domenica 30 ottobre 2011

"Il Giornale della Toscana", Raffaello Pecchioli e l'alluvionante Al Qaeda



"Il Giornale della Toscana" è una gazzettina "occidentalista" pubblicata a Firenze e smerciata assieme a "Il Giornale" vero e proprio, che a sua volta serve al maggior partito "occidentalista" della penisola italiana per la propria propaganda e per le necessarie operazioni di denigrazione e di linciaggio mediatico sotto le quali i più appropriati rappresentanti politici che i sudditi che bivaccano nella penisola italiana abbiano mai avuto nascondono la propria irrilevanza, la propria pochezza e soprattutto la propria sconfinata abiezione.
Alla fine di ottobre 2011, padroni e gazzettieri de "Il Giornale della Toscana" vengono schedati, perquisiti e identificati come dei nogglòbal qualsiasi; è stato giocoforza smetterla con le uscite monografiche in materia di pallone, pallonerie, pallonate, palloneggi e pallonieri -gente viziata e strapagata, inutili frequentatori di ristoranti che nei moltissimi momenti liberi possono prendersi anche la licenza di aggredire qualcuno che lavora sul serio trovando indulgenza e comprensione- e darsi un po' da fare per spiegare ai pochi interessati come e qualmente sia necessario esentare "Il Giornale della Toscana" dai previsti, prevedibili ed assolutamente ovvi effetti che la "mano invisibile" dell'economia di mercato avrebbe sulla sua esistenza.
Chissà perché, certi corollari del libero mercato non piacciono troppo nemmeno ai suoi più strenui difensori.
Il 30 ottobre 2011 "Il Giornale della Toscana" è al terzo o quarto giorno di un battage già indecoroso per proprio conto. Grazie alla rimozione del cookie della quale abbiamo già trattato abbiamo letto con tutta calma gli articoli che ci interessavano, evitando di esibire ai signori di via Cittadella la somma necessaria all'acquisto di una copia, con beneficio delle nostre tasche e ad ulteriore detrimento delle loro.
Si ricorderà che dopo le tre pagine pro domo sua, quella gazzetta apriva la cronaca vera e propria con un articoletto in cui si asseriva che "Al Qaeda" esultava "per i morti dell'alluvione" in Lunigiana. Se teniamo conto delle esigenze immediate della politica "occidentalista" la cosa aveva una certa logica: c'era da copire l'accoglienza assai tiepida ricevuta nei paesi alluvionati dalle costose autovetture del politicame, logicamente accolte a palate di fango da gente perbene che ha altro a cui pensare.
La necessità di creare un diversivo è sembrata forte anche ad un'altra trascurabile gazzettina di Firenze, indicata allo scherno delle persone serie da Miguel Martinez.
Simili prove di documentata professionalità rientrano nella weltanschauung veicolata ogni giorno da "Il Giornale della Toscana", che non ha rinunciato ai capisaldi della propria maccheronesca ebefrenia propagandistica nemmeno in giorni in cui il buon senso vorrebbe ci si comportasse altrimenti.
L'issue del giorno seguente avvalora l'idea che in via Cittadella viga una costante propensione all'autolesionismo, perché l'impressione che si trattasse di pensate del momento sulle quali sarebbe costruttivo cercare di non rivangare viene meno quando si legge in prima pagina un "No agli atti liberticidi" firmato da un certo Raffaello Pecchioli, che pensa bene di perorare la causa di questo foglietto andando a pescare nel mare magnum della cialtroneria gazzettesca proprio l'articolo su ricordato.
Al momento in cui scriviamo sul Libro dei Ceffi esiste una schedatura a nome Raffaello Pecchioli dal contenuto troppo ridicolo perfino per comparire in questa sede, e che potrebbe anche costituire un ritratto appropriato di tutti i sedicenti difensori delle "radici cristiane" del continente europeo.
Più seriamente un motore di ricerca fa di Raffaello Pecchioli un poeta e fine dicitore piuttosto stimato a Prato e dintorni, cosa che non gli evita di impostare uno scritto difensivo su un'affermazione di cui non è dato conoscere la fonte e che non differisce in sé da nessunissima delle formule di squisita cortesia cui ricorrono nei loro confronti quotidiani quei pallonieri, quei pallonisti e quei frequentatori di pallonaio alle cui esigenze "Il Giornale della Toscana" si mostra così attento. Parrebbe di capire che agli occhi di Raffaello Pecchioli provare una calmissima, motivata e documentata disistima nei confronti del "Giornale della Toscana", e soprattutto lasciarsi sfuggire qualche commento meno che lusinghiero sulla sua linea editoriale e sulla sua professionalità, sia sufficiente ad essere accostati in tutto e per tutto a chi si riconosce in un movimento combattente.
La definizione di Al Qaeda fornita da Alastair Crooke nel suo Resistance: the essence of the Islamic Revolution è questa.
Al Qaeda. Letteralmente “la Base”. E’ un movimento sunnita globale fondato nel 1988, ai tempi del ritiro sovietico dall’Afghanistan e dell’implosione politica che ne derivò. Il suo obiettivo è quello di causare una più ampia implosione dello stesso genere in Occidente, simile a quella sofferta dall’URSS, costringendo l’Occidente a lasciarsi andare a reazioni fuori misura e ad esporsi eccessivamente dal punto di vista militare e finanziario allo stesso modo dell’URSS, finendo così vittima delle proprie contraddizioni interne. L’ideologia di Al Qaeda risente dello wahabismo e della Jihad Islamica egiziana, anche se la sua ideologia non può essere a rigore categorizzata in questo modo. In Occidente la sua influenza è stata sempre sovrastimata.
Per chi scrive, umilissimo appartenente alla Prima Internazionale dell'Odio, decisamente troppo onore e troppo onere.

sabato 29 ottobre 2011

Alastair Crooke - Il "grande gioco" dei poteri in corso in Siria


12 ottobre 2011. Manifestazione damascena a favore di Bashar Assad.
(fonte: Syrian free press)


Articolo pubblicato su
Asia Times Online il 22 ottobre 2011.

