lunedì 2 dicembre 2024

Alastair Crooke - La lunga guerra per ribadire la supremazia dell'Occidente e dello stato sionista sta cambiando forma



Traduzione da Strategic Culture, 2 dicembre 2024. 


 La lunga guerra per ribadire la supremazia dell'Occidente e dello stato sionista sta cambiando forma. Su uno dei fronti è cambiato il peso assegnato alla Russia e alla guerra in Ucraina.In Medio Oriente, teatro e forma delle ostilità stanno cambiando in maniera apprezzabile.
La famosa dottrina di Georges Kennan sull'Unione Sovietica ha costituito per lungo tempo la base della politica statunitense, un tempo diretta contro l'URSS e poi contro la Russia. La tesi sostenuta da Kennan nel 1946 era che gli Stati Uniti dovevano lavorare con pazienza e determinazione per contrastare la minaccia sovietica e per rafforzare e aggravare le fratture interne del sistema sovietico, fino a quando le sue contraddizioni non ne avrebbero provocato il collasso. Più recentemente, lo Atlantic Council ha attinto alla dottrina Kennan per suggerire l'idea che le sue linee generali dovrebbero servire come base della politica statunitense nei confronti dell'Iran. “La minaccia che l'Iran rappresenta per gli Stati Uniti assomiglia a quella costituita dall'Unione Sovietica dopo la Seconda Guerra Mondiale. A questo proposito, la politica delineata da George Kennan per affrontare l'Unione Sovietica può essere in qualche modo applicata anche all'Iran”, si legge nel rapporto dello Atlantic.
Nel corso degli anni questa dottrina si è sclerotizzata in un'intera rete di intese sulla sicurezza, basata sulla convinzione archetipica che l'AmeriKKKa sia forte e che la Russia sia debole. Di questa debolezza la Russia era tenuta ad essere consapevole, si diceva; gli strateghi russi quindi non potevano secondo logica permettersi di pensare a qualcosa che non fosse il sottomettersi alla potenza rappresentata dalla forza militare della NATO nel suo insieme, destinata a soverchiare una debole Russia. E se gli strateghi russi avessero imperterriti e incauti sfidato l'Occidente, si diceva, le contraddizioni interne non avrebbero fatto altro che causare la polverizzazione della Russia.
I neocon statunitensi e l'intelligence occidentale non hanno mai prestato orecchio a quanti dissentivano perché erano (e in gran parte sono ancora) convinti della fondatezza della dottrina Kennan. Negli Stati Uniti gli ambienti della politica estera semplicemente non potevano accettare la possibilità che una tesi così fondamentale fosse sbagliata. L'intero approccio rifletteva più una cultura radicata che un'analisi razionale, anche a fronte di dati di fatto che indicavano una realtà differente.
Così, gli USA hanno aumentato la pressione sulla Russia consegnando quantitativi sempre maggiori di sistemi d'arma all'Ucraina, collocando missili a gittata intermedia con capacità nucleare sempre più vicini ai confini russi e, più recentemente, lanciando ATACMS nel cuore del territorio russo.
L'obiettivo era quello di spingere la Russia in una situazione in cui non avrebbe potuto esimersi dal fare concessioni all'Ucraina, come ad esempio accettare un congelamento del conflitto, ed essere costretta a sedersi per il negoziato a un tavolo dove sarebbe stata l'Ucraina a dettare le regole per giungere a una soluzione accettabile per gli Stati Uniti. L'alternativa era quella di mettere la Russia nell'angolo rappresentato dal ricorso al nucleare.
La strategia statunitense si basa, in ultima analisi, sulla convinzione che gli Stati Uniti possano ingaggiare una guerra nucleare con la Russia e avervi la meglio e che la Russia dovrebbe capire che avrebbe tutto da perdere se dovesse ricorrere al nucleare. Oppure, sull'idea che sotto la pressione della NATO la rabbia dei russi caccerebbe Putin dal suo incarico se facesse concessioni significative all'Ucraina. Dal punto di vista degli USA si tratterebbe di un risultato "vantaggioso per tutti".
Inaspettatamente, però, è apparsa sulla scena una nuova arma che libera il Presidente Putin dal tertium non datur di dover porgere la mano dei negoziati all'Ucraina o di ricorrere alla deterrenza nucleare. Possono essere gli avvenimenti sul campo a decidere le sorti della guerra. In effetti, la "trappola" di George Kennan è collassata.
Il missile Oreshnik (utilizzato per attaccare il complesso Yuzhmash a Dnietropetrovsk) fornisce alla Russia un'arma mai vista prima: un sistema missilistico a medio raggio che mette efficacemente in scacco la minaccia nucleare occidentale.
La Russia adesso può affrontare l'escalation occidentale minacciando credibilmente ritorsioni estremamente distruttive ma di tipo convenzionale al tempo stesso. La Russia ha inveretito il paradigma: adesso è l'Occidente che deve pensare a una escalation nucleare, oppure limitarsi a fornire all'Ucraina armi come l'ATACMS o lo Storm Shadow che non modificheranno il corso del conflitto. Se la NATO dovesse intensificare ulteriormente l'escalation, rischierebbe un attacco di rappresaglia con i missili Oreshnik in Ucraina o su qualche obiettivo in Europa, che lo lascerebbe con il dilemma di come reagire.
Putin lo ha detto: "Se colpirete ancora in Russia, risponderemo attaccando con gli Oreshnik una struttura militare in un'altra nazione. Daremo un preavviso, in modo che i civili possano evacuare. Non c'è nulla che possiate fare per impedirlo; non avete un sistema antimissile che possa fermare un attacco che arriva a Mach 10".
