sabato 29 giugno 2019

Alastair Crooke - La sostanza economica dell'"Accordo del Secolo"



Traduzione da Strategic Culture, 25 giugno 2019.

Non c'è niente di nuovo nel dire che l'"Accordo del Secolo" è, come è sempre stato, un progetto essenzialmente economico. Sembra invece che le sue implicazioni politiche siano considerate dalla Casa Bianca come poco più che la conseguenza inevitabile di un'architettura aprioristicamente economica e già in corso di sviluppo.
In altre parole l'intenzione è quella di far sì che siano i dati economici concreti a plasmare il risultato sul piano politico; il piano politico passa in secondo piano e la sua importanza è stata comunque resa minima dalla preventiva eliminazione da parte di Trump di ogni elemento rilevante di cui i palestinesi potessero avvalersi in sede negoziale.
La stretta finanziaria sui palestinesi è ben documentata. Da un lato l'Autorità Palestinese -che storicamente dipende dalle sovvenzioni saudite- sta tranquillamente avviandosi alla bancarotta; nel frattempo Gaza è confinata in condizioni di umiliante dipendenza concedendole con il contagocce fondi che le vengono destinate dal Qatar col benestare dello stato sionista. L'ammontare di questo minimo mensile viene attentamente calibrato dallo stato sionista in base a quelle che esso ritiene essere norme di "buona condotta" il cui soggetto è generalmente Hamas.
Da un lato abbiamo un assedio finanziario il cui scopo è quello di rendere i palestinesi condiscendenti verso il "pacchetto qualità della vita" che l'"Accordo" dovrebbe portare con sé e di cui il vertice in Bahrein tenutosi qualche giorno fa è stato la vetrina. l'"Accordo" tuttavia presenta anche un aspetto meno noto, riassunto nel titolo di un articolo di McClatchy, che suona "La Casa Bianca considera il forum sull'energia in Egitto come una roadmap per la pace in Medio Oriente".
In un successivo articolo McClatchy ha pubblicato la mappa della "roadmap" energetica statuitense per il Mediterraneo Orientale, recentemente resa pubblica. Ne emerge un quadro più completo: il "forum sul gas" sponsorizzato dagli Stati Uniti, "secondo tre funzionari superiori dell'amministrazione, la mappa resa pubblica e ottenuta da McClatchy ha spinto alcuni appartenenti al Consiglio per la Sicurezza Nazionale [degli Stati Uniti] a dare la priorità all'organizzazione di un forum per il gas nel Mediterraneo Orientale, che possa al tempo stesso stimolare e imbrigliare le economie di vari paesi rimasti al palo per decenni".
Sarà il caso di spiegare meglio questo innocente eufemismo, stimolare e imbrigliare. Il significato autentico di questa espressione è che il modo di integrare lo stato sionista nella sfera economica regionale si concretizza in primo luogo sul piano dell'energia. L'intenzione non è quella di integrare il solo stato sionista nella sfera economica egiziana, ma di fare in modo che la Giordania, l'autorità palestinese e magari anche il Libano finiscano per difendere in parte dall'energia sionista -insieme a presunti partner come lo stato che occupa la penisola italiana, la Grecia e la parte greca dell'isola di Cipro- con gli Stati Uniti che si offrono di mettere in piedi con le loro competenze tecniche le infrastrutture del "forum sul gas".
Il nocciolo dell'"Accordo" è questo. Non si tratta soltanto di normalizzare la situazione politica dello stato sionista in Medio Oriente, ma di rendere economicamente dipendenti dalle infrastrutture statunitensi per il gas mediorientale gli egiziani, i palestinesi, i giordani e magari anche il Libano, anche se la cosa è più difficile.
Come è inevitabile che sia, e come nota McClatchy, esiste uno sviluppo in subordine:
"Su questo fronte l'amministrazione può contare sul sostegno di improbabili alleati. Eliot Engel, presidente democratico della Commmisione per gli Affari Esteri della Camera... Ha detto che il progetto per il forum per gas nel Mediterraneo costituiva un'opportunità strategica per le Stati Uniti per rintuzzare gli sforzi dei russi di estendere la propria influenza sulle fonti energetiche della zona. 'Io penso che [il presidente russo Vladimir] Putin e la Russia non possano controllare la situazione e non siano neppure in grado di farlo,' ha detto Engel".
Insomma, l'amministrazione statunitense sta promuovendo due iniziative bipartisan al Congresso per "rinutizzare" la presenza russa nella regione. Una consiste nel promuovere una partnership sull'energia nel Mediterraneo Orientale; l'altra, parallela, nel minacciare sanzioni verso le imprese europee che sostengono la costruzione del Nord Stream 2, il gasdotto che porta in Germania il gas russo.
Ci sono comunque due grossi ostacoli che si frappongono al "rintuzzamento" della Russia e alla contemporanea normalizzazione dell'inquadramento economico dello stato sionista in Medio Oriente. Il primo, come nota Simon Henderson dello Washington Institute, è che l'idea per cui la geologia della zona potrebbe favorire il riposizionamento dell'Europa o anche sostituire la sua dipendenza dal gas russo "allo stato attuale delle conoscenze sembra una forzatura. Per cambiare le cose bisognerebbe trovare altri giacimenti enormi come il Leviathan o lo Zohr egiziano":