Quest'estate un ufficiale superiore saudita ha rivelato a John Hannah[1], ex capo dello staff dell'ex vicepresidente statunitense Dick Cheney, che da quando sono cominciate le sollevazioni a marzo il re pensa che un cambiamento di regime in Siria porterebbe sostanziali benefici agli interessi dell'Arabia Saudita: "Il re sa che a parte un collasso della Repubblica Islamica in sé, nulla indebolirebbe di più l'Iran della perdita della Siria", ha affermato l'ufficiale.
Questo è il grande gioco dei poteri in corso oggi, e la formula per potervi prendere parte è cambiata; le "rivoluzioni colorate" fomentate dagli Stati Uniti nelle ex repubbliche sovietiche hanno dato il via ad un processo che oggi si presenta più sanguinoso e più intricato, ma la psicologia che lo sottende è rimasta la stessa.
Le richieste tecniche per mettere in piedi un gioco tanto complesso anche in Siria sono alte ed in un certo senso stupefacenti; prestare attenzione in modo così' serrato alla tecnica e al coordinamento di interessi contrastanti in fin dei conti porta a far sì che qualche elemento importante della situazione venga perso di vista.
Gli europei e gli americani, ed anche certi paesi del Golfo, possono considerare il gioco dei poteri in Siria come il successore logico delle vicende libiche, coronate da quello che viene considerato un successo, nel processo di ridefinizione del Medio Oriente, ma gli strumenti concreti di cui essi si stanno avvalendo nel loro comportamento sono infiammabilissimi e potrebbero anche rivolgersi contro di loro, com'è successo con la "vittoria" in Afghanistan negli anni Ottanta.
Non sarebbe la prima volta che assistiamo allo spettacolo di interessi occidentali che utilizzano qualcun altro per i propri fini, solo per scoprire alla fine di esser stati essi stessi usati a loro volta.
In ogni caso l'approccio con la Siria, nonostante i grossi investimenti che vi sono stati compiuti, pare destinato al fallimento. La strategia occidentale, davanti agli eventi che si susseguono a cascata nella regione, resta curiosamente statica, ancorata a questo fomentare il risveglio popolare ma in fin dei conti legata ai fragili legami che ancora trattengono alla vita un re ottantottenne.
Non pare sia stato fatto un grosso sforzo per ipotizzare il panorama strategico che verrà alla ribalta quando questi legami si spezzeranno. Potremmo anche assistere ad un capovolgimento della maggioranza dei calcoli fatti fino ad oggi; nessuno può saperlo. Ma l'Occidente davvero pensa che mantenere i legami con quello che nel Golfo è un modello di legittimazione monarchica e di conservatorismo, in un'epoca di disaffezione popolare, sia una strada praticabile, anche se sono paesi come quello a comprare più armi occidentali?
Il grande gioco dei poteri quale nuova anatomia presenta, allora? In passato le rivoluzioni colorate sono state largamente sostenute dagli uffici dei consiglieri politici che si trovano in K Street a Washington. Nella nuova conformazione invece i "tecnici" che cercano di plasmare la regione [2] dipendono direttamente dal governo americano: secondo quanto riferito da fonti ufficiali nella regione Jeffrey Feltman, un ex ambasciatore in Libano attualmente segretario di Stato assistente con mansioni di capo coordinatore [3], insieme ai due ex ambasciatori Ron Schlicher e David Hale; quest'ultimo è anche il nuovo inviato degli Stati uniti per la pace in Medio Oriente.
Al posto di un centro operativo messo insieme da qualche organizzazione di "amici della Siria" con base a Washington, esiste un centro operativo letteralmente coperto d'oro e collocato a Doha, finanziato secondo un certo numero di fonti informate da grandi quantità di denaro provenienti dal Qatar.
Le origini del tentativo di rimodellare il Medio Oriente attualmente in atto vanno cercate nelle conseguenze del fallimento del tentativo israeliano di causare seri danni a Hezbollah, verificatosi nel 2006. Nella disamina che seguì il conflitto la Siria venne identificata come l'anello debole della catena che unisce Hezbollah all'Iran. Il principe saudita Bandar prese per primo l'iniziativa, suggerendo ad ufficiali americani che forse si poteva fare qualcosa per questo anello siriano, ma solo tramite l'utilizzo dei Fratelli Musulmani in Siria, affrettandosi ad aggiungere a mo' di risposta a prevedibili esitazioni che avrebbe pensato lui a tenere affidabili rapporti con i Fratelli in Siria e con le altre organizzazioni islamiche.
John Hannah, su ForeginPolicy.com [4], scrisse che "Le mene di Bandar, prive di riferimenti agli interessi diretti degli Stati Uniti, sono chiaramente causa di preoccupazione; però il fatto che Bandar sia un nostro fiancheggiatore contro quel nemico comune che è l'Iran rappresenta un dato strategico importantissimo". Bandar finì quindi per essere ingaggiato.
Quello che era un piano ipotetico si è trasformato all'improvviso in azione concreta soltanto all'inizio di quest'anno, dopo la caduta del governo di Saad Hariri in Libano e dopo che il presidente Hosni Mubarak era stato rovesciato in Egitto. Israele è sembrato vulnerabile all'improvviso; indebolire la Siria e metterla alle prese con le sollevazioni ha acquistato ad un tratto una valenza strategica.
Nello stesso periodo il Qatar è balzato alla ribalta; Azmi Bishara, un panarabista ex parlamentare israeliano espulso dalla Knesset e adesso stabilitosi a Doha, ha messo in piedi un piano in cui un canale televisivo, come hanno riferito vari organi di stampa dei paesi arabi [5], ossia Al Jazeera, non soltanto avrebbe dato notizie sulla rivoluzione, ma l'avrebbe documentata istante per istante per fomentarla nell'intera regione. Almeno, questo era quello che c'era intenzione di fare a Doha al momento in cui esplosero l'insurrezione tunisina e quella egiziana.
Siamo davanti ad una evoluzione che supera il vecchio modello: una televisione che supera ogni limite, non pura e semplice pianificazione del funzionamento di un mezzo di comunicazione di massa. E il Qatar non ha semplicemente provato a far leva sulle sofferenze umane fino a provocare l'intervento internazionale ripetendo all'infinito che "le riforme non sono abbastanza" e che la caduta di Assad era "inevitabile"; il Qatar risulta direttamente coinvolto sia come protagonista sul campo sia come finanziatore, proprio come in Libia.
Il passo seguente consisteva nel coinvolgere nella stessa campagna il presidente francese Nikolas Sarkozy; a questo avrebbero provveduto la natura amichevole dell'emiro del Qatar ed i suoi legami con Sarkozy, sostenuti a loro volta dal lavorìo lobbystico di Feltman. Si è così formata una "squadra dell'Eliseo", composta da Jean-David Levite, Nicholas Gallet e lo stesso Sarkozy, mentre la moglie di Sarkozy pensava ad ingaggiare anche Bernard Henry-Levy, l'ideatore del modello del Consiglio di Transizione di Bengasi che tanto efficace si è rivelato per trasformare la NATO in uno strumento per il cambiamento di regime.
Alla fine, il Presidente Barack Obama ha incaricato la Turchia [6] di fare pressione ai confini siriani. Sia i turchi che Obama tuttavia non sono esenti da critiche da parte dei rispettivi apparati militari, che sono scettici circa l'efficacia di una cosa come il Consiglio di Transizione e si oppongono anche all'intervento militare.
La presidenza turca in particolare subisce pressioni di partito, che vanno in una certa direzione [7], mentre dall'altra ci sono profondi dubbi sul fatto che la Turchia debba fungere da corridoio per la NATO verso la Siria. Lo stesso Bandar ha i suoi problemi: non ha alcuna copertura politica da parte del re, ed altri membri della famiglia reale stanno giocando la carta dell'Islam a scopi differenti dai suoi.
Traducendo il tutto in termini operativi, abbiamo Feltman ed i suoi a coordinare, il Qatar che ospita il consiglio di guerra e la sala stampa oltre a tenere i cordoni della borsa, Parigi e Doha che spingono sulla questione del Consiglio di Transizione, e Bandar [8] e la Turchia che congiuntamente manovrano negli ambienti sunniti all'interno del paese, sia laddove si usano le armi sia laddove si usano altri mezzi.
La componente salafita, fatta di combattenti armati e con esperienza di guerra, avrebbe dovuto essere controllata da questa struttura; i salafiti però sono andati per la loro strada in misura sempre crescente, seguendo le loro priorità e avvalendosi di altri finanziamenti.
Se lo scopo dei giochi in Siria -ma non dimentichiamo i molti morti (civili, militari, guerriglieri) che rendono la cosa tutt'altro che un gioco- va considerato una specie di ampliamento delle "rivoluzioni colorate", siamo davanti ad un ampliamento che amplifica anche i difetti. Il paradigma del Consiglio di Transizione, che già mostra le proprie crepe in Libia, in Siria presenta più falle ancora, perché per la Siria esiste un "consiglio" di opposizione messo insieme dai francesi, dai turchi e dai qatariani che si trova intrappolato in una situazione da Comma 22. Le strutture siriane di sicurezza sono rimaste salde [9] per sette mesi, le defezioni sono state trascurabili, e la base popolare del sostegno ad Assad è rimasta intatta.
Questo equilibrio potrebbe essere cambiato solo da un intervento esterno, ma invocare qualcosa del genere equivarrebbe per gli oppositori ad un suicidio politico, ed essi lo sanno. Doha e Parigi [10] possono andare avanti a cercare di spingere il mondo verso una qualche forma di intervento continuando a fomentare attriti, ma ora come ora sembra che l'opposizione interna tenterà di giocare la carta del negoziato.
In tutto questo il pericolo concreto, come sottolinea lo stesso John Hannah su ForeginPolicy.com [11] è dappresentato dal fatto che i sauditi, "messi con le spalle al muro", "potrebbero soffiare ancora una volta sul fuoco della vecchia rete jihadista, e orientarla in genere contro l'Iran sciita".
Di fatto, questo è quello che sta succedendo, e l'Occidente non sembra averlo notato. Come affermato la scorsa settimana dagli Affari Esteri, i sauditi e i loro alleati nel Golfo stanno "incendiando" i salafiti [12] non soltanto per indebolire l'Iran, ma soprattutto per fare quello che sembra loro necessario per la stessa sopravvivenza: scardinare ed evirare certe sollevazioni, che costituiscono una minaccia per le monarchie assolute.
I salafiti sono stati usati a questo scopo in Siria [13], in Libia, in Egitto (si ricordi la loro vistosa bandiera saudita, esibita in piazza Tahrir a luglio scorso) [14], in Libano, nello Yemen [15] ed in Iraq.
Si possono in linea generale considerare i salafiti anche come un'organizzazione malleabile e non politica, ma la loro storia, da questo punto di vista, non è confortante. Se si ripete abbastanza spesso gente di questo tipo che dovrebbe essere padrona a casa sua e le si propinano secchiate di soldi, non c'è poi da stupirsi se si trasforma, cosa già successa, in qualche cosa di molto politico e di molto radicale.
Michael Scheuer, ex capo della sezione della CIA che dava la caccia a Bin Laden, ha recentemente fatto presente [16] che rispondere al risveglio delle popolazioni arabe come vorrebbe Hillary Clinton, ossia colmare i gap lasciati dai regimi caduti impiantando in loco paradigmi occidentali e facendolo se necessario anche con la forza, verrebbe considerato come una "guerra culturale contro l'Islam" e getterebbe il seme per un ulteriore periodo di radicalizzazione.
L'Arabia Saudita è un alleato degli americani. Nel loro ruolo di amici, gli Stati Uniti dovrebbero chiedere ai sauditi se la caduta di Assad e il conflitto a sfondo settario cui quasi certamente questo porterebbe, è davvero nel loro interesse. Pensano forse che i loro alleati sunniti in Iraq ed in Libano se la caverebbero senza conseguenze? Pensano davvero che gli sciiti in Iraq non faranno due più due, prendendo aspre contromisure?
Uno dei tristi paradossi delle "voci" settarie fatte proprie dai governanti del Golfo per giustificare la loro repressione delle sollevazioni è data proprio dall'indebolimento dei sunniti moderati, presi adesso tra l'incudine dell'essere visti come uno strumento in mano all'Occidente, ed il martello dei salafiti che stanno solo aspettando l'occasione buona per toglierli di mezzo.

Alastair Crooke è fondatore e direttore di Conflicts Forum, ed è stato consigliere dell'ex segretario della politica estera della UE Xavier Solana tra il 1997 ed il 2003.

Note
1. Cfr. shadow.foreignpolicy.com
2.
Cfr. thecable.foreignpolicy.com
3.
Cfr. www.champress.net and www.haaretz.com
4.
Cfr. shadow.foreignpolicy.com
5. Qataris seeking alternative for Waddah Khanfar to manage Al-Jazeera, Al-Intiqad, 20 settembre 2011.
6.
Cfr. www.foreignaffairs.com
7.
Cfr. en.rian.ru
8.
Cfr. shadow.foreignpolicy.com
9.
Cfr. www.joshualandis.com
10.
Cfr. euobserver.com
11.
Cfr. shadow.foreignpolicy.com
12.
Cfr. www.foreignaffairs.com
13.
Cfr. euobserver.com
14.
Cfr. www.washingtonpost.com
15.
Cfr. www.foreignaffairs.com
16.
Cfr. nationalinterest.org


venerdì 28 ottobre 2011

"Il Giornale della Toscana": una professionalità da tutelare (risate in sottofondo)...





Esistono situazioni in cui chi si trova a dover ribadire in qualche modo un prestigio, una credibilità ed una serietà rese traballanti dall'intraprendenza e dalla curiosità di gendarmi e tribunali cerca di serrare le file e di esibirsi in un qualche capo d'opera di livello più alto del consueto.
La situazione della gazzetta fiorentina chiamata "Giornale della Toscana" non è tra queste.
La titolazione del "Giornale della Toscana" assegna abitualmente agli individui ed alle organizzazioni che intende indicare al proprio pubblico come nemici contro i quali è tutto lecito responsabilità individuali perentorie e volontà cosciente e consapevole di agire in nome del Male metafisico.
Lo scorso anno a "voler farli chiudere" era un certo Da Empoli, e lui in persona.
L'altro ieri le cose erano assai peggiorate: a "voler farli chiudere" era addirittura un intero consesso di malevoli inquisitori, chiamato Procura.
Oggi 28 ottobre 2011 "vuole farli chiudere" un altro tizio ancora, un certo Franco Siddi, che i gazzettieri di via Cittadella hanno incoronato in sei secondi Bin Laden ad honorem.
Il numero del 28 ottobre 2011 è tornato alle abituali otto pagine, che diventano meno di sei e mezzo se togliamo la pubblicità. In qualche caso, con abituale prova di coerenza per una gazzetta su cui si ospitano contributi di individui tanto affezionati alle "radici cristiane" dell'"Occidente", queste pubblicità continuano a mostrare giovani donne con pochi abiti addosso nonostante l'autunno inoltrato.
Speriamo almeno che non prendano troppo freddo.
Le prime tre pagine sono fatte di invettive autoreferenziali, con annesso un invito a manifestare alle sei di sera sotto la redazione. Ricorrono gli appelli a quella "presunzione di innocenza" che nella stessa sede ci si scorda di invocare nel caso di mustad'afin, nogglòbal, munsurmani ed altri capi espiatori contro i quali è tutto lecito, e ricorrono anche asserzioni impegnative, come quella che assicura che "la testata ha i numeri e la professionalità".
Di quale professionalità si tratti lo si vede nella pagina successiva.
Il titolo e l'incipit di un articolo sull'alluvione in Lunigiana chiamano in causa nientemeno che Al Qaeda, che "esulta per i morti dell'alluvione". La prima preoccupazione del professionalissimo M.N. che firma il pezzo è quella di dare notizia del fatto che "sui forum di Al Qaeda compaiono frasi di esultanza per i danni provocati dalla forte alluvione che ha colpito Liguria e Toscana". Purtroppo per chi fosse interessato ad approfondire la questione -ammesso che ci sia in giro qualche lettore ad avere tempo da perdere dietro a certi modi per tirare a sera- la squisita professionalità di M.N. non arriva fino al punto di citare alcuna fonte. Eppure il "copia ed incolla" fa parte da vent'anni delle funzioni abituali degli word processor e degli elaboratori di testi in generale: che si possa comporre un articolo o redigere un testo senza saper riportare un indirizzo web è più rivelatore che strano.
La professionalità dell'"anteprima" via web del "Giornale della Toscana", invece, arriva al punto da permettere la lettura della gazzetta senza dover esibire denaro a chicchessia, dal momento che all'oscurarsi dello schermo che segue lo scadere del tempo a disposizione è sufficiente rimuovere un cookie dal browser per riprendere con tutta calma la lettura. La cosa fa pensare che la vendita di copie, sotto qualsiasi formato, non sia poi la primissima preoccupazione di via Cittadella.

