martedì 15 marzo 2022

Alastair Crooke - La pressante voglia di guerra dei liberali

 



Traduzione da Strategic Culture, 12 marzo 2022.

Sappiamo tutti che la copertura dei fatti in Ucraina da parte dei media occidentali è stata molto caricata giocando sulla simpatia che in Occidente suscitano (alcune) "vittime" sventurate, e indirizzando il sentire verso un'indignazione morale che chiede con insistenza -o persino pretende- punizione e castigo per i presunti colpevoli. David Brooks sul New York Times innalza ai massimi livelli questo senso di colpa:
"Il credo liberale ha di nuovo il vento in poppa [e ci ha] ricordato non solo cosa significa credere nella democrazia, nell'ordine liberale e nel prestigio del proprio paese, ma anche di agire con coraggio in nome di tutto questo. Tutto questo ci ha ricordato come le battute d'arresto [possano] averci resi dubbiosi e passivi sulle parole sante della democrazia. Ma nonostante tutti i nostri fallimenti, queste sante parole sono ancora brillantemente autentiche".
L'Ucraina può essere molte cose. ...Ma perché scomodare addirittura le "parole sante della democrazia"?
Ogni grave crisi, naturalmente, è anche opportunità per una mitopoiesi; specialmente in un momento di anomia in cui poco meno della metà del corpo sociale crede scoraggiata che il suo paese non si curi di lei e che "il sistema economico, il sistema politico (e le persone che li gestiscono) le si sono coalizzati contro, qualsiasi cosa essa possa fare".
L'establishment anglo-ameriKKKano si è dimostrato abile nell'intuire che, a causa di tale anomia e dell'erosione della nostra "aura di intoccabilità" era il caso di ricorrere a qualche bugia a fin di bene per dare un'ultima boccata di ossigeno all'ordine costituito. Le potenzialità intrinseche a questa ondata di indignazione possono essere sfruttate come casus belli a servizio del liberalismo globale. In fondo il "grande progetto ameriKKKano" basato sulla guerra è il modo migliore per serrare le file e per infondere energia al desiderio di ritrovare il proprio senso di appartenenza alla nazione.
L'Occidente ha alzato i limiti al dominio dello "spazio dell'informazione" imponendo uniformità ai media, stringendo la sua presa sull'informazione, emarginando i pochi giornalisti investigativi rimasti e derubricando ogni scetticismo a connivenza, o "Putinismo". La libertà di pensiero online è disconosciuta; nelle trasmissioni si prefiltrano i punti di vista in modo da censurarli o ammetterli (per esempio, le simpatie neonaziste e la violenza politica contro i russi e la Russia) e si stabilisce un monopolio della verità. In questo modo, quando si viene colti in malafede ogni interferenza difforme dalla retta via viene semplicemente fatta sparire grazie a qualche algoritmo.
Non c'è dubbio che l'Occidente abbia raffinato al massimo grado le proprie capacità belliche in questo campo, ma il suo stesso successo diffonde agenti patogeni fin nei capillari occidentali. Una volta messa in moto, questa dinamica possiede tutto il potere di assuefazione del gioco online. Si scrive la sceneggiatura per un nuovo scenario, si dirige la produzione e poi si mette in scena in video. Molti possono non credere al pezzo che ne risulta, ma non c'è niente che possano fare se non guardarlo in muto, frustrato silenzio. Game over, e hai vinto.
Solo che non è così. Questo è un gioco che si autoalimenta. C'è sempre qualcun altro pronto a ribattere all'ultimo giocatore che ha preso a bersaglio Putin, ad acclamare il nuovo atto di coraggio disinteressato di una vittima, a speculare su altri atti criminali pianificati contro di lui. E così le pretese di rappresaglie e punizioni vengono investite da una inarrestabile corsa al rialzo. La logica della sua struttura rende quasi impossibile, per qualsiasi leader politico, resistere alla marea crescente.
Ecco a che punto siamo: esistono tre piani di realtà talmente separati l'uno dall'altro che non si toccano in nessun punto. C'è il piano della guerra psicologica, che non ha quasi nessuna attinenza con la realtà della situazione militare sul terreno. Esse si manifestano infatti come due opposti: la prima mostra una resistenza eroica contro un esercito russo fallimentare, demoralizzato e azzoppato. Mentre la realtà sul terreno è che "Putin NON è pazzo e che l'invasione russa NON sta fallendo".
Poi c'è il piano di Europa e Stati Uniti insieme in "una intrapresa economica e morale di forte presa sociale e dal morale battagliero" (anche se con una certa propensione al sacrificio, all'autoflagellazione di se stessi) per infliggere una punizione alla Russia. Mentre la realtà è che un "mondo in guerra" - sia guerra vera e propria o guerra finanziaria - sarà un disastro per l'Europa (e per l'AmeriKKKa).
