mercoledì 30 dicembre 2009

Proteste di piazza e informazione nella Repubblica Islamica dell'Iran



Queste foto difficilmente compariranno sul mainstream "occidentalista", impegnato in blocco e senza discussioni nel sostegno ai manifestanti di Tehran al punto dallo statuire l'esistenza di una rivoluzione in corso d'opera; una rivoluzione ben strana dal momento che le delegazioni internazionali hanno continuato ad andare e venire, la majilis a funzionare, l'Ashura ad essere celebrato come se nulla stesse succedendo.
Le foto provengono dal sito dell'Islamic Republic of Iran Broadcasting e fanno riferimento a quelle che vengono presentate come "proteste popolari" a Sari e Mashad e ad a Tabriz e Rasht. Preparate o meno, manifestazioni come queste indicano che la realtà della Repubblica Islamica rimane qualcosa di complesso e di sostanzialmente sconosciuto, per quanto vada di moda semplificarla ad uso e consumo di sudditi "occidentali" che spesso neanche più si accorgono di quanto siano sistematici gli inganni e le prese in giro di cui sono fatti oggetto da parte della cupola inamovibile ed autoreferenziale dei potenti: è noto che le esecuzioni extragiudiziali, gli arresti facili e gli abusi della gendarmeria avvengono solo in Iran.
E' interessante notare che l'Islamic Republic of Iran Broadcasting utilizza, cambiandole di segno, le stesse istanze e le stesse strategie di comunicazione che il mainstream "occidentalista" utilizza per denigrare il dissenso interno: dei "tumulti di Ashura" si mostrano le immagini di devastazione e non altro, allo stesso modo in cui ai tempi del G8 genovese i manifestanti nella loro interezza furono additati al ludibrio e all'odio del rimanente dei sudditi -ben spaparanzato in ciabatte e canottiera davanti al teleschermo e con il grugno nella ciotola dei maccaruna c'a'pummarola a ponderare roba del tipo speriamo li ammazzino tutti- da tutto un sistema mediatico che si intenderebbe ogni giorno di dar lezioni di "democrazia" a chi non ne ha alcun bisogno.
Il peggio che si possa dire dell'"informazione" della Repubblica Islamica dell'Iran è che ha imparato molto rapidamente ad adattare alle proprie necessità la strategia di controparti che dal 1979 in avanti riescono ad intonare al denigratorio perfino una telecronaca dallo stadio Azadi.
L'Islamic Republic of Iran Broadcasting può così asserire che Sayyed Ali Mousavi Habibi è stato ucciso da non meglio definiti "terroristi" e che la morte di tutte le vittime della giornata sarebbe avvenuta in circostanze dubbie. Qui occorre ricordare che il mainstream "occidentale" non ha alcuna remora, da anni, a definire "terrorista" chiunque non abbia in regola le carte per le quali è la committenza politica a decidere le regole. L'"Occidente" è talmente "libero" che è ormai sufficiente gettare un petardo al pallonaio per doversela vedere, magari dopo mesi, con la gendarmeria e con la galera.
E si deve anche ricordare che il Mousavi sconfitto alle elezioni di giugno e leader dell"onda verde" non è né un signor nessuno né un rivoluzionario nel senso corrente del termine, ma un politico di lunghissimo corso che alla Repubblica Islamica ed al suo assetto istituzionale deve praticamente tutto e che ricoprì l'incarico di primo ministro ai tempi della "guerra imposta", durante la quale la tolleranza verso il dissenso non esisteva neppure come vocabolo.
Se volessimo fare un paragone con lo stato che occupa la penisola italiana, potremmo arrivare a sostenere che manifestare e rischiare la vita per Mousavi è un po' come manifestare e rischiare la vita per Clemente Mastella.
Un'altra cosa interessante riportata dall'articolo in link è l'asserzione secondo la quale la polizia di Tehran sarebbe scesa in piazza disarmata. Esistono immagini che riprendono poliziotti inseguiti da gente intenta a legnarli di santa ragione, ed altre che riprendono persone che agitano scudi, manganelli ed anfibi a mo' di trofei; questo sembrerebbe confermare il fatto.
Le notizie sulle manifestazioni di Ashura riportate dall'Islamic Republic of Iran Broadcasting sono generalmente intonate alla denuncia di un ubiquo complotto ordito da potenze straniere. La cosa può suonare assurda -in assenza di riscontri obiettivi non la si può qualificare come assurda in modo reciso- ma la storia dell'Iran, almeno dai tempi di Mossadeq in poi, presenta tanti e tanto macroscopici casi di intromissione straniera negli affari interni del paese da consentire al mainstream di fare del complottismo un vero e proprio cavallo di battaglia, ed altre pezze d'appoggio per un simile modo di comportarsi vengono dall'ondata di "rivoluzioni" colorate con le quali gli statunitensi hanno creato negli scorsi anni una rete di governi presuntamente amici, in qualche caso finiti peggio di male come attesta l'umiliante esperienza di Saakashvili, il cadavere politico alla guida della Repubblica di Georgia salito al potere grazie alla "rivoluzione delle rose".
La produzione mediatica del mainstream iraniano non ha motivo di sottrarsi alla prassi ed agli interessi che governano la sua controparte "occidentale" in generale ed "occidentalista" in particolare; c'è se mai da chiedersi in tutta serietà per quale motivo il mainstream "occidentale" si prodiga tanto nell'assegnare o nel negare patenti di "democrazia" che nessuno ha chiesto, e per quale motivo amplifichi gli eventi di Tehran in misura tale da finire per nuocere agli stessi manifestanti.
Qualcuno qualche dubbio deve esserselo posto, perché il famigerato Twitter, lanciato in grande stile in occasione delle manifestazioni del passato giugno da un mainstream "occidentale" che ha preso come oro colato tutto quello che ne usciva, stavolta ha di molto diminuito il proprio cinguettio.
La campagna di marketing con il sangue altrui dev'essere già finita.

lunedì 28 dicembre 2009

Ashura, giornalame e Repubblica Islamica


Un vivace scambio di vedute tra gendarmi e manifestanti.
In quest'immagine, per una volta, sono i primi ad avere la peggio.


Durante le celebrazioni religiose per l'Ashura si sono ripetuti, soprattutto a Tehran, violentissimi scontri di piazza. Chi ha una conoscenza diretta della realtà iraniana non si stupisce gran che; l'Ashura è una celebrazione luttuosa -non una festa nel senso in cui questo termine viene correntemente inteso in "Occidente"- molto sentita da una parte consistente dell'opinione pubblica ed è nota per l'essere un periodo in cui si concentrano e trovano sfogo tensioni sociali di ogni genere. In altre parole, è difficile che non ci scappi il morto, per un motivo o per l'altro; e fino allo scorso anno la cosa riceveva poca o punta attenzione da parte del mainstream.
Quello che è costruttivo sottolineare è il permanere, assolutamente inscalfibile e totalmente impermeabile perfino all'evidenza, di una presentazione mediatica degli eventi iraniani finalizzata in ogni caso alla conferma di un copione che è lo stesso da trent'anni. Il bias denigratorio che lo contraddistingue si basa su pochi punti fermi, primo tra i quali quello che statuisce che la Repubblica Islamica dell'Iran è una dittatura. Le gazzette liquidano in questo modo un paese il cui panorama politico è tra i più variegati e multiformi che esistano, animato com'è da un'opinione pubblica assolutamente indomabile. Da qualche anno, essendo inviso per programma ed intenzioni alle sue controparti "occidentali", viene definito dittatore anche il presidente in carica; un titolo che nessuno si è mai sognato di adoperare per certi suoi predecessori ritenuti più accomodanti e neppure per i tanti presidenti di altri paesi, giunti a disporre di un potere proporzionalmente maggiore di quello del presidente iraniano utilizzando sistemi sulla cui trasparenza vi sarebbe non poco da ridire. Soltanto la Repubblica Islamica dell'Iran viene sottoposta ogni giorno a puntigliose verifiche di "democrazia" a mezzo stampa.
Di solito la Repubblica Islamica dell'Iran viene presentata come l'unico paese al mondo ad avere l'esclusiva delle esecuzioni capitali, degli arresti e delle carceri. Non più tardi di qualche settimana fa le manifestazioni di piazza nel Regno di Danimarca hanno portato a migliaia di arresti, senza che nessuna gazzetta si sognasse di speculare sul tasso di "democraticità" delle sue istituzioni. Da questo punto di vista si può ritenere per certo che la Repubblica Islamica dell'Iran ha, per le gazzette "occidentali", il ruolo di capro espiatorio utilizzabile per minimizzare o giustificare a contrario qualunque azione repressiva intentata in "Occidente". Si ricordi che lo stesso giornalame che stigmatizza gli avvenimenti iraniani plaude istericamente ogni giorno alle fozzedellòddine dello stato che occupa la penisola italiana e non ha esitato ad estendere la definizione di terrorismo a qualunque comportamento potesse venir percepito come lievemente dissonante rispetto agli unici ammessi dal potere "occidentale", che sono i comportamenti di consumo.
L'incensamento della "dissidenza" fa parte della costruzione a tavolino di una Repubblica Islamica metafisicamente malvagia; il suo peccato originale è quello di ergersi su un mito fondante che non tratta di astratte "libertà" ma di giustizia sociale e di anticolonialismo, cose assolutamente fuori dal concepibile. Un dissidente o un esperto pronto a giurare sull'imminente sfascio delle istituzioni rivoluzionarie e su un crollo che "sarebbe solo questione di tempo" lo si trova sempre.
Lo si trova sempre, da trent'anni filati.
Il problema è che statuire assunti del genere fa a pugni con la realtà. E le gazzette, con la realtà, hanno un rapporto sempre più labile ogni giorno che passa.
La realtà è quella di un assetto istituzionale che dal giorno in cui è nato ha incassato colpi potenzialmente micidiali fatti di guerre di aggressione, di attentati di massa, di boicottaggi economici, di lotte intestine, di uscite di scena di protagonisti e fondatori; di questo assetto istituzionale si auspica il crollo -possibilmente repentino, possibilmente rivendibile mediaticamente a mònito dei nemici prossimi venturi: visto cosa succede a cacciare gli statunitensi a calci?- a seguito di qualche scontro di piazza. Le istituzioni economiche e sociali della Repubblica Islamica controllano ma anche garantiscono (ed è questo secondo punto quello che viene volutamente trascurato dalla "libera informazione") una percentuale a due cifre del prodotto interno e coinvolgono nel loro funzionamento milioni di lavoratori. Durante tutto il 2009 gli scontri di piazza si sono susseguiti senza che il funzionamento globale delle infrastrutture e dell'economia del paese ne risentisse con evidenza perché esportazioni ed importazioni, relazioni internazionali, traffico aereo e tutte le altre attività che contrassegnano una società postmoderna sono andate avanti senza fremiti apprezzabili, per tacere delle attività economiche legate all'artigianato, alla piccola impresa ed alla sussistenza pura e semplice; l'esplodere degli scontri di piazza può indicare sicuramente l'esistenza di un'opposizione politica vitale ed agguerrita ma che non è certo un buon indice per chi volesse predire un regime change; una predizione che alcuni pennaioli peninsulari hanno fatto poco o punto curandosi del sangue che un evento del genere potrebbe costare. In fondo a loro cosa importa; difficilmente sentiranno l'odore dei lacrimogeni dalle loro redazioni milanesi, romane o fiorentine.
Gli scontri di piazza, da soli, non hanno mai provocato nulla del genere ed il minimo sentore di un intervento esterno -un eufemismo per non dire yankee- come quello auspicato dal giornalame più obeso ricompatterebbe all'istante tutte le forze politiche della Repubblica contro l'aggressione. Alcuni esempi del gazzettismo più affezionato ad una realtà che non esiste hanno a tutt'oggi la spudoratezza di venare le loro produzioni mediatiche di un allucinato nostalgismo pro-Pahlevi.
Il ritratto della società iraniana presentato dal mainstream risulta come minimo scotomizzato, e si limita a presentare in luce favorevole quei settori sociali che i sudditi "occidentali" possano percepire come identici a loro secondo il già citato metro dei comportamenti di consumo.
Un altro aspetto del reale sistematicamente trascurato è dato dagli ottimi rapporti economici che molti paesi "occidentali" hanno con la Repubblica Islamica dell'Iran. L'opinione pubblica dello stato che occupa la penisola italiana vede ogni giorno la Repubblica Islamica bersagliata da invettive isteriche, presagi funesti per definizione e semplificazioni peggio che arbitrarie di dinamiche e di stati di fatto che tutto sono meno che semplificabili. Il fatto che lo stato che occupa la penisola italiana sia il primo partner commerciale di Tehran all'interno dell'Unione Europea, insieme alla Repubblica Federale Tedesca, non viene mai menzionato; ma la realtà è questa.
Una realtà poco utile a chi deve per contratto demonizzare ogni giorno la Repubblica Islamica, e che si trova costretto a servirsi di altri strumenti.