Potremmo quindi scrivere un breve how to su come leggere gratis "Il Giornale della Toscana".
Nel nostro caso, con il browser Firefox 7.0.1 su sistema operativo Windows XP, è sufficente seguire questa sequenza da menu:

Strumenti -> Opzioni -> Privacy -> "Rimuovere i singoli cookie"
e togliere il cookie che proviene da giornaletoscana.it

Sarebbe interessante sapere quanti si arrischierebbero ad affidare alla professionalità di questa gente almeno la pulizia dei pavimenti in uno spaghettificio di second'ordine.



giovedì 27 ottobre 2011

Nello Rega accusato di simulazione di reato, non lasciamolo solo



Alla fine di ottobre 2011 abbiamo dovuto ammettere di esserci grossolanamente sbagliati.
La cosa ci ha letteralmente lasciato basiti, perché le fonti che davano per certa la presenza dei pickup lanciamissili di Hezbollah per le vie di Montalbano Jonico, di San Fele e di Oppido Lucano, al pari di quelle che riferivano di pattuglie armate di fucili d'assalto che rastrellavano Policoro, Tursi e Palazzo San Gervasio parevano degne di ogni fiducia. A giugno ci riferivano addirittura della imminente la costituzione di una colonna armata pronta a mettersi sulla strada tra Potenza e Roma.
In compenso, visto l'agenda setting imperante e i palinsesti infarciti di cialtronate, ragazze poco vestite ed ogni tipo di allarmismo demente purché a buon mercato, il fatto che il mainstream non desse alcuna notizia sul fatto che Nasrallah aveva dato ordine di invadere la Balisicata per neutralizzare Nello Rega non ci sorprendeva per niente.
Ahinoi, siamo finiti vittime di una losca congiura: ci siamo fidati delle informazioni forniteci da persone serie ed affidabili come certe lesbiche di Damasco.
Degli errori tuttavia si deve fare pubblica ammenda: pare proprio che Hezbollah non abbia mai avuto intenzione alcuna di scendere in guerra contro Nello Rega, il quale sarebbe addirittura finito a dover rispondere di simulazione di reato.
Miguel Guillermo Martinez Ball dà sul suo kelebeklerblog.com la notizia degli ultimi sviluppi della situazione, in un post che copiamo ed incolliamo integralmente.
Sia il testo che i commenti -leggibili sul blog originale- fanno sfoggio di un piacevolissimo sarcasmo derisorio, perfetto finanche nella scelta dei corsivi e dei grassetti.

Il signor Nello Rega di Potenza è attualmente indagato per simulazione di reato dai pm Domenico Musto e Anna Gloria Piccinini.
Ricordiamo brevemente che Nello Rega dichiara di essere l’unica persona fuori dal Libano a venire regolarmente perseguitata dal movimento sciita libanese Hezbollah, per aver pubblicato presso una minuscola casa editrice la storia di come lui sia stato piantato da una fidanzata libanese.
Inoltre – ma per questo non viene indagato – si è anche dichiarato docente all’Università di Urbino, dove invece negano di conoscerlo.
Noi crediamo a Nello Rega su entrambi i conti (Nello Rega non è certo Francesco Guzzardi).
Quindi lanciamo un appello all’insegna di un concetto elementare: CI FIDIAMO DI NELLO REGA OGGI COME IERI.
Per il testo del messaggio, riprendiamo semplicemente una dichiarazione dell’on. Souad Sbai dello scorso 7 gennaio:

«Esprimo tutta la mia vicinanza e solidarietà all’amico Nello Rega, già da due anni nel mirino di un certo islam radicale per quanto accaduto la scorsa notte. Un grande professionista che ha sempre espresso in modo chiaro e onesto la situazione dell’estremismo islamico nel nostro Paese. Questo e’ l’ennesimo vile gesto condotto da attentatori senza scrupolo. Bisogna che lo Stato tuteli le persone che hanno il coraggio di denunciare, come fatto da Rega, le minacce terroristiche che si profilano sempre più violentemente in Italia».

Invitiamo a firmare questo appello tutti coloro che in passato hanno solidarizzato con Nello Rega, hanno tenuto conferenze assieme a lui, lo hanno invitato a presentare il suo libro, gli hanno regalato le chiavi delle loro città o lo hanno premiato.
Il momento è certo oscuro, ora che Hezbollah sembra essersi impossessato persino della magistratura lucana, nonché degli uffici dell’Università di Urbino. Ma con la Forza della Ragione si può vincere.
Cercando sul sito dello stesso Nello Rega e su Google, stiliamo una lista provvisoria delle persone che hanno solidarizzato in qualche modo con Nello Rega:



On. Souad Sbai
Vito Santarsiero
, Sindaco di Potenza
Valentina Colombo

Luca Caselli
, sindaco di Sassuolo
Claudia Sever
i, Assessore alla Pari Opportunità del comune di Sassuolo
Gianni Pittella
, vicepresidente vicario del Parlamento Europeo
Roberta Angelilli
, vicepresidente del Parlamento Europeo
On. Isabella Bertolini
Aldo Cazzullo
, Corriere della Sera
Gerardo Mariani
, sindaco di Muro Lucano
Monsignor Guido Mazzotta,
docente di Filosofia Teoretica alla Pontificia Universita’ Urbaniana
Enzo Iacopino
, presidente dell’Ordine dei Giornalisti
Roberto Natale
, presidente della FNSI
Franco Siddi
, segretario della FNSI
Vito De Filippo
, governatore della Basilicata
On. Renato Farina detto “agente Betulla”
Mimmo Sammartino
, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Basilicata
Alfonso Ernesto Navazio
, Presidente di Io Amo la Lucania
Alexandre Del Valle

Andrea Morigi
Hamza Boccolini

Gamal Bouchaib
Francesco Bongiorno

Fabio Massimo Parenti

Prof. Nicola Cerverizzo, governatore della 8^ Area del Panathlon International
Attilio Cavallaro
, curatore del Premio Internazionale Rosario Angelo Livatino e Antonino Saetta
Avvocato Loredana Gemelli
Paolo Sinisgalli
della Pro Loco di Gallicchio
I curatori del Premio di Critica Letteraria di Salò
I curatori del Premio per il giornalismo di San Fele – Penisola Sorrentina
I curatori del Premio “Incostieramalfitana 2010”
I curatori del Premio “Isis 2010”
Nicola Pagliuca
, capogruppo di Forza Italia nella Basilicata
Luigi De Lorenzo
sindaco del comune di Aliano
Associazioni giornalisti Cava-Costa d’Amalfi “Lucio Barone”

E poi Rai Uno: chi riconosce le facce in questo video, me lo dica.