Le carte in tavola sono cambiate.
Naturalmente, ci sono altre ragioni che vanno oltre il desiderio degli addetti alla sicurezza in servizio permanente di convincere Trump a continuare la guerra in Ucraina, al fine di addossargli la responsabilità di un conflitto cui aveva promesso di porre fine immediatamente.
Sono i britannici in particolare, e anche altri paesi in Europa, a volere che la guerra continui perché sono particolarmente coinvolti nella situazione dal punto di vista finanziario: detengono circa venti miliardi di dollari di obbligazioni ucraine ormai al default, oppure hanno fatto da garanti presso il Fondo Monetario internazionale per i prestiti contratti dall'Ucraina. L'Europa non può permettersi i costi di un default completo. Né l'Europa può permettersi di assumersi tutti gli oneri nel casol'amministrazione Trump dovesse rinunciare a sostenere finanziariamente l'Ucraina. Per questo motivo essi operano in accordo con la struttura interagenzie degli Stati Uniti perché la guerra continui anche se Trump dovesse intraprendere una politica di tutt'altro segno. All'Europa interessa che la guerra continui per motivi finanziari. Al "deep state" negli USA, perché il proseguire della guerra disturberebbe Trump e la sua agenda interna.
L'altro teatro della "guerra globale" riflette un paradosso speculare: "lo stato sionista è forte e l'Iran è debole". Il punto centrale non è solo il suo fondamento culturale, ma il fatto che l'intero mondo politico sionista e statunitense condividono la narrazione secondo cui l'Iran è un Paese debole e tecnicamente arretrato.
L'aspetto più significativo è dato dai pluriennali fallimenti in cose come la capacità di comprendere le strategie e di riconoscere i cambiamenti nelle capacità, nei punti di vista e nella consapevolezza della parte avveersa.
La Russia sembra aver risolto alcuni dei problemi fisici generali degli oggetti che volano a velocità ipersonica. L'uso di nuovi materiali compositi ha permesso allo stadio di crociera planante di effettuare un volo guidato a lunga distanza praticamente in condizioni di formazione di plasma. Questo stadio si dirige verso il bersaglio come un meteorite, come una palla di fuoco. La temperatura sulla sua superficie arriva a duemila gradi, ma lo stadio di crociera può essere guidato in modo affidabile.
L'Iran sembra aver risolto i problemi che comporta un avversario che gode della supremazia aerea. L'Iran ha creato una deterrenza basata sull'evoluzione degli sciami di droni a basso costo abbinati a missili balistici con testate ipersoniche di precisione. Contrappone droni da mille dollari e missili di precisione a basso costo contro costosissimi velivoli pilotati; ci sono voluti vent'anni per questo rovesciamento.
La guerra dello stato sionista, tuttavia, sta cambiando forma in altri modi. La guerra a Gaza e in Libano ha messo a dura prova le disponibilità di effettivi nello stato sionista; le forze armate hanno subito pesanti perdite; le truppe sono esauste; i riservisti stanno perdendo coinvolgimento e non si presentano in servizio.
Lo stato sionista è arrivato al limite della sua capacità di schierare uomini sul terreno; ci sarebbero ancora da arruolare gli studenti ortodossi, gli Haredim Yeshiva; un atto che potrebbe far cadere la coalizione di governo.
In breve, il numero di effettivi nell'esercito sionista è sceso sotto i livelli necessari ad assolvere ai compiti ordinati dal comando supremo. L'economia sta implodendo e le divisioni sul fronte interno sono aspre e laceranti. Questo è dovuto soprattutto al fatto, ingiusto, che sono i cittadini sionisti laici ad andare a morire mentre altri rimangono esenti dal servizio militare: un destino riservato ad alcuni ma non ad altri.
Questa tensione ha avuto un ruolo importante nella decisione di Netanyahu di accettare il cessate il fuoco in Libano. Il crescente astio nei confronti dell'esenzione di cui godono gli Haredim ortodossi ha rischiato di far cadere la sua coalizione.
Adesso esistono -metaforicamente parlando- due realtà diverse: Il Regno di Giuda da una parte e lo stato sionista dall'altra. Alla luce di questi profondi antagonismi sono in molti nello stato sionista a considerare la guerra con l'Iran come la catarsi che condurrà di nuovo all'unità un popolo diviso e che, in caso di vittoria, porrà fine a tutte le guerre dello stato sionista.
Fuori dai confini la guerra si allarga e cambia forma: per adesso in Libano prosegue a bassa intensità, ma la Turchia ha scatenato un'importante operazione militare (si parla di circa quindicimila uomini) all'assalto ad Aleppo, in cui sono coinvolti jihadisti e miliziani di Idlib addestrati dagli Stati Uniti e dalla Turchia. L'intelligence turca ha senza dubbio i suoi obiettivi, ma gli Stati Uniti e lo stato sionista sono interessati in modo particolare a interrompere le rotte di rifornimento di armi a Hezbollah in Libano.
La selvaggia aggressività dello stato sionista nei confronti di non combattenti, donne e bambini e la pulizia etnica bella e buona messa in atto contro la popolazione palestinese hanno radicalizzato una regione e un sud del mondo incolleriti. Con le sue iniziative lo stato sionista sta distruggendo il vecchio ethos. Il Medio Oriente non è più "conservatore". Si sta preparando anzi qualcosa di molto diverso.