"L'idea che le fonti energetiche del Mediterraneo orientale potrebbero influire sul bilancio energetico europeo in modo tale da erodere la quota di mercato russa è fantasia; l'Europa ha una tale fame di gas, e la Russia può fornirne tanto, che anche solo sperare di arrivarci a partire dalle limitate riserve fino a oggi scoperte è un pio desiderio," ha detto Henderson. "Sperare di trovare gas non è la stessa cosa che trovarlo".
Insomma, uno hub egiziano finalizzato all'esportazione potrebbe funzionare, per come stanno le cose, solo incanalando i più piccoli giacimenti mediorientali di recente scoperta -con un generoso contributo dallo stato sionista- in gasdotti che portino ai due impianti per la liquefazione che esistono vicino a Porto Said e ad Alessandria. Solo che la disponibilità mondiale di gas liquefatto è alta, i prezzi sono competitivi, e non c'è alcuna certezza che uno hub del genere abbia un senso sul piano commerciale.
E poi c'è l'ostacolo principale: la geopolitica. Qualsiasi iniziativa che punti a integrare lo stato sionista nel Medio Oriente è per forza una questione delicata. Mentre i funzionari statunitensi fanno gli ottimisti sulla leadership egiziana del loro "forum sul gas" dopo l'incontro di al Sissi e di Trump dello scorso aprile, l'Egitto (che è un punto di appoggio nel piano statunitense per arginare l'Iran) poco dopo la visita si è ritirato -con gesto piuttosto rimarchevole e per lo scorno degli stessi USA- dalla MESA (Middle East Strategic Alliance), l'alleanza militare  strategica che l'amministrazione Trump stava cercando di mettere in piedi contro l'Iran.
Per quanto riguarda gli accordi nel settore energetico, anche siglare un trattato con lo stato sionista non mette certo fine alla sensibilità del pubblico nei confronti di un riavvicinamento ad esso, nota Henderson. A dispetto di qualsiasi "trattato di pace", molti giordani sono ancora contrari all'idea di usare il gas del Leviathan proveniente dallo stato sionista per la produzione di elettricità su vasta scala a cominciare dai primi mesi del prossimo anno. Ad Amman hanno cercato di sviare questo risentimento ribattezzando la fornitura "gas settentrionale" o "gas AmeriKKKano", enfatizzando il ruolo della Noble nella sua produzione.
E qui c'è un altro aspetto della stessa questione. L'Egitto ovviamente non vuole fare parte di un'alleanza contro l'Iran capeggiata dagli USA come la MESA. E allo stesso modo per quale motivo l'Egitto o anche la Giordania o un altro qualunque degli interessati al "forum sul gas" dovrebbero volersi allineare a un piano statunitense per estromettere i russi dal Medio Oriente? L'Egitto può anche aver aderito al progetto per uno hub per il gas, ma intanto sta firmando un contratto da due miliardi di dollari per comprare più di venti caccia russi Sukhoi 35. I partecipanti allo hub davvero pensano che questo hub egiziano sia rivale delle esportazioni russe in Europa?
Probabilmente no: in fin dei conti l'idea che un ipotetico hub energetico possa "rintuzzare la Russia" è anch'essa una fantasia. L'Europa ha una tale fame di gas, e la Russia ha una tale capacità di fornirgliene, che è un pio desiderio anche solo pensarci. L'Unione Europea ad esempio non mostra alcun particolare interesse per il problematico gasdotto che collega il Mediterraneo Orientale con Cipro e poi con la Grecia cui gli USA hanno contribuito con sette miliardi di dollari. La geologia sottomarina è troppo complicata e i costi troppo alti.
Ovviamente, lo stato sionista spera di trovare altri giacimenti. Ma la scadenza per aggiudicarsi l'autorizzazione alle prospezioni in diciannove zone marine è stata posticipata a metà agosto, a quanto sembra per mancanza di investitori interessati. Per adesso pare che ai giganti del settore interessino di più le autorizzazioni messe all'asta da Cipro.
E qui torna in ballo la politica. Fare parte di un "forum sul gas" statunitense in cui Nicosia -i greci di Cipro- è un componente importante pone senza mezzi termini l'iniziativa e i suoi partecipanti in contrasto con la Turchia, che non rinuncerà facilmente alle proprie ambizioni sul Mediterraneo Orientale: ha appena annunciato che realizzerà a Cipro Nord una base aeronavale. E non lo farà neppure il Libano. Al Sissi e Erdogan non si amano a livello personale, ma perché mai altri dovrebbero farsi trascinare in una simile questione?
La Russia non pare troppo interessata alle potenzialità produttive del Medio Oriente che si affaccia sul Mediterraneo. Le interessa piuttosto un gasdotto che vada dall'Iran all'Iraq per raggiungere l'Europa passando dalla Turchia o anche dalla Siria.
Insomma, l'"Accordo" di Kushner e di Trump per integrare lo stato sionista nell'economia energetica della regione sembra destinato a essere accolto con scetticismo e sfiducia, al pari di tutti gli altri termini dello stesso progetto.
 