mercoledì 26 ottobre 2011

"Il Giornale della Toscana": appuntamento annuale con le grane



Non è detto che la questione interessi qualcun altro a parte i diretti interessati. Anzi, l'impressione è che la notizia sia stata accolta a Firenze con la gelida indifferenza con cui vi vengono abitualmente accolti i sempre più frequenti rovesci subìti dall'"occidentalismo" politico e mediatico e dai suoi rappresentanti più o meno in vista.
Non si tratta neppure di una novità assoluta: questa volta a voler vedere morto "Il Giornale della Toscana", pare di capire, sarebbe qualcosa che si chiama Procura di Firenze.
Un anno fa, invece, era un certo Giuliano da Empoli. Il coro di starnazzi con cui fu accolta una sua pacatissima constatazione ci dette il pretesto per esaminare dettagliatamente da cosa fossero costituite le allora otto pagine del "Giornale della Toscana".
La valutazione che ne facemmo, soprattutto davanti alla pretesa di quella gazzetta di dare così lavoro "a venticinque famiglie", fu sarcastica, sbrigativa ed impietosa.
Nello stato che occupa la penisola italiana la vita di chi fa politica di piazza, mettendovi il più delle volte del proprio da ogni punto di vista e certo non sognandosi di pietire quattrini dagli enti pubblici o di spartire ciotole di maccheroni alla pummarola insieme a marmaglia con la cravatta, negli ultimi anni è stata complicata oltremisura dalla politica istituzionale e dalla gendarmeria, cui le gazzettine come quella del titolo tirano la volata con ogni sistema a disposizione. Gli istituti della delazione e del linciaggio a mezzo stampa hanno contribuito in modo molto rilevante all'imposizione di una visione del mondo ampiamente condivisa, in cui gli unici comportamenti non criminalizzabili a piacimento sono quelli di consumo ed in cui la guerra d'aggressione diventa prassi abituale, pur assumendo nomi più esotici e pragmatici come quello di "esportazione della democrazia". Inutile indugiare qui per l'ennesima volta sulle rendite, in termini di suffragi, che la politica "occidentalista" ha lucrato grazie al clima di terrore sociale e di repressione forsennata di cui gli sfaccendati dell'elettorato passivo e i gazzettieri a libro paga sono i primi responsabili; l'argomento è ben noto a chi legge.
Qualche volta però l'organizzazione, la "macchina del fango", come viene gazzettieramente definita da chi vorrebbe dare ad intendere di non farne parte, perde qualche colpo.
E una mattina d'autunno in via Cittadella, sede fiorentina de "Il Giornale della Toscana", sono arrivati i gendarmi che hanno trattato tutti come nogglòbal o bleccheblòcche qualunque.
Detto altrimenti, c'è stato un giro di vite e sono scattate le denunce contro il signor Girodivite e la signorina Scattaladenuncia; si vede che contro il signor Tolleranzazzèro qualcuno ha deciso di avere tolleranza zero.
Ora, le denunce che scattano, i giri di vite e le tolleranze zero vanno bene, anzi, benissimo; ma non contro chi si presenti in pubblico elegantemente vestito, non contro chi frequenti ristoranti e circoli di lusso.
E' lo stesso Riccardo Mazzoni -un diplomato pratese digiuno di orientalistica che deve un minimo di notorietà alle proprie iniziative da islamofobo da caffè- che in un piagnucoloso articolo scrive tra l'altro che
rispettabili professionisti sono stati svegliati poco dopo l'alba [...]. Ad una madre è stato impedito di accompagnare la bambina all'asilo finché la perquisizione domiciliare non era finita.
Insomma: non si fa, non si fa, non sono mica nogglòbal cui sequestrare felpe nere col cappuccio.
"Il Giornale della Toscana" ha dedicato mezzo issue, quello del 26 ottobre 2011, alla difesa del proprio diritto all'esistenza. La cosa non sorprendente è che questo diritto all'esistenza sia garantito da finanziamenti pubblici. E qui va spiegato perché la cosa non sorprende.
Per quanto ci è dato di ricordare gli "occidentalisti" hanno instancabilmente veicolato dapprima una concezione liberale del mondo e poi, in blocco da circa dieci anni a questa parte, un neoliberismo che veicola una visione del mondo scopertamente disumana e distruttiva nella sua stessa essenza.
Le due concezioni divergono radicalmente sulla concezione di essere umano, ma sono accomunate, se non a livello teorico sicuramente a livello di propaganda e di comunicazione politica, dalla contrarietà di principio al sostegno statale e dalla fiducia nella "mano invisibile" del mercato, alla quale tutto deve essere sacrificato.
In altre e più semplici parole, una gazzetta "occidentalista" i contributi statali non dovrebbe neppure sapere cosa sono. Con un po' di coerenza la questione neppure si sarebbe posta, e l'accolita di eroi della libertà che ha anche l'abitudine di presentarsi come "voce fuori dal coro" sarebbe stata l'unica responsabile della fortuna (o più facilmente della sfortuna) dell'impresa in cui si è andata a cacciare.
La stessa coerenza imporrebbe ai gazzettisti del "Giornale della Toscana" di astenersi almeno dal frignare chiedendo soccorso.
Ora, gli "occidentalisti" in genere conoscono benissimo dove abitino molti concetti deteriori, dalla malafede alla pura e semplice cattiveria spicciola, ma che indirizzo abbia la coerenza è una di quelle cose che in certi ambienti neppure si prende in considerazione.
Ed ecco spiegato perché nella loro reazione non c'è nulla da stupirsi.
Tra le altre gazzette che hanno dato notizia dell'accaduto c'è "Il Messaggero" di Roma. I commenti alla notizia sono tutti molto duri e sprezzanti.
E l'altro mezzo numero, sempre del ventisei ottobre? Peggio che mai: i pallonieri vestiti di viola hanno fatto le pallonate con quelli vestiti di bianco e nero, e pare abbiano avuto la peggio. In un giorno qualsiasi l'evento avrebbe pressoché monopolizzato l'uscita: l'avrebbe imposto l'assoluta gravità dell'accaduto. Eccole qui, le loro tragedie d'ogni giorno.

Post scriptum. Non contenti per la bella prova di autoreferenzialità del giorno avanti, il 27 ottobre i gazzettieri di via Cittadella tornano sulla questione delle perquisizioni e soprattutto dei sequestri, che hanno con ogni evidenza comportato anche il blocco di diversi conti bancari. In particolare tengono a far sapere a tutti che "In tasca c’è chi ha solo i soldi per la spesa".
Dal che si deducono due cose.
La prima, grazie alla bella sintassi del periodo, è che persone ai limiti dell'indigenza possono trovare posto in una tasca, probabilmente assieme ad altre meglio messe dal punto di vista economico.
La seconda è quella, ancora più ovvia, che chi "lavora" a quella gazzetta abbia disponibilità finanziarie che sempre più persone non possono neppure concepire. E di solito si tratta di persone che in via Cittadella non ci si è peritati di definire con i peggiori e più stigmatizzanti vocaboli messi a disposizione dal lessico corrente.

martedì 25 ottobre 2011

La guerra contro Nello Rega. Contrordine, fratelli di Hezbollah! Potete ritirarvi dalla Basilicata!


La bandiera di Hezbollah sventola sul Duomo di Potenza.

I nostri lettori più assidui ricorderanno come per qualche mese, all'inizio del 2011, avemmo ad occuparci insieme a Miguel Martinez del movimento sciita libanese, costretto per la prima volta nella sua storia a compiere azioni belliche lontano dal Libano del sud.
Davanti all'inqualificabile situazione dell'informazione pubblica nella penisola italiana, che ignorò in blocco la gravità della situazione, ci addossammo in pochi le incombenze che spettano al cronista obiettivo e coscienzioso.
Il blog Kelebekler aveva iniziato la cronaca circostanziata delle operazioni sul terreno a gennaio:
Hezbollah è un noto movimento politico libanese, attualmente impegnato in un conflitto con quattro potenti avversari:

* Gli Stati Uniti d’America
* Israele
* l’Arabia Saudita
* Nello Rega, giornalista di Potenza.

Al momento, l’unico fronte su cui si registrano attività militari è il quarto. I combattenti che hanno tenuto testa per 40 giorni alle armate di terra, di aria e di mare d’Israele, hanno però registrato finora un fallimento clamoroso nello scontro con Nello Rega.
Ma procediamo con ordine...
Ad aprile, lo stesso Kelebek accennava ad una preoccupante escalation chimica del conflitto, che nel frattempo si era inasprito al punto da obbligare Hezbollah a ricorrere ai paracadutisti. Il confronto si radicalizza nelle settimane che seguono, con Nello Rega che risponde con le diffide ai missili di Hezbollah.
Diffide che non devono aver sortito l'effetto sperato: Hezbollah ha continuato a setacciare la Basilicata battendo il terreno palmo a palmo, nella sorprendente ed inspiegabile indifferenza dei mass media del mainstream.
Dopo qualche mese senza notizie, durante il quale abbiamo pensato che la situazione fosse allo stallo e che davvero Nello Rega avesse potuto contare su armamenti e stratagemmi sconosciuti perfino al Mossad, veniamo a sapere proprio dal datore di lavoro di Nello Rega, il Televideo Rai:
MINACCE A GIORNALISTA REGA, AVVISO GARANZIA
Un avviso di garanzia, in cui si ipotizza la simulazione di reato, è stato notificato a Roma, al giornalista di Televideo Rai, Nello Rega, in relazione al colpo di pistola sparato contro la sua automobile la notte del 7 gennaio scorso, a pochi chilometri da Potenza.
Rega sarà interrogato il 3 novembre.
I pm ipotizzano che Rega abbia agito per simulare l'attentato ai suoi danni, e indagano per verificare anche la fondatezza di altre minacce denunciate
dal giornalista dopo la pubblicazione del suo libro "Diversi e divisi", sulla difficile convivenza tra cristiani e islamici. Lettere minatorie e una testa d'agnello nella sua automobile.

REGA: DIMOSTRERO' MIA ESTRANEITA'
"Incredibile, senza parole. Ho appreso di essere indagato. Da vittima, secondo i pm di Potenza, sono ora diventato un carnefice", è la replica del collega Nello Rega.
"Dopo dieci mesi durante i quali ho chiesto, invano, di essere ascoltato, di fornire dettagli su quanto mi è successo, di rientrare in possesso della mia autovettura - ha aggiunto - scopro che per i pm sono un criminale che ha inventato tutto". "Dimostrerò la mia estraneità ai fatti -conclude- credo nel valore della giustizia, anche per il Tribunale di Potenza, lo stesso che ha indagato sul caso Claps,e abbiamo visto come le indagini siano mancate".
Al momento in cui scriviamo la notizia è riportata anche da "Il Quotidiano della Basilicata" e da "La Gazzetta del Mezzogiorno", che non si pèritano certo di rincarare la dose.
E' verosimile a questo punto pensare che il mainstream abbia stavolta visto giusto, e che le nostre fonti che parlavano di una fitta presenza di guerriglieri con le barbe incolte intenti a mettere in condizioni di funzionamento batterie di missili tra Pietragalla ed Avigliano non fossero poi così affidabili.
Chissà. Forse c'era soltanto Nello Rega.
Nello Rega cui nessuno badava.
Nello Rega che la strada tra Pietragalla ed Avigliano doveva anche farsela a piedi, perché non gli avevano nemmeno restituito la macchina...

domenica 23 ottobre 2011

Le elezioni in Tunisia: i principali partiti politici presentati da Al Jazeera


La campagna elettorale per l'assemblea costituente, cominciata ufficialmente il primo ottobre
(Aude Osnowycz/Al Jazeera)


Quali partiti politici esistono in Tunisia?
Il 23 ottobre 2011 gli elettori tunisini potranno scegliere tra ottantun partiti e centinaia di candidati indipendenti.
Sam Bollier, 9 ottobre 2011.

A dieci mesi dall'insurrezione che ha posto termine alla lunga carriera di dominatore di Zine El Abidine Ben Ali ottantun partiti politici e centinaia di candidati indipendenti si sono schierati per competere nella tornata elettorale del 23 ottobre. Le consultazioni manderanno duecentodiciassette cittadini all'assemblea costituente, che riscriverà la costituzione del paese e deciderà la formazione del nuovo governo.
Fino allo scorso gennaio il Raggruppamento Costituzionale Democratico di Ben ALi (RCD) ha dominato ogni legislatura vincendo a mani basse consultazioni elettorali che i più ritenevano truccate. I partiti di opposizione cui era permesso di operare, come il Partito Democratico Progressista e lo Ettakatol, si contavano sulle dita di una mano. Altri partiti come l'islamico al-Nahda e il Partito del Congesso per la Repubblica, di centrosinistra, erano banditi e dovevano operare dall'estero.
Quella che segue è una rassegna di alcuni tra i partiti più importanti tra quelli che partecipano alle elezioni.



Al-Nahda (La Rinascita)
Al-Nahda (La Rinascita) è stato fondato nel 1981 ed è primo negli ultimi sondaggi; il 25% degli interpellati ha risposto che avrebbe votato il partito islamico. Nelle elezioni del 1989 Al-Nahda arrivò secondo dopo l'RCD. Poco dopo fu messo al bando ed il suo leader Rachid Gannouchi lasciò il paese per recarsi nel Regno Unito; dopo avervi trascorso venti anni, è di recente tornato in tunisia.
La Tunisia è uno dei paesi arabi più liberali dal punto di vista dei comportamenti sociali. Gli alti quadri del partito non intendono rinunciare a potenziali votanti, ed hanno sottolineato che il partito è favorevole all'uguaglianza di diritti tra uomini e donne. "Siamo contro l'imposizione del velo in nome dell'Islam e siamo contro il bando del velo in nome del laicismo o della modernità", ha detto Ghannouchi ad Al Jazeera.
Il modello dichiarato di Al-Nahda è il primo partito della Turchia, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP); Ghannouchi afferma che "Se dovete fare paragoni [con altre formazioni politiche] non potete farli con i talebani o con l'Iran; il paragone più adatto è quello con lo AKP... Ammiriamo la situazione turca e coloro che se ne sono assunti la responsabilità sono nostri amici".
Il partito sottolinea anche il suo sostegno alla democrazia, al pluralismo e, entro una certa misura, alla collaborazione con l'Occidente.
Nonostante tutto questo i laicisti nutrono ancora dubbi su Al-Nahda, cui il sostegno più deciso arriva dalle regioni interne e contadine della Tunisia. Il partito ha una buona organizzazione e il sito di notizie Tunisia Live ha scritto che ha sovvenzionato la rottura del digiuno durante il Ramadan ed anche cerimonie di nozze, nel tentativo di attirare elettori.