mercoledì 20 novembre 2024

Alastair Crooke - Non esistono più le guerre facili, ma questo non significa che ne sia scomparso il desiderio


Traduzione da Strategic Culture, 15 novembre 2024.

Gli ambienti governativi dello stato sionista si mostrano serenamente sicuri, entro certi limiti, di poter imbrigliare Trump. Magari non per la completa annessione dei Territori occupati -Trump nel suo primo mandato non ha sostenuto iniziative del genere- ma piuttosto per intrappolarlo in una guerra contro l'Iran. Nello stato sionista sono in molti (per non dire la maggioranza) a non vedere l'ora di fare la guerra all'Iran e di ampliare il proprio territorio (senza arabi). E credono alle chiacchiere secondo cui l'Iran sarebbe supino e incredibilmente vulnerabile davanti a un attacco militare statunitense e sionista.
Le nomine per l'amministrazione Trump, finora, rivelano una squadra di politica estera fatta di feroci sostenitori dello stato sionista, dalla appassionata ostilità nei confronti dell'Iran. I media dello stato sionista la definiscono una "squadra da sogno" per Netanyahu. Sembra proprio così.
La lobby dello stato sionista non avrebbe potuto chiedere di meglio. Hanno avuto quello che volevano. E con il nuovo capo della CIA si ritrovano di giunta anche un noto falco anticinese.
Solo che sul piano interno i toni sono esattamente opposti. Il nome fondamentale tra quanti spetta fare pulizia è quello di Matt Gaetz, nominato procuratore generale; un bombarolo fatto e finito. E per dare una sistemata ai servizi è stata nominata direttore dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard. Tutte le agenzie faranno capo a lei, che sarà anche responsabile del briefing quotidiano con il Presidente. Le valutazioni dell'intelligence potrebbero così iniziare a riflettere qualcosa di più vicino alla realtà.
La interconnessa e profonda realtà delle agenzie governative ha motivo di essere sinceramente intimorita; è nel panico, soprattutto a causa di Gaetz.
Elon Musk e Vivek Ramaswamy hanno il compito quasi impossibile di tagliare la spesa federale fuori controllo e di mettere un freno alla stampa di valuta. Il sistema è profondamente dipendente da una spesa pubblica gonfiata a dismisura per mantenere in funzione gli ingranaggi e le leve del mastodontico apparato di "sicurezza", e non si arrenderà senza prima avere duramente combattuto.
Se da un lato una Lobby ottiene una squadra da sogno (per lo stato sionista), dall'altro -sul piano interno- si ritrova con una squadra di rinnegati.
La cosa deve essere stata intenzionale. Trump sa che l'eredità dell'operato di Biden, che ha gonfiato il PIL con posti di lavoro statali e una spesa pubblica eccessiva, è la vera bomba a orologeria che lo attende. Anche in questo caso i sintomi di astinenza, quando la droga del denaro facile viene meno, potrebbero rivelarsi incendiari. Il passaggio a un sistema basato su tariffe e tasse basse sarà dirompente.
Che ne avesse avuta l'intenzione o meno, Trump sta giocando a carte coperte. Abbiamo solo delle anticipazioni suli suoi intendimenti, e i pezzi grossi delle agenzie governative sono al lavoro per confondere le acque. Ad esempio, il Pentagono ha autorizzato le compagnie private ad operare in Ucraina in accordo con le "parti interessate nelle agenzie governative".
Trump è di nuovo alle prese con la vecchia nemesi che ha paralizzato il suo primo mandato. Durante il processo di impeachment per l'Ucraina un testimone (Vindman) quando gli è stato chiesto perché non si sarebbe attenuto alle istruzioni esplicitamente impartitegli dal Presidente ha risposto che, sebbene Trump avesse un proprio punto di vista sulla questione dell'Ucraina, tale posizione non corrispondeva a quella concordata tra agenzie governative. In parole povere, Vindman ha negato che un presidente degli Stati Uniti abbia un qualche potere nella formulazione della politica estera.
Insomma, le agenzie governative stavano facendo capire a Trump che il sostegno militare all'Ucraina doveva continuare.
Quando lo Washington Post ha pubblicato la storia dettagliata di una telefonata Trump-Putin -che il Cremlino afferma recisamente non essere mai avvenuta- erano le strutture politiche del deep state che stavano mandando a dire a Trump che sarebbero state loro a determinare la forma della "soluzione" statunitense per l'Ucraina.
Allo stesso modo, quando Netanyahu si è vantato di aver parlato con Trump e del fatto che Trump "condivideva" le sue idee sull'Iran, Trump ha ricevuto indirettamente istruzioni su quale debba essere la sua politica nei confronti dell'Iran. Anche tutte le (false) voci sulle nomine nella sua squadra non erano altro che voci messe in giro dalle agenzie governative per indicare quali fossero le loro scelte per i posti chiave. Non c'è da stupirsi che la confusione regni.
Quindi, cosa si può dedurre in questa fase iniziale? Il filo conduttore è stato il costante ritornello che Trump è contro la guerra. E che dai suoi esige lealtà personale e nessun vincolo con le lobby o con il deep state.
Il fatto che la sua amministrazione sia piena di sostenitori dello stato sionista è un'indicazione del fatto che Trump si sta orientando verso un "patto faustiano del realismo" per distruggere l'Iran al fine di paralizzare la fonte di approvvigionamento energetico della Cina (che proviene per il novanta per cento dall'Iran), e quindi indebolire la Cina stessa? - Due piccioni con una fava, per così dire?
Il crollo dell'Iran indebolirebbe anche la Russia e ostacolerebbe i progetti per le vie di comunicazione dei BRICS. L'Asia centrale ha bisogno sia dell'energia iraniana sia delle indispensabili vie che collegano Cina, Iran e Russia come snodi primari del commercio eurasiatico.