venerdì 21 giugno 2019

Alastair Crooke - Trump non sta uscendo dal ginepraio iraniano. Ci sta sprofondando dentro.



Traduzione da Strategic Culture, 10 giugno 2019.

Chi lo sa, forse lo hanno fatto apposta, è stata una mossa tattica. All'inizio sembrava che circa l'Iran Trump stesse prendendo le distanze dall'ala più intransigente del suo esecutivo, dicendo che no, lui la guerra non la voleva: no, davvero, lui voleva soltanto che gli iraniani gli telefonasse. Aveva addirittura rimproverato Bolton per il suo caldeggiare la guerra. La stampa si è riempita di racconti che parlavano di canali aperti verso l'Iran e di mediatori pronti a entrare in azione. Ci hanno addirittura ammannito illazioni su una potenziale rottura tra il presidente e Bolton.
Ovviamente si è trattata di un'ottima opera di pubbliche relazioni, di pura arte dell'accordo: si invita la controparte al tavolo dei negoziati proprio nel momento in cui è indebolita perché sottoposta alle pressioni più forti, con questo atteggiarsi a maestro di pubbliche relazioni che aggiunge attrattiva alla cosa. Di qui questo tirare in ballo le mediazioni da parte dei mass media. A cosa serve dunque questa doccia scozzese di retorica? Di cosa si tratta? Trump sta avendo dei ripensamenti sulla guerra oppure no? No, tanto per essere sintetici. Questo modo di comportarsi fa parte delle pressioni: significa soltanto fare ancora più pressione sull'Iran.
Intanto che succede tutto questo, gli Stati Uniti continuano ad ammassare forze contro l'Iran in una ridda di affermazioni statunitensi in merito all'intenzione iraniana di minacciare gli Stati Uniti e i loro alleati senza che ci sia lo straccio di una prova. Certo, Pompeo ha detto "siamo pronti a metterci attorno a un tavolo con loro", ma poi anche aggiunto che "lo sforzo ameriKKKano per imporre un sostanziale rovesciamento delle malevole attività di quella forza rivoluzionaria che è la Repubblica islamica è destinato a continuare".
Per prima cosa e innanzitutto l'Iran avrebbe dovuto cominciare a comportarsi come un "paese normale", cosa che, come osserva lo Wall Street Journal, si considera assodata solo se l'Iran osserva tutte e dodici le condizioni prescritte. "Gli Stati Uniti non hanno lasciato cadere queste richieste," scrive il Journal, "ed hanno aumentato la pressione delle sanzioni economiche oltre a proseguire con la concentrazione di mezzi militari nella zona."
È tutto un gonfiare i muscoli? Trump proseguirà con le minacce e con le pressioni tirandosi indietro all'ultimo momento a un passo dalla guerra? Pare che l'opinione corrente oggi sia questa; l'idea che la squadra di Trump a in merito all'Iran tuttavia sembra basata su una quantità di concezioni errate, a loro volta fondate su altre concezioni errate, e su informative che assommano in tutto e per tutto a una valutazione del Mossad sulle future intenzioni dell'Iran.
Sfortunatamente l'idea dominante per cui non ci sarà la guerra potrebbe rivelarsi troppo avventata. Non perché Trump desideri scientemente arrivare alle armi, ma perché i falchi che lo circondano, con particolare riferimento a Bolton, lo stanno mettendo all'angolo. E dall'angolo egli può uscire solo rinunciando o raddoppiando la posta, se l'Iran non capitola per primo.
Il punto è questo: l'assunto sbagliato di Trump potrebbe innanzitutto essere quello di credere che l'Iran voglia arrivare a un compromesso e che in ultima analisi ne cerca uno. Siamo sicuri?
Difficile immaginare quale possa essere la risposta del presidente Rouhani a fronte di una richiesta da parte del consiglio nazionale di sicurezza della Repubblica Islamica dell'Iran:  se tu (Rohani) dovessi intraprendere dei colloqui con gli Stati Uniti, di cosa parleresti con esattezza, cosa diresti? La posizione del governo Trump è che all'Iran non sarà in nessun modo consentito di arricchire uranio, il che significa che all'Iran sarà impedito -contrariamente a quanto stabilito dagli accordi sul nucleare- di avere elettricità prodotta con il nucleare, cosa che sta cercando di fare fin dai tempi dello Shah.
Suggerire che l'Occidente fornirebbe all'Iran l'uranio appena sufficiente a far funzionare i suoi reattori ma niente di più è assurdo. L'Iran non rivelerà mai i propri segreti industriali esponendoli alla capricciosa decisione occidentale di punirlo per questo o per quel torto.
Alla base dello stallo c'è sempre stato questo assunto: l'Iran non accetterà che gli venga proibito di arricchire uranio, e Bolton e Pence vogliono impedirgli proprio questo. La politica statunitense ha completato la virata tornando alle posizioni che aveva nel 2004 nessun arricchimento.
La Guida Suprema ha detto qualche giorno fa di aver accettato con riluttanza i colloqui con gli uomini di Obama, dietro assicurazione che Obama aveva accettato in linea di principio che l'Iran arricchisse uranio per proprio conto. Col senno di poi, ha detto lo ayatollah Khamenei, si è trattato di un errore. Non avrebbe mai dovuto consentire che le trattative proseguissero.
Insomma, non c'è nulla di cui parlare, se non di come gli Stati Uniti potrebbero ritornare allo status quo precedente il loro abbandono degli accordi.
E di come potrebbero ripristinare tutto senza troppo chiasso e senza perdere eccessivamente la faccia.