Il sito web di Al-Nahda, Al Nahda sul Libro dei Ceffi.


Partito Democratico Progressista
Anche il Partito Democratico Progressista (PDP), come Al-Nahda, ha una storia relativamente lunga. Fondato nel 1983 da Ahmed Najib Chebbi, è stato uno dei pochi partiti considerati legali durante il governo di Ben ALi. Il laico PDP considera Al-Nahda come l'avversario d'elezione: AFP ha scritto che Chebbi ha accusato Al-Nahda di voler mettere in piedi uno "stato ideologico".
Nel 2006 Maya Jiribi è diventata segretario del partito; la prima donna a ricoprire un incarico del genere in Tunisia. Fino a gennaio, Chebbi ha ricoperto la carica di ministro per lo sviluppo regionale. Il partito è favorevole ad un aumento del salario minimo, e ad operare dal punto di vista legislativo per attirare gli investimenti stranieri.
Secondo gli ultimi sondaggi, il PDP si colloca attorno al sedici per cento. Secondo l'esperto di scienze politiche Larbi Sadiki è verosimile che si crei una coalizione tra il PDP e la Libera Unione Patriottica (UPL) di Slim Riahi.

Il sito web del PDP, il PDP sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.


Ettakatol (Forum Democratico del Lavoro e della Libertà)
Ettakatol (noto anche come Forum Democratico del Lavoro e della Libertà o FTDL) secondo i sondaggi è testa a testa con il PDP. Si tratta di un partito di centrosinistra fondato nel 1994 e considerato legale solo dopo il 2002, che mette grande enfasi sulla trasparenza e per il quale la lotta alla corruzione rappresenta uno dei primi obiettivi. Coerentemente, Ettakatol ha pubblicato a settembre il bilancio del partito e le informazioni sui tesserati. Secondo Tunisia Live, ogni settimana vi si iscrivono circa ventimila nuovi membri.
Tunisia Live ha riferito anche che Ettakatol è uno dei pochissimi partiti politici tunisini ad invvocare una riforma del diritto ereditario perché si ispiri a criteri di uguaglianza tra uomo e donna, e a condannare le violenze sessuali tra le mura domestiche. Ciò nonostante, non ci sono donne capolista. Il partito sembra avere una solida base di volontari, che cercano potenziali elettori porta a porta illustrando la piattaforma del partito. Il partito ha messo in piedi anche una delle scene più vivaci presenti sui social network e si dice disponibile a coalizzarsi con qualunque altro partito democratico e progressista.
Nel corso dell'ultimo anno il presidente di Ettakatol Mustafa Ben Jaafar è stato per qualche tempo ministro della sanità.

Il sito web di Ettakatol, Ettakatol sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.



Partito del Congresso della Repubblica
Come Ettakatol, il Partito del Congresso della Repubblica (CPR) è laico e di centrosinistra. Fu fondato nel 2001 e messo fuori legge l'anno successivo. Moncef Marzouki, un medico attivista per i diritti umani, ha guidato il partito dal suo esilio francese facendo quest'anno ritorno in Tunisia.
Secondo il suo sito web, molto del programma del CPR riguarda i diritti civili; abolizione della polizia politica e della censura, lavoro legislativo in modo da assicurare le libertà fondamentali secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Il CPR non accetta finanziamenti dal mondo degli affari o da altre fonti esterne. Un recente sondaggio gli assegna l'otto per cento dell'elettorato.

Il sito del CPR, il CPR sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.


Libera Unione Patriottica
Di tutti i partiti politici fondati in Tunisia dopo l'insurrezione, la Libera Unione Patriottica (UPL) è forse il più interessante e controverso. L'UPL è stato lanciato quest'anno dal ricco trentanovenne uomo d'affari Slim Riahi, cresciuto da espatriato in Libia, dove ha fatto fortuna nel campo energetico ed in quello immobiliare. Riahi è rientrato in Tunisia quest'anno.
L'UPL, che si pensa sia abbondantemente finanziato da Riahi, si autodefinisce come partito di centro, sostenitore dell'economia di libero mercato e di valori modenristi. In un'intervista con Al Chourouk Riahi ha affermato di considerare Al-Nahda come il suo principale avversario ed ha rifiutato di cooperare con il partito islamico. L'UDP ha lanciato quest'estate una massiccia campagna pubblicitaria; uno degli unici tre partiti ad averlo fatto. Gli altri sono stati il PDP ed Ettakatol. Nonostante questo, il PDP nei sondaggi d'opinione ha appena il ruolo di comparsa.
In agosto Riahi ha annunciato di voler acquistare il venti per cento di Dar Assabah, un grosso editore giornalistico di stampa quotidiana. Il Financial Times ha riferito che i blogger tunisini temono che voglia diventare un "Berlusconi tunisino". Riahi non si è personalmente candidato.

Il sito dell'UPL, l'UPL sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.



Partito Comunista dei Lavoratori Tunisini
Il Partito Comunista dei Lavoratori Tunisini (PCOT), un partito marxista-leninista, è stato fondato nel 1986 ma è rimasto fuori legge fino all'inizio di quest'anno. La maggior parte dei suoi candidati che concorrono per l'assemblea costituente vengono dalle zone costiere del paese. Il PCOT è ben organizzato e gode di una particolare popolarità tra gli studenti. Molti dei cosiddetti "contestatori dalla kasbah" che hanno inscenato dimostrazioni a partire da gennaio nella piazza della Kasbah a Tunisi chiedendo più cambiamenti rivoluzionari nel sistema politico tunisino sono anche sostenitori del PCOT. Il PCOT è stato escluso dalla coalizione governativa formatasi dopo la caduta di Ben Ali. Il partito è guidato da Hamma Hammami, che dagli anni Settanta in poi è stato più volte incarcerato per la sua attività politica. Nel 1994, secondo quanto riferito da Amnesty International, Hammami è stato arrestato, torturato e minacciato di morte. L'ultima volta è stato in carcere lo scorso gennaio, per aver parlato con dei giornalisti delle manifestazioni che si susseguivano nel paese.

Il sito del PCOT, il PCOT sul Libro dei Ceffi.


Coalizione Modernista Democratica
La Coalizione Modernista Democratica (PDM) si è formata a maggio ed è un'alleanza di vari partiti, tra i quali Ettajdid (Rinnovamento), il Partito Socialista di Sinistra, il Partito Repubblicano e la Via Centrista.
Ettajdid è diventato legale nel 1993 dopo aver smesso di appoggiare il comunismo e dopo aver adottato un'ideologia di centrosinistra. Probabilmente è la componente più importante del PDM.
Il PDM è un movimento laico ed è l'unico partito di un certo rilievo in cui nella metà dei casi ci siano dei capilista donne. Schiera anche il candidato più giovane in assoluto, Amal Nasser, uno studente di ventiquattro anni. L'alleanza vede con favore l'abolizione della pena di morte, che è ancora in vigore in Tunisia anche se in disuso da circa vent'anni, e una riforma del diritto ereditario che non presenti discriminazioni sulla base del sesso.

Il PDM sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.


Afek Tounes
L'Afek Tounes è politicamente l'esatto opposto del PCOT. Questo partito di destra è stato fondato da economisti di orientamento neoliberista ed è capeggiato da Emna Mnif, un professore di medicina.
Secondo un'intervista a Mnif realizzata da Nawaat, Afek Tounes viene spesso considerato un partito elitario e borghese. A luglio Afek Tounes ha cercato di tenere un convegno a Sidi Bouzid, la città dove l'insurrezione tunisina è cominciata. I cittadini, credendo che Afek Tounes avesse a che fare con il Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD) di Ben Ali, hanno bruciato una bandiera del partito ed hanno impedito che il convegno si svolgesse. Un portavoce ha smentito i presunti legami con l'RCD.

Il sito di Afek Tounes, Afek Tounes sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.


Al-Waten (La nazione), Al-Moubendra (L'Iniziativa), Giustizia e Libertà, Indipendenza per la Libertà
Sono nati vari partiti dal Raggruppamento Costituzionale Democratico di Ben Ali.l Tra essi Al-Waten (La nazione), fondato da membri dell'RCD in passato ministri del commercio e del turismo o ministri dell'interno, Al-Moubendra (L'Iniziativa), Giustizia e Libertà, Indipendenza per la Libertà.



Hizb ut-Tahrir
Oltre cento partiti hanno ottenuto il permesso di schierare candidati per le elezioni dell'assemblea costitutente. Hizb ut-Tahrir, un partito panislamico di ispirazione salafita non ha avuto il permesso di partecipare perché le autorità tunisine pensano che i partiti che non rispettano i principi democratici non possano essere legalizzati. Il capo di Hizb ut-Tahrir Ridha Belhadj ha detto ad Al Jazeera "Noi non abbiamo bisogno dell'autorizzazione del governo, quella la abbiamo dalla gente".
Rispetto ad al-Nahda, Hizb ut-Tahrir è più piccolo e più conservatore. Il partito era fuori legge ai tempi di Ben Ali ed ha tenuto un congresso il quindici gennaio, il giorno dopo la fuga di Ben Ali dalla tunisia.


Partito Pirata di Tunisia
Il piccolo Partito Pirata di Tunisia si è guadagnato a gennaio l'attenzione dei mass media, quando vari appartenenti al partito furono arrestati e incarcerati dal regime di Ben Ali per aver partecipato alle proteste contro il governo. Dopo la partenza di ben Ali Slim Amamou, un appartenente al Partito Pirata che era stato torturato durante la detenzione, è diventato segretario di stato per lo sport e per la gioventù. Amamou, che è anche amministratore di una società che sviluppa sul web, ha tuttavia dato le dimissioni a maggio, dopo che il governo tunisino aveva deciso di bloccare svariati siti.
Il PPT ha qualche legame col movimento internazionale dei partiti pirata che sostiene la riforma del diritto d'autore, il diritto alla privacy e la trasparenza degli atti di governo. Il ministero dell'interno tunisino ha tuttavia affermato che non è prevista la legalizzazione del PPT in vista delle elezioni.