Quando la RAND, il think tank del Pentagono, ha recentemente pubblicato una notevole valutazione della Strategia di Difesa Nazionale (NDS) per il 2022, le sue conclusioni sono state crude: un'analisi inesorabilmente cupa della macchina bellica statunitense, in ogni suo aspetto. Insomma, la valutazione sosteneva che gli Stati Uniti "non sono preparati" sotto nessun aspetto significativo ad una seria "competizione" con i loro principali avversari. E sono vulnerabili o addirittura nettamente inferiori in ogni ambito bellico.
Gli Stati Uniti, prosegue la valutazione della RAND, potrebbero venir trascinati in breve tempo in una guerra in più teatri contro avversari di pari livello e di quasi pari livello, e potrebbero perderla. Il rapporto avverte che l'opinione pubblica statunitense non ha interiorizzato i costi che comporterebbe la perdita della posizione di superpotenza mondiale. Gli Stati Uniti devono quindi impegnarsi a livello globale con la presenza militare, diplomatica ed economica per preservare la loro influenza nel mondo.
In effetti, come ha osservato un autorevole commentatore, il "culto dell'Impero a tutti i costi" -cioè lo spirito che anima l'organizzazione RAND- è ora "più che mai alla ricerca disperata di una guerra da combattere per ripristinare la propria fortuna e il proprio prestigio".
Rifarsela con la Cina con uno di quei gesti distruttivamente dimostrativi con cui si intenderebbe "preservare l'influenza degli Stati Uniti nel mondo" porterebbe ad esiti del tutto inediti, perché gli Stati Uniti "non sono preparati" a un conflitto serio con avversari di pari livello come la Russia o la Cina, sostiene la RAND.
La situazione di stallo in cui versano gli Stati Uniti dopo decenni di eccessi fiscali e di delocalizzazioni -fenomeni su cui si è sviluppato l'indebolimento della loro base industriale militare oggi tanto rilevante- rende ora la guerra cinetica con la Cina, con la Russia o "in più teatri" una prospettiva da evitare.
Il punto che il commentatore su citato sottolinea è che non esistono più "guerre facili" da combattere. E che la realtà -ritratta a toni crudi dalla RAND- è che gli Stati Uniti possono scegliere di combattere una ed una sola guerra. Trump potrebbe non volerne alcuna, ma i grossi calibri della Lobby -tutti sostenitori dello stato sionista, quando sono sionisti militanti fautori della cacciata dei palestinesi - vogliono la guerra. E credono di poterci arrivare. Insomma: Trump ci ha pensato bene? Gli altri membri della squadra di governo gli hanno ricordato che nel mondo di oggi, e con la forza militare degli Stati Uniti che sta venendo meno, non ci sono più "guerre facili" da combattere, anche se i sionisti credono che eliminando d'un sol colpo la leadership religiosa dell'Iran e del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (sulla falsariga degli attacchi con cui lo stato sionista ha eliminato i leader di Hezbollah a Beirut), il popolo iraniano si solleverebbe contro i suoi leader e si schiererebbe con lo stato sionista per un "Nuovo Medio Oriente".
Netanyahu ha appena rivolto un secondo discorso televisivo al popolo iraniano promettendogli che la liberazione è vicina. Lui e il suo governo non stanno aspettando Trump per chiedegli l'assenso all'annessione di tutti i territori palestinesi occupati. Quel progetto è in fase di attuazione sul campo ed è in corso in questo momento. Netanyahu e il suo gabinetto hanno la pulizia etnica all'ordine del giorno; Trump sarà in grado di farla scomparire? E in che modo? O forse lascerà fare e diventerà il padrino di un genocidio?
Questa ipotetica "guerra contro l'Iran" segue lo stesso ciclo narrativo della guerra contro la Russia: "la Russia è debole; le sue forze armate sono poco addestrate; il suo equipaggiamento è per lo più riciclato dall'era sovietica; ha pochi missili e poca artiglieria". Zbig Brzezinski aveva già portato questa logica alla sua conclusione in La Grande Scacchiera (1997): La Russia non avrebbe avuto altra scelta che sottomettersi all'espansione della NATO e ai dettami geopolitici degli Stati Uniti. Questa era la situazione "ai tempi", ovvero poco più di un anno fa. La Russia ha accettato la sfida occidentale e oggi sta vincendo in Ucraina, mentre l'Occidente assiste impotente.
Il mese scorso è stato il generale statunitense in pensione Jack Keane, analista strategico di Fox News, a sostenere che l'attacco aereo dello stato sionista contro l'Iran ha lasciato il paese "sostanzialmente indifeso", con la maggior parte delle difese aeree "stroncate" e le fabbriche di missili distrutte dagli attacchi del 26 ottobre. La vulnerabilità dell'Iran, ha detto Keane, è "semplicemente sconcertante".
Keane ha ripreso il primo Brzezinski e il suo messaggio è chiaro: l'Iran sarà una preda facile. Questa previsione tuttavia si rivelerà probabilmente sbagliata. E se ascoltata porterà a un completo disastro militare ed economico per lo stato sionista. Ma non è da escludere che Netanyahu -assediato su tutti i fronti, sull'orlo di una crisi interna e persino a rischio di finire in carcere- sia abbastanza disperato da darle ascolto. Dopo tutto il suo è un imperativo biblico, che egli persegue per Israele...!
L'Iran probabilmente compirà una ritorsione dolorosa contro lo stato sionista prima dell'insediamento presidenziale del 20 gennaio. E questa ritorsione dimostrerà le inaspettate e impreviste innovazioni militari iraniane. La reazione degli Stati Uniti e dello stato sionista potrebbe dare il via a una guerra regionale più ampia. In tutta la regione gli animi fremono per il massacro nei Territori occupati e in Libano. Trump potrebbe non rendersi conto di quanto gli Stati Uniti e lo stato sionista siano isolati, rispetto ai vicini arabi e sunniti dello stato sionista. Gli Stati Uniti sono talmente indeboliti e le loro forze nella regione sono talmente vulnerabili all'ostilità fomentata dai massacri quotidiani che una guerra regionale potrebbe essere sufficiente a far crollare l'intero castello di carte. La crisi getterebbe Trump in una crisi finanziaria che potrebbe minare anche le sue aspirazioni economiche interne.

