Traduzione da Asia Times.
Londra - C'è qualcuno cui deve piacere il rumore dei caccia francesi Mirage 2000, di mattina. Sembra di sentire il profumo... di una bella colazione di stile neocoloniale, in salsa Hollandaise [1]. Ma diciamo pure in salsa Quagmire [2].
Apparentemente, tutto questo è assolutamente idiota. In Mali vivono quindici milioni e ottocentomila persone; il prodotto interno lordo è di mille dollari pro capite e l'aspettativa di vita media arriva a malapena a cinquantun anni. Tutto questo in un territorio che è grande il doppio della Francia, il cui P.I.L. pro capite è oltre trentacinque volte più alto. Adesso, qusi due terzi di questo territorio sono occupati da arnesi islamici armati fino ai denti. Che si fa? Si bombarda, belli. Si bombarda.
Sicché ecco l'ultimissima guerra in Africa; i Mirage e i Gazelle frabncesi di base in Ciad, più chissà quanti Rafale basati in Francia, stanno bombardando i perfidi jihadisti islamici nel Mali settentrionale. Gli affari vanno bene: il presidente francese François Hollande mercoledi scorso era ad Abu Dhabi a vendere sessanta Rafale a quel monumento di democrazia del Golfo Persico che sono gli Emirati Arabi Uniti.
Hollande, un tempo tentennante -adesso ha pesantemente riconvertito la sua immagine a quella di "risoluto" e di "determinato"- si è comportato in maniera intelligente e ha presentato questi aerei come quelli che stanno riducendo in cenere gli islamici della savana, prima che quelli salgano su un volo sola andata Bamako-Parigi per bombardare la Tour Eiffel.
Le forze speciali francesi sono presenti sul terreno, in Mali, dall'inizio del 2012.
Il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad, a guida tuareg, afferma edesso per bocca di uno dei suoi leader che è "pronto ad aiutare" l'ex potenza coloniale, presentandosi come meglio a conoscenza della cultura e del terreno di quanto non lo siano le forze militari di cui si prospetta l'intervento, appartenenti alla Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale.
Gli jihadisti salafiti del Mali hanno un grosso problema: hanno scelto il campo di battaglia sbagliato. Se fossero stati in Siria sarebbero stati sommersi di armi, basi logistiche, un "osservatorio" con base a Londra, ore di video su Youtube e un sostegno diplomatico a tutto campo dai soliti sospetti: gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Turchia, le petromonarchie del Golfo e -
oui, monsieur- la stessa Francia.
Invece, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU gli ha chiuso la porta in faccia più veloce che in un fumetto coi personaggi della Marvel, autorizzando puntuale che gli si facesse la guerra. I loro vicini dell'Africa Occidentale, parte dell'organizzazione regionale ECOWAS, sono stati messi davanti ad una scadenza (gli ultimi giorni di novembre) per presentare un piano operativo. Ora, siamo in Africa, e non è successo nulla; i combattenti islamici hanno dunque continuato a guadagnare terreno fino ad una settimana fa, quando Parigi ha deciso di condire la questione con un po' di salsa Hollandaise.
Nemmeno uno stadio di calcio riempito con tutti i migliori sciamani dell'Africa occidentale sarebbe riuscito a mettere insieme una manciata di paesi impoveriti e diversissimi tra loro perché organizzassero un intervento armato con così poco preavviso, neppure se tutta l'avventura fosse stata finanziata dall'Occidente come nel caso dell'esercito a guida ugandese che sta combattendo contro gli Shehab della Somalia.
La ciliegina sulla torta è data dal fatto che di tutto si tratta meno che di una passeggiata. Gli jihadisti salafiti sono ben forniti di denaro, grazie al traffico di cocaina -in costante ascesa- tra Sud America ed Europa via Mali; e poi c'è la tratta degli esseri umani. Secondo l'ente di controllo per le droghe delle Nazioni Unite, passa dal Mali il sessanta per cento della cocaina destinata all'Europa. Se consideriamo il prezzo della cocaina nelle piazze di Parigi, si tratta di oltre undici miliardi di dollari.
La tempesta avanza
Il generale Carter Ham è a capo dell'AFRICOM del Pentagono ed ha passato mesi ad avvertire sulla possibilità che si verificasse una crisi di grosse proporzioni. Era una profezia autorealizzante. Ma cosa sta davvero succedendo in quella che il New York Times descrive, con termini poco usuali, come "le estese e turbolente contorsioni del Sahara"?