Il sito del PPT, il PPT sul Cinguettatore.


Candidati indipendenti
Candidati che non appartengano ad alcun partito possono concorrere come indipendenti, e presentare liste con propri candidati. Nonostante manchino spesso del sostegno economico ed organizzativo che l'appartenenza ad un partito può garantire, alcuni candidati indipendenti potrebbero riscuotere un discreto successo. Circa il quarantacinque per cento delle liste elettorali presentate all'authority tunisina per i processi elettorali sono state formate da candidati indipendenti, scrive Tunisia Live.
Ecco alcuni dei candidati indipendenti di maggior peso.
- Abdennaceur Laouini, un attivista di sinistra, un avvocato che ha guidato la protesta degli avvocati tunisini nel dicembre 2010. Laouini si presenta a Sfax. Ha riferito ad Al Jazeera che "i candidati inquadrati nelle liste indipendenti partono svantaggiati" perché "il processo elettorale è centrato sulle liste, non sulle persone; questo è un particolare che favorisce i partiti politici".
- Youssef Seddik, un antropologo e filosofo che guida una lista indipendente che si presenta in un sobborgo di Tunisi.
Abdelfattah Morou, un ex membro di al-Nahda che ha messo insieme venti liste indipendenti alleate, presenti un po' in tutto il paese.
- Riadh Guerfali, un blogger insegnante di legge che scrive per il sito dissidente Nawaat.org, che si presenta nella città di Biserta.
- Yassine Ayari, un attivista su internet contrario alla censura sul web, che si presenta a Zaghouan.


Fonte: Al Jazeera.


venerdì 21 ottobre 2011

Sherif el Sebaie - "Gheddafi: dopo la tragedia, la beffa".


Dal blog di Sherif el Sebaie.


Quando ho letto che la morte di Gheddafi sarebbe, secondo qualcuno, "una vittoria del popolo libico", mi sono messo a ridere di gusto, nonostante la tragica e sconvolgente barbarie con cui il Colonnello è stato liquidato. L'incalzare dei commenti allucinanti e festosi da parte di molti politicanti ha il sapore della beffa, visto che è chiaro anche per un bambino di tre anni che la cattura e la liquidazione di Gheddafi non sarebbe stata possibile senza l'intervento degli aerei francesi.
Anzi, per dirla tutta, gli stessi ribelli o mercenari - divisi, disorganizzati e privi di sostegno popolare, visto che le forze lealiste hanno resistito per mesi - non sarebbero andati molto lontano senza la copertura aerea della Nato sobillata dalla Francia, quella mediatica di Aljazeera eterodiretta dal Qatar (unico paese arabo a contribuire bellicamente) e il sostegno finanziario di tutti coloro che avevano un interesse materiale (o sono stati costretti dagli eventi) a portare a termine un "cambio di regime" in Libia. La disonestà intellettuale insita nel definire questa ennesima aggressione, pianificata a tavolino, una "rivolta popolare" dovrebbe essere evidente, ormai.
Bene ha detto Borghezio (dovrei cominciare a preoccuparmi?): non bisogna confondere il fu Colonnelo "con i nuovi dirigenti libici portati al potere dalle baionette della Nato e dalle multinazionali del petrolio". Ora stiamo a vedere se questi dirigenti saranno in grado di ricostruire (a suon di barili gratuiti) tutto ciò che i "liberatori" hanno distrutto: dal Grande Fiume Fatto dall’Uomo - il reticolato idraulico che raccoglieva l’acqua fossile del sahara in cui il Colonnello aveva investito miliardi di dollari - agli ospedali oppure se proseguiranno con "la caccia al negro" che hanno inaugurato nelle città da loro democraticamente occupate o se si metteranno a liquidarsi tra di loro, come hanno cominciato a fare con Gheddafi ancora in vita.
Non si sono neanche scomodati a fargli un processo farsa. Non hanno neanche avuto la pazienza di aspettare la prossima festa del sacrificio per appenderlo alla forca, come Saddam. No: un colpo alla testa e via col trascinamento e il pestaggio del cadavere, l'esposizione del corpo martoriato ai flash dei fotografi e alle telecamere, i macabri festeggiamenti. Gli egiziani dovrebbero essere davvero fieri, nonostante tutto: almeno Mubarak viene giudicato da giudici egiziani in un'aula di tribunale, come solo un popolo civile sa fare.
Gheddafi ha fatto la stessa fine di Mussolini, osannato per decenni salvo essere giustiziato senza processo e appeso a testa in giù non appena sono sbarcate le forze alleate. Destino beffardo per l'unico presidente arabo che è riuscito a chiedere e ottenere risarcimenti per il periodo colonialista, l'unico a denunciare platealmente (seppur con modo teatrali ed esagerazioni comiche) l'ipocrisia e la falsità di alcuni governi occidentali.
L'unica consolazione è che la sua stessa morte è una prova lampante di ciò che andava denunciando da una vita all'ombra di una tenda beduina.
Piantata, magari, a due passi dall'Eliseo.

giovedì 20 ottobre 2011

Tra Sirte e Misurata, 20 ottobre 2011


Da Repubblica.it, che mette oggi in homepage la guerra in Libia.

14:08 Berlusconi su fine Gheddafi: "Sic transit gloria mundi"
"Sic transit gloria mundi". E' il commento che Silvio Berlusconi avrebbe fatto sulla cattura di Gheddafi durante il gruppo del Pdl, secondo quanto riferito da alcuni presenti. Il premier avrebbe aggiunto: "Ora la guerra è finita".

Un'osservazione realista.
Avanti il prossimo, adesso.


mercoledì 19 ottobre 2011

"Una moschea per Firenze: è possibile parlarne senza alzare la voce?" - Incontro del 18 ottobre 2011


Il signor Elzir, imam di Firenze, presenta la riunione del 18 ottobre 2011

Il 18 ottobre 2011 si è tenuto a Firenze in una saletta di via dell'Agnolo un incontro inquadrato nel progetto di partecipazione "Una moschea per Firenze: è possibile parlarne senza alzare la voce?".
Come si legge sul sito che pubblicizza l'iniziativa,
L'obiettivo del percorso di partecipazione promosso dalla Comunità islamica di Firenze e Toscana è aprire un confronto pubblico, che coinvolga vecchi e nuovi residenti, cittadini musulmani e non, sul tema della realizzazione di una moschea a Firenze facendo emergere bisogni, aspettative, timori e priorità di ciascuno. Le indicazioni raccolte al termine del percorso di ascolto e coinvolgimento della cittadinanza serviranno alla Comunità islamica di Firenze per elaborare un eventuale progetto che sappia inserirsi nel miglior modo possibile nel contesto urbano fiorentino. [...] La gestione del progetto è affidata a un soggetto terzo e neutrale esperto in percorsi di partecipazione.
Davanti all'ingresso della struttura ha stazionato per tutta la durata dell'incontro un furgone della gendarmeria con una decina di militari in montura da "ordine" pubblico, particolare su cui si avrà motivo di tornare con calma. I partecipanti sono stati tutti registrati e videoripresi da più di un operatore.
Presentando la serata e prima di allontanarsi asserendo di non voler influenzare le discussioni con la sua presenza l'imam di Firenze Elzir ha tra le altre cose affermato, non certo per la prima volta, che l'iniziativa è voluta da una comunità islamica che intende realizzare qualcosa per la città. Ricordando le libertà costituzionali Elzir ha lasciato intendere che l'intera iniziativa, e soprattutto i settantacinquemila euro di costi che essa comporta per i sudditi, e che il gazzettame "occidentalista" lamenta ogni giorno come mal impiegati, avrebbero potuto benissimo essere evitati. Sarebbe bastato che le forze politiche "occidentaliste" non avessero fatto di un'islamofobia cialtrona e demenziale uno dei propri tratti distintivi, insieme alle continue lamentazioni sull'insihurezza e su i'ddegrado che in questa sede si ha molto spesso il piacere di disprezzare.
Nel suo discorso introduttivo il signor Elzir ha mostrato una padronanza della lingua ed una competenza argomentativa che i detrattori che monopolizzano il gazzettaio non arriverebbero a concepire neppure per ipotesi. Nella sentina che si autodefinisce "informazione libera" (o, peggio, "fuori dal coro") in tempi in cui il cicaleccio, l'urlo, l'aggressione fisica e verbale sono consustanziali ad una comunicazione politica che ha la sua abituale espressione nel linciaggio a mezzo stampa, la sicura tranquillità di una persona del genere ha poco diritto di cittadinanza e ancora meno diritto alla visibilità.
Le due ore dell'incontro hanno visto la partecipazione di un'ottantina di persone, più una decina tra gazzettisti ed altri addetti all'"informazione". L'acustica indescrivibile e la divisione dei partecipanti in tre gruppi hanno reso la discussione meno proficua di quanto avrebbe potuto essere, ma non impediscono di trarre alcune conclusioni sull'iniziativa e sui partecipanti, ad ovvio ed ulteriore detrimento per la marmaglia "occidentalista".
I toni, compatibilmente con un contesto in cui era difficile farsi sentire, si sono mantenuti sempre estremamente concilianti: solo da un dei tre tavoli ad un certo punto si è levato un inizio di concione quasi incomprensibile, ma nel quale ricorreva l'espressione "islàmme moderàho". A tanto si è limitata la presenza in spirito di Magdi Condannato Allam.
Per quanto ci è dato sapere i pareri alla moschea sono stati tutti favorevoli; alla discussione hanno portato contributi professionisti dell'architettura, delle scienze sociali e dell'educazione. Tutte persone che un trascurabile scaldatore di poltrone che risponde al nome di Tommaso Villa gratifica dell'appellativo di "truppe cammellate", in un articolo su quel "Giornale della Toscana" che unico è costretto a pubblicare ogni giorno il collodio di individui di questo genere.
Il problema autentico, per gli "occidentalisti", è che l'iniziativa ha visto il contributo di molte persone in grado di esprimersi con un grado variabile di competenza e di interesse, e di nessun mangiaspaghetti disposto a "dialogare" secondo la concezione "occidentalista" del vocabolo, che prevede l'inondazione dell'interlocutore con una valanga di insulti e di accuse ed il passaggio alle vie di fatto, alla delazione o alla denuncia appena esso accenni la minima reazione.
Quando le iniziative sono davvero aperte -bastava iscriversi- il metodo "occidentalista" della claque mediaticamente rivendibile perde efficacia ed espone i suoi partecipanti a reazioni logicamente e meritatamente pericolose per l'incolumità personale. Ecco una delle possibili spiegazioni dei gendarmi all'ingresso: a Firenze un "occidentalista" può comparire in pubblico solo con una forza pletorica a difenderlo.
A tanto sono, molto giustamente e molto logicamente, ridotti.
Ognuno ha quello che si merita.
Una discussione svolta con le modalità su riassunte si traduce di fatto in quello che nel linguaggio "occidentalista" è la deplorata "mancanza di partecipazione": il vocabolo partecipazione, nel gergo di quelli lì, significa "agibilità mediatica per qualcuno che urla e ciarla, saturando il canale mediatico e togliendo visibilità alle persone perbene". L'incontro del 18 ottobre era fatto da persone competenti e per persone competenti, il che ne ha giustamente escluso in partenza qualunque "occidentalista", per quanto ben vestito.
L'effetto della propaganda "occidentalista" è stato comunque notato, e riportato con malcelato disprezzo, da una delle partecipanti alla discussione, lavoratrice nel settore dell'istruzione primaria. Un aneddoto che l'ha vista testimone è servito, in mezzo a tanti altri, ad avvalorare la forza squassante dei luoghi comuni che il gazzettaio "occidentalista" diffonde senza requie in nome del tornaconto elettorale. Questi luoghi comuni hanno validamente contribuito ad isolare di fatto, secondo quanto descritto, centinaia di bambini: non certo per mancata integrazione, quanto per un'integrazione avvenuta con pieno successo. In "Occidente" gli individui vengono definiti esclusivamente dai loro comportamenti di consumo ed è sufficiente non consumare gli stessi beni che tutti consumano per essere considerati con un certo sospetto: il Libro dei Ceffi gronda autoschedature in cui si apprezzano cose rarissime e preziose, come "patate fritte" o "la punta di cioccolato" di certi gelati industriali. In questo contesto i bambini si definiscono e dividono tra loro come consumatori o non consumatori di carne di maiale, e definiscono le loro madri come aderenti o non aderenti all'uso dello hijab. La nefanda "integrazione" cui gli "occidentalisti" dicono di tenere tanto pare avviarsi a completamento.