martedì 19 novembre 2024

Firenze. Quelli del Collettivo di Fabbrica dei lavoratori GKN sono quattro avventurieri politici pieni di progetti vuoti



Il 17 novembre 2024 il Collettivo di Fabbrica dei lavoratori GKN Firenze ha organizzato una giornata di iniziative per la reindustrializzazione, cui abbiamo partecipato come nostra abitudine da quel nove luglio 2021 in cui un plesso produttivo con oltre quattrocento lavoratori e i conti in perfetto ordine venne chiuso senza preavviso per motivi che non è neanche più il caso di indagare.
Due giorni dopo sulle gazzette di Firenze sono stati pubblicati articoli dal registro e dal contenuto che meglio di ogni altro si confanno alle gazzette occidentali e alla "libera informazione" in generale; a loro modo sono utilissimi perché a fronte di materiali del genere le persone serie non devono fare altro che assumere l'atteggiamento o l'opinione esattamente contrari a quelli auspicati dagli scriventi.
Appena terminata la lettura di un paio di questi scritti abbiamo quindi provveduto a versare un'ulteriore piccola somma sul conto IT75E0501802800000017261280 intestato alla APS SOMS Insorgiamo. A mezzo bonifico istantaneo, e con la serena briosità che rende piacevole l'adempimento di un dovere.

venerdì 15 novembre 2024

Matteo Salvini contro i centri sociali. Federico Bussolin, Gugliemo Mossuto e Barbara Nannucci contro il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud



 Alla Lega i centri sociali non piacciono e nei giorni scorsi i toni già stizzosi con cui il segretario di quella formazione politica inveisce contro una cosa che non gli piace hanno travalicato di molto il livello dell'offesa pura e semplice.
Fin qui nulla di nuovo. Da quei frequentatori di apericena sarebbe se mai grave ricevere qualche attestazione di stima.
Il segretario della Lega Matteo Salvini non è solo un sovrappeso divorziato, come verrebbe da pensare a un primo esame. È anche uno che non è stato capace di prendere un accidenti di laurea nemmeno in quindici anni, e uno cui solo le continue rielezioni hanno impedito di conoscere le piacevolezze dei "le faremo sapere" e del giro mattutino delle interinali.
Un simile curriculum -che potremmo definire quadrifallimentare- lo rende non solo una voce autorevolissima e senz'altro molto fedelmente rappresentativa del suo elettorato, ma anche un modello che i giovani "occidentalisti" fiorentini hanno cercato di copiare persino nell'abbigliamento e nell'acconciatura. Per non dire dei risultati accademici e dei traguardi lavorativi.
Figuriamoci quindi se non ne adottano a scatola chiusa l'agenda politica.
Di qui le invettive a mezzo gazzetta che Federico Bussolin, l'esclamativo Guglielmo Mossuto e una certa Barbara Nannucci hanno profferito contro il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud che chi scrive frequenta da trent'anni.
E che da ancora più tempo viene costantemente preso di mira, a volte in modo quasi monografico, da formazioni politiche che a Firenze finiscono col perdere sistematicamente le elezioni.
Bussolin, Mossuto e Nannucci meritano comunque un sincero ringraziamento.
Alla nostra attenzione era sfuggita la presentazione del volume "Figli delle catastrofi - Ribelli e rivoluzionari" di Giorgio Panizzari e Tino Stefanini, che sarebbe avvenuta nel 2020 e che secondo loro andrebbe a ulteriore detrimento dell'operoso sodalizio di via Villamagna.
Si è dunque immediatamente provveduto a ordinare il libro, di cui si darà conto su iononstoconoriana.com come da anni è nostro uso.
Con l'occasione ricordiamo a chi fosse interessato che nella stessa prospettiva ci siamo occupati di tutte le opere di Barbara Balzerani e di altri autori suscettibili di infastidire molti autonominati custodi della agibilità democratista.

giovedì 14 novembre 2024

La Lega in Toscana lancia con Susanna Ceccardi una raccolta di firme contro il velo nelle scuole



2018. La Lega in Toscana dice di non amare le violenze sulle donne e distribuisce di propria iniziativa molti spruzzini piccanti in una serie di iniziative piuttosto capillari, per la soddisfazione di Susanna Ceccardi.
Gli spruzzini piccanti non si sa quante violenze sulle donne abbiano evitato. Di sicuro hanno contribuito fin da subito a fare vari morti e sono diventati parte -altrettanto rapidamente- dell'equipaggiamento minimo del malintenzionato.
2024. La Lega in Toscana dice di non amare lo hijab e indice di propria iniziativa una raccolta firme per proibirlo nelle scuole, per la soddisfazione di Susanna Ceccardi.

Un inciso. Susanna Ceccardi si è autonominata custode dei "valori occidentali" e della tradizione cattolica.
Fortunatamente il curriculum richiesto per autonominarsi custodi dei "valori occidentali" non prevede una laurea, perché Susanna Ceccardi non è stata in grado di conseguirne una neppure in quindici anni. Il che la ascrive anche ai ranghi dei meritocrati per i meriti degli altri cui chi scrive non ha mai lesinato disistima.
Fortuatamente il curriculum richiesto per autonominarsi custodi della tradizione cattolica non prevede il rispetto del sesto comandamento perché Susanna Ceccardi ha avuto una figlia fuori dal matrimonio. Il che la ascrive anche ai ranghi dei cattolici dalla vita in su cui chi scrive non ha mai lesinato disistima.
Chiuso l'inciso.