La guerra è inflazionistica. La guerra fa contrarre l'economia (ed è anche inflazionistica). Tutto -petrolio, gas, metalli- tutto sta salendo di prezzo in modo verticale, e l'intera catena di produzione alimentare è sotto pressione da ogni lato. Ma questa situazione è chiaramente meno disastrosa per un super produttore di derrate alimentari e materie prime come la Russia.
Il terzo piano oggetto di scissione presenta da un lato un'attenzione esclusiva e decontestualizzata per gli eventi in Ucraina, che nasconde questo momento di flessione politica ed economica globale e dall'altro quella cosa a tutti evidente e di cui nessuno parla che è il mega progetto Russia-Cina per imporre un ridimensionamento e un contenimento dell'intero ordine egemonico in vigore.
Ci sono altri esempi di simili scissioni, come quella che vuole una Russia isolata ed evitata rispetto a una realtà in cui gran parte del pianeta non sostiene le sanzioni di rappresaglia volute da statunitensi ed europei, ma non importa.
Il punto qui non è solo cosa succede quando queste divergenze entrano in rotta di collisione; piuttosto: cosa succede quando si spinge a forza l'una o l'altra 'realtà' già dotata in proprio di una forte carica emotiva e moralizzatrice, pur essendo perfettamente consapevoli che essa è sbagliata?
Questo è l'elemento patogeno insito nel portare all'estremo la guerra per il dominio dell'informazione.
La domanda che sorge è questa: in che modo si trasformeranno le emozioni se tutto il clamore viene meno ed è il 'cattivo' a vincere la partita? La gente si rivolterà contro i propri attuali leader o sceglierà di raddoppiare la posta chiedendo ancor più sangue intanto che il suo istinto si ribella davanti alla comprensione che a convinzioni consolidate in maniera quasi religiosa è stata inflitta una disconferma? Il risultato di questo dilemma psichico può determinare se ci stiamo dirigendo verso l'escalation e la guerra totale oppure no.
I funzionari dell'intelligence degli Stati Uniti hanno affermato martedì 8 marzo che Putin sta "disperatamente" cercando di mettere fine al conflitto in Ucraina, e qualcuno insinua in privato che potrebbe anche far esplodere un'arma nucleare tattica in una città ucraina pur di tagliare la testa al toro. Spinto dalle delusioni, Putin potrebbe ricorrere all'uso di una piccola bomba atomica: "Sapete, la dottrina russa sostiene che si fa escalation per ottenere il suo contrario, quindi penso che secondo la dottrina il rischio potrebbe aumentare", ha detto Burns, direttore della CIA ed ex ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca.
Ed ecco... la prossima fase dell'escalation. Questo intento adesso lo si attribuisce a Putin, ma in concreto è stato tirato fuori -e con ampia pubblicità- dalla CIA. Si sta forse preparando il terreno? Un'escalation a questo livello non è probabilmente stata messa nero su bianco, e non lo sarà fino a quando, e solo fino a quando, l'opzione di infilare la Russia in un pantano ucraino rimarrà solo sulla carta. Se la narrativa della guerra psicologica -su cui ci si concentra tanto- non regge al confronto con la realtà, il pubblico esigerà delle risposte. Perché lo si è condotto su una via tanto ingannevole? Il contraccolpo, per l'"aura di intoccabilità", sarebbe immenso.
Sono stati trovati laboratori biologici in Ucraina che, secondo quanto riferito, hanno legami con gli Stati Uniti: Quando le ne è stato chiesto conto Victoria Nuland ha sorprendentemente ammesso la loro esistenza, ma ha detto "è preoccupata che la Russia possa impadronirsene, e che è sicura al 100% che se c'è un attacco biologico è colpa della Russia". Giovedì 10 marzo i media britannici hanno titolato: "Putin sta tramando un attacco con armi chimiche in Ucraina". Chiaramente, il fattore paura è stato caricato a favore di una strategia di insurrezione/pantano a lungo termine per la Russia in Ucraina occidentale. È, come ha accennato David Brooks, l'ultimo sussulto nella difesa dell'ordine mondiale liberale.
Tutto questo clamore -piccole bombe atomiche, armi biologiche, armi chimiche...- può davvero portarci alla guerra? James Carden, nel suo pezzo dice che può. E che è già successo. Cita un esempio:
"In una lettera privata scritta nel 1918, il cancelliere tedesco da poco deposto ammise che nel periodo precedente la Grande Guerra, "esistevano circostanze particolari che propendevano a favore della guerra, ivi comprese quelle in cui la Germania nel 1870-71 entrò nel novero delle grandi potenze" e divenne "oggetto di invidia vendicativa da parte delle altre Grandi Potenze, in gran parte -anche se non interamente- per sua stessa colpa".