giovedì 24 dicembre 2009

Federico Tosoni non vuole moschee a Prato.


La battaglia dei politicanti pratesi per la tutela e la riscoperta delle "radici cristiane" della città da loro amministrata pare proprio una cosa da non prendere sottogamba.
La città è colma di richiami edificanti, la riscoperta dei luoghi di culto è in piena fioritura ed i segni del risveglio spirituale si notano fin dal primo approccio con la periferia. I milites Christi (milites gloriosi) di giunte e consigli vari dànno dunque, serissimi, fiato alla squilla dell'assalto.
Federico Tosoni, del quale nulla sappiamo se non che è armchair warmer per la Lega Nord in consiglio comunale o roba di questo genere, raccoglierà firme per la crociàha contr' all'islàmme.

Da notiziediprato.it:

Partirà a gennaio la raccolta firme della Lega Nord per scongiurare la possibilità che una moschea venga realizzata a Prato. Ad annunciarlo è Federico Tosoni, commissario provinciale del Carroccio pratese. “La Lega Nord è assolutamente contraria – afferma Federico Tosoni - alla costruzione di una moschea in tutta l’area pratese. Non dobbiamo permettere che nella nostra provincia si costruiscano luoghi di preghiera dove la shari’a (letteralmente ‘la via da seguire’) sia l’unica legge che i musulmani seguono mentre disconoscono totalmente quelle italiane. Mi domando perché dovremo permettere che nella nostra terra vengano edificati luoghi di culto quando a noi nei Paesi arabi, anche quelli più occidentalizzati come l’Egitto, non ci viene permesso di costruire una chiesa e siamo perseguitati e considerati come gente di seconda categoria. L’Italia è un Paese democratico – prosegue il commissario provinciale – dove la principale fonte del diritto è la Costituzione la quale stabilisce il carattere democratico della Repubblica. Spetta, perciò, ai cittadini decidere se debba essere o meno costruita una moschea nella provincia di Prato”.

Per una volta copiamo ed incolliamo l'articolo per intero, perché raramente ci càpita sotto gli occhi una simile crestomazia di fandonie; l'incompetenza e la malafede che la intridono non meritano neppure di essere sottolineate perché sono il tratto essenziale della produzione mediatica "occidentalista".
Parrebbe di capire che secondo Tosoni all'interno delle moschee sarebbe in vigore la shari'a, mentre fuori sarebbero vigenti le leggi dello stato che occupa la penisola italiana. Così, in due righe rilasciate a beneficio delle gazzette, Fedrico Tosoni nella sua piena maestà statuisce... l'extraterritorialità delle moschee.
Davanti a questi continui e repellenti appellonzoli alla "legalità" emessi ogni giorno nel paese del condono (fiscale, edilizio e così via, fino ad una faccenda che ha l'inquietante nome di condono tombale) è strano che vi sia ancora qualcuno che rimane serio: ma è probabile che per Federico Tosoni la categoria di musulmano e quella di delinquente siano semplicemente ed ampiamente sovrapponibili. Un atteggiamento anche scusabile, se vogliamo, visto che le gazzette cui troppi sudditi pratesi delegano il loro pensiero e la loro rappresentazione del mondo si sono adoperate in questo senso fino a conseguenze paradossali.
Dopo aver statuito l'identità concettuale tra "arabo" e "musulmano", Federico Tosoni ci dà ad intendere di disporre anche della hit parade dei "paesi arabi" per grado di "occidentalizzazione", in testa alla quale ci sarebbe l'Egitto.
C'è da credere che per "occidentalizzazione" Federico intenda, non certo a torto, il numero di topless rintracciabili a Sharm el Sheik.
Ad ogni buon conto, "occidentalizzazione" nonostante, statuisce Federico Tosoni, "non gli viene permesso di costruire una chiesa".
Questo è uno dei leitmotiv che la propaganda "occidentalista" cavalca da anni, e che possiamo confutare agevolmente almeno da due fronti.
Il primo fronte parte da semplici esperienze concrete.
I paesi di dar al'Islam da noi visitati sono in qualche caso letteralmente punteggiati di monumenti cristiani, come il Marocco, la penisola anatolica o la Siria; nei mercati della Repubblica Islamica dell'Iran si trova tutta l'iconografia cristiana che si vuole, la Kara Kelisa di Tabriz è lì da milleseicento e più anni, ad Esfahan esiste il quartiere armeno di Nuova Jolfa.
L'impressione, vivissima nel caso di Mardin e di altri insediamenti nella zona di Şanlıurfa (l'antica Edessa), è quella di trovarsi in realtà che sopravvivono non nell'ostilità quanto nell'indifferenza del mondo che si muove loro intorno. Al di là dell'ebete spirito di protervia e di prevaricazione con cui gli "occidentalisti" hanno anche la faccia di lamentarsi del "clima di odio" che li circonderebbe, quale utilità avrebbe il costruire "una chiesa" laddove quelle che ci sono da millenni accolgono fedeli il cui numero si conta sulla punta delle dita?
Simili pretese, si badi bene, vengono avanzate in questi anni dagli appartenenti ad un partito politico che raccoglie un giorno sì e l'altro pure l'apertissimo biasimo dei più alti esponenti della gerarchia cattolica. E questo ci porta al secondo fronte di confutazione.
Questa seconda prospettiva muove dalla considerazione in cui i ministri di culto vengono correntemente tenuti presso gran parte dei sudditi dello stato che occupa la penisola italiana, in questo perfettamente rappresentati dal partito di cui sopra.
Il ruolo cui devono attenersi, pena linciaggio a mezzo stampa e telefonatine in curia ad opera dell'occhiuta conventicola a questo preposta ed operante in ogni parrocchia, è stato tempo fa ben definito da Miguel Guillermo Martinez Ball.

I preti sono mantenuti da tutti gli italiani, grazie all'otto per mille e numerosi altri ingegnosi sistemi, non certo per parlare di teologia, denunciare gli orrori di una società che è di per sé peccato, o condurre alla salvezza le anime.
In realtà, il loro compito è quello di unire l'assoluto e il banale, nella banalità assoluta.
Ad esempio, il prete deve essere molto gentile quando in chiesa celebra le nozze tra l'imprenditore Tizio, il più noto bestemmiatore del paese, nonché grande narratore delle proprie prodezze erotiche a pagamento in Tailandia, e la Notoria Troiona tatuata e buddista.
Il celebrante si guarda bene dal parlare di peccato o di fede o di cose simili. Ma può parlare per almeno venti minuti, a ruota libera, di quanto Dio ami tutti con un amore davvero amorevole, e per questo anche noi ci dobbiamo amare di un amore davvero amorevole.
Poi c'è il prete che ha la fortuna di avere un morto ammazzato, in parrocchia, di quelli teledegni (i morti più mediatici li mandano direttamente al Duomo).
"Voce rotta dal pianto..." "vedova si accascia, sorretta dai parenti..." "Il parroco, Don Tarcisello Tontini, con voce ferma, proclama solenni parole che scuotono le coscienze dei presenti: 'non cedete mai alla tentazione dell'odio, perché Dio è perdono, ma cercate sempre la giustizia, perché Dio è giustizia, e non abbandonate mai la speranza, perché Dio è speranza'".
Seguono applausi (anzi, ai funerali dell'ispettore Raciti, il prelato catanese li ha esplicitamente chiesti).