Ovviamente, per Bolton o per i cristiani sionisti degli USA che lo spalleggiano una cosa del genere non è prevista.
Nel caso dell'Iran non è praticabile nemmeno un qualche vertice simbolico come quello
 tenutosi a Singapore fra Trump e Kim Jong Un. E neppure si può pensare a un congelamento della situazione come con la Corea del Nord. Un congelamento della situazione comporterebbe il fatto che l'Iran continui a sottostare alle massime pressioni statunitensi per tutto il tempo che la situazione resta congelata, senza che gli Stati Uniti debbano rimetterci niente.
Perché Trump sta percorrendo con ostinazione il vicolo cieco che potrebbe portarlo a un qualche conflitto non voluto e politicamente costoso? Probabilmente perché Trump è stato imboccato da qualche scriteriato rapporto dei servizi secondo cui l'Iran è sull'orlo di un crollo economico e politico che spazzerà la rivoluzione nella pattumiera della storia. Le informative ammannite attualmente la Netanyahu, dal Mossad e da altri negli USA sono di questo tenore e si basano sulle solite e sospette narrazioni degli esiliati. Da valutazioni di questo tipo Trump potrebbe concludere che una guerra non comporti rischi, dal momento che l'imminente crollo dell'Iran renderebbe superfluo il ricorso a qualsiasi minaccia militare. Insomma, può permettersi di restare ad aspettare. Chi pensa che tutto questo ricorda vagamente i prodromi della guerra all'Iraq nel 2003, ovvero le rassicurazioni di Curveball e di Chalabi, ha ragione per più di un verso. A nutrire la prospettiva della guerra c'è ben di più che la recita di qualche esiliato incarognito.
Esiste l'idea che Bolton, come consigliere per la sicurezza nazionale, non abbia molta influenza sul Pentagono. Lo American Conservative tuttavia, in un articolo intitolato Amassing War Powers, Bolton Rips a Page Out of Cheney’s Playbook afferma che si tratta di una convinzione errata:
La promozione di Patrick Shanahan a segretario alla difesa renderà probabilmente il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton la voce più potente nel Consiglio del presidente Donald Trump.
"Così afferma un esperto di questioni di difesa consultato questa settimana dal nostro giornale. Ex funzionari statunitensi hanno detto anche di temere che la relativa mancanza di esperienza di Shanahan possa trascinare l'AmeriKKKa in una guerra; hanno citato un reportage del New York Times in cui si legge che Shanahan avrebbe consegnato a Bolton un piano per inviare in Medio Oriente fino a centoventimila uomini. Degli articoli usciti in seguito fanno pensare che il Pentagono potrebbe programmare di inviarne anche di più... Stephen Wertheim, questore aggiunto di storia alla Columbia University, ha detto che "quando in senato si pensa a Shanahan [nel corso delle sessioni informative] in realtà si pensa a Bolton. Perché un vuoto ai vertici del ministero della difesa significa che Bolton ha in esso l'ultima parola".
C'è di più. L'idea dello American Conservative di etichettare tutto questo come "copione Cheney" è corretta anche sotto un altro aspetto: Bolton presiede, al Consiglio per la Sicurezza Nazionale, regolari e frequenti colloqui strategici con lo stato sionista, il cui scopo è quello di sviluppare un piano di azione comune contro l'Iran. Questo significa che i servizi di sicurezza dello stato sionista fanno planare le loro valutazioni direttamente sulla scrivania di Bolton -e quindi su quella di Trump- senza consentire ai servizi statunitensi una valutazione o un commento sulla credibilità dei materiali forniti, cosa che ricorda Cheney che si imponeva agli esperti a Langley. Bolton inoltre rappresenterà Trump al vertice sulla sicurezza che si terrà a giorni a Gerusalemme con la Russia e con lo stato sionista. Bolton ha in mano tutto: il signor Iran è lui.
David Larison scrive: "L'amministrazione Trump sta ancora dietro alla fantasticheria per cui la Russia darà una mano a estromettere le forze iraniane dalla Siria":
In una conferenza con i giornalisti un funzionario superiore della Casa Bianca ha detto che gli Stati Uniti intendono insistere con la Russia durante il vertice a tre che si terrà a Gerusalemme sul fatto che i militari iraniani e i loro alleati sul terreno devono lasciare la Siria.
L'amministrazione sta cercando da un anno di ottenere la collaborazione dei russi a questo proposito. La cosa non ha mai avuto alcun senso. Il governo russo non ha alcun motivo per acconsentire al piano degli Stati Uniti. Perché mai la Russia dovrebbe fare agli Stati Uniti il favore di avallare la politica antiiraniana del governo? Il problema del governo statunitense è quello di essere convinto, a torto, che gli altri esecutivi abbiano la stessa opinione sul ruolo dell'Iran in Medio Oriente". La Reuters cita le parole di un funzionario governativo:
"oltre ai colloqui volti a prevenire qualsiasi escalation militare non voluta, il funzionario governativo statunitense ha detto che l'obiettivo del vertice sarebbe quello di 'vedere in che modo sarebbe possibile collaborare per liberarsi della principale fonte di disturbo in Medio Oriente, che è la Repubblica islamica dell'Iran.'
Gli Stati Uniti e lo stato sionista possono anche considerare l'Iran la principale fonte di disturbo, ma la Russia non vede le cose in questo modo e non si mostrerà propensa ad assecondare gli sforzi di arruolarla nella campagna di pressioni contro l'Iran. La Russia vuole mantenere buoni rapporti con lo stato sionista e quindi presenzierà al vertice, ma partecipare non significa concedere a Bolton quello che vuole. Insomma, il vertice di Gerusalemme si presterà a un reportage fotografico inusuale, ma non produrrà nulla di significativo."
Insomma, pare un'altra convinzione sbagliata. Ma è una convinzione che a Bolton fa molto comodo: se gli USA non riescono ad assicurarsi l'impegno russo per l'estromissione dell'Iran dalla Siria, assisteremo probabilmente a una escalation da parte dello stato sionista (con il sostegno statunitense) contro la presenza iraniana in Siria. Negli ultimi giorni sono già piovuti missili sul Golan occupato, segno che la Siria e l'Iran possono all'occorrenza aprire nel Golan un nuovo fronte nel conflitto con lo stato sionista.

mercoledì 19 giugno 2019

Alastair Crooke - Medio Oriente: il rischio calcolato dei russi contro il tacito consenso di Trump alla Grande Israele



Traduzione da Strategic Culture, 4 giugno 2019.