Le persone serie hanno tutti i motivi di augurarsi che l'iniziativa contro lo hijab nelle scuole abbia un successo travolgente.
La distribuzione degli spruzzini piccanti lo ha avuto, e i risultati sono stati quelli su accennati. Se il divieto dello hijab dovesse portare a Susanna Ceccardi altrettanta soddisfazione è verosimile -per non dire sicuro, visto che l'eventualità che le iniziative della Lega portino a risultati opposti a quelli auspicati conta su una solida casistica- che in capo a un mese le scuole toscane cambieranno costruttivamente volto.

martedì 12 novembre 2024

Alastair Crooke - La crescente marea delle contraddizioni fondamentali dell'Occidente




Traduzione da Strategic Culture, 11 novembre 2024.

Le elezioni ci sono state. Trump entrerà in carica a gennaio. Molti degli attuali membri della nomenklatura di partito saranno sostituiti. E sarà annunciata una linea politica diversa. Prendere effettivamente il potere sarà più difficile che non insediarsi alla Casa Bianca: gli Stati Uniti si sono trasformati in una quantità di disparati feudi -quasi dei principati- dalla CIA al Dipartimento di Giustizia. E le "agenzie" di regolamentazione sono state create per preservare il controllo della nomenklatura sulla linfa vitale del sistema.
Non sarà propriamente facile convincere questi avversari ideologici ad adottare una nuova mentalità.
Tuttavia, le elezioni statunitensi sono state anche un referendum sul mainstream intellettuale che prevale in Occidente. E questo avrà probabilmente ripercussioni più determinanti di quante ne avrà sul piano interno il voto degli Stati Uniti, per quanto importante. Gli Stati Uniti si sono allontanati strategicamente dalla tecno-oligarchia manageriale che ha preso piede negli anni Settanta; un cambiamento che si riscontra in tutti gli Stati Uniti.
Nel 1970, Zbig Brzezinski (che sarebbe diventato consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter) scrisse un libro che prevedeva la nuova era. Quella che allora chiamò l'era tecnologica "comportava la graduale comparsa di una società sottoposta a un maggiore controllo. Una tale società... dominata da una élite, svincolata dai valori tradizionali... [e che praticava] una sorveglianza continua su ogni cittadino... [insieme alla] manipolazione del comportamento e del funzionamento intellettuale di tutte le persone... [sarebbe diventata la nuova norma]".
In un altro scritto Brzezinski sosteneva che "lo Stato nazionale... ha cessato di essere la principale forza creativa: Le banche internazionali e le multinazionali agiscono e pianificano in termini molto più avanzati di quanto faccia il piano politico dello Stato nazionale".
Brzezinski si sbagliava di grosso sui vantaggi di una governance tecnologica cosmopolita. E si sbagliava decisamente, e in modo disastroso, nelle indicazioni politiche che traeva dall'implosione dell'Unione Sovietica nel 1991 per cui nessun Paese o gruppo di Paesi avrebbe mai osato opporsi al potere degli Stati Uniti. In La grande scacchiera Brzezinski sosteneva che la Russia non avrebbe avuto altra scelta che cedere all'espansione della NATO e ai dettami geopolitici degli Stati Uniti.
Invece la Russia non ha ceduto. E l'euforia da "fine della storia" delle élite del 1991 ha portato l'Occidente a scatenare la guerra in Ucraina per dimostrare che nessun singolo Paese poteva sperare di opporsi al peso combinato di tutta la NATO. Lo dicevano perché ne erano convinti. Credevano nel Destino Manifesto dell'Occidente. Non hanno capito che la Russia aveva altre carte da giocare.
Oggi, la guerra in Ucraina è persa. Centinaia di migliaia di persone sono morte inutilmente per colpa di una condotta presuntuosa. E l'"altra guerra" in Medio Oriente non è diversa. La guerra dello stato sionista e degli USA contro l'Iran finirà con una sconfitta e decine di migliaia di palestinesi e libanesi saranno morti inutilmente.
Anche le "guerre per sempre" previste dal Comandante Supremo della NATO all'indomani dell'11 settembre per abbattere una serie di Stati sovrani -prima l'Iraq, poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e l'Iran- non solo non hanno portato al consolidamento dell'egemonia statunitense, ma hanno invece portato a Kazan e ai BRICS, con la loro lunga lista di aspiranti membri pronti ad opporsi al colonialismo straniero.
Il vertice di Kazan si è svolto all'insegna della cautela e non ha prospettato soluzioni a pioggia. Alcuni Paesi hanno esitato; la settimana successiva si sarebbero tenute le elezioni presidenziali statunitensi. I commenti di Putin nei loro confronti sono stati attentamente ponderati: guardate cosa possono fare a voi gli Stati Uniti se doveste cadere in fallo, in qualsiasi momento. Pensate a proteggetevi.
Tutto ciò che il Presidente dei BRICS (Putin) ha potuto dire, in questo frangente, è stato: Ecco i problemi che [dobbiamo risolvere]. È prematuro in questo momento creare una struttura alternativa a Bretton Woods. Ma possiamo creare i fondamenti di un'alternativa prudente per lavorare nell'ambito del dollaro: il sistema di regolamento e compensazione BRICS Clear; un'unità di conto di riferimento; una struttura di riassicurazione e la BRICS Card, un sistema di carte di pagamento al dettaglio simile ad AliPay.
Forse una valuta di riserva e proprio tutto quanto l'armamentario di Bretton Woods non saranno necessari. La tecnologia finanziaria si sta evolvendo rapidamente e, a condizione che il sistema di compensazione dei BRICS funzioni davvero, alla fine potrebbe nascere una moltitudine di canali commerciali distinti per una finanza legata all'evoluzione tecnologica.
