Traduzione da Strategic Culture,
4 giugno 2019.
Il Segretario di Stato Pompeo si è recato a Sochi il 14 maggio a colloquio col suo corrispettivo Sergej Lavrov. Nel suo discorso di apertura, Lavrov ha
osservato: "Credo che sia venuta l'ora di iniziare a definire una nuova, più costruttiva e maggiormente responsabile base di concetti e di opinioni sul come ci vediamo l'uno con l'altro. Ovviamente noi siamo pronti a farlo, se i nostri pari negli Stati Uniti sono ugualmente interessati... Il fatto che si tratti del nostro secondo incontro in due settimane autorizza ad essere ottimisti. Proviamoci e vediamo cosa succede".
Il presidente Putin successivamente ha brevemente discusso con Pompeo dicendo: "Ho l'impressione che il presidente [Trump] sia favorevole a
ripristinare i legami e i contatti tra Russia e Stati Uniti e a risolvere alcune questioni di reciproco interesse. Da parte nostra, lo abbiamo detto molte volte, gradiremmo un pieno ripristino di questi rapporti."
È chiaro che l'impressione del signor Putin che gli Stati Uniti siano propensi ad una
apertura [così nel testo inglese, n.d.t.] nasce dalla conversazione avuta per telefono con Trump il 3 maggio scorso, durante la quale si è parlato di collaborazione per garantire la
stabilità strategica. I rilievi fatti sia da Lavrov che da Putin mostrano una generosità e una disponibilità (l'amministrazione statunitense viene definita "i nostri pari negli Stati Uniti") davvero sorprendenti, vista la quantità e la grandezza di bastoni tra le ruote che Washington ha cacciato in qualsiasi cosa Mosca abbia cercato di fare negli ultimi tempi.
Perché Trump appreso proprio adesso questa iniziativa, controllato come da due dei più intransigenti falchi che ci siano negli Stati Uniti? Allora: l'inchiesta di Mueller è un capitolo chiuso, ma Mosca non sarà ingenua al punto di pensare che questo rappresenti la fine di ogni narrativa centrata su una malevola intromissione russa. Mueller ha semplicemente passato la palla al Congresso.
La disponibilità di Mosca da un certo punto di vista può anche sorprendere, ma da altri non costituisce affatto una sorpresa.
L'AmeriKKKa ha considerato la Russia come un avversario sempiterno fin da quando la Gran Bretagna e l'AmeriKKKa hanno agevolato il rientro di Lev Trotzky e di Vladimir Lenin tra i rivoluzionari bolscevichi al fine di mandare all'aria il paese. E proprio mentre Trump telefonava Putin la Rand Corporation pubblicata un proprio saggio intitolato
Sovraccaricare e sbilanciare la Russia in cui si evidenziano dettagliate opzioni politiche in grado di "imporre un prezzo sul piano geopolitico". Qualsiasi cambio di atteggiamento dell'AmeriKKKa rispetto a questa bellicosità sarebbe ovviamente qualcosa di significativo, e vale la pena di prenderlo in considerazione. Il presidente Putin ha spesso ammonito sulle incalcolabili conseguenze per l'umanità che avrebbe un vero e proprio conflitto fra i due paesi. Si tratta della minaccia esistenziale per eccellenza.
Ma cosa hanno in mente Trump, Pompeo e Bolton? La collaborazione o la "stabilità strategica"? Quali sono i primi rischi della instabilità strategica? Almeno un paio vengono subito in mente: la guerra finanziaria e commerciale con la Cina, e l'Iran.
Nonostante il cauto ottimismo del "proviamoci" del signor Lavrov, egli deve sapere fin troppo bene che non ci sono molte possibilità e che sono molte le forze che si oppongono a qualsiasi riavvicinamento con la Russia. Nondimeno, il fatto che il leader russi rilascino dichiarazioni del genere implica che stanno prendendo questa iniziativa sul serio.
Più nello specifico tuttavia persino il tentativo di "provarci" potrebbe rivelarsi un calice amaro per la Russia, almeno in Medio Oriente. Con questo non si intende dire che il presidente Trump stia proponendo di riallacciare i rapporti per tendere una trappola ai russi. Il suo interesse a ripristinare le relazioni con la Russia è molto chiaro e di lunga data. Non si intende neppure dire che a Mosca ci si comporta con cinismo: gli sforzi altrettanto di lunga data del signor Putin per barcamenarsi fra le tendenze filooccidentali e filoorientali della "personalità" culturale russa, al pari della sua preoccupazione per i pericoli che comporterebbe un crollo degli accordi sulla limitazione degli armamenti, sono ben conosciuti.