Il Segretario di Stato Pompeo si è recato a Sochi il 14 maggio a colloquio col suo corrispettivo Sergej Lavrov. Nel suo discorso di apertura, Lavrov ha osservato: "Credo che sia venuta l'ora di iniziare a definire una nuova, più costruttiva e maggiormente responsabile base di concetti e di opinioni sul come ci vediamo l'uno con l'altro. Ovviamente noi siamo pronti a farlo, se i nostri pari negli Stati Uniti sono ugualmente interessati... Il fatto che si tratti del nostro secondo incontro in due settimane autorizza ad essere ottimisti. Proviamoci e vediamo cosa succede".
Il presidente Putin successivamente ha brevemente discusso con Pompeo dicendo: "Ho l'impressione che il presidente [Trump] sia favorevole a ripristinare i legami e i contatti tra Russia e Stati Uniti e a risolvere alcune questioni di reciproco interesse. Da parte nostra, lo abbiamo detto molte volte, gradiremmo un pieno ripristino di questi rapporti."
È chiaro che l'impressione del signor Putin che gli Stati Uniti siano propensi ad una apertura [così nel testo inglese, n.d.t.] nasce dalla conversazione avuta per telefono con Trump il 3 maggio scorso, durante la quale si è parlato di collaborazione per garantire la stabilità strategica. I rilievi fatti sia da Lavrov che da Putin mostrano una generosità e una disponibilità (l'amministrazione statunitense viene definita "i nostri pari negli Stati Uniti") davvero sorprendenti, vista la quantità e la grandezza di bastoni tra le ruote che Washington ha cacciato in qualsiasi cosa Mosca abbia cercato di fare negli ultimi tempi.
Perché Trump appreso proprio adesso questa iniziativa, controllato come da due dei più intransigenti falchi che ci siano negli Stati Uniti? Allora: l'inchiesta di Mueller è un capitolo chiuso, ma Mosca non sarà ingenua al punto di pensare che questo rappresenti la fine di ogni narrativa centrata su una malevola intromissione russa. Mueller ha semplicemente passato la palla al Congresso.
La disponibilità di Mosca da un certo punto di vista può anche sorprendere, ma da altri non costituisce affatto una sorpresa. L'AmeriKKKa ha considerato la Russia come un avversario sempiterno fin da quando la Gran Bretagna e l'AmeriKKKa hanno agevolato il rientro di Lev Trotzky e di Vladimir Lenin tra i rivoluzionari bolscevichi al fine di mandare all'aria il paese. E proprio mentre Trump telefonava Putin la Rand Corporation pubblicata un proprio saggio intitolato Sovraccaricare e sbilanciare la Russia in cui si evidenziano dettagliate opzioni politiche in grado di "imporre un prezzo sul piano geopolitico". Qualsiasi cambio di atteggiamento dell'AmeriKKKa rispetto a questa bellicosità sarebbe ovviamente qualcosa di significativo, e vale la pena di prenderlo in considerazione. Il presidente Putin ha spesso ammonito sulle incalcolabili conseguenze per l'umanità che avrebbe un vero e proprio conflitto fra i due paesi. Si tratta della minaccia esistenziale per eccellenza.
Ma cosa hanno in mente Trump, Pompeo e Bolton? La collaborazione o la "stabilità strategica"? Quali sono i primi rischi della instabilità strategica? Almeno un paio vengono subito in mente: la guerra finanziaria e commerciale con la Cina, e l'Iran.
Nonostante il cauto ottimismo del "proviamoci" del signor Lavrov, egli deve sapere fin troppo bene che non ci sono molte possibilità e che sono molte le forze che si oppongono a qualsiasi riavvicinamento con la Russia. Nondimeno, il fatto che il leader russi rilascino dichiarazioni del genere implica che stanno prendendo questa iniziativa sul serio.
Più nello specifico tuttavia persino il tentativo di "provarci" potrebbe rivelarsi un calice amaro per la Russia, almeno in Medio Oriente. Con questo non si intende dire che il presidente Trump stia proponendo di riallacciare i rapporti per tendere una trappola ai russi. Il suo interesse a ripristinare le relazioni con la Russia è molto chiaro e di lunga data. Non si intende neppure dire che a Mosca ci si comporta con cinismo: gli sforzi altrettanto di lunga data del signor Putin per barcamenarsi fra le tendenze filooccidentali e filoorientali della "personalità" culturale russa, al pari della sua preoccupazione per i pericoli che comporterebbe un crollo degli accordi sulla limitazione degli armamenti, sono ben conosciuti.
No, i rischi vengono piuttosto dal delicato equilibrio in cui si trova il Medio Oriente di oggi. La regione si trova ad un critico punto di svolta: il pendolo del potere si dirige verso nord, questo è il risultato della vittoria della Siria contro la campagna wahabita ordita ai suoi danni. La Siria, l'Iran, l'Iraq e il Libano in questo momento sono mobilitati e pieni di energia. E poi esiste una specie di comune legame fatto di comprensione politica che oggi collega questi paesi al contrario, gli avversari della Siria nel Golfo sono snervati, indeboliti e concentrati sulle proprie crisi interne.
Questo nuovo equilibrio dei poteri tuttavia non è ancora consolidato e non è ancora stabile. Si tratta anzi di un equilibrio delicato che gli eventi potrebbero indirizzare in un modo o in un altro. Il fatto è che la Russia si considera l'arbitro di questa situazione, che la cosa piaccia o no.
I due eventi potenzialmente in grado di far saltare tutto sono la determinazione con cui la squadra di Trump intende realizzare la Grande Israele e, in connessione con questo, il sostegno russo alla Siria e all'Iran intanto che il piano di Trump per il Medio Oriente va avanti.
Trump sta cercando aiuto dal presidente Putin per questo, per la questione delle rane della Siria ma soprattutto per spingere in direzione della Grande Israele? Lavrov ha detto durante la visita di Pompeo che la questione dell'Iran "è complessa"; uno understatement eroico. Lo storico militare Andrew Bacevich spiega che comunque è stato Trump "a scegliere di fare dell'ostilità all'Iran il perno della propria politica estera. Trump non sarebbe in grado di disincagliare Stati Uniti dalla regione e al tempo stesso di condurre nei confronti dell'Iran una politica più aggressiva del suo predecessore. Non si è riusciti a porre fine il coinvolgimento statunitense in molte guerre inutili in grande misura proprio a causa di questa linea politica antiiraniana. Si tratta di qualcosa che gli è stato imposto da altri; fin dall'inizio è stata tutta opera sua. Quando i suoi sottoposti non si sono mostrati d'accordo sulla questione del nucleare iraniano, come Tillerson e McMaster, Trump li ha presto o tardi sostituiti e ha scelto al loro posto persone anche più bellicose ed aggressive. Ha approvato tutte le iniziative contrarie all'Iran e favorevoli all'Arabia Saudita che poteva."
Sta dunque succedendo questo? Trump vuole che Putin faccia il poliziotto con la Siria con l'Iran in modo che possa realizzare il suo grande piano di pace? Nell'agosto del 2018 Trump scrisse sul Cinguettatore: "Chiunque faccia affari con l'Iran non farà affari con gli Stati Uniti; io chiedo la PACE MONDIALE, niente di meno!"