"Eppure Bethmann considerò che fosse all'opera un altro fattore cruciale: quello dell'opinione pubblica. 'Come spiegare altrimenti', si chiedeva, 'lo zelo insensato e appassionato che non permetteva a paesi come lo stato che occupa la penisola italiana, la Romania e persino l'AmeriKKKa, originariamente non coinvolti nella guerra, di rimanere in pace finché non si fossero trovati immersi anch'essi nel bagno di sangue? Sicuramente si tratta dell'espressione immediata e tangibile del fatto che nel mondo esisteva una disposizione generale alla guerra".
Di fronte alla prospettiva che Putin possa raggiungere i suoi obiettivi senza una guerra di vasta portata, come potrebbero reagire l'Europa e l'AmeriKKKa? Potrebbero reagire in modo molto diverso.
In primo luogo, dobbiamo ricordare che uno degli obiettivi di questo febbrile bellicismo è sempre stato quello di legare l'Europa agli Stati Uniti e alla NATO, e di impedire che la Russia e la Cina cooptassero l'Europa nel progetto di integrazione economica della massa continentale asiatica, dal punto di vista strategico lasciando così da soli gli Stati Uniti a fare l'"isola" in mare.
I neoconservatori più intransigenti hanno conseguito alcuni risultati positivi: Nordstream 2 è stato cancellato, privando l'Europa di una fonte di energia sicura ed economica. Fin dall'inizio, il progetto europeo è stato concepito come un connubio tra risorse russe e capacità produttiva europea. Questa opzione ora non è più praticabile. L'UE si è completamente legata alla febbrile orbita statunitense. E ha eretto una 'cortina di ferro' contro la Russia (e per estensione contro la Cina). Si è autosanzionata imponendosi un paradigma di energia e materie prime ad alto costo e ha fatto di se stessa un mercato prigioniero delle grandi imprese statunitensi dell'energia e della tecnologia ameriKKKana. L'UE si è dilettata a immaginarsi come un imperium liberale. Di sicuro adesso non lo è più. Il suo ridefinirsi in stile Davos, messo a punto per rubare una marcia all'AmeriKKKa, è defunto. Le quattro "transizioni" chiave da cui Bruxelles dipendeva per sollevare il suo raggio d'azione dal livello nazionale al livello globale sovranazionale sono defunte: i regolamenti sanitari globali del green pass, il clima, l'automazione e i quadri normativi monetari -per una ragione o per l'altra- hanno fallito e sono finiti fuori agenda.
L'UE contava su queste transizioni come punto d'appoggio per stampare un'enorme quantità di denaro. Ne ha bisogno per iniettare liquidità in un sistema sovraindebitato. In assenza di questo appoggio, sta pensando a una sorta di fondo nero (altamente inflazionistico) col pretesto di finanziare la difesa e la sostituzione dell'energia russa, finanziato da euro-bond. Sarà interessante vedere se i cosiddetti "quattro stati frugali" dell'UE si infileranno in questo espediente percompreranno questo stratagemma per mutualizzare il debito.