No, i rischi vengono piuttosto dal delicato equilibrio in cui si trova il Medio Oriente di oggi. La regione si trova ad un critico punto di svolta: il pendolo del potere si dirige verso nord, questo è il risultato della vittoria della Siria contro la campagna wahabita ordita ai suoi danni. La Siria, l'Iran, l'Iraq e il Libano in questo momento sono mobilitati e pieni di energia. E poi esiste una specie di comune legame fatto di comprensione politica che oggi collega questi paesi al contrario, gli avversari della Siria nel Golfo sono snervati, indeboliti e concentrati sulle proprie crisi interne.
Questo nuovo equilibrio dei poteri tuttavia non è ancora consolidato e non è ancora stabile. Si tratta anzi di un equilibrio delicato che gli eventi potrebbero indirizzare in un modo o in un altro. Il fatto è che la Russia si considera l'arbitro di questa situazione, che la cosa piaccia o no.
I due eventi potenzialmente in grado di far saltare tutto sono la determinazione con cui la squadra di Trump intende realizzare la Grande Israele e, in connessione con questo, il sostegno russo alla Siria e all'Iran intanto che il piano di Trump per il Medio Oriente va avanti.
Trump sta cercando aiuto dal presidente Putin per questo, per la questione delle rane della Siria ma soprattutto per spingere in direzione della Grande Israele? Lavrov ha detto durante la visita di Pompeo che la questione dell'Iran "è complessa"; uno understatement eroico. Lo storico militare Andrew Bacevich
spiega che comunque
è stato Trump "a scegliere di fare dell'ostilità all'Iran il perno della propria politica estera. Trump non sarebbe in grado di disincagliare Stati Uniti dalla regione e al tempo stesso di condurre nei confronti dell'Iran una politica più aggressiva del suo predecessore. Non si è riusciti a porre fine il coinvolgimento statunitense in molte guerre inutili in grande misura proprio a causa di questa linea politica antiiraniana. Si tratta di qualcosa che gli è stato imposto da altri; fin dall'inizio è stata tutta opera sua. Quando i suoi sottoposti non si sono mostrati d'accordo sulla questione del nucleare iraniano, come Tillerson e McMaster, Trump li ha presto o tardi sostituiti e ha scelto al loro posto persone anche più bellicose ed aggressive. Ha approvato tutte le iniziative contrarie all'Iran e favorevoli all'Arabia Saudita che poteva."
Sta dunque succedendo questo? Trump vuole che Putin faccia il poliziotto con la Siria con l'Iran in modo che possa realizzare il suo grande piano di pace? Nell'agosto del 2018
Trump scrisse sul Cinguettatore: "Chiunque faccia affari con l'Iran non farà affari con gli Stati Uniti; io chiedo la PACE MONDIALE, niente di meno!"
Ma davvero? Trump vuole che le ripercussioni della sua incontenibile e bellicosa ostilità verso l'Iran -considerato il principale ostacolo alla realizzazione della Grande Israele- abbiano un limite, così da poter porre fine al coinvolgimento statunitense in guerre inutili e da addossare ad una Grande Israele potenziata e resa stabile e alla Russia il grave peso della stabilizzazione del Medio Oriente? Davvero sembra che le cose stiano così, e ci sono notizie sulla preparazione di un nuovo
vertice strategico fra stato sionista, Stati Uniti e Russia per il controllo della "sicurezza regionale".
L'"Accordo del Secolo" può ben subire
qualche ritardo se si considera che a settembre nello stato sionista si terranno nuove elezioni, ma in concreto alcune componenti di questo accordo (il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme; l'assegnazione allo stato sionista della sovranità sul Golan; i tagli ai fondi destinati all'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi; l'annessione degli insediamenti eccetera) sono già una realtà sono andati a posto pezzo per pezzo anche se il progetto complessivo non è mai stato reso pubblico, sempre che di renderlo pubblico si fosse l'intenzione.
Ovviamente la Russia vuole arrivare velocemente ad un accordo politico sulla Siria e Mosca dice di aver notato qualche cambiamento nella retorica occidentale in materia. Tuttavia esercitare pressioni premature sul governo siriano affinché accetti condizioni sgradevoli, che vengano della Turchia come quelle in favore di una nutrita partecipazione dei Fratelli Musulmani all'assemblea costituente, o che vengono dall'Occidente come quelle tese a facilitare l'uscita di scena del presidente Assad, possono portare ad una crisi di fiducia dei siriani nei confronti di Mosca. A Mosca qualcuno potrebbe anche pensare che in un equilibrio strategico di più vasta portata si tratti di una considerazione secondaria, eppure una brusca rottura con Damasco potrebbe rappresentare una minaccia per la posizione di Mosca in un contesto regionale assai più ampio.
La considerazione di Bacevich in questo caso è molto pertinente: Trump non è in grado di collaborare con Mosca per le questioni siriane proprio perché è ossessionato dall'Iran e si trova a braccetto con l'Arabia Saudita.
Se in Siria si arriva a un punto morto intanto che gli Stati Uniti aumentano le pressioni contro l'Iran, minacciano Bagdad e si sforzano di dividere i libanesi e di metterli gli uni contro gli altri per Mosca le cose si complicheranno di sicuro. Perché mai Mosca dovrebbe volerlo?