Ma davvero? Trump vuole che le ripercussioni della sua incontenibile e bellicosa ostilità verso l'Iran -considerato il principale ostacolo alla realizzazione della Grande Israele- abbiano un limite, così da poter porre fine al coinvolgimento statunitense in guerre inutili e da addossare ad una Grande Israele potenziata e resa stabile e alla Russia il grave peso della stabilizzazione del Medio Oriente? Davvero sembra che le cose stiano così, e ci sono notizie sulla preparazione di un nuovo vertice strategico fra stato sionista, Stati Uniti e Russia per il controllo della "sicurezza regionale".
L'"Accordo del Secolo" può ben subire qualche ritardo se si considera che a settembre nello stato sionista si terranno nuove elezioni, ma in concreto alcune componenti di questo accordo (il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme; l'assegnazione allo stato sionista della sovranità sul Golan; i tagli ai fondi destinati all'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi; l'annessione degli insediamenti eccetera) sono già una realtà sono andati a posto pezzo per pezzo anche se il progetto complessivo non è mai stato reso pubblico, sempre che di renderlo pubblico si fosse l'intenzione.
Ovviamente la Russia vuole arrivare velocemente ad un accordo politico sulla Siria e Mosca dice di aver notato qualche cambiamento nella retorica occidentale in materia. Tuttavia esercitare pressioni premature sul governo siriano affinché accetti condizioni sgradevoli, che vengano della Turchia come quelle in favore di una nutrita partecipazione dei Fratelli Musulmani all'assemblea costituente, o che vengono dall'Occidente come quelle tese a facilitare l'uscita di scena del presidente Assad, possono portare ad una crisi di fiducia dei siriani nei confronti di Mosca. A Mosca qualcuno potrebbe anche pensare che in un equilibrio strategico di più vasta portata si tratti di una considerazione secondaria, eppure una brusca rottura con Damasco potrebbe rappresentare una minaccia per la posizione di Mosca in un contesto regionale assai più ampio.
La considerazione di Bacevich in questo caso è molto pertinente: Trump non è in grado di collaborare con Mosca per le questioni siriane proprio perché è ossessionato dall'Iran e si trova a braccetto con l'Arabia Saudita.
Se in Siria si arriva a un punto morto intanto che gli Stati Uniti aumentano le pressioni contro l'Iran, minacciano Bagdad e si sforzano di dividere i libanesi e di metterli gli uni contro gli altri per Mosca le cose si complicheranno di sicuro. Perché mai Mosca dovrebbe volerlo?
Dopo il vertice di Sochi Lavrov ha detto: "Per quanto riguarda l'Iran e [l'accordo sul nucleare] spero che alla fine prevarrà il buon senso... Quando dico che speriamo di trovare una soluzione politica alla situazione in Iran, dico che ci adopereremo per assicurarci che il quadro non peggiori fino a diventare un teatro bellico. Ho avuto la sensazione che anche da parte statunitense ci sia l'idea di cercare una soluzione politica...". Il giorno successivo tuttavia l'addetto stampa di Putin Dimitri Peskov ha esplicitamente negato che Pompeo abbia rassicurato Mosca sul fatto che gli Stati Uniti non vogliono la guerra con l'Iran, ed ha aggiunto (stranamente) che Mosca "prendeva atto con tristezza delle decisioni assunte da parte iraniana". Si tratta di un riferimento alla decisione dell'Iran di ignorare determinati elementi dell'accordo sul nucleare (quelli in merito allo smaltimento delle scorte) che è stata deliberatamente provocata dal fatto che Pompeo ha cancellato i capitolati che regolavano i termini sulla proliferazione compresi negli accordi.
Il fatto che tutte queste "ulteriori complicazioni", come le ha chiamate Lavrov, non sono distinte o distinguibili. Sono direttamente collegate al progetto della "Grande Israele" del presidente Trump.
"Grande Israele" non significa soltanto cambiare di posto i palestinesi e fare scambi sul mercato immobiliare più qualche piccolo aggiustamento di frontiera. Non è neppure un progetto istituzionale definito cui c'è bisogno -per così dire - di dare respiro, di assegnare uno spazio più ampio. Si tratta di molto di più: quello della Grande Israele è sempre stato un progetto biblico volto alla trasformazione in realtà del cammino di Israele verso il proprio destino di redenzione ed è stato anche un progetto ideologico giudaico-cristiano. Se non fosse l'una e l'altra cosa la base evangelica di Trump non farebbe tanto baccano perché il presidente si adoperasse per realizzare la Grande Israele della Bibbia. Su questo punto esiste una stretta sinergia tra i sionisti dello stato sionista e i sionisti cristiani ameriKKKani.
Tutte queste "ulteriori complicazioni" che la Russia deve affrontare risalgono a questo: la Grande Israele una sorta di metaprogetto che dal punto di vista degli evangelici deve essere coronato da successo. Qualsiasi opposizione adesso deve essere stroncata, per prima e prima fra tutte quella che viene dall'Iran, oltre alla lunga resistenza siriana. Sono stati gli evangelici statunitensi, oltre a Netanyahu, a spingere Trump ad abbandonare gli accordi sul nucleare iraniano.
Nel caso questo metaprogetto prendesse l'abbrivio, l'idea negli Stati Uniti che si potrebbero usare i curdi per agevolare la frammentazione della Turchia, della Siria e dell'Iran; il Libano potrebbe finire invischiato in schermaglie di frontiera senza fine, la Siria essere divisa in una parte orientale e una occidentale, l'Iraq essere sottoposto a sanzioni e l'Iran destabilizzato e dato in pasto ai movimenti secessionisti. Questi sconvolgimenti permetteranno al "progetto" -che è poi l'"Accordo"- di trovare spazio e maggiore respiro non soltanto in termini fisici ma anche in termini ideologici e metafisici, oltre che di guadagnare instabilità e in vigore.
Perché Pompeo si è recato a Sochi? Ecco, Trump lo va dicendo chiaramente da tempo. Vuole che Putin lo aiuti per la PACE MONDFIALE, nientemeno. E il maiuscolo è suo. In altre parole, Trump vuole che la Russia accetti l'idea della Grande Israele e si adoperi attivamente nel contenerne le ripercussioni.
Per Mosca questa è davvero una politica del rischio calcolato. Essa desidera certamente ristabilire rapporti strategici con gli USA, ma il prezzo di allinearsi agli USA, allo stato sionista e ai sionisti cristiani sarebbe salato. Mosca perderebbe amici e alleati e potrebbe comunque non essere in grado di impedire che la situazione scivoli verso un conflitto regionale. In questo caso, i russi con chi si schiererebbero? Putin ovviamente non ha alcuna intenzione di andare allo scontro con gli USA. La Russia è un mediatore abile. Ma qui stiamo parlando di uno scontro di civiltà di ampie proporzioni: da una parte i giudaico-cristiani con la loro idea di essere un popolo eletto, di avere un destino e una missione biblici, dall'altra l'antica civiltà che è retaggio proprio del Medio Oriente.
La Russia potrebbe trovarsi dal lato sbagliato della storia. E come prenderebbero a Pechino questo fare fronte comune con gli USA e con lo stato sionista? Non è che Xi potrebbe temere che il passo successivo sarebbe la richiesta di mettersi con gli USA contro la Cina?