Tutto è cominciato con un colpo di stato militare nel marzo del 2012, appena un mese prima che in Mali si tenessero le elezioni presidenziali. Il colpo di stato ha deposto l'allora presidente Amadou Toumani Toure ed i suoi autori si sono giustificati affermando che si trattava della reazione all'incompetenza dimostrata dal governo nella lotta contro i Tuareg.
Il colpo di stato è stato portato a termina da un capitano di nome Amadou Haya Sanogo, che al Pentagono è abbastanza di casa; ha partecipato ad un corso base di quattro mesi per ufficiale di fanteria a Fort Benning, in Georgia, nel 2010. In sostanza Sanogo è stato cooptato dall'AFRICOM in un piano regionale che vede coinvolto il programma di partnership del Dipartimento di Stato contro il terrorismo transsahariano e l'operazione Enduring Freedom del Pentagono. Non occorre specificare che in tutto questo trafficare di "libertà" il Mali è stato il proverbiale "alleato immobile" come partner nella lotta al terrorismo, molto teoricamente incaricato di combattere la Al Qaeda nel Maghreb Islamico.
Negli ultimissimi anni il gioco di Washington è diventato un praticare il voltafaccia ai suoi massimi livelli artistici. Durante il secondo mandato di George Diabolus Bush le Forze Speciali sono state molto attive, fianco a fianco con i Tuareg e gli algerini. Durante il primo mandato di Obama esse hanno iniziato a sostenere il governo del Mali contro i Tuareg.
Un pubblico che non ha niente da sospettare può leggere i giornali di Rupert Murdoch -il Times di Londra, per esempio- e i loro cosiddetti esperti di questioni di difesa che inizieranno a cianciare a ruota libera del Mali senza neppure sfiorare l'argomento delle conseguenze della guerra in Libia.
Muammar Gheddafi ha sempre sostenuto la tendenza indipendentista dei Tuareg. Fin dagli anni Sessanta l'obiettivo del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad è stato quello di liberare l'Azawad, ovvero il Mali settentrionale, dal governo centrale di Bamako.
Dopo il colpo di stato del marzo 2012 è parso che il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad fosse sulla cresta dell'onda. Aveva piantato bandiera su qualche edificio governativo, e il 5 aprile aveva annunciato la nascita di un nuovo stato Tuareg indipendente. La "comunità internazionale" li aveva trattati con repulsione, per ritrovarsi di lì a qualche mese con il Movimento messo ai margini nella sua stessa regione di origine da altri tre gruppi, di orientamento islamista: lo Ansar ed-Din ("I difensori della fede"), il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale, e lo Al Qaeda nel Maghreb Islamico.
Ecco le parti in campo
Il
Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad è un movimento Tuareg di orientamento laico, nato nell'ottobre del 2011. Sostiene che la liberazione dell'Azawad permeterà una migliore integrazione ed un migliore sviluppo per tutti i popoli della regione. Dispone di uno zoccolo duro di combattenti fatto da Tuareg provenienti dall'esercito di Gheddafi, ma ci sono anche ribelli che non hanno mai deposto le armi dopo la ribellione dei Tuareg del 2007-2008, ed alcuni altri che sono disertori dell'esercito del Mali. Quelli che sono rientrati dalla Libia dopo che Gheddafi è stato giustiziato dai ribelli libici spalleggiati dalla NATO sono tornati pieni di armi, nonostante la maggior parte degli armamenti pesanti siano finiti in mano ai ribelli filo-NATO, che sono combattenti islamici sostenuti dall'Occidente.
Al Qaeda nel Maghreb Islamico è la branca nordafricana di Al Qaeda, che giura fedeltà al
Dottore, che è Ayman Al Zawahiri. Le due figure di maggior rilievo sono quella di Abu Zaid e di Mokhtar Belmokhtar, che vengono dalle file della filiazione algerina ultraradicale del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento. Belmokhtar ha combattuto da jihadista in Afghanistan, già negli anni Ottanta.
Abu Zaid si atteggia a "Geronimo" nordafricano, ovvero a Osama Bin Laden, con la bandiera nera di prammatica e un Kalashnikov strategicamente esposto che campeggiano in bella evidenza nei video che diffonde; tuttavia il leader storico rimane Belmokhtar. Il problema è che Belmokhtar, che i servizi segreti francesi chiamano "l'inafferrabile", si è di recente unito al Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale.