Il nostro parere su una moschea fiorentina è noto, ma non è mai male ripeterlo.
Dal momento che chi lavora tutto il giorno non jha alcunché da temere da parte di gente che non beve vino, non mangia maiale e non sperpera denaro in abiti costosi, pensiamo che la moschea si debba fare, si debba fare a spese pubbliche sottraendo esplicitamente risorse ai capitoli "sicurezza" e "gendarmeria", si debba costruire con materiali di pregio ed avendo in mente un edificio che sia degno della città di Firenze, secondo le stesse linee di pensiero seguite a suo tempo per la sinagoga di via Farini. La miglior collocazione per l'edificio sarebbe a nostro avviso il lato orientale di piazza Ghiberti, una volta sgomberati e demoliti, possibilmente con gli stessi sistemi che gli "occidentalisti" vorrebbero usare contro i centri sociali e le case occupate, gli edifici che vi sorgono e che da troppo tempo ospitano attività e macchinazioni alla base di un degrado e di una insicurezza tanto autentici quanto invisibili ad occhi "occidentalisti".

Bisogna concludere che, sì, di una moschea a Firenze è possibilissimo parlare senza alzare la voce. Basta mettere l'occidentalame, gazzettiero e non, in condizioni di non poter intervenire senza esporsi ad un ovvio e meritatissimo dileggio.

domenica 16 ottobre 2011

Roma, 15 ottobre 2011. Omaggio a Sassicaia Molotov


Roma sarebbe, tra le altre cose, la città capitale dello stato che occupa la penisola italiana. Il 15 ottobre 2011 qualche decina di persone l'ha scelta come location per dare agli obesi delle gazzette e della "politica" un trascurabile saggio di ciò che è probabile li attenda nel prossimo futuro.
La cosa, agli obesi ben vestiti di cui sopra, non è piaciuta gran che: la devastazione di sedi istituzionali va bene finché si tratta di Baghdad, distruggere auto di lusso è giusto e corretto, ma a Tunisi, aggredire la gendarmeria è degnissimo di lode purché si indossi qualche cosa di verde e ci si limiti a farlo nelle strade di Tehran.
E il PDL, con la specchiata moralità e con l'altezza di valori rappresentati dal suo elettorato passivo, non è certo un'agenzia di collocamento per buoni a nulla capaci soltanto di mangiare maccheroni e di visionare filmati pornografici: nulla autorizza quindi a vandalizzarne le sedi.
Insomma, questa roba qui, no, non va bene.
Specialmente all'ora dell'aperitivo.
Il caso è in un certo senso sorprendente perché, contrariamente a quello che avrebbero fatto pensare gli sviluppi involutivi in atto in tutto il mondo, non ha condiviso l'anomia delle rivolte da banlieue, quelle, per intenderci, in cui si distrugge l'utilitaria del vicino di casa, o gli intenti meramente saccheggiatori degli ultimi riots verificatisi nel Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord.
L'impressione è che gli obiettivi siano stati scelti con una certa cognizione di causa tra quelli maggiormente oggetto di un risentimento diffuso ed ampiamente condiviso. Un risentimento che cova da anni, se non da decenni, la cui onda si infrange soltanto sulla porta di redazioni intente a fornire tutti i giorni al pubblico una rappresentazione del reale che pare riferirsi più alla luna che alla realtà quotidiana.
In questa rappresentazione gazzettiera del "reale" abbondano quotidianamente le scene di devastazione autentica, non quella delle sassate e delle vetrine rotte, provocate da una serie di iniziative che va dall'intromissione armata negli affari altrui alla redenzione a mezzo missili intercontinentali di democrazie prive di bollino di approvazione, fino all'esportazione della "democrazia" medesima attuata con gli stessi sistemi. Queste scene hanno di solito pari visibilità con quelle in cui compaiono donne giovani e con pochi vestiti addosso. Per le gazzette e per il loro pubblico la differenza tra i due soggetti non dev'essere poi sostanziale.


La foto è stata scattata nei pressi dell'Esquilino, a Roma, attorno alle cinque del pomeriggio del 15 ottobre 2011. Il signore che impugnava il cartello aveva sottobraccio anche un drappo a strisce verde, bianca e rossa: probabilmente la bandiera dello stato che occupa la penisola italiana, la cui ostentazione in pubblico, in assenza di eventi di importanza vitale come le pallonate al pallonaio, è spesso segno distintivo degli "occidentalisti".
La realtà lunare delle gazzette, che sono i principali responsabili della propaganda "occidentalista" e in fin dei conti dell'attuale stato di cose, fa il paio -quando non coincide- con la realtà lunare della "politica istituzionale". E' probabile che questo abbia provocato qualche dolorosa disillusione, documentabile con immagini come questa. Un'immagine che ci dà dunque modo di omaggiare il blogger Sassicaia Molotov prendendo a prestito un'espressione tipica del suo sarcasmo.
"Pensavo che la politica fosse passione, amore per il proprio paese... Mi avete insegnato che è solo uno sporco gioco, fatto da stronzi corrotti e vigliacchi! Grazie."
Ben levato. Cappuccino e pezzo?

venerdì 14 ottobre 2011

Qui il Sepah-e Pasdaran-e Enqelab-e Eslami: il tempo di un altro whisky e poi ammazziamo l'ambasciatore saudita...



Nell'ottobre 2011 il gazzettaio "occidentale", ed in modo particolare quello che ha la penisola italiana come campo di diffusione, è alle prese col sempiterno problema di raccontare fandonie al pubblico, che nelle circostanze attuali serve più che mai ad occultare una situazione economica e sociale in pieno e conclamato disfacimento.
Fare roba del genere lo chiamano "libera informazione".
La "libera informazione", in "Occidente", tiene un inventario periodicamente aggiornato di qualunque situazione e di qualunque contesto sociale non abbiano raggiunto quel grado di mercantilizzazione e di frammentazione che li rendano assimilabili al di là di ogni ragionevole dubbio ai "valori occidentali", e ne sottopone periodicamente gli elementi a campagne denigratrici, indicando al proprio pubblico il nemico del giorno secondo una scala che va dal barbone che usa le strade come strade e le piazze come piazze nel contesto locale, alla media potenza che si postula intenzionata a sviluppare armi nucleari da puntare contro gli alberghi di lusso e le modelle poco vestite di qualche altrettanto postulata "democrazia" nel contesto geopolitico.
La Repubblica Islamica dell'Iran, insopportabile bastone tra le ruote per la libera diffusione della cosmesi, della pornografia, del gioco d'azzardo e di altre abitudini di consumo "occidentalmente" virtuose, è oggetto dacché esiste di un fuoco di fila continuo: in attesa di redimerne coi missili la ostica e riottosa popolazione e l'ancor più ostica e ancor più riottosa classe politica, non esiste alcuna nefandezza che non le venga attribuita. Le gazzette non operano mai la minima verifica, col risultato di dare ogni giorno voce a menzogne inverosimili puntualmente presentate come dati di fatto.
Da questo punto di vista la Repubblica Islamica dell'Iran costituisce un'eccezione perché contrariamente ad altre realtà di qualunque genere e su qualunque scala il bias denigratorio nei suoi confronti non è mai venuto meno. I sudditi, in "occidente", non devono essere neppure sfiorati dalla possibilità di farsi un'idea realistica di cosa essa sia.
I gazzettieri esibiscono ogni giorno vicende in cui non si saprebbe dire dove inizia la cialtroneria e dove finisce la malafede: basta prendere due o tre ingredienti che poi sono sempre i soliti, variare un po' le dosi e il numero di colpi di mestola, ed ecco servito il pastone propagandistico del giorno. Passate per il momento di moda le lapidazioni, anche perché le nazioni prime esportatrici di democrazia hanno mostrato di poter dire la loro perfino in questo campo, restano grosso modo la forca -quella altrui- e il terrorismo.
Cominciamo con la forca. Alla fine di settembre hanno tirato fuori la storiella dell'apostasia per pietire la benevolenza internazionale verso un tale che se fosse stato di Caserta o di Durazzo sarebbe finito a fare da bersaglio per tutti i carnefici da gazzetta in vena di commenti.
E veniamo al terrorismo. Dopo due giorni dal caso su descritto è venuta fuori una ingarbugliata storia di complotti internazionali con protagonisti che definire improbabili è limitativo. Pare ci fosse da ammazzare nientemeno che l'ambasciatore saudita in AmeriKKKa e questo non va bene perché sulle "eliminazioni selettive", con buona pace delle "vittime collaterali", l'esclusiva ce l'hanno i sionisti e gli yankee.
La cosa è durata lo spazio di un mattino: tale era l'implausibilità della cosa che perfino il gazzettame on line più involuto non l'ha tenuta in home page più di qualche ora.
Juan Cole è un professore di storia dell'Università del Michigan autore di alcune pubblicazioni sui rapporti tra "Occidente" e mondo islamico intesi nella loro prospettiva storica. Sul suo blog Informed Comment esprime alcune considerazioni, prima caute e poi assai pesanti, sulla cialtronata antiiraniana del giorno.
Presentiamo la traduzione delle considerazioni caute, espresse per prime, seguita da quelle assai più caustiche pubblicate il giorno successivo.