sabato 15 giugno 2019

In morte di Franco Zeffirelli



Franco Zeffirelli è stato un regista gazzettescamente definito "maestro" per meriti pregressi e abbondantemente dimenticati; è passato trai più il 15 giugno 2019 a novantasei anni dopo essersi atteggiato a morituro per lo meno per tre lustri consecutivi.
Lo ha strozzato la balia, si dice sarcasticamente in questi casi a Firenze.
Nel novembre del 2002 Firenze ospitò il Social Forum europeo; giornate di assemblee, dibattiti e manifestazioni sulla globalizzazione che si chiusero con un mostruoso corteo in cui dominava la ferma contrarietà all'aggressione statunitense all'Iraq, che foriera di tanti benefici, di tanti miglioramenti e di tanti vantaggi si sarebbe rivelata negli anni a seguire.
Lo svolgimento di ogni iniziativa, in una settimana di altissima partecipazione democratica, si tenne in un ordine da caserma prussiana nonostante le gazzette avessero tentato con ogni mezzo a loro disposizione di dettare una linea politica perentoria e improntata a tutt'altro, che nei giorni e nei mesi successivi sarebbe stata oggetto di aperto dileggio in ogni sede.
Si potrebbe persino sostenere che le perduranti difficoltà degli "occidentalisti" fiorentini siano a tutt'oggi parzialmente dovute a quei giorni memorabili, in cui tanta feccia con la cravatta si guadagnò lo scherno di almeno un paio di generazioni.
Il "Corrierino della Seratina" primeggiò, in questa repellente campagna denigratoria portata avanti per mesi e mesi; in questa sede se ne è più volte dato conto.
Tra i campioni di collodio che quella gazzettina eresse a uniche interpretazioni lecite del reale (chi si azzardava a obiettare era un terrorista) si trovavano gli starnazzi di Oriana Fallaci e, nel numero del 21 ottobre 2002, la mandolinesca serqua di ciance di questo regista, pubblicata per gli stessi fini e inquadrata nello stesso contesto.
In questa sede l'ipocrisia non ha mai avuto cittadinanza. Rendiamo dunque l'onore delle armi a questo Zeffirelli riproponendo ai lettori il capo d'opera con cui sputava sulla parte più reattiva e consapevole della società contemporanea, che in molti casi non gliele mandò certo a dire.
Il testo dell'articolo è reperibile a tutt'oggi in vari siti web. Sono evidenziate a nostra cura le considerazioni più offensive.



"Salvate Firenze dai no-global . Mandateli tutti a Viareggio":

"Caro direttore, questa patata bollente del raduno dei no-global a Firenze comincia a scottare le dita a parecchia gente. Il governo ha certamente preso decisioni forti, ma il pericolo che corre una città tanto cara al cuore di ogni cittadino civile del mondo richiede misure di emergenza che potranno essere sembrate offensive al prefetto Serra. Lo possiamo capire, però: questo alto funzionario, esempio di civiltà e correttezza, è stato anche lui vittima di una diffusa speranza di poter trovare un’intesa civile con questi gruppi senza regole né leggi che oggi promettono rispetto verso la città per poi metterla, domani, a ferro e fuoco come hanno fatto dovunque si siano affacciati.
Come se non bastasse, tutto questo dovrebbe succedere in un momento storico in cui sono drammaticamente in gioco i destini del nostro pianeta. La presenza di questa folla che contiene cellule violente e bellicose (in numero «difficile da calcolare») è proprio l’ultimo problema di cui Firenze e l’Italia avevano bisogno.
Una patata bollentissima davvero. Lo avevano subito capito tutti, meno che il primo cittadino, Leonardo Domenici, e il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini. E’ stato fatto perfino un referendum in cui i tre quarti dei fiorentini hanno espresso un parere contrario. Niente da fare; i due amministratori sono stati ciechi e sordi ad ogni consiglio, illudendosi di poter tenere a bada questi gruppi tanto diversi e riportarli nel seno della comunità civile.
E allora che si può fare? Lo sgomento sta prendendo tutti, perché le idi di novembre incombono. Si pensa addirittura, con la scusa di «lavori in corso», di proteggere i tesori più esposti come si fece durante la guerra. Qualcuno dice, giustamente, che sarebbe un insulto all’immagine della nostra identità democratica. Come sarebbe un insulto anche la serrata dei negozi e delle attività commerciali minacciata dai fiorentini per i giorni del raduno. Insulto, d’accordo, ma che devono fare allora? Lasciare che questi energumeni sfascino Ponte Vecchio, via Tornabuoni, l’antico e il nuovo centro? La nostra sola consolazione sarà quella di chiamare il sindaco e il presidente della Regione a rispondere per quello che potrà succedere. Ma sarà una ben magra soddisfazione.
Io mi trovo in questi giorni a New York e ho visto con i miei occhi come è governata e difesa, e come i diritti dei cittadini siano protetti. Una questione come quella posta dai no-global non sarebbe stata neppure recepita. E in ogni caso la New York Police avrebbe saputo mostrare una grinta e un’autorità in confronto alle quali i modesti tentativi delle nostre forze dell’ordine per far rispettare le leggi sono una pallida ombra. Firenze appartiene alla cultura e alla civiltà del mondo: quelli che non la rispettano e che la minacciano dovrebbero essere presi a cinghiate, proprio come si vide fare da un padre esasperato ne I vitelloni di Fellini.
Ora lo Stato italiano fa finalmente la voce grossa, sia pure, mi sia permesso, un po’ tardivamente. Ci risulta infatti che questi vili «kamikaze» si stiano già organizzando in Toscana da un bel po’ di tempo, sparsi in ville e agriturismi del Chianti (affittati, pare, fino al primo di novembre), e che una fitta rete di appoggio in città è già pronta: tombini, rifugi di extracomunitari sicuramente di fede islamica pronti ad aiutare, e quant’altro, perché questi violenti abbiano a portata di mano i loro arnesi e i loro travestimenti. Sono fatti e informazioni precise, non pettegolezzi.
Bloccare alle frontiere i sospetti è un modo di prendere in mano la situazione, anche se non si può più nulla contro coloro che sono già arrivati. Auguriamoci che i cittadini italiani siano solidamente e consapevolmente solidali. Quelli di tutto il mondo certamente lo saranno e apprezzeranno la forza, l’intelligenza e il coraggio di questo governo che ha difeso una città che appartiene a tutto il mondo. Se poi questi «bravi ragazzi», con diversi obiettivi e strategie, vogliono ritrovarsi pacificamente insieme per capirsi, per farsi conoscere e rispettare, come molti di loro affermano, scelgano comunque un altro scenario. Che ne so? Viareggio, per esempio. È sempre in Toscana ed è strutturata e preparata caratterialmente ad ospitare e a tenere a bada un «carnevale». Ma i viareggini lo vorranno? "