I ministri di culto sono ridotti a tanto: fino a non troppo tempo fa presenze autorevoli -se non autoritarie- anche nei borghi più sperduti, adesso non vengono tanto irrisi e calpestati ogni giorno, quanto costretti ad operare in un tessuto sociale in blocco indifferente nei loro confronti.
Sulle "radici cristiane" dell'"Occidente", e più prosaicamente di quelle testimoniate da realtà locali come Prato, già si è detto molto. Le conclusioni, sulla credibilità delle istanze con cui la schiera di Tosoni ingolfa i mass media, non potrebbero essere più facili da trarre.
Il nostro auspicio, va da sé, è diametralmente opposto: la moschea si deve fare, a Prato come a Firenze; l'ideale, anche in questo caso, sarebbe che venisse finanziata con denaro pubblico esplicitamente decurtato dai fondi per la "difesa" e per la sihurezza e che avesse il carattere monumentale che si deve conferire agli edifici duraturi e realizzati con materiali di assoluto pregio.

mercoledì 23 dicembre 2009

Una sarcastica considerazione sulla morte di Montazeri


Come i nostri lettori più assidui ricorderanno, il rumour sull'imminente morte di Ali Khamenei fu in questa sede trattato con la sufficienza che meritava.
Il 19 dicembre 2009 è morto invece, e stavolta per davvero, l'ayatollah Montazeri. Non è il caso di addentrarsi qui sull'importanza della sua figura, sui suoi contrasti con Khomeini, sugli ultimi venti anni della sua vita trascorsi a Qom guardato praticamente a vista.
E' il caso invece di ipotizzare che fosse Montazeri la persona sul conto della cui salute giravano da tempo voci insistenti, e che chi ha diffuso il rumour di cui sopra fosse poco o punto interessato a stabilire con certezza a quale personaggio esse voci si riferissero, preferendo come di consueto diffondere inesattezze o falsità pur di non perdere quella visibilità mediatica che si traduce in influenza ed in reddito.
In altre parole, lo standard medio della "libera informazione occidentale" in merito a quanto avviene nella Repubblica Islamica dell'Iran potrebbe rivelarsi di una tale denigratoria bassezza da aver considerato, in chissà quante occasioni, Montazeri o Khamenei praticamente la stessa persona: vecchi barbuti vestiti in modo strano pressoché intercambiabili. Ma in fin dei conti poco importa: ai fini di delegittimare la Repubblica Islamica va bene questo ed altro.

domenica 20 dicembre 2009

La città di Prato difende le radici cristiane della civiltà occidentale



Nel 2009 Prato ha eletto, per poche migliaia di voti, una giunta comunale capeggiata da un candidato civico ed infarcita di "occidentalisti". Non si può dire che non stiano mantenendo le promesse elettorali, che in sostanza si riducevano all'intento di trasformare anche la città di Prato in un immenso lager ad immagine e somiglianza di quanto accade nel resto della penisola, dove ormai basta esprimere ad alta voce qualche considerazione poco lusinghiera sul terzo portiere dello AC Milan (la consorteria palloniera di uno che fa il primo ministro nello stato che occupa la penisola italiana) per doversela vedere con la polizia politica.
A cotante promesse si è affiancata anche una serie di operazioni propagandistiche il cui intento è quello di demolire la credibilità politica di quella che gli "occidentalisti" considerano una "roccaforte rossa"; il registro prescelto statuisce l'adesione in blocco dei sudditi pratesi alla difesa delle "radici cristiane" della "civiltà occidentale" e dei suoi simboli.
Come sempre succede quando entrano in ballo gli "occidentalisti" ed i loro "valori", la realtà è qualcosa di diametralmente opposto alla raffigurazione che la loro fabbrica di paura e di consenso continua incessantemente a darne. In altre parole, per fare oggetto di scherno nella sua interezza un'intera classe politica (che peraltro meriterebbe scopertamente di peggio) bastano occhi aperti e fotocamera digitale...

sabato 19 dicembre 2009

Pier Gianni Prosperini: Leggi, Valori e Patria


Pier Gianni Prosperini ricopre -o ricopriva- la carica di "Assessore Regionale ai Giovani, Sport, Turismo e Sicurezza" in una delle più ricche regioni dello stato che occupa la penisola italiana.
Il variegato curriculum presente sul suo sito web e la caterva di buone intenzioni che ne fanno un vero campione d'"Occidente", nell'accezione esclusivamente deteriore e stigmatizzante con cui l'espressione è utilizzata in questa sede, non gli hanno impedito di essere agguantato e scaraventato in galera come uno stronzo qualunque raggiunto da un mandato di custodia cautelare ed associato alla casa circondariale di competenza, come qualsiasi indiziato di reato nei cui confronti sussista sospetto di inquinamento delle prove e/o di pericolo di fuga.
Dopo l'arresto, avvenuto praticamente in diretta telefonica, le gazzette si sono riempite di quell'aneddotica schifosa che sempre fa da corollario alle "news" sugli episodi come questo.
Infierire in questo modo non ci interessa. Preferiamo recuperare un po' della propaganda diffusa da un Pier Gianni Prosperini al meglio della sua forma, e controbattere a quella.
Ci sono poche cose che ispirino più repulsione della propaganda elettorale "occidentalista", specie quando incidenti di percorso come questo rivelano l'abisso che separa le pur spregevoli "buone intenzioni" dei politicanti dalla loro condotta di vita reale, improntata a criteri e a priorità se possibile ancor più abietti.
E' il caso di questo volantino elettorale.



Se non osservi le nostre Leggi / Se non condividi i nostri Valori / Se non ami la nostra Patria ( Camel, barcheta... e te turnet a Cà!

Bene. Mostriamo un po' Leggi, Valori e Patria "occidentalisti" al meglio dei loro esiti, a prescindere dal conto in cui Pier Gianni Prosperini avrebbe mostrato di tenerle con la sua condotta personale.


Ecco la loro Legge. Solo un esempio dei tantissimi possibili, ricordando il numero enorme di mustad'afin che di essa legge fanno esperienza quotidiana.
Carlo Giuliani.
Il gendarme che lo uccise fu elevato ad eroe nazionale da una campagna gazzettaia che durò solo lo spazio di un mattino, perché nel corso degli anni si rese protagonista di una umiliante parabola discendente, al momento culminata con una incriminazione per molestie sessuali ad una minorenne.
Carlo Giuliani fu suo malgrado tra i primi e più noti esempi mediatici della traduzione in pratica del concetto "occidentalista" di legge, ordine pubblico, sihurezza eccetera eccetera eccetera, che nella realtà dei fatti è piuttosto la tutela degli interessi economico-politici di questa o quella lobby. Una tutela che deve essere preceduta, accompagnata e seguita dall'espulsione della vittima designata dal consesso sociale e dalla sua stigmatizzazione a mezzo di linciaggio mediatico. Sono trascorsi quasi dieci anni e si può sostenere, con poco timore di smentite, che la campagna di sciacallaggio sul suo conto di Giuliani e sul conto di quanti avessero avuto a che fare con lui non si è mai veramente conclusa.


Ecco i loro Valori. Il proliferare dell'"occidentalismo" politico si traduce invariabilmente nel proliferare di iniziative di questo genere.
Qualche "occidentalista" impegnato nella propaganda e nella "politica" locale -gente che ha anche la sfrontatezza di ostentare il proprio impegno come assolutamente disinteressato- potrebbe documentare in che modo roba come questa dovrebbe andare d'accordo con le asserite "radici cristiane" dell'"Occidente", perché nonostante vi abbiamo profuso un certo impegno, la cosa continua ad esulare dalla nostra comprensione.


Infine la loro Patria. Qui se ne mostra l'essenza più autentica, come rappresentata da una vecchia copertina di rotocalco in lingua tedesca a cui possiamo adesso muovere l'unica critica di aver ecceduto con l'ottimismo e con il buon gusto in quanto certi individui, certe concezioni del mondo e tutti coloro che vi si dovessero riconoscere meriterebbero senz'altro di essere dipinti in tinte anche peggiori.
La loro Patria sarebbe, pare di capire, lo stato che occupa la penisola italiana.
La carta costituzionale di quello stato non risulta avallare né le esecuzioni extragiudiziali né la glorificazione di un mito fondante tramite la tutela di imprese come quella su mostrata.
E' dunque probabile che gli "occidentalisti" si fregino in modo sostanzialmente indebito di qualche cosa che gli appartiene soltanto perché ne hanno occupato in modo stabile l'intero àmbito politico ed istituzionale, dopo averne resa umiliante o disdicevole la frequentazione per chiunque non si trovasse a suo agio nello sporco anche morale che si lasciano dietro con la loro sola presenza. Fucilazioni in piazza (fanno inorridire solo quelle che si verifichino a Tehran), pornografia, ladrocinio: la realtà "occidentalista" non potrebbe essere più lontana dai suoi sottesi teorici, peraltro già impresentabili, ridicoli o spregevoli per proprio conto.

La "Patria" ad immagine e somiglianza delle infere utopie dei Prosperini è in avanzato corso di realizzazione, nello stato che occupa la penisola italiana. E somiglia ad una volgare spaghetteria di provincia infarcita di cameriere in topless, in cui il "servizio d'ordine" si impossessa di quando in quando di un commensale scelto a caso e gli spara allegramente in testa dopo averlo spinto in un angolo appartato.

