L'UE si è dilettata a immaginarsi come un imperium liberale. Di sicuro adesso non lo è più. Il suo ridefinirsi in stile Davos, messo a punto per rubare una marcia all'AmeriKKKa, è defunto. Le quattro "transizioni" chiave da cui Bruxelles dipendeva per sollevare il suo raggio d'azione dal livello nazionale al livello globale sovranazionale sono defunte: i regolamenti sanitari globali del green pass, il clima, l'automazione e i quadri normativi monetari -per una ragione o per l'altra- hanno fallito e sono finiti fuori agenda.
L'UE contava su queste transizioni come punto d'appoggio per stampare un'enorme quantità di denaro. Ne ha bisogno per iniettare liquidità in un sistema sovraindebitato. In assenza di questo appoggio, sta pensando a una sorta di fondo nero (altamente inflazionistico) col pretesto di finanziare la difesa e la sostituzione dell'energia russa, finanziato da euro-bond. Sarà interessante vedere se i cosiddetti "quattro stati frugali" dell'UE si infileranno in questo espediente percompreranno questo stratagemma per mutualizzare il debito.
Eppure l'inflazione - già alta e in accelerazione - è alla radice della crisi che Bruxelles sta affrontando. C'è poco da fare su questo, alla luce delle sanzioni che l'UE ha messo in atto contro la Russia e con i prezzi di ogni cosa che salgono in modo verticale. E per quanto riguarda l'altra lacuna, non c'è modo per l'Europa di trovare 200 miliardi di metri cubi di gas da qualche altra parte per sostituire la Russia, che sia in Algeria, in Qatar o in Turkmenistan. Per non parlare della mancanza di terminali per il gas naturale liquefatto necessari all'UE.
Gli europei sono alle prese con un tetro futuro di prezzi che si impennano e di economia che si contrae. Per ora, possono schierare poco dissenso politico alle élite che hanno tutto in mano. Le strutture per un'autentica (e non simbolica) opposizione in Europa sono state in gran parte smantellate dallo zelo di Bruxelles nel sopprimere il "populismo". I cittadini dell'UE sopporteranno questa prospettiva con cupo rancore, finché la sofferenza non diventerà insopportabile. Il 'populismo' negli Stati Uniti tuttavia non è morto. Circa 30 membri del Congresso del Partito Repubblicano hanno scelto di ritirarsi alle prossime elezioni di metà mandato. Potremmo assistere a una recrudescenza del sentimento populista ameriKKKano, a novembre. Il punto è che il populismo ameriKKKano per tradizione è fiscalmente conservatore. E sembra che anche Wall Street si stia spostando in quella direzione: cioè quelli di Wall Street potrebbero prepararsi a mollare Biden e a mettersi dalla parte di un maggiore rigore fiscale.
La portata potenziale è enorme. Questa settimana il capo della Federal Reserve ha detto che mentre una parte dell'inflazione record degli Stati Uniti può essere attribuita alla responsabilità della Fed, anche il Congresso ne è responsabile. Questo si traduce approssimativamente come "ferma la Grande Spesa, Biden! La Fed ha bisogno di spazio per alzare i tassi di interesse". Il capo di Citibank ha parlato in modo simile.
Wall Street cambierà cavallo (ha sostenuto Biden alle ultime elezioni), e renderà più ampio il margine per la probabile maggioranza repubblicana al Congresso? Se è così, con una maggioranza abbastanza grande tutto può (politicamente) diventare possibile. Il conservatorismo repubblicano tradizionalmente (cioè fino a prima del flirt con i falchi neoconservatori) è molto cauto nei confronti dell'avventurismo all'estero.
Che si tratti del Black Lives Matter, del Coronavirus, o adesso dell'Ucraina, ogni singola questione viene discussa in termini apocalittici e fra paure enormi. Ma per quanto riguarda tutte queste paure,

"Gli impresentabili sono stufi". (parafrasato)



Il titolo dell'articolo viene da James Carden, che scrive per The Spectator.