I combattenti del
Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale provengono tutti da Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Nel giugno del 2012 il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale ha cacciato il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad dalla città di Gao e ne ha assunto il controllo applicando immediatamente in essa la Sharia intesa nei suoi aspetti peggiori. I Rafale francesi hanno bombardato in questi giorni proprio la base del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale. Uno dei suoi portavoce ha minacciato senza mezzi termini, e "in nome di Allah", di reagire attaccando "il cuore della Francia".
Infine c'è
Ansar ed-Dine, che è una formazione islamica Tuareg organizzata nel corso dell'ultimo anno e diretta da Iyad al Ghali, un ex capo del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad autoesiliatosi in Libia. Si è rivolto all'ideologia salafita, inevitabilmente, a causa degli attivisti pachistani che hanno avuto campo libero in nord Africa; poi si è impegnato per un periodo apparentemente considerevole con molti emiri di Al Qaeda nel Maghreb Islamico. E' interessante notare che nel 2007 il preidente del Mali Toure nominò Ghali proprio consulente a Gedda, in Arabia Saudita. Ghali fu messo alla porta senza preavviso nel 2010, per aver assunto posizioni troppo vicine all'Islam radicale.
Un altro po' di terrorismo, per favore
In Occidente non c'è nessuno che si stia chiedendo come mai il colpo di stato militare ordito dall'amico del Pentagono Sanogo sia finito cib qyasu due terzi del territorio del Mali in mano a combattenti islamici che hanno imposto una versione intransigente della Sharia in tutto l'Azawad, ed in particolare a Gao, a Timbuctù e a Kidal, con una serie granguignolesca di esecuzioni sommarie, amputazioni, lapidazioni e la distruzione dei mausolei di Timbuctù. Com'è potuto succedere che l'ultima rivolta dei Tuareg sia stata dirottata da poche centinaia di combattenti islamici intransigenti? Inutile girare la domanda ai droni statunitensi.
Il linguaggio dei comunicati ufficiali della seconda amministrazione Obama, che tutto controlla da dietro le quinte, anticipa in questo senso gli eventi futuri: i bombardamenti francesi "possono colpire gli jihadisti" in ogni pare del mondo e sfociare in attacchi contro l'Occidente (e in cosa d'altro, viene da chiedersi). Ancora una volta, la buona vecchia guerra mondiale al terrorismo resta il solito serpente che si morde la coda.
Non è possibile capire cosa sta succedendo in Mali senza considerare quello che è successo in Algeria. Il quotidiano algerino El Khabar ha appena affrontato gli aspetti più superficiali della questione, quando ha scritto che Algeri è passata "dal rifiuto categorico di un intervento esterno, rifiuto giustificato davanti agli abitanti della regione illustrandone i rischi" alla "apertura dei propri cieli ai Mirage francesi".
Nell'ottobre scorso il Segretario di Stato Hillary Clinton era ad Algeri per cercare di organizzare qualcosa che somigliasse ad una missione di un esercito composto da forze dell'Africa occidentale. Hollande ci è andato poi, a dicembre. Decisamente, in capo ad un mese la faccenda era diventata più abbordabile.
Adesso citiamo il professor Jeremy Keenan, della Scuola di Studi Orientali ed Africani della London University, e autore di
The Dark Sahara (Pluto Press, 2009) e di
The Dying Sahara di imminente uscita (Pluto Press, 2013).
Nell'edizione di gennaio del
New African Keenan sottolinea come "la Libia abbia fatto da catalizzatore per la rivolta nell'Azawad, e non sia stata la sua causa di fondo. Al contrario, la catastrofe in corso in Mali rappresenta l'inevitabile risultato del modo in cui la 'guerra globale al terrore' è stata messa in pratica nel Sahara e nel Sahel dagli Stati Uniti, in accordo con i servizi algerini, sin dal 2002".
Detto molto in sintesi, sia Bush che il governo algerino avevano bisogno, come spiega Keenan, di "un altro po' di terrorismo" in tutta la regione. Algeri intendeva servirsene come pretesto per acquisire maggiori quantità di armamenti ad alta tecnologia. Bush, con alle spalle i neoconservatori, intendeva lanciare la versione sahariana della guerra globale al terrorismo e il controllo militare dell'Africa, inteso come la strategia di punta per controllare più risorse energetiche, petrolio in particolare, e vincere in questo modo la competizione contro i massicci investimenti cinesi. La logica che stava sotto la creazione dell'AFRICOM nel 2008 era questa.