Dopo il vertice di Sochi Lavrov ha detto: "Per quanto riguarda l'Iran e [l'
accordo sul nucleare] spero che alla fine prevarrà il buon senso... Quando dico che speriamo di trovare una soluzione politica alla situazione in Iran, dico che ci adopereremo per assicurarci che il quadro non peggiori fino a diventare un teatro bellico. Ho avuto la sensazione che anche da parte statunitense ci sia l'idea di cercare una soluzione politica...". Il giorno successivo tuttavia l'addetto stampa di Putin Dimitri Peskov ha esplicitamente negato che Pompeo abbia rassicurato Mosca sul fatto che gli Stati Uniti non vogliono la guerra con l'Iran, ed ha aggiunto (stranamente) che Mosca "prendeva atto con tristezza delle decisioni assunte da parte iraniana". Si tratta di un riferimento alla decisione dell'Iran di ignorare determinati elementi dell'accordo sul nucleare (quelli in merito allo smaltimento delle scorte) che è stata
deliberatamente provocata dal fatto che
Pompeo ha cancellato i capitolati che regolavano i termini sulla proliferazione compresi negli accordi.
Il fatto che tutte queste "ulteriori complicazioni", come le ha chiamate Lavrov, non sono distinte o distinguibili. Sono direttamente collegate al progetto della "Grande Israele" del presidente Trump.
"Grande Israele" non significa soltanto cambiare di posto i palestinesi e fare scambi sul mercato immobiliare più qualche piccolo aggiustamento di frontiera. Non è neppure un progetto istituzionale definito cui c'è bisogno -per così dire - di dare respiro, di assegnare uno spazio più ampio. Si tratta di molto di più: quello della Grande Israele è sempre stato un progetto biblico volto alla trasformazione in realtà del cammino di Israele verso il proprio
destino di redenzione ed è stato anche un progetto ideologico giudaico-cristiano. Se non fosse l'una e l'altra cosa la base evangelica di Trump non farebbe tanto baccano perché il presidente si adoperasse per realizzare la Grande Israele della Bibbia. Su questo punto esiste una stretta sinergia tra i sionisti dello stato sionista e i sionisti cristiani ameriKKKani.
Tutte queste "ulteriori complicazioni" che la Russia deve affrontare risalgono a questo: la Grande Israele una sorta di metaprogetto che dal punto di vista degli evangelici deve essere coronato da successo. Qualsiasi opposizione adesso deve essere stroncata, per prima e prima fra tutte quella che viene dall'Iran, oltre alla lunga resistenza siriana. Sono stati gli evangelici statunitensi, oltre a Netanyahu, a spingere Trump ad abbandonare gli accordi sul nucleare iraniano.
Nel caso questo metaprogetto prendesse l'abbrivio, l'idea negli Stati Uniti che si potrebbero usare i curdi per agevolare la frammentazione della Turchia, della Siria e dell'Iran; il Libano potrebbe finire invischiato in schermaglie di frontiera senza fine, la Siria essere divisa in una parte orientale e una occidentale, l'Iraq essere sottoposto a sanzioni e l'Iran destabilizzato e dato in pasto ai movimenti secessionisti. Questi sconvolgimenti permetteranno al "progetto" -che è poi l'"Accordo"- di trovare spazio e maggiore respiro non soltanto in termini fisici ma anche in termini ideologici e metafisici, oltre che di guadagnare instabilità e in vigore.
Perché Pompeo si è recato a Sochi? Ecco, Trump lo va dicendo chiaramente da tempo. Vuole che Putin lo aiuti per la PACE MONDFIALE, nientemeno. E il maiuscolo è suo. In altre parole, Trump vuole che la Russia accetti l'idea della Grande Israele e si adoperi attivamente nel contenerne le ripercussioni.
Per Mosca questa è davvero una politica del rischio calcolato. Essa desidera certamente ristabilire rapporti strategici con gli USA, ma il prezzo di allinearsi agli USA, allo stato sionista e ai sionisti cristiani sarebbe salato. Mosca perderebbe amici e alleati e potrebbe comunque non essere in grado di impedire che la situazione scivoli verso un conflitto regionale. In questo caso, i russi con chi si schiererebbero? Putin ovviamente non ha alcuna intenzione di andare allo scontro con gli USA. La Russia è un mediatore abile. Ma qui stiamo parlando di uno scontro di civiltà di ampie proporzioni: da una parte i giudaico-cristiani con la loro idea di essere un popolo eletto, di avere un destino e una missione biblici, dall'altra l'antica civiltà che è retaggio proprio del Medio Oriente.
La Russia potrebbe trovarsi dal lato sbagliato della storia. E come prenderebbero a Pechino questo fare fronte comune con gli USA e con lo stato sionista? Non è che Xi potrebbe temere che il passo successivo sarebbe la richiesta di mettersi con gli USA contro la Cina?