Le nostre considerazioni terminano qui.

venerdì 18 dicembre 2009

Twitter defaced



Un sedicente Iranian Cyber Army avrebbe modificato i DNS di Twitter reindirizzando per qualche ora il dominio sull'immagine qui sopra; il defacement è durato quel tanto che bastava perché Google lo registrasse.
La notizia viene riportata in TechCrunch.

Nel corso dei violentissimi scontri di piazza che hanno seguito le elezioni presidenziali del giugno 2009, Twitter è stato presentato dal gazzettaio come uno strumento web non "filtrato" dal "regime", a disposizione dei "dissidenti".
Twitter è stato oggetto di una spudorata campagna di marketing proprio in coincidenza con le elezioni presidenziali iraniane ed è probabile che il proliferare incontrollato di cinguettate from Iran cui era impossibile attribuire una paternità pur che fosse -qualcuno asserì che la Repubblica Islamica stava "perdendo il controllo dell'esercito"...- abbia finito per danneggiare gravemente gli stessi soggetti e le stesse organizzazioni che pretendeva di aiutare.
Altro che "dissidenti" e "libertà". La nostra opinione è che non si siano mai visti i sottoscala e le cantine di Tel Aviv tanto ben informati sull'evoluzione della situazione in Iran come in quei giorni di giugno.
Eloquentemente, qualche mese dopo i responsabili di Twitter ripristinarono la visibilità degli IP di provenienza dei messaggi.

Gli autori del defacement avrebbero lasciato scritto in farsi: "Nel nome d'Iddio, questa è la mia reazione di cittadino iraniano contro l'intromissione di Twitter negli affari interni del mio paese, ordinata dalle autorità statunitensi...".

Post scriptum. Molte gazzette hanno parlato di "scritte in arabo". Tutti i giorni da trent'anni almeno la Repubblica Islamica dell'Iran viene denigrata da cialtroni che non sanno neppure quali lingue vi si parlino. Sull'attendibilità delle notizie diffuse da elementi del genere è meglio non trarre conclusioni.

mercoledì 16 dicembre 2009

Bianca Maria Giocoli: un esempio di traduzione operazionale delle menzogne "occidentaliste" nella politica fiorentina


Il 14 dicembre 2009 il piddì con la elle aveva fissato una giornata per il tesseramento a Milano, teoricamente suo feudo di sicuro affidamento. Culmine della giornata, il comizio del fondatore del "partito", un settantaquattrenne che secondo la deteriore ed insistente aneddotica del gazzettaio trascorre assai più tempo occupandosi a vario titolo di biancheria femminile che non degli affari di stato.
Chi ha seguito televisivamente il comizio (non è il nostro caso, non abbiamo tempo da perdere con la pornografia) ci ha riferito di essere rimasto impressionato dallo scarso numero di convenuti -incredibile che un "partito" come quello non riesca neppure a colmare una piazza una volta all'anno- tale da lasciare perfino posto alle contestazioni, e dalla regia mediatica dell'evento, condotta, secondo tecniche collaudate, in modo da fingere un contraddittorio tra settantaquattrenne e contestatori alla fine del quale questi ultimi potessero venire messi in condizione di non replicare.
Fatto sta che a fine comizio il fondatore del piddì con la elle è stato aggredito fisicamente e ne è uscito relativamente malconcio. Autore del gesto, stigmatizzato da gazzette inorridite ed associato al crimen laesae maiestatis dalla casta autoreferenziale di mangioni incompetenti che si autodefiniscono "politici", un individuo cui viene ascritta una lunga storia di disturbi del comportamento.
Questi, si direbbe, i fatti.

Dietrologie a parte, tutto fa pensare che per il primo ministro dello stato che occupa la penisola italiana si tratti di un doppio smacco: aggredito praticamente sotto casa, e senza che la sihurezza potesse impedirlo. Il tutto in un clima politico inscalfibile in cui essa sihurezza è giustificativo sempiterno di qualunque repressione preventiva e di qualunque bugia la marmaglia politico-gazzettiera abbia voglia o necessità di far ingurgitare ai sudditi per mascherare la propria pochezza, la propria impotenza (in tutti i sensi) e la propria sostanziale inutilità, tutelando in questo modo greppia e reddito.
Questo però a qualcuno non basta, perché non ci sono abbastanza elementi per rintracciare gli autori del gesto laddove li si vorrebbe collocare. Il problema, propagandisticamente parlando, è serio perché quanto successo non può essere convertito fino in fondo in uno strumento utile per delegittimare e stroncare ogni opposizione sociale e politica al governo "occidentalista".
Ma se la realtà dei fatti non aiuta, si può sempre dare un'aggiustatina alle cose, ed è quello che, con l'appoggio delle gazzette di scuderia, tenta di fare Bianca Maria Giocoli, esponente fiorentina del piddì con la elle la cui pratica politica raggiunge solitamente le più inviolate cime della pochezza e della malafede propagandistica più assoluta.
Questo non significa che Bianca Maria Giocoli abbia esclusivamente dei lati negativi: le va dato atto, ad esempio, di aver espresso in piena campagna elettorale un'autovalutazione eccezionalmente assennata del proprio spessore politico!
In un comunicato connotato da quella inconsistenza irridente -se non ridanciana- che è caratteristica di molti esponenti dell'"occidentalismo" toscano (risus abundat, come si dice in questi casi) Bianca Maria Giocoli utilizza il tempo a sua disposizione in Consiglio comunale per lamentarsi come segue:

"Nei momenti di dibattito politico il sindaco non c’è mai". [...] "Sappiamo che Renzi ha inviato il classico telegramma di rito, ma oggi è ancora in tempo a far conoscere, anche se impegnato a reggere le sorti del mondo a Copenaghen, la sua opinione sui fatti successi, il suo parere sulle gravissime affermazioni degli onorevoli Bindi e Di Pietro e sulla voluta minimizzazione da parte dei consiglieri della sua maggioranza, che hanno già di fatto derubricato l'episodio come un gesto isolato di un pazzo, preoccupati più che altro di non criticare gli ebrei i centri sociali. Aspettiamo fiduciosi".

Bianca Maria Giocoli sta reggendo un copione che, da solo, è alla base di quasi tutta la comunicazione politica "occidentalista".
Stiamo parlando di consorterie che negli ultimi mesi, intanto che gendarmeria e politici si davano un gran da fare con manganelli e repressione, hanno tra le altre cose messo in pratica il linciaggio a mezzo stampa di un microscopico nemico e si sono inventate false lettere di minaccia di un'organizzazione combattente; ecco a quale razza di individui è permesso, nello stato che occupa la penisola italiana, lamentarsi per il "persistente clima di odio".
Si noti l'immagine del cartaceo riportata nel secondo link: intanto che si dà fiato a falsità del genere, una foto per gettare fango sulla Repubblica Islamica dell'Iran si trova comunque il modo di metterla in prima pagina.
Si dice che l'ayatollah Khomeini auspicasse dei mezzi di comunicazione di massa "pieni di talento e in grado di smascherare la macchinazioni del Nemico". Il caso della penisola italiana non potrebbe essere più opposto: i mass media sono infarciti di spazzatura umana che con il Nemico mostra piena connivenza.
All'indomani di qualunque contestazione, sono elementi del genere ad allagare il mainstream di starnazzi indignati, facendo finta di non capire cosa possano aver mai fatto, loro e i loro referenti e padroni, per essere oggetto di un odio che comincia appena fuori dalla loro corte ossequiosa e prostituita di manutengoli e lacché.
Torniamo al caso specifico.
I "centri sociali", qualunque cosa siano, sono estranei alla vicenda, ma dal momento che vanno spazzati via perché vi allignano mustad'afin commercialmente non sfruttabili, capaci di eludere molte delle dinamiche messe in atto per quella mercantilizzazione dell'esistere che rappresenta l'essenza vera della weltanschauung "occidentalista" e che in ogni atto della loro vita quotidiana mostrano per gli "occidentalisti" una frazione infinitesima del disprezzo e della totale disistima che meritano, è necessario addossare loro anche questa, così come si scagliano responsabilità di ogni genere su intere categorie sociali i cui appartenenti hanno giornate tanto fitte di impegni gravosi da non pensare affatto a tutelare la propria onorabilità contro l'inveire impunito degli scaldapoltrone da gazzetta.
Giornalame e micropolitici utilizzano anche in questo caso la solita panoplia da denigrazione che li ha portati, nel corso degli anni, ad infarcire di ributtanti menzogne ogni livello della vita politica istituzionale, tale da renderla frequentabile solo dai loro pari.
Localmente -ma con ovvie ripercussioni sull'opinione pubblica di tutta la penisola- questo modus agendi ha permesso loro di ad accusare gratis dei signori nessuno di voler decapitare il David di Donatello in occasione del Social Forum di Firenze, o di asserire per anni ed anni la propensione dei rom al rapimento dei bambini; a livello internazionale la stessa pratica politica consente di fingere l'esistenza di interi arsenali per giustificare guerre d'aggressione.