C'è un cartello iraniano della droga dietro il piano per assassinare l'ambasciatore saudita?
Juan Cole, 12 ottobre 2011

Come hanno precisato molti osservatori, la storia raccontataci dal procuratore generale Eric Holder su un presunto complotto iraniano per assassinare l'ambasciatore saudita a Washington non sta in piedi. L'agente esperto della CIA Bob Baer, adesso in pensione, fa notare che i servizi segreti iraniani agiscono in modo altamente professionale e lavorano per contro proprio o attraverso tramiti di provata affidabilità: condurre operazioni tanto cialtrone semplicemente non fa parte del loro modo di agire.
Gli Stati Uniti vanno sostenendo il coinvolgimento di Gholam Shakuri, noto appartenente alla Brigata Quds (le forze speciali dei Guardiani della Rivoluzione iraniane): si sarebbe avvalso di un agente statunitense di origine iraniana, Manssor Arbabsiar, un rivenditore di auto usate condannato per frode bancaria. Arbabsiar ha depositato centomila dollari su un conto che pensava appartenesse ad un membro della banda di narcotrafficanti messicani chiamata Zeta, come acconto del milione e mezzo di dollari chiesti da alcuni appartenenti ad essa per commettere l'omicidio. Se Arbasiar fosse stato davvero un membro dei servizi segreti iraniani avrebbe senz'altro saputo che i bonifici di importo superiore ai diecimila dollari sono qualcosa che gli Stati Uniti controllano in modo sistematico: si tratta di un provvedimento contro il riciclaggio dei proventi del narcotraffico. L'unico modo sicuro per portare a termine uno scambio di questo genere sarebbe effettuarlo in contanti; nessuno nella Brigata Quds è così scemo da non sapere qualcosa di tanto semplice. La Brigata Quds poi davvero si fiderebbe fino a questo punto da qualcuno già condannato per frode, e per questo noto alle autorità statunitensi? Il terrorismo esperto schiera gente pulita, che può volare più bassa dei radar della polizia e delle forze di sicurezza.
L'articolo di Bloomberg sul San Francisco Chronicle ci fornisce qualche dato plausibile su quello che può essere successo:
"Arbabsiar ha anche rivelato all'informatore che gli stessi mentori iraniani che si trovavano dietro il piano per l'assassinio controllavano anche un traffico di droga, e che potevano fornire tonnellate di oppio, ha detto il funzionario della polizia federale"
In altre parole Shakuri, il superiore di Arbabsiar, può aver messo in piedi un'altra attività ad affiancare il suo lavoro quotidiano nei Guardiani della Rivoluzione, entrando in una banda di trafficanti di oppio e di eroina che porta la roba dall'Afghanistan attraverso l'Iran e da lì verso l'Occidente. Circa la metà di tutto l'oppio e di tutta l'eroina afghani vengono esportati passando dall'Iran.
Se un gruppo criminale iraniano coperto dai Guardiani della Rivoluzione volesse colpire l'ambasciatore saudita, effettivamente troverebbe naturale rivolgersi alla propria controparte messicana, gli Zeta. Invece, se lo stato iraniano volesse assassinare qualcuno agirebbe in modo semplicemente folle se rivelasse queste intenzioni ad un gangster messicano.
Perché poi rifarsela con i sauditi? Una banda iraniana potebbe avere dei problemi con la versione saudita della guerra alla droga. Dopotutto, alcuni suoi appartenenti potrebbero esser stati presi nella rete. O potrebbero anche essere irritati dal fatto che le bande paramilitari sunnite sostenute dai sauditi in Iraq e in Siria si siano impadronite delle vie di traffico, tagliandone fuori gli iraniani.
Non possiamo escludere a priori la possibilità di un piano ordito direttamente dal governo iraniano. Il dittatore cileno Augusto Pinochet dopotutto fece assassinare il dissidente (ed ex ambasciatore) Orlando Letelier a Washington nel 1976.
I rapporti tra Iran e Arabia Saudita si sono inaspriti a causa dei disordini in Siria, con i sauditi che sostengono l'opposizione al governo. In Bahrain i sauditi hanno aiutato la repressione del movimento che voleva maggiori aperture, irritando gli iraniani. I cablogrammi raccolti da Wikileaks hanno mostrato che dietro le quinte i sauditi hanno più volte fatto pressione sugli Stati Uniti perché attaccassero l'Iran. Fra le due potenze regionali c'è qualcosa di simile ad una guerra fredda, e il piano di cui stiamo parlando potrebbe farne parte. Personalmente sono d'accordo con Baer: tutta la faccenda è stata condotta in modo troppo dilettantistico per essere un'iniziativa del governo iraniano.


Confondere le acque sul Maxwell Smart iraniano [*]
Juan Cole, 13 ottobre 2011

Non capisco come i mass media statuitensi possano riferire cose come queste su Manssor Arbabsiar e poi avere la faccia tosta di ripetere che il governo statunitense lo accusa di essere parte di un piano di assassinio concepito ai massimi livelli del governo iraniano.
Ci sono molte possibilità che Arbabsiar sia clinicamente folle, questo pare ovvio.
Ecco le dieci ragioni più importanti per cui non può davvero essere la risposta iraniana a 007.
10. A Corpus Christi, in Texas, Arbabsiar era famoso "perché via di testa in maniera quasi comica".
9. La memoria a breve termine gli funziona male, probabilmente a causa di un'aggressione a coltellate subita nel 1982.
8. Perdeva sempre il telefono cellulare.
7. Metteva sempre le chiavi nel posto sbagliato.
6. Dimenticava sempre la valigetta o le sue carte dentro qualche negozio.
5. "Non sapeva cosa volesse dire avere un minimo di organizzazione", ha fatto notare un suo ex socio in affari.
4. Da comproprietario di una rivendita di auto usate, perdeva sempre i titoli di proprietà delle vetture.
3. Arbabsiar, al contrario di quello che farebbe un musulmano sciita fondamentalista, può esser stato un alcolista; il suo soprannome è Jack a causa della sua passione per lo whisky Jack Daniels.
2. Arbabsiar non soltanto beveva troppo, ma usava droghe e frequentava prostitute. Una volta in un bar prese a parlare ad alta voce dell'idea di tornarsene in Iran, dove poteva avere una ragazza iraniana per una cinquantina di dollari. Si comportava in maniera maleducata ed era stato buttato fuori da alcuni locali.
1. Tutte le attività che ha intrapreso sono fallite una dopo l'altra.

La parabola discendente di Arbabsiar, con la recente perdita del mutuo, il fallimento di tutte le sue attività e l'abbandono da parte della seconda moglie, insieme ai suoi indiscutibili problemi cognitivi mi fanno pensare che stia scivolando verso la follia.
Ieri ho detto che Arbabsiar e suo cugino Gholam Shakuri potevano anche aver fatto parte di una banda di trafficanti iraniani. Ma dopo che sul conto di Arbabsiar sono venute fuori tutte queste cose, devo dire che non lo credo possibile. In conclusione, penso che tutta la storia sia campata in aria.
Che uno svitato di dimensioni colossali come questo Arbabsiar possa aver pensato di essere un agente segreto governativo è del tutto plausibile. Sono sicuro che può essegli venuto in mente ogni genere di cose. Ma che fosse davvero un agente segreto è semplicemente una cosa da non credersi.
D'accordo, Qasim Soleimani, il capo delle Brigate Qods che sono le forze per le operazioni speciali del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, può non piacere. Ma è un individuo di una tale competenza che il personale statunitense in Iraq è ampiamente propenso a credere che laggiù egli sia riuscito più volte a superarli ed a sconfiggerli.
L'idea che Soleimani si stesse servendo di un ubriacone incompetente senza memoria e senza senso dell'organizzazione come Arbabsiar per una delle missioni terroristiche più pericolose e delicate mai tentate dalla Repubblica Islamica dell'Iran crolla in modo ridicolo.
Inoltre ci sono ottimi motivi per pensare, come Jeffrey Toobin ritiene possibile, che Arbab sia stato incastrato da un corriere della droga a libro paga del governo statunitense, che avrebbe in primo luogo suggerito ad Arbabsiar la maggior parte dei dettagli più importanti. Se davvero Arbabsiar è un soggetto mentalmente disturbato come lo dipinge l'articolo dello Washington Post, può anche esser stato particolarmente suggestionabile e dunque un soggetto pressoché ideale da incastrare.
Qui l'Iran non c'entra niente. Arbabsiar ha spostato i centomila dollari da un paese terzo a quello che pensava fosse il conto di un narcotrafficante messicano. I soldi non sono arrivati direttamente dall'Iran ed anche se così fosse stato non c'è alcuna ragione per pensare che si tratti di fondi statali. Arbabsiar diceva di possedere in Iran beni pari a due milioni di dollari; per quanto ne sappiamo, perso com'era nelle sue fantasie, pouò aver cominciato ad aver voglia di darsi alla pazza gioia con il patrimonio di cui disponeva a Kermanshah.
La denuncia presentata dal Ministero della Giustizia afferma che Abrabsiar si vantava del fatto che suo cugino (Gholam Shakuri) fosse "un generale" in Iran, ma che aveva lavorato in borghese all'estero e che "era stato alla CNN".
Due di queste tre affermazioni sono delle ovvie falsita; perché mai dovremmo credere a qualsiasi altra cosa Arbabsiar abbia detto in merito a suo cugino? In particolare, va notato che è soltanto un'ipotesi del Ministero della Giustizia a sostenere che la descrizione che Arbabsiar fa di suo cugino faccia ritenere Shakuri un appartenente al Corpo del Guardiani della Rivoluzione. Adbabsiar non lo identifica con precisione e si limita a dire che è un generale che viaggia in abiti civili. Questo generale non esiste.
Arbabsiar ha una presa chiaramente labile sulla realtà: chiamare in causa i Guardiani della Rivoluzione sulla base di queste affermazioni vaghe ed assurde non sarebbe affatto saggio.
Che Eric Holder abbia tirato fuori questa boiata, che adesso viene utilizzata per fare politica ai massimi livelli, mi lascia semplicemente esterrefatto. Che un ex corriere della droga messicano pagato dai contribuenti americani possa aver pensato di migliorare la propria carriera baloccandosi con un immigrato iraniano cui manca più di un venerdì non è cosa che possa sorprendere. Che bastasse mettere un minimo di impegno per ficcare in testa ad Arbabsiar qualunque complotto strampalato è altrettanto ovvio. Che qualcuno al Ministero della Giustizia o qualcuno di quelli che determinano la politica estera degli Stati Uniti abbia davvero preso seriamente tutto questo, invece, non è plausibile. Io penso che si siano tutti comportati disonestamente e che stavolta toccherà ad Obama cercare di confondere le acque davanti alla prospettiva di una sconfitta ad opera delle ben curate manine di Romney, l'anno prossimo di questi tempi.


[*] Maxwell Smart è l'imbranato agente segreto protagonista di una serie televisiva yankee trasmessa negli anni Sessanta.