Solo che "una settimana in politica è un periodo lungo". E di lì a una settimana il paradigma intellettuale occidentale è stato sconvolto. I fischi per fiaschi degli ultimi cinquant'anni sono stati rifiutati in modo trasversale dagli elettori statunitensi. L'ideologia del rinnegamento del passato culturale, l'accantonamento delle lezioni della storia (per prospettive, si sostiene, "sbagliate") e il rifiuto dei sistemi etici riflessi nei miti e nelle storie di una comunità sono stati rifiutati a loro volta.
L'idea di essere un paese civile tra i tanti è tornata praticabile. Il dubbio radicale e il cinismo della sfera anglosassone si riducono a una prospettiva tra le tante. E non possono più essere la narrazione universale. Ebbene, dopo le elezioni statunitensi la consapevolezza dei BRICS deve aver messo il turbo. Idee che una settimana prima sarebbero state praticamente inconcepibili sono diventate possibili e praticabili. Quando guarderanno a questo periodo gli storici potranno anche osservare che la futura architettura della moderna finanza globale e della moderna economia globale possono aver attraversato a Kazan un parto laborioso, ma sono comunque un neonato sano.
Tutto questo avverrà senza intoppi? Ovviamente no. Le differenze tra gli Stati membri e "partner" dei BRICS rimarranno, ma questa settimana si è aperta una finestra, è entrata aria fresca e molti respireranno più facilmente. Se c'è una cosa che dovrebbe essere chiara è che è improbabile che una seconda amministrazione Trump sentirà il bisogno di lanciare una "guerra al mondo" per mantenere la propria egemonia globale, come la Strategia per la Difesa Nazionale del 2022 affermava con insistenza.
Gli Stati Uniti infatti si trovano oggi a dover affrontare le proprie contraddizioni strutturali interne, alle quali Trump ha fatto regolarmente allusione ogni volta che ha parlato dell'evaporazione dell'economia reale statunitense a causa della delocalizzazione della base manifatturiera. Un recente rapporto della RAND Organization afferma chiaramente che la base industriale della difesa statunitense non è in grado di soddisfare le esigenze di equipaggiamento, tecnologia e munizioni degli Stati Uniti, dei loro alleati e dei loro partner. Un conflitto prolungato, specialmente in più teatri contemporaneamente, richiederebbe una capacità molto maggiore [e un bilancio della difesa sostanziosamente più ricco].
Il piano di rilancio industriale di Trump tuttavia prevede tariffe dolorosamente elevate per le industrie manifatturiere statunitensi; la fine del lassismo a livello federale e l'abbassamento delle tasse suggeriscono tuttavia un'inversione di rotta verso il rigore fiscale dopo decenni di indulgenza e di prestiti incontrollati, non grandi spese militari. La spesa per la difesa, tra l'altro, durante la Guerra Fredda si basava su aliquote marginali massime d'imposta sul reddito superiori al 70% e su aliquote d'imposta sulle società in media del 50%, il che non sembra corrispondere a quello che Trump ha in mente.
In una recente intervista il professor Richard Wolff ha affermato che l'Occidente nel suo complesso si trova in gravi difficoltà finanziarie, proprio a causa delle scriteriate spese degli esecutivi:
Per la prima volta, un paio di anni fa, gli obbligazionisti non sono stati disposti a continuare a finanziare il deficit della Gran Bretagna, e [il governo britannico è stato cacciato]. Il signor Macron sta andando incontro allo stesso destino. Gli obbligazionisti hanno detto ai francesi che non hanno intenzione di continuare a finanziare il loro debito nazionale. Ecco come funziona. Gli obbligazionisti dicono ai francesi "Dovete ridurre le spese"... Gli obbligazionisti dicono "Dovete smettere di fare deficit". Come ogni laureato sa, un modo per ridurre il deficit potrebbe essere quello di tagliare le spese. Esiste anche un'alternativa: si chiama tassare. E si chiama tassare le società e i ricchi, perché gli altri non hanno più nulla da farsi spremere; avete fatto tutto quello che potevate [fare, con le tasse che potevate imporre ai cittadini francesi comuni]. Tassare le società e i ricchi... in un certo senso non solo non è una cosa praticabile, ma non è nemmeno in discussione. Non può essere nemmeno presa in considerazione: nulla. Oppure, qualcosa di talmente inconsistente che non riuscirà mai a risolvere il problema del deficit. Adesso abbiamo troppo debito. E si scopre che il governo, come quello statunitense, nei prossimi anni dovrà spendere per ripianare il debito tanto quanto per la difesa. E questo non lascia molto agli altri capitoli di spesa. E ecco che tutti gli altri dicono no, no, no, no, no, no, no. E adesso coloro che hanno sottoscritto obbligazioni statali si preoccupano, perché un modo per risolvere la questione sarebbe smettere di pagare gli obbligazionisti e questo, ovviamente, non deve mai accadere. Quindi ci sono due assurdità. Non si può smettere di pagare gli obbligazionisti -o meglio, ovviamente si può, ma con conseguenze disastrose- e non si possono tassare le società e i ricchi. Anche se ovviamente si può. Penso che stiamo raggiungendo un punto in cui queste contraddizioni sono arrivate a fare massa critica. Non è necessario essere uno hegeliano o un marxista per capire che queste contraddizioni che si accumulano sono molto profonde, molto gravi e di fondamentale importanza.
Ci dicono che da un lato il mondo non accetta che la visione occidentale possa essere applicata a livello universale, e che dall'altro l'Occidente non ha oggi le risorse finanziarie per perseguire il primato globale, se mai le ha avute: Zugzwang.

martedì 5 novembre 2024

Alastair Crooke - La strategia di Netanyahu e la narrativa di guerra immaginaria: "Se funziona, bene; se non funziona, niente di grave. Proveremo qualcos'altro"


Traduzione da Strategic Culture, 4 novembre 2024.