Che nella penisola italiana imperi un "clima di odio" è indubbiamente un dato di fatto; la nostra esperienza personale e l'amplissima documentazione disponibile per chiunque si dia la pena di cercarne ce ne fanno rintracciare l'origine in sedi ben diverse da quelle indicate dagli indossacravatte "occidentalisti" e dai pennaioli in servizio permanente effettivo.

domenica 13 dicembre 2009

Claudio Morganti: offese e menzogne cui mettere un freno


Non tutti sono tenuti a sapere chi è Claudio Morganti; diciamo pure che si vive benissimo senza sapere chi sia.
Eppure, per certe gazzette "occidentaliste" si tratta di un personaggio di importanza fondamentale: nientemeno che un pratese, innanzitutto.
Poi è anche scaldapoltrone europeo per la Lega Nord.
Prato non è soltanto la capitale di un distretto tessile mangiato vivo dalla crisi economica. Da qualche mese è anche, e soprattutto, il laboratorio politico dove l'"occidentalismo" toscano può finalmente sfogare la propria foia repressiva; secondo quanto riportano le gazzette, sembra che la giunta comunale, in cui gli "occidentalisti" sono presenti in gran numero, trascorra emanando divieti i quattro quinti del tempo a sua disposizione; d'altronde per quello e non per altro è stata eletta, dunque non si può certo rimproverarla di non tenere fede a promesse elettorali di tanto facile realizzazione.
Claudio Morganti è comunque un caso a parte. A metà novembre un corteo indetto per richiamare l'attenzione sull'arroganza omicida dei sionisti e sulle disperate condizioni della popolazione palestinese indusse la gendarmeria a far levare le tende, in serata, ad un banco di "informazione" collocato in piazza della Repubblica; a metà novembre 2009 un "partito" che incassa ogni giorno l'aperta disistima delle gerarchie ecclesiastiche stava infatti conducendo una battaglia a favore di un simbolo sacro cristiano, passata in secondo piano meno di un mese dopo.
In quell'occasione Claudio Morganti emise un comunicato stampa prontamente ripreso dalle gazzette, nel quale affermava perentorio: “Trovo scandaloso mettere a rischio l'incolumità dei cittadini permettendo queste manifestazioni in pieno centro alla presenza di giostre per bambini, banchini della Croce Rossa e centinaia di persone”. Chiudeva assicurando che, non bastando frignare con i gazzettieri, sarebbe andato a frignare anche dalla gendarmeria.
Cosa si capisce da un comunicato del genere? Che le manifestazioni non servono certo a denunciare uno stato di cose intollerabile o l'impoverimento anche etico che si sta mangiando via il tessuto sociale, ma per mettere in pericolo i bambini che vanno sulle giostre.
Ad essere scandalosa, a nostro avviso, è la libertà di ciarla di cui godono individui del genere: se non trovassero sponda ogni giorno nella abietta pornografia che chiamano "informazione quotidiana", verrebbero restituiti all'istante alla dimensione, irritante ma quasi innocua, di ciarlatori da Bar Sport.
L'affermazione di Claudio Morganti è menzognera prima e ancora che offensiva: anche questo non deve stupire perché le menzogne e le offese sono parte essenziale di una pratica politica, quella "occidentalista", che ha altri punti cardine nella malafede e nell'incompetenza. A suo tempo, ovviamente, non ci facemmo sfuggire la gazzetta che maggiormente vi insisteva e trattammo la questione con la sprezzante sufficienza che meritava.
Dal momento che non è nostra abitudine farci tagliare i panni addosso da uno che porta la cravatta, dai commensali con cui se la fa -specie se donne-, e dai gazzettieri che gli tengono bordone, ci siamo ripromessi di verificare alcune cose alla prima occasione favorevole, che è capitata a metà dicembre in occasione di una manifestazione indetta per i quarant'anni dalla strage di Piazza Fontana.
La prima è che il corteo ha seguito più o meno lo stesso percorso di tutti gli altri, il che indica in qual conto le bizze di Claudio Morganti siano state tenute da gendarmi ed organizzatori.
La seconda è l'ottima convivenza tra bambini (molti dei quali presenti al corteo) giostre e manifestanti: le manifestazioni, a Firenze, passano regolarmente da decenni per quel centro storico che gli "occidentalisti" vorrebbero riservato ad una sedicente ed autoreferenziale élite.







La terza è una cosa che aiuterà ad inquadrare ancora meglio le asserzioni "occidentaliste" nella vomitevole repellenza che è loro propria; impossibile che ispirino altre reazioni in chiunque conservi un minimo di rispetto per se stesso.
Il percorso del corteo ha attraversato piazza Indipendenza.
In piazza Indipendenza, ogni anno a dicembre, il Beit Chabad o chi per esso fa sistemare una chanukiah. Il corteo era formato da migliaia di partecipanti pesantemente critici -e con buone ragioni- nei confronti del sionismo, con particolare riguardo alla sua versione mangiona e salottiera la cui moda è stata lanciata e condivisa da fancazzisti ben vestiti e gazzettieri obesi. Bene: tutti sono sfilati accanto alla chanukiah, che è rimasta intatta al suo posto.
Ci dispiace per i sionisti di complemento e per i politicanti d'accatto.


sabato 12 dicembre 2009

La "ricostruzione" dell'Iraq: l'"occidentalismo" tra menzogne ed incompetenza


All'atto di aggredire l'Iraq, all'epoca sovrano effettivo su un solo terzo del proprio territorio, economicamente peggio che in ginocchio e con una leadership tanto delegittimata e scopertamente destinata al macello quanto era stata corteggiata e blandita ai tempi della "guerra imposta" con la Repubblica Islamica dell'Iran, gli yankee produssero proclami e propaganda in una massa tale da saturare completamente i media a più alta fruibilità.
Una mole di "news" che andava dall'incosciente al ridicolo, uno degli estremi essendo rappresentato da dementi in cravatta che ponderavano serissimi se non fosse il caso di usare armi nucleari, e l'altro da dementi col tovagliolo annodato al collo che ribattezzarono freedom fries le patatine fritte, dette "french fries" dagli anglosassoni in genere. Il motivo? Il rifiuto francese di partecipare a qualsiasi titolo a tanto maramaldesca impresa.
Per quanto ne sappiamo, a tutt'oggi un sistema mediatico mainstream che è perfetta espressione del servilismo, della corruttela e della pochezza che rappresentano elementi strutturali dell'"Occidente" contemporaneo consente agli assertori di istanze di questo tipo di operare nella condiscendenza generale.
Più seriamente, l'ubriacone Bush fece sapere ai quattro venti che chi non si sporcava le mani di sangue non avrebbe avuto voce alcuna in capitolo nella "ricostruzione" del paese invaso, ed una coorte di feccia da gazzette si adoperò per mesi dando l'annuncio ai quattro venti: vi garantiamo che il popolo iracheno, liberato dalla tirannia di Saddam Hussein, accoglierà a braccia aperte il primo che gli porterà camionate di benessere e Coca Cola: occasione unica ed irripetibile, soldi per tutti.
Abboccarono i governi di mezzo mondo: forti di una risoluzione ad hoc votata all'ONU praticamente sotto minaccia armata, inviarono in Iraq contingenti sostanzialmente simbolici, di solito ritirati in tutta fretta al primo contrasto serio con la guerriglia. Uno su tutti, il caso delle spie spagnole fatte letteralmente a pezzi sotto le telecamere e nell'esultanza generale della popolazione irachena.
Cinque anni dopo di "ricostuzione" yankee non si parlava neanche più. Sprechi faraonici, truffe, criminalità comune ed un approccio alla questione condotto all'insegna dell'incompetenza e della sicumera più gratuite, globalmente scriteriato e completamente idiota -grosso modo classificabile come espressione di un colonialismo vecchio stampo incredibilmente sopravvissuto fino al ventunesimo secolo- hanno costretto a mettere la sordina a tutte le buone intenzioni. La ricostruzione quella vera, in Iraq, la stanno facendo organizzazioni ed imprese che sanno concretamente come muoversi sul terreno e come risparmiare, quali ruote ungere, quali sono le esigenze concrete di chi in Iraq vive e lavora.
Con l'aggressione all'Iraq, gli yankee hanno servito alla Repubblica Islamica dell'Iran quanto serviva alle bonyad per espandere senza fretta e con piena soddisfazione la propria influenza economica; la ricostruzione senza virgolette è stata, soprattutto nei primi anni dopo l'aggressione, opera essenzialmente iraniana, e le è stato dato il massimo della pubblicità.
Mettere a tacere le guerriglie con quei sistemi che da sempre servono ad ammansire certe intransigenze -sistemi di cui si cerca di parlare il meno possibile, anche perché tutta la faccenda costa agli yankee centinaia di miliardi ogni anno- pare sia servito solo ad accrescere il debito pubblico statunitense. Il perché lo spiega un trafiletto di tre righe, uno dei moltissimi che si potrebbero rintracciare scorrendo i newswire degli ultimi anni. Roba da gazzetta, ma ricchissima di quei "non detti" che fanno pensare che i risultati economici della "esportazione della democrazia" siano stati roba da andarsi a nascondere.

Baghdad, 12dic. - La compagnia russa Lukoil e la norvegese Statoil hanno ottenuto al concessione per il giacimento West-Qurna 2 nel Sud dell'Iraq, in un'area relativamente pacificata. Lo ha annunciato il ministro del petrolio iracheno Hussein al-Shahristani. West-Qurna 2 e' uno dei giacimenti piu' grandi fino a ora non utilizzati, con delle riserve di 12,9 miliardi di barili.

In altre parole, la concessione per lo sfruttamento di un giacimento intatto è andata ai russi, che a quanto pare sono riusciti a mantenere la propria influenza politica ed economica sull'area senza impegnare ufficialmente né un centesimo né un soldato, e ai norvegesi, che inviarono in Iraq centocinquanta genieri nel 2004 e li ritirarono due anni dopo.

Da parte sua lo stato che occupa la penisola italiana si vanta, nei suoi comunicati ufficiali, di essere "uno dei principali partner della ricostruzione dell'Iraq "con un impegno complessivo di oltre 400 milioni di euro". Non di commesse o di giro d'affari: di "impegno complessivo"...
Ai quattrocento milioni si assomma il "condono" di un "debito sovrano iracheno" evidentemente inesigibile, pari a sei volte tanto.
Mantenere duemilacinquecento militari in Afghanistan costa invece, ogni anno, un miliardo di euro.
Proprio ottimi affari, le democrazie da esportazione.

giovedì 10 dicembre 2009

Prato: i valori cristiani e l'assiduità nel culto sono un baluardo contro l'Islam


La foto qui sopra è stata scattata il dieci dicembre 2009 in località Macrolotto, lungo una trafficata strada che percorre una zona industriale.
I cattolici considerano questo giorno "il giovedi della seconda settimana di Avvento" e quello che chiamano "calendario liturgico" prevederebbe una lettura dal profeta Isaia, dei salmi ed un'ultima lettura dal Vangelo di Matteo.
Dalla scorsa primavera, a Prato, lo storico malgoverno delle cosiddette sinistre è stato spazzato via dalla provvidenziale vittoria elettorale del piddì con la elle e dell'agguerritissima Lega, che hanno posto senza indugio e con immediata fortuna le basi per una rinascita anche spirituale della città messa in ginocchio dal bolscevismo. Aguzziamo dunque la vista -o ingrandiamo l'immagine con un clic- e vediamo cosa prevede, in questo primo anno di rinascita "occidentalista" per la città di Prato, la ben più visibile proposta di questo cartellone pubblicitario.
Natale e Capodanno erotico con trentanove Gilda girls e mezzo, super cenone erotico €100.00 tutto compreso... ma proprio tutto!
"All inclusive", tutto compreso, si sgola il cartellone.
Più chiari di così non si potrebbe essere, su quale sia il core business di questo "locale".
Il tutto si trova dalle parti di Viareggio, una cittadina sul mare recente preda elettorale degli "occidentalisti" costretti da motivi di opportunità politica a trasferirvi il proprio teatrino convegnistico, dopo che lo storico feudo di Montecatini -anch'esso celebre, e da moltissimi decenni, per essere specializzato in consimili esempi di esercizio eroico delle virtù cristiane-ha a sua volta cambiato colore.
Come si vede la riscoperta delle "radici cristiane", col suo corollario di opere di devozione e di mortificazione dei sensi, sta facendo passi da gigante, anche a Prato.

domenica 6 dicembre 2009

Anna Laura Scuderi, Elena Pesce e l'asilo Cip Ciop


Dicembre 2009. Due maestre di un asilo nido pistoiese vengono arrestate. Esistono dei filmati che le mostrano mentre maltrattano i bambini loro affidati.
L'episodio distrae per un momento i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana dai loro maccaruna c'a'pummarola 'n coppa, dalla loro pornografia, dalla loro cocaina, dal loro pallone e dalle loro prostitute e li fa accanire in un'ondata di giustizialismo forcaiolo di assoluta e totale repellenza, ovviamente affidato a quelle reti sociali che paiono fatte apposta per amplificare il numero di questioni liquidabili facendo sfoggio di crudeltà spicciola e di incompetenza cialtrona.
Due maestre sono un bersaglio facile, quasi l'ideale per i farabutti delle gazzette: così si distraggono i sudditi dalle carceri dove si muore (settanta "suicidi" nell'ultimo anno), dai Placanica e dagli Spaccarotella cui viene affidato il potere di vita o di morte sui sudditi rappresentato dalle armi che portano, dalla povertà crescente, dalla stupidità inutile ed idiota che avvolge l'intera vita nell'"Occidente" in declino.

L'asilo Cip Ciop di Pistoia. Statuetta nonostante la "carità cristiana" pare abitasse ad un altro indirizzo.

I mostri del giorno, per Pistoia e per tutta la Toscana. L'asilo degli orrori.
Di che vivrebbero i ciarlatani delle gazzette se non avessero di questa roba da spargere a piene mani?
L'asilo pare sia privato e la scuola privata è un tipo di istituzione di cui gli "occidentalisti" dicono un gran bene. Nella penisola italiana esiste una rete di scuole "cattoliche" che fino a qualche anno fa erano semplicemente dei costosi refugia peccatorum in cui andavano a finire quanti non riuscivano, per i motivi più vari, a tenere il passo dei ritmi di apprendimento forsennati di certa istruzione pubblica.
Non abbiamo alcun motivo di credere che le cose siano cambiate.
Naturalmente non si può raccontare ai sudditi che si sta facendo di tutto per spianare la strada ad una torma di manutengoli viziati: dunque si invoca una cosa che viene chiamata "principio di sussidiarietà". Si invocano i "valori", "cristiani" per definizione. Poi si assiste, allargando le braccia, ad incidenti di percorso come questo, capaci di spazzar via interi patrimoni di credibilità -per quanto fallace, per quanto millantata- nello spazio di qualche ora.
E se invece di Anna Laura ed Elena si fossero chiamate Aisha ed Amina?
Invece di caldeggiarne l'apertura in nome di quel "principio di sussidiarietà" che piace tanto agli "occidentalisti", quelli del piddì con la elle e della Lega avrebbero portato il caso dell'asilo nel loro parlamento con interrogazioni urgenti tra l'allarmato e l'indignato.
Amina ed Aisha non avrebbero avuto bisogno di maltrattare i bambini per essere costrette a chiudere bottega in due secondi.
Gli sarebbe bastato esistere.


giovedì 3 dicembre 2009

Oriana Fallaci circola di nuovo con la targa


Il tre dicembre 2009 la gazzetta "occidentalista" chiamata "Il Giornale della Toscana" comunica ai sudditi che a partire dal giorno precedente Oriana Fallaci ha ripreso a circolare con la targa.
Ottima cosa, visto che il Codice della Strada stabilisce che chi circola senza targa è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 74 ad euro 296.
A gennaio 2009 qualcuno si accorse che questa targa, che dedicava alla "scrittrice" una qualche sala in uso alla Provincia di Firenze, era stata fatta sparire da chissà chi. Noi ci divertimmo un po'. Il Corrierone invece, che crede d'esser serio, produsse un fuoco di fila di illazioni ridicole, funzionali a sostenere il filosionismo per coscrizione cui gli "occidentalisti" fiorentini ascrissero la "parte sana" della cittadinanza.
La parte sana della cittadinanza per loro si limita a loro stessi e (per grazia sovrana sempre revocabile) a quanti devono evitare per opportunità politica che l'ultimo degli scribacchini li tacci di antisemiti dalle pagine di qualche gazzetta.
Il macello sionista di Gaza non ebbe nessun altro sostenitore: anzi, una serie di manifestazioni che portarono in piazza migliaia di credenti e di cittadini, a Firenze e a Roma, restituirono il sionismo di complemento all'impopolarità ed alla disistima che esso merita.
La posa della nuova targa è avvenuta a seguito dell'insistenza di un certo Marco Cordone, il quale ha giornate talmente dense e fitte di impegni da esser riuscito a tenere perfino un puntiglioso conto dei giorni che sono trascorsi tra l'inizio delle sue lagnanze in Provincia ed il ripristino del discutibile manufatto concessogli finalmente dal presidente Andrea Barducci. La foto della gazzetta mostra Cordone e Barducci davanti alla targa riappiccicata (dice hanno usato anche della colla, stavolta), ritratti in quella perfetta solitudine che sola si addice alle celebrazioni autoreferenziali.
L'insistenza di Cordone non è certo gratuita o fine a se stessa. Alla diffusione sistematica dei contenuti presenti nelle ultime opere della "scrittrice", classificabili in blocco come prodotto di un'ideazione delirante a contenuto persecutorio, la Lega Nord Toscana, sua parte politica, deve praticamente per intero le sedie che scalda e le palanche che incassa.

mercoledì 2 dicembre 2009

Emanuele Roselli e la moschea a Firenze


I nostri lettori saranno ormai abituati a identificare nelle produzioni mediatiche "occidentaliste" il filtro attraverso il quale viene deformata la presentazione dell'Islam, dei credenti e di qualsiasi cosa attenga alla loro esistenza. Un filtro fatto di incompetenza, cialtroneria e malafede che serve ai sudditi un islàmme monolitico, metafisicamente malvagio e nemico per definizione, sovrano incontrastato di un imprecisabile aggregato geografico che va dall'Egeo all'Indonesia mantenuto nell'arretratezza da una congrega inafferrabile di barbuti malvestiti.
Una concezione del mondo che non deve alcunché alla competenza, neppure a quella elementarissima che si può acquisire sfogliando un atlante geografico qualsiasi, e molto ad un'ideazione delirante a contenuto persecutorio statuita a produttore di consenso terrorizzato e quindi di voti e di reddito.
La realtà è sempre diversa, e spessissimo opposta, a quella che gli "occidentalisti" producono per il loro tornaconto, come non tarda ad accorgersi chi abbia la pazienza di documentarsi il minimo indispensabile per trattare le loro asserzioni per le deliberate menzogne che sono. Tanto per rimanere nel campo dell'ovvio, lo stato che occupa la penisola italiana è uno dei primi partner commerciali della Repubblica Islamica dell'Iran; il confinante Pakistan non è un deserto straccione ma una potenza nucleare, del cui potenziale distruttivo concreto -non quello inventato per Tehran dai gazzettieri alla Michael Leeden- nessuno pare preoccuparsi.
In quest'ottica va considerata la spassosa asserzione di Emanuele Roselli, un "occidentalista" fresco acquisto della giunta comunale di Firenze. Nell'abbaiare "occidentalista" suscitato dal referendum svizzero e dalla lodevolissima intenzione della giunta comunale fiorentina di venire incontro alle necessità dei credenti, le asserzioni di Roselli sono solo un esempio tra i tanti, troppi possibili.
Secondo Roselli esisterebbero stati sovrani in cui "si rischia il carcere o la condanna a morte se solo si osa professarsi cristiani" e l'edificazione di una moschea a Firenze dovrebbe essere subordinata al riconoscimento del "principio di reciprocità" da parte della "comunità islamica" di Firenze.
In altre parole, i credenti fiorentini dovrebbero fare ammenda di colpe e di responsabilità che non hanno, perché l'unica ad addossargliele è una gang di scaldapoltrone buoni a nulla e di pennivendoli compiacenti, pronunciandosi sulla politica di questo o quello stato sovrano; stati che Roselli stesso si guarda bene dallo specificare in quella che è la ripetizione ecoica ed oziosa di un luogo comune buono soltanto per le gazzette e per i sudditi che non solo si abbassano alla loro lettura, ma hanno anche la repellente abitudine di usarle per la costruzione della propria weltanschauung.
Ovvio che in un'ottica "occidentalista" non c'è bisogno di specificare alcunché: turco o marocchino, yemenita o uzbeko, sempre la stessa razza è, colpevole in blocco. La stessa logica che si potrebbe identificare nell'operato di chi sprecasse carta e fiato per addossare ai frequentatori del pallonaio di Torino la responsabilità morale di ogni automobile Fiat che si guasta: stessa razza, stesse colpe.
Di tali prodigi di raziocinio si avvale, nell'anno 2009, la "politica" istituzionale.
Le righe che seguono vengono da un post da noi pubblicato circa un anno fa; ripeterle non farà male.

Sì alla moschea a Firenze. Coi minareti. E in pieno centro.

Cose turche e chiese evangeliche. A due passi l'una dall'altra e mai un litigio.


La non-notizia di fine anno [2008. n.d.r.], a Firenze, è la pura e semplice constatazione di Izzedin Elsir che il fondo in Borgo Allegri che fa da moschea non è più sufficiente alle necessità dei credenti.
Ah, alzi la mano chi sapeva che in Borgo Allegri si prega il venerdì.
I giornali si buttano a pesce sul non-evento, che è occasione per riempire con poca fatica pagine e pagine di aria fritta reiterando i consueti ed irritanti esami di "integrazione", di "moderazione" e di "democrazia" a carico di chi non ha nulla da dimostrare, nulla da farsi perdonare, nulla per cui farsi mettere alla gogna un giorno sì e l'altro anche. Nel fare le pulci agli "islamici" le redazioni scovano pareri anti-moschea arrampicandosi su intere scogliere di specchi. Nei casi di più conclamata incompetenza si ricorre agli archivi, invocando referendum sulla scorta di fumose citazioni dal più celebre ingegnere civile saudita dei nostri tempi con ancor minore fondatezza che avrebbe il contrastare il restauro di un tabernacolo di campagna accampando i roghi della santa inquisizione. Un altro dei luoghi comuni dei denigratori è il continuo cianciare di "reciprocità": una cosa in cui sono specializzati i migliori rappresentanti dell'età contemporanea, gente che nove volte su dieci non distingue un mihrab da un minbar e cui i nomi di Maalula o di Qara Kelisa possono al più essere quelli di roba da mangiare.
A nostro parere non soltanto la moschea si deve fare, ma dovrebbe essere finanziata con denaro pubblico, avere almeno quattro minareti ed essere edificata in pieno centro.
Ciascuna di queste quattro affermazioni può essere giustificata portando pochi e semplicissimi argomenti.
La moschea va costruita perché non c'è nulla che lo vieti. Fine.
Il finanziamento con denaro pubblico destinerebbe, una volta tanto, delle risorse ad uno scopo produttivo e verificabile. In fondo non ci vorrebbe molto: basterebbe rinunciare a un paio di aerei militari per costruire luoghi di culto degni della loro funzione in almeno tre capoluoghi di regione.
I minareti -uno è decisamente poco- sono necessari se si vuole realizzare un edificio degno della città di Firenze utilizzando gli stessi criteri che David Levi volle si impiegassero per la costruzione del Tempio Maggiore Israelitico, attorno al 1880. Va qui ricordata una delle più demenziali iniziative propagandistiche intentata dagli "occidentalisti" fiorentini alcuni anni fa. Un volantino a colori in carta patinata mostrava il Duomo a fianco della Sultanahmet Camii. L'intenzione degli ideatori era, ovviamente, denigratoria; neppure si sono resi conto di quanto una città che vantasse due monumenti del genere possa essere spettacolosa. Il realizzare un edificio di pregio permetterebbe di superare anche uno dei difetti più gravi della stragrande maggioranza degli edifici contemporanei, costruiti con materiali leggeri che dopo qualche anno già iniziano a mostrare i segni dell'usura.
In pieno centro il posto per edificare c'è eccome. Lo si può ottenere demolendo il brutto palazzo che sorge sul lato est di Piazza Ghiberti. Il nosto auspicio è di veder sorgere al suo posto un edificio rivestito di alberese e serpentino, quattro minareti slanciati illuminati da fari verde smeraldo nelle sere di festa, con davanti una piazza animata e viva.

martedì 1 dicembre 2009

Franco Cardini, missili e campanili


A fine novembre 2009 il risultato del referendum tenuto in Svizzera col quale si sancisce la proibizione a costruire nuovi minareti ha occupato per qualche giorno le gazzette. Meglio, così anche oggi nessuno si preoccupa della crisi economica inarrestabile, della disoccupazione, dell'idiozia ostentata e condivisa e degli anni di sforzi collettivi e coscienti per ridurre a questo punto una società fino a non troppi anni or sono ancora critica e vitale.
Poca o punta attenzione è stata dedicata all'altro referendum, che voleva fermare l'export di armi dalla Confederazione Elvetica.
Da "La Stampa" si riporta il
Missili e campanili di Franco Cardini, ancora una volta un buon esempio di assennata concretezza a petto di un mainstream che anche in questa occasione non ha indugiato ad amplificare le ciance di una classe "politica" obesa, ciarlante, spregevole e sommamente inutile quando non pericolosa.
Va notato che negli stessi giorni, da quella realtà
rimasta a quote più normali che è la città di Firenze, venivano segnali diametralmente opposti.

Non c’è bisogno di aver letto Landscape and Memory (1995) di Simon Schama sulla storia del paesaggio per sapere che ambienti e landscapes si modificano col tempo.
Anche e soprattutto grazie all’opera dell’uomo: e che poco c’è in essi di puramente «naturale», niente di definitivamente «bello». Agli antichi elvezi, probabilmente, le torri e i templi dei romani sulle prime non piacevano affatto; e, agli elvezi romanizzati, non dovevan garbare granché i campanili. Che quindi qualche minareto avrebbe davvero compromesso l’armonioso paesaggio svizzero, con i suoi laghi e i suoi pascoli, è lecito dubitare. Le ragioni del «sì» degli abitanti della felice Confederazione Elvetica al referendum sul bando alla costruzione delle torri da cui si chiamano i musulmani alla preghiera debbono essere anche altre.
«Simboli del potere islamico», è stato detto. Ma quale potere? Un campanile cattolico in Svezia significa forse che quel Paese è passato al papismo?
I templi buddhisti di New York simboleggiano il passaggio degli States alla fede in Gautama Siddharta? E la monumentale sinagoga di Roma significa forse che la Città Eterna è in mano agli ebrei? «Niente minareti se non c’è reciprocità», ha cristianamente sentenziato qualcuno. Ma di quale reciprocità si tratta? Di campanili cristiani molti Paesi musulmani abbondano: dalla Turchia alla Siria alla Giordania all’Egitto all’Algeria; e il fatto che il re dell’Arabia Saudita ne vieti la costruzione autorizza forse moralmente gli svizzeri a negare un minareto a una comunità musulmana fatta di turchi o di maghrebini, che col monarca wahhabita non hanno proprio nulla a che fare?
Ma le moschee sono fonte d’inquinamento fondamentalista, proclama qualcun altro. Dal che s’inferisce che l’unico modo per controllare e contrastare il fondamentalismo sia quello di umiliare molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa. E’ arrivata a questo, la nostra regressione verso l’intolleranza?
Giratela come volete: ma il risultato del referendum svizzero è un altro tassello nell’allarmante puzzle della perdita delle virtù di tolleranza e di ragionevolezza di cui l’Europa e il mondo occidentale stanno dando di questi tempi prove sempre più chiare. E che questa febbre sia grave è prova il contestuale rifiuto, opposto dal medesimo popolo svizzero, all’altro referendum, che gli chiedeva il divieto dell’esportazione di armi e materiale bellico al fine di sostenere lo sforzo internazionale per il disarmo. Qui, di fronte a ovvi motivi di ben concreto interesse economico, il popolo per definizione più pacifico d’Europa - ma anche quello militarmente parlando meglio esercitato - ha rifiutato di arrestare il «commercio di morte». E’ vero, le armi fanno male alla gente. Ma in fondo anche il tabacco e gli alcolici: e allora perché non continuarne produzione e vendita, magari con l’apposizione di qualche scritta d’avvertimento (tipo: «Sparare al prossimo fa male anche a te»)?
C’è del metodo, in questa follia. Curioso che il minareto somigli dannatamente a un missile, o anche a un bel proiettile lucente di fucile. I Mani di Charlton Heston, ex Mosè, ex Ben Hur, che tra 1998 e 2003 fu presidente dell’americana National Rifle Association, ne saranno estasiati. Lo ricordate, senescente eppur fiero della sua armeria simbolo di libertà, nel Bowling for Columbine di Michael Moore? Chi oggi esulta per l’esito del doppio referendum svizzero può prendere il vecchio Charlton a emblema del suo trionfo. A questo punto, per il momento, è arrivata la nostra notte. (fonte: La Stampa)

lunedì 30 novembre 2009

Minareti elvetici e marmaglia peninsulare


Abbiamo più volte insistito sul fatto che la galassia "occidentalista", nella politica e nei media, è rappresentata da un aggregato di bambini, guitti, sciacquette, maneggioni, corpivendole, casi umani, ignorantelli, pregiudicati, minus habentes, irresponsabili, bulli di periferia, tossicodipendenti, scarti di anticamera, puttanieri, yes men, incompetenti, buoni a nulla e zerbini dominato da individui la cui unica guida sono l'interesse privato e l'impunità. Lo stesso vale per un numero molto alto di formazioni politiche, sì che classificare l'una o l'altra come "peggiore" in base alle asserzioni ed ai comunicati stampa di questo o quel protagonista è impresa sì difficile, ma tutto sommato anche inutile.
Alla fine del novembre 2009 la Confederazione Elvetica tiene un referendum il cui risultato inibirebbe "la costruzione di nuovi minareti" oltre i quattro già presenti in tutto il paese. Eveline Widmer-Schlump, ministro per la Giustizia, specifica che il risultato "non significa il rifiuto della comunità dei musulmani, della loro religione e della loro cultura", di cui il governo federale si farebbe, al contrario, garante. Il mondo è cambiato anche per la Confederazione, in piena trasformazione dalla condizione di inviolabile cassaforte del mondo a quella di paese come un altro, cui una serie impressionante di rovesci economici e finanziari hanno attirato sospetti, malevolenze ed inchieste giudiziarie internazionali; i partiti populisti mietono milioni di voti tra scontenti ed impauriti che non riconoscono più il paese cui erano abituati e favoriscono, per ovvie ragioni di tornaconto, quella che in Ticino viene definita "una mentalità da Ridotto Nazionale".
Il punto interessante della questione è che, nello stato che occupa la penisola italiana, gli scaldapoltrone in forza alla Lega Nord hanno invece fatto di tutto per calcare i toni e per trarre il massimo utile da una vittoria non loro. Alcuni politicanti hanno avuto la spudoratezza di proporre in tutta serietà di inserire una croce all'interno di una certa bandiera verde, bianca e rossa a bande verticali di uguali dimensioni.
L'intento è spregevole da svariati punti di vista.
Disgustoso -e dunque profondamente gradito ad un parco sudditi che del fare schifo ha fatto ormai da anni un motivo d'orgoglio- è l'attaccamento ai simboli religiosi cristiani da parte di una formazione politica che riceve praticamente ogni giorno pesantissime critiche dalla gerarchia cattolica a causa della deliberata disumanità delle proprie concezioni di fondo; questo, anche in un periodo in cui essa gerarchia non appare certo orientata al progressismo.
E' bene ricordare, poi, che fino allo stabile (e ben remunerato) insediamento in quelle sedi istituzionali in cui i suoi esponenti sventolavano corde da impiccagione e che fanno capo ad uno stato che la Lega aveva millantato di voler distruggere, la bandiera in questione era qualcosa da appendere nel cesso, secondo il consiglio che Umberto Bossi in persona diede nel 1997 a Venezia, più che da modificare. Stante la forma mentis dei promotori dell'iniziativa, è probabile che il tipo di croce che meglio li rappresenta sia rappresentato da quella uncinata, appropriatamente definita da Achille Ratti come "croce nemica di quella di Cristo".
Il quadro è completo se ricordiamo come tutto questo avvenga all'interno di una società profondamente e rapidamente decristianizzata, acquistando vieppiù di assurdo perima ed ancora che di irritante e di ridicolo.
Niente di grave, comunque; per un "occidentalista" sono tutte questioni di dettaglio. Pelo sullo stomaco e necessità assoluta di un Nemico cui contrapporsi permettono di superare impasse anche più ardue e di mietere voti a valanga, stante la pari -se non peggiore- incompetenza e cattiveria stupida accuratamente coltivate nei sudditi. E' fondamentale distogliere con tutti i mezzi, leciti o meno non è il caso di sottilizzare, l'attenzione dei sudditi da un paese sempre più povero, stupido e cattivo in cui si vive più schifosamente ogni giorno che passa: ben venga qualunque diversivo!
A suo tempo ci pronunciammo in modo estremamente chiaro circa il ruolo e la dignità che moschea e minareti -non meno di quattro- dovrebbero avere nella città di Firenze: è l'occasione buona per ribadire gli stessi concetti.

sabato 28 novembre 2009

"Occidentalisti", radici cristiane ed altra propaganda


La politica "occidentalista" consente ad individui sufficientemente privi di rispetto per se stessi e per gli altri, generalmente cacciati da qualunque altro settore produttivo per incompetenza, malafede, idiozia pura e semplice, inettitudine o storie di vita molto oltre l'impresentabile, di vivere alle spalle altrui.
Il denaro necessario viene loro dai suffragi.
I suffragi vengono dalla propaganda.
La propaganda funziona sempre allo stesso modo: ripetizione stolida di pochi concetti di base, allagamento dei mass media secondo la mai dimenticata lezione di Goebbels, e presentazione delle istanze lobbystiche in voga al momento come se dalla loro soddisfazione dipendessero i destini di intere collettività. A volte l'effetto è quello di produrre sulle gazzette una realtà inesistente, come nel caso delle statuite "radici cristiane" dell'"Occidente" e della recente battaglia in favore di un simbolo religioso al quale nella vita quotidiana tiene una parte assolutamente minoritaria dei sudditi. Una parte assolutamente minoritaria capacissima di comportarsi in ogni atto della propria vita in modo diametralmente opposto a quello indicato dalle più elementari linee guida di qualunque monoteismo, senza avvertire in questo alcuna contraddizione.
Il testo che qui si recensisce è uscito una prima volta nel 1992, ed una seconda nel 2002 seguito da una postfazione dell'autore. Una lettura che consente di inquadrare le iniziative e le istanze "occidentaliste" nella cornice che è loro propria, che non è fatta soltanto di un'incompentenza malevola e cialtrona meritevole di disprezzo e di irrisione, ma anche e soprattutto di un lavorìo incessante, teso alla soddisfazione di interessi lobbystici e di parte solitamente intrisi di ben altro che di trascendenza.


Alain de Benoist, La "Nuova evangelizzazione" dell'Europa - La strategia di Giovanni Paolo II (Arianna, 2002)



Il libro di Alain de Benoist ricostruisce le mosse diplomatiche, religiose, politiche e propagandistiche del papato di Giovanni Paolo II, per arrivare a conclusioni piuttosto nette in merito al successo di quella che avrebbe dovuto essere la "nuova evangelizzazione" dell'Europa.
La nuova evangelizzazione e l'identità politica europea introduce i temi di base della strategia politica del papa slavo: statuire l'ineliminabilità delle "radici cristiane" dall'identità continentale in modo che nessun "mito fondante" possa essere rintracciato o costruito al di fuori di esse, riscoprire la dottrina sociale della Chiesa ed irrompere in forze nella società civile per colmare quanti più spazi possibile tra quelli lasciati vuoti dal (presunto) crollo delle "ideologie". Lo "spostamento al centro" dell'orientamento politico delle gerarchie ecclesiastiche nel loro complesso e l'azione del poderoso apparato economico dell'Opus Dei sono i principali strumenti, operanti a livello mondiale, della strategia perseguita.
La nuova evangelizzazione e l'identità spirituale europea illustra già i primi limiti dell'orientamento perseguito da Giovanni Paolo II. La fronda interna all'apparato, mossa da teologi, accusò sempre il pontefice di essere stato assai più rigoroso nei confronti dei cosiddetti "modernisti" che non nei confronti della loro controparte, stigmatizzata ed emarginata senza la sistematicità usata contro i sostenitori della "teologia della liberazione". Altri ostacoli sono rappresentati dal rapporto con la modernità e dalla pretesa della Chiesa di Roma di conservare un primato spirituale incontestabile: una posizione che rende di fatto impossibile un vero dialogo interconfessionale.
Ai tempi in cui il libro fu pubblicato nella sua prima edizione, la fine delle persecuzioni religiose nell'ex URSS permetteva agli uniati una certa ripresa, ma attirava loro le critiche di gerarchie ortodosse affatto disposte a farsi assimilare, e che accusavano le gerarchie cattoliche di un proselitismo condotto con sistemi da guerra coloniale. Altro ostacolo, i rapporti con il mondo ebraico, nel quale abbondavano -ed abbondano- le voci che vedono nell'atteggiamento cattolico un insieme di svalutazione e di tentativi di fagocitazione, nonostante eventi mediatici come la visita alla sinagoga di Roma avvenuta nel 1986. Un sostanziale non riconoscimento della reciprocità sembra minare nel profondo la strategia del pontefice.
L'ostacolo più grande viene però dalla scristianizzazione di fatto della società civile, un fenomeno apparentemente inarrestabile. Un bric à brac delle credenze, mosso dalla concezione di fondo di una religione cui si chiede felicità e non più salvezza, ha tolto ogni spazio alla dogmatica e svuotato di autorevolezza la gerarchia, che in molti ambienti (De Benoist esamina a fondo il caso francese) non ha più alcuna presa sui comportamenti individuali e ne ha sempre meno su quelli dei legislatori. La rivalutazione delle "radici cristiane" dell'Europa si scontra non soltanto con una realtà di fatto che vede i cattolici perdere terreno proprio in Europa, e di contro guadagnare influenza in America meridionale e in certi paesi asiatici, ma anche sulla necessità di amputare il passato precristiano del continente e di statuirne la nascita a seguito dell'adozione di una religione nata al di fuori dei suoi perimetri geografici.
Nella postfazione aggiunta nel 2002, Alain de Benoist conclude recisamente che la strategia di Giovanni Paolo II ha fallito i suoi obiettivi. Crollo della pratica, credenze individualizzate e sincretiche messe in piedi assemblando elementi eterodossi, delegittimazione del ruolo dei sacerdoti ed un'ignoranza sempre più diffusa dei dogmi anche tra i praticanti sono un fatto compiuto, insieme al successo esclusivamente mediatico di molte mosse della diplomazia pontificia. Le emanazioni che resistono bene, come la rete delle scuole private, devono il loro prosperare a motivi che non hanno nulla a che fare con l'osservanza delle pratiche religiose o con il magistero pontificio.
In mezzo alla modernità, l'istituzione ecclesiastica ha avuto successo nel diffondere i suoi valori ovunque, ma lo ha fatto in un mondo che può farvi riferimento senza di essa, se non addirittura contro di essa. La conservazione del religioso avviene oggi a prezzo della sostanziale privazione della possibilità di una vera influenza globale che in passato ha costituito la stessa ragion d'essere dell'istituzione ecclesiastica e la visibilità o l'ascesa di questo o quello integralismo non fa che confermare il sostanziale indifferentismo religioso che domina la scena.