I servizi algerini, Washington e gli europei si sono serviti con disinvoltura di Al Qaeda nel Maghreb Islamico e ne hanno infiltrato la leadership per estrarne quell' "un po' di terrorismo in più". Nello stesso tempo i servizi algerini presentavano a tutti gli effetti i Tuareg come "terroristi", come il pretesto perfetto per le iniziative antiterrorismo nel Sahara di Bush e per l'operazione Fintlock del Pentagono, una campagna di esercitazioni militari con il Sahara come sfondo.
I Tuareg sono sempre stati lo spauracchio degli algerini, che non osavano neppure pensare alle conseguenze del successo di un movimento nazionalista Tuareg nel nord del Mali. L'Algeria ha sempre considerato la zona come il proprio cortile sul retro.
I Tuareg sono la popolazione indigena del Sahara centrale e del Sahel, ed assommano a circa tre milioni di persone. Oltre ottocentomila vivono in Mali, gli altri in Niger, e poi ci sono percentuali più piccole in Algeria, in Burkina Faso e in Libia. Dall'indipendenza nel 1960 in Mali ci sono state non meno di cinque rivolte Tuareg: in Niger ce ne sono state tre, e in Algeria ci sono sempre stati disordini latenti.
L'interpretazione di Keenan è assolutamente corretta quando identifica la causa degli avvenimenti del 2012 nella meticolosa distruzione della credibilità e della guida politica del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad operata dagli algerini. Basta seguire il corso del denaro: sia Iyad al Ghali di Ansar ed-Din sia il sultano Ould Badi del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale hanno stretti rapporti con i servizi algerini del DRS, ed entrambi questi gruppi erano all'inizio costituiti da pochi appartenenti.
Per i combattenti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Ansar ed-Din e il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale sono stati una specie di calamita. Questa è l'unica spiegazione possibile al fatto che il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad sia stato in pochi mesi fatto fuori sia militarmente che politicamente nel proprio stesso territorio.
Si riuniscono i soliti combattenti per la libertà
Il ruolo di burattinaio ricoperto da Washington emerge chiaramente da questa
conferenza stampa tenuta al Dipartimento di Stato. In poche parole il governo di Bamako ha chiesto ai francesi di fare il lavoro sporco, e i francesi hanno ubbidito.
Le cose non sono ovviamente andate in questo modo. Chiunque pensi che la faccenda del Mali sia qualcosa del tipo "bombardare Al Qaeda" deve vivere letteralmente sulla Luna. Tanto per cominciare, il servirsi di combattenti islamici intransigenti per soffocare i movimenti indipendentisti locali è una prassi che viene direttamente dai copioni che la CIA e il Pentagono mettono in atto da molto tempo.
Inoltre, il Mali è un paese di cruciale importanza per AFRICOM e soprattutto per la visione strategica complessiva che il Pentagono ha del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale. Pochi mesi prima dell'Undici Settembre ho avuto il privilegio di attraversare il Mali in lungo e in largo, sia sulle sue strade che lungo il fiume Niger: ho avuto contatti, soprattutto a Mopti e a Timbuktu, con i terribili Tuareg, che mi hanno impartito un corso accelerato su come stanno le cose nell'Africa nordoccidentale. Ovunque ho visto predicatori wahabiti e pakistani. Ho visto i Tuareg venir estromessi poco per volta. Ho visto un Afghanistan in costruzione. E non è stato molto difficile seguire il corso del denaro, intanto che sorseggiavo il tè del Sahara. il Mali confina con l'Algeria, la Mauritania, il Burkina Faso, il Senegal, la Costa d'Avorio e la Guinea. Il delta interno del Niger, spettacoloso, si trova nel Mali centrale ed è proprio ai confini del Sahara. Il Mali è pieno di oro, di uranio, di bauxite, di ferro, di manganese, di stagno e di rame. Soprattutto -l'Oleodottistan chiama!- il nord del Mali è pieno di risorse petrolifere ancora da sondare.
Fin dal febbraio 2008 il viceammiraglio Robert T. Moeller
diceva che la missione dell'AFRICOM era quella di proteggere "il libero fluire delle risorse naturali dall'Africa ai mercati mondiali" e -sì, fece anche il necessario riferimento alla Cina, definendola come colpevole di "sfidare gli interessi statunitensi".
Gli aerei spia di AFRICOM hanno "osservato" il Mali, la Mauritania ed il Sahara per mesi, in teoria cercando combattenti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico; tutto sotto la supervisione delle forze speciali statunitensi e parte di una missione segreta chiamata in codice operazione Creek Sand, con base nel confinante Burkina Faso. Non aspettatevi di incontrare qui dei soldati americani: c'è del personale in appalto, che non porta l'uniforme.