domenica 9 giugno 2019

Firenze, via del Corso, giugno 2019. Ricordate Don Roberto Tassi, Oriana Fallaci e la Tour Eiffel da far saltare in aria?



Firenze. Le elezioni amministrative si sono appena tenute e visto che dall'episodio su ricordato sono passati altri sei anni di degrado e insihurézza abbaiati a tutte gazzette si pensava che gli "occidentalisti" sarebbero una buona volta riusciti a "cambiare colore" a Firenze, dato che la mutazione antropologica del loro target e la conseguente amplificazione del loro elettorato sembrava renderlo un obiettivo realizzabile.
Invece l'ennesima persona rispettabile messa a rendere presentabile la solita colmata di deiezioni ha fallito anche stavolta, e di brutto, per il puro e semplice motivo che a Firenze chi vuole fare politica di destra si iscrive al PD.
Non si sa se gioire per l'ennesima riconsegna ai sottoscala della casistica umana che sarebbe finita ad "amministrare" la città o fremere di ripugnanza all'idea di un altro lustro di ciance, amplificate da moltissimo tempo senza ritegno alcuno da quelle autoschedature per mediocri che chiamano "reti sociali".
In ogni caso, nulla di meglio che una camminata per la città notturna dopo una delle prime giornate davvero calde dell'anno, in quel degrado e in quell'insihurézza che amiamo moltissimo.
Intanto che studentesse alla scuola della strada e laureati all'università della vita dimenticano mutui da pagare e alimenti da versare cercando qualche zingaro cui dare fuoco, abbiamo fatto caso -con colpevolissimo ritardo- a un'interessante trasformazione nel setting della chiesa di Santa Maria de' Ricci in via del Corso.
Non ci sono più tazebao irosi e strappucchiati.
Dal 2015 Don Roberto Tassi non ne è più parroco, e a suo nome in internet figura anche qualche vecchia ciancia deteriore delle più prevedibili e ingloriose, che non è nostra intenzione condividere.
Adesso ne è preposto Don Vittorio Ianari, che figura come "esperto di questioni mediorientali" in forza alla Comunità di Sant'Egidio.
E le ciance contro l'Islàmme del suo predecessore hanno fatto la fine che era logico che facessero.
Quando si lavora sodo e con coerenza non si ha né tempo né voglia di assecondare certi cialtroni.

sabato 1 giugno 2019

I paninari al potere



Maggio 2019. Lo stato che occupa la penisola italiana si impegna nella propria costituzione al rispetto del cosiddetto "pareggio di bilancio", ed ha degli impegni internazionali da rispettare.
Non certo da oggi.
A Bruxelles lo sanno, e lo hanno ricordato anche a quelli di Roma.
A Roma comandano un per nulla appariscente docente universitario che certe cose dovrebbe saperle senza che si debba ripetergliele, un sovrappeso divorziato che non è stato capace di laurearsi neppure in sedici anni, e uno di Pomigliano d'Arco.
I tre hanno reagito come primedonne contrariate.
Le persone un po' più serie hanno fatto altre considerazioni.

Paninari al potere. La generazione dei Salvini-Di Maio è quella dei paninari anni '80  caratterizzati dal disimpegno sociale e dall'aureo cazzeggio.
Ora sono al potere e l'aureo cazzeggio è la modalità con cui lo esercitano.
A fronte di una realtà che procede alimentata dalla potente dialettica "materiale" delle cose, troviamo la risposta dei fancazzisti storici che parlano di grembiulini nelle scuole, di sparare al ladro che entra dalla finestra, di chiudere i porti per far dispetto a qualche barcone di migranti, di stampare di nascosto moneta fasulla da rifilare ai creditori, di scrivere e riscrivere decreti sicurezza perché in fondo non si è mai sicuri di niente, di riaprire le case chiuse, di ripristinare il servizio militare anche se le caserme non esistono più.

(Il commentatore thedayafter su Repubblica.)