Sabato 26 ottobre 2024 circa cento aerei dello stato sionista hanno attaccato l'Iran a distanza, mantenendosi sull'Iraq a circa settanta chilometri dal confine iraniano.
Un autore del Wall Street Journal, Walter Russell Meade, Distinguished Fellow dello Hudson Institute, ha scritto: "Gli aerei da guerra dello stato sionista non si sono limitati a paralizzare i sistemi di difesa aerea dell'Iran e a infliggere colpi dolorosi ai suoi impianti di produzione di missili. Hanno anche inviato un messaggio: lo stato sionista sa dove sono i punti deboli strategici di Tehran e può colpirli quando vuole".
Russell Mead trae da questa lettura questo dato sostanziale: "Le forze militari che hanno accesso alla tecnologia militare e alle capacità di raccolta dati statunitensi possono spazzare via le forze armate che si affidano a Mosca... La tecnologia statunitense è il non plus ultra nel mondo della difesa; a maggior ragione per un Paese come lo stato sionista, che ha notevoli capacità tecnologiche e di intelligence".
La guerra occidentale, dalle realtà immaginate e create, si estende quindi oltre l'Ucraina per arrivare fino in Iran.
La narrativa -con la postulata invincibilità della tecnologia e dei servizi statunitensi- deve rimanere in piedi. Al diavolo i fatti. La posta in gioco è troppo alta per pensare a passi indietro a favore della veridicità. Un osservatore più sobrio ed esperto nota tuttavia, dopo aver riflettuto per quattro giorni, che
gli attacchi dell'aeronautica militare dello stato sionista sembrano aver prodotto risultati minimi; sembra tuttavia che agenti infiltrati in Iran siano riusciti a mandare a segno diversi droni [con danni insignificanti]. Gli aerei dello stato sionista hanno lanciato molti missili [circa 56], tutti dalla massima distanza possibile. L'Iran ha messo in campo MOLTI missili di difesa aerea. Non ci sono notizie certe, né prove video (finora) di attacchi di vaste proporzioni a mezzo missili balistici su obiettivi iraniani significativi. Gli iraniani dicono di aver intercettato la maggior parte dei missili attaccanti, ma ammettono che alcuni sono riusciti a passare.
Come al solito, la narrazione bellica immaginaria che viene trasmessa è completamente distaccata da ciò che può essere osservato dalle immagini a terra. Russell Meade stava a tutti gli effetti avanzando la pretesa che non ci accorgessimo che l'attacco dello stato sionista è fallito, che non ha paralizzato le difese aeree e che non ha devastato alcun obiettivo significativo.
Eppure, come scrive il professor Brian Klaas, "il mondo non funziona come noi facciamo finta [o immaginiamo] che funzioni. Troppo spesso siamo portati a credere che sia un sistema strutturato e ordinato, definito da regole e schemi chiari. Questo è il meme alla base della narrazione che intende le leggi come prescrittive. L'economia, a quanto pare, si basa quindi su curve di domanda e offerta. La politica è una scienza. Persino le convinzioni umane possono essere tracciate, definite e rappresentate con un grafico; utilizzando la giusta regressione e un numero sufficiente di dati, è possibile comprendere anche gli elementi più sconcertanti della condizione umana". Si tratta di una versione riduttiva della realtà, una versione da libro di favole.
Sebbene nel XIX secolo alcuni studiosi credessero nell'esistenza di leggi che regolavano il comportamento umano, la scienza sociale è stata rapidamente costretta ad abbandonare l'idea che delle leggi fisiche ferree fossero direttamente alla base di una "fisica" sociale.
L'approccio più comune oggi, che riflette un ritorno alla modellazione guidata dai dati nella "scienza" politica in ambito occidentale, è quello di utilizzare i dati empirici del passato per individuare modelli ordinati che indichino relazioni stabili tra cause ed effetti.
In genere, la filosofia del materialismo dialettico è vista in alcune capitali come l'apice di un approccio scientifico oggettivo alla politica e alla sociologia umana e i suoi adepti riscuotono stima in quanto "scienziati". Appianando la complessità quasi infinita, le sintesi lineari fanno apparire il nostro mondo non lineare come se il suo andamento seguisse la confortante progressione di un'unica linea ordinata. È un gioco di prestigio. E per portarlo a termine con successo, gli "scienziati" devono eliminare tutto ciò che vi appare come inaspettato o come inspiegabile.
La pretesa oggettività di questa metodologia, tuttavia, risiede essenzialmente in un attributo culturale derivato dalla comprensione lineare e teleologica presente nelle tradizioni giudaico-cristiane.
È questa convinzione di una comprensione "scientifica" e lineare della storia ciclica che conferisce un forte senso finalistico all'analisi politica. Il professor Dingxin Zhao osserva come, a differenza di altre strutture metafisiche, essa consenta ai credenti di creare uno Zeitgeist più impegnato, costringendo gli individui all'interno della comunità ad agire in linea con l'esito teleologico previsto.
Non è difficile vedere in questa premessa teleologica il fondamento dell'ossessione odierna per la creazione di immaginarie narrazioni vittoriose. Il professor Dingxin Zhao avverte che coloro che fanno previsioni lineari sull'andamento degli eventi umani secondo la "