Il mese scorso alla Brown University il genrale Carter Ham, che è il comandante di AFRICOM, ha ancora una volta sottolineato con molta enfasi che lo scopo della missione è quello di "far progredire gli interessi della sicurezza statunitense in tutta l'Africa". Il tutto si trova nella Strategia per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti in Africa, approvata da Obama nel giugno del 2012. Gli obiettivi di questa strategia sono eloquentemente vaghi: "rafforzare le istituzioni democratiche", incoraggiare "la crescita economica, i commerci e gli investimenti"; "far progredire la pace e la sicurezza" e "promuovere le opportunità e lo sviluppo".
In pratica, la militarizzazione del territorio voluta dall'Occidente (con Washington ad "operare dietro le quinte") si contrappone al predominio cinese fatto di seduzione e investimenti attualmente in atto in Africa. Per il Mali, Washington vederebbe volentieri una riedizione del Sudan: la divisione tra nord e sud del Sudan ha di recente provocato qualche preoccupazione logistica in più per Pechino; perché mai una divisione tra nord e sud del Mali non dovrebbe aiutare a sfruttarne meglio le risorse naturali? Va detto che fino alla sua indipendenza nel 1960 il Mali era conosciuto come Sudan Occidentale.
Già all'inizio di dicembre una
guerra "multinazionale" in Mali era all'esame del Pentagono.
Il bello è che anche con un esercito "multinazionale" con l'arma al piede nei paesi confinanti, finanziato dall'Occidente e sostenuto dal Pentagono e pronto ad entrare in azione è toccato comunque ai francesi servire la letale salsa Hollandaise; nulla come un ex colonia "nei guai" aguzza l'appetito dei suoi ex dominatori. Il Pentagono può sempre continuare ad usare i suoi discreti aerei-spia P3 e i suoi droni Global Hawk basati in Europa, e più in là nel tempo trasportare soldati di paesi dell'Africa occidentale e fornire loro copertura aerea. Ma tutto in segreto, e molto sottobanco.
Mister Quagmire ci ha messo il capoccione a tempo di record, anche prima che i millequattrocento e rotti soldati francesi presenti sul terreno passassero all'offensiva.
Un gruppo del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale (e non di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, come riferito) guidato dall'inafferrabile Belmokhtar in persona ha attaccato un campo per l'estrazione di gas nel bel mezzo del Sahara algerino, a mille chilometri a sud di Algeri ma a soli cento chilometri dalla frontiera con la Libia, ed ha catturato un mucchio di ostaggi occidentali oltre a qualche giapponese. Giovedi le forze speciali algerine hanno lanciato un'operazione di soccorso che si è rivelata, per metterla giù con educazione, un fiasco colossale. Al momento in cui scriviamo risultano almeno sette ostaggi stranieri e ventitré algerini rimasti uccisi.
Il giacimento di gas è sfruttato da BP, Statoil e Sonatrach. Il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale ha denunciato ovviamente la nuova "crociata" francese, e il fatto che i caccia francesi adesso controllano lo spazio aereo algerino.
I nodi vengono al pettine, ma adesso siamo giusto agli
hors d'euvres. E le cose non si fermeranno al Mali. Coinvolgeranno l'Algeria e presto anche il Niger, paese da cui proviene un terzo dell'uranio che serve agli impianti nucleari francesi, per estendersi poi a tutto il Sahara e a tutto il Sahel.
Si sta cucinando un immenso Afghanistan africano che servirà agli interessi neocoloniali dei francesi, anche se Hollande non si stanca di dire che si tratta della "pace"; servirà all'AFRICOM; accrescerà l'influenza degli jihadisti un tempo noti come ribelli della NATO e servirà di sicuro anche all'infinita guerra globale al terrorismo, ribattezzata per tempo "operazioni militari cinetiche".
Django unchained [3], praticamente. Oscar per la miglior colonna sonora a Bush e Obama, impossibili da distinguere. Titolo: Non c'è miglior business del business del terrore. E sottotitoli in francese,
bien sur.
[1] Gioco di parole in lingua inglese tra il nome del primo ministro della Repubblica Francese ed una salsa a base di uovo, burro e limone.
[2] Glenn Quagmire è un personaggio di cartone animato, pilota d'aerei ossessionato dal sesso.
[3] Granguignolesco film di Quentin Tarantino.
Pepe Escobar ha pubblicato
Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e
Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo libro più recente è
Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).