Eppure l'inflazione - già alta e in accelerazione - è alla radice della crisi che Bruxelles sta affrontando. C'è poco da fare su questo, alla luce delle sanzioni che l'UE ha messo in atto contro la Russia e con i prezzi di ogni cosa che salgono in modo verticale. E per quanto riguarda l'altra lacuna, non c'è modo per l'Europa di trovare 200 miliardi di metri cubi di gas da qualche altra parte per sostituire la Russia, che sia in Algeria, in Qatar o in Turkmenistan. Per non parlare della mancanza di terminali per il gas naturale liquefatto necessari all'UE.
Gli europei sono alle prese con un tetro futuro di prezzi che si impennano e di economia che si contrae. Per ora, possono schierare poco dissenso politico alle élite che hanno tutto in mano. Le strutture per un'autentica (e non simbolica) opposizione in Europa sono state in gran parte smantellate dallo zelo di Bruxelles nel sopprimere il "populismo". I cittadini dell'UE sopporteranno questa prospettiva con cupo rancore, finché la sofferenza non diventerà insopportabile. Il 'populismo' negli Stati Uniti tuttavia non è morto. Circa 30 membri del Congresso del Partito Repubblicano hanno scelto di ritirarsi alle prossime elezioni di metà mandato. Potremmo assistere a una recrudescenza del sentimento populista ameriKKKano, a novembre. Il punto è che il populismo ameriKKKano per tradizione è fiscalmente conservatore. E sembra che anche Wall Street si stia spostando in quella direzione: cioè quelli di Wall Street potrebbero prepararsi a mollare Biden e a mettersi dalla parte di un maggiore rigore fiscale.
La portata potenziale è enorme. Questa settimana il capo della Federal Reserve ha detto che mentre una parte dell'inflazione record degli Stati Uniti può essere attribuita alla responsabilità della Fed, anche il Congresso ne è responsabile. Questo si traduce approssimativamente come "ferma la Grande Spesa, Biden! La Fed ha bisogno di spazio per alzare i tassi di interesse". Il capo di Citibank ha parlato in modo simile.
Wall Street cambierà cavallo (ha sostenuto Biden alle ultime elezioni), e renderà più ampio il margine per la probabile maggioranza repubblicana al Congresso? Se è così, con una maggioranza abbastanza grande tutto può (politicamente) diventare possibile. Il conservatorismo repubblicano tradizionalmente (cioè fino a prima del flirt con i falchi neoconservatori) è molto cauto nei confronti dell'avventurismo all'estero.
Che si tratti del Black Lives Matter, del Coronavirus, o adesso dell'Ucraina, ogni singola questione viene discussa in termini apocalittici e fra paure enormi. Ma per quanto riguarda tutte queste paure,

"Gli impresentabili sono stufi". (parafrasato)



Il titolo dell'articolo viene da James Carden, che scrive per The Spectator.


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