All'atto di aggredire l'Iraq, all'epoca sovrano effettivo su un solo terzo del proprio territorio, economicamente peggio che in ginocchio e con una leadership tanto delegittimata e scopertamente destinata al macello quanto era stata corteggiata e blandita ai tempi della "guerra imposta" con la Repubblica Islamica dell'Iran, gli yankee produssero proclami e propaganda in una massa tale da saturare completamente i media a più alta fruibilità.
Una mole di "news" che andava dall'incosciente al ridicolo, uno degli estremi essendo rappresentato da dementi in cravatta che ponderavano serissimi se non fosse il caso di usare armi nucleari, e l'altro da dementi col tovagliolo annodato al collo che ribattezzarono freedom fries le patatine fritte, dette "french fries" dagli anglosassoni in genere. Il motivo? Il rifiuto francese di partecipare a qualsiasi titolo a tanto maramaldesca impresa.
Per quanto ne sappiamo, a tutt'oggi un sistema mediatico mainstream che è perfetta espressione del servilismo, della corruttela e della pochezza che rappresentano elementi strutturali dell'"Occidente" contemporaneo consente agli assertori di istanze di questo tipo di operare nella condiscendenza generale.
Più seriamente, l'ubriacone Bush fece sapere ai quattro venti che chi non si sporcava le mani di sangue non avrebbe avuto voce alcuna in capitolo nella "ricostruzione" del paese invaso, ed una coorte di feccia da gazzette si adoperò per mesi dando l'annuncio ai quattro venti: vi garantiamo che il popolo iracheno, liberato dalla tirannia di Saddam Hussein, accoglierà a braccia aperte il primo che gli porterà camionate di benessere e Coca Cola: occasione unica ed irripetibile, soldi per tutti.
Abboccarono i governi di mezzo mondo: forti di una risoluzione ad hoc votata all'ONU praticamente sotto minaccia armata, inviarono in Iraq contingenti sostanzialmente simbolici, di solito ritirati in tutta fretta al primo contrasto serio con la guerriglia. Uno su tutti, il caso delle spie spagnole fatte letteralmente a pezzi sotto le telecamere e nell'esultanza generale della popolazione irachena.
Cinque anni dopo di "ricostuzione" yankee non si parlava neanche più. Sprechi faraonici, truffe, criminalità comune ed un approccio alla questione condotto all'insegna dell'incompetenza e della sicumera più gratuite, globalmente scriteriato e completamente idiota -grosso modo classificabile come espressione di un colonialismo vecchio stampo incredibilmente sopravvissuto fino al ventunesimo secolo- hanno costretto a mettere la sordina a tutte le buone intenzioni. La ricostruzione quella vera, in Iraq, la stanno facendo organizzazioni ed imprese che sanno concretamente come muoversi sul terreno e come risparmiare, quali ruote ungere, quali sono le esigenze concrete di chi in Iraq vive e lavora.
Con l'aggressione all'Iraq, gli yankee hanno servito alla Repubblica Islamica dell'Iran quanto serviva alle bonyad per espandere senza fretta e con piena soddisfazione la propria influenza economica; la ricostruzione senza virgolette è stata, soprattutto nei primi anni dopo l'aggressione, opera essenzialmente iraniana, e le è stato dato il massimo della pubblicità.
Mettere a tacere le guerriglie con quei sistemi che da sempre servono ad ammansire certe intransigenze -sistemi di cui si cerca di parlare il meno possibile, anche perché tutta la faccenda costa agli yankee centinaia di miliardi ogni anno- pare sia servito solo ad accrescere il debito pubblico statunitense. Il perché lo spiega un trafiletto di tre righe, uno dei moltissimi che si potrebbero rintracciare scorrendo i newswire degli ultimi anni. Roba da gazzetta, ma ricchissima di quei "non detti" che fanno pensare che i risultati economici della "esportazione della democrazia" siano stati roba da andarsi a nascondere.
Baghdad, 12dic. - La compagnia russa Lukoil e la norvegese Statoil hanno ottenuto al concessione per il giacimento West-Qurna 2 nel Sud dell'Iraq, in un'area relativamente pacificata. Lo ha annunciato il ministro del petrolio iracheno Hussein al-Shahristani. West-Qurna 2 e' uno dei giacimenti piu' grandi fino a ora non utilizzati, con delle riserve di 12,9 miliardi di barili.
In altre parole, la concessione per lo sfruttamento di un giacimento intatto è andata ai russi, che a quanto pare sono riusciti a mantenere la propria influenza politica ed economica sull'area senza impegnare ufficialmente né un centesimo né un soldato, e ai norvegesi, che inviarono in Iraq centocinquanta genieri nel 2004 e li ritirarono due anni dopo.
Da parte sua lo stato che occupa la penisola italiana si vanta, nei suoi comunicati ufficiali, di essere "uno dei principali partner della ricostruzione dell'Iraq "con un impegno complessivo di oltre 400 milioni di euro". Non di commesse o di giro d'affari: di "impegno complessivo"...
Ai quattrocento milioni si assomma il "condono" di un "debito sovrano iracheno" evidentemente inesigibile, pari a sei volte tanto.
Mantenere duemilacinquecento militari in Afghanistan costa invece, ogni anno, un miliardo di euro.
Proprio ottimi affari, le democrazie da esportazione.
Una mole di "news" che andava dall'incosciente al ridicolo, uno degli estremi essendo rappresentato da dementi in cravatta che ponderavano serissimi se non fosse il caso di usare armi nucleari, e l'altro da dementi col tovagliolo annodato al collo che ribattezzarono freedom fries le patatine fritte, dette "french fries" dagli anglosassoni in genere. Il motivo? Il rifiuto francese di partecipare a qualsiasi titolo a tanto maramaldesca impresa.
Per quanto ne sappiamo, a tutt'oggi un sistema mediatico mainstream che è perfetta espressione del servilismo, della corruttela e della pochezza che rappresentano elementi strutturali dell'"Occidente" contemporaneo consente agli assertori di istanze di questo tipo di operare nella condiscendenza generale.
Più seriamente, l'ubriacone Bush fece sapere ai quattro venti che chi non si sporcava le mani di sangue non avrebbe avuto voce alcuna in capitolo nella "ricostruzione" del paese invaso, ed una coorte di feccia da gazzette si adoperò per mesi dando l'annuncio ai quattro venti: vi garantiamo che il popolo iracheno, liberato dalla tirannia di Saddam Hussein, accoglierà a braccia aperte il primo che gli porterà camionate di benessere e Coca Cola: occasione unica ed irripetibile, soldi per tutti.
Abboccarono i governi di mezzo mondo: forti di una risoluzione ad hoc votata all'ONU praticamente sotto minaccia armata, inviarono in Iraq contingenti sostanzialmente simbolici, di solito ritirati in tutta fretta al primo contrasto serio con la guerriglia. Uno su tutti, il caso delle spie spagnole fatte letteralmente a pezzi sotto le telecamere e nell'esultanza generale della popolazione irachena.
Cinque anni dopo di "ricostuzione" yankee non si parlava neanche più. Sprechi faraonici, truffe, criminalità comune ed un approccio alla questione condotto all'insegna dell'incompetenza e della sicumera più gratuite, globalmente scriteriato e completamente idiota -grosso modo classificabile come espressione di un colonialismo vecchio stampo incredibilmente sopravvissuto fino al ventunesimo secolo- hanno costretto a mettere la sordina a tutte le buone intenzioni. La ricostruzione quella vera, in Iraq, la stanno facendo organizzazioni ed imprese che sanno concretamente come muoversi sul terreno e come risparmiare, quali ruote ungere, quali sono le esigenze concrete di chi in Iraq vive e lavora.
Con l'aggressione all'Iraq, gli yankee hanno servito alla Repubblica Islamica dell'Iran quanto serviva alle bonyad per espandere senza fretta e con piena soddisfazione la propria influenza economica; la ricostruzione senza virgolette è stata, soprattutto nei primi anni dopo l'aggressione, opera essenzialmente iraniana, e le è stato dato il massimo della pubblicità.
Mettere a tacere le guerriglie con quei sistemi che da sempre servono ad ammansire certe intransigenze -sistemi di cui si cerca di parlare il meno possibile, anche perché tutta la faccenda costa agli yankee centinaia di miliardi ogni anno- pare sia servito solo ad accrescere il debito pubblico statunitense. Il perché lo spiega un trafiletto di tre righe, uno dei moltissimi che si potrebbero rintracciare scorrendo i newswire degli ultimi anni. Roba da gazzetta, ma ricchissima di quei "non detti" che fanno pensare che i risultati economici della "esportazione della democrazia" siano stati roba da andarsi a nascondere.
Baghdad, 12dic. - La compagnia russa Lukoil e la norvegese Statoil hanno ottenuto al concessione per il giacimento West-Qurna 2 nel Sud dell'Iraq, in un'area relativamente pacificata. Lo ha annunciato il ministro del petrolio iracheno Hussein al-Shahristani. West-Qurna 2 e' uno dei giacimenti piu' grandi fino a ora non utilizzati, con delle riserve di 12,9 miliardi di barili.
In altre parole, la concessione per lo sfruttamento di un giacimento intatto è andata ai russi, che a quanto pare sono riusciti a mantenere la propria influenza politica ed economica sull'area senza impegnare ufficialmente né un centesimo né un soldato, e ai norvegesi, che inviarono in Iraq centocinquanta genieri nel 2004 e li ritirarono due anni dopo.
Da parte sua lo stato che occupa la penisola italiana si vanta, nei suoi comunicati ufficiali, di essere "uno dei principali partner della ricostruzione dell'Iraq "con un impegno complessivo di oltre 400 milioni di euro". Non di commesse o di giro d'affari: di "impegno complessivo"...
Ai quattrocento milioni si assomma il "condono" di un "debito sovrano iracheno" evidentemente inesigibile, pari a sei volte tanto.
Mantenere duemilacinquecento militari in Afghanistan costa invece, ogni anno, un miliardo di euro.
Proprio ottimi affari, le democrazie da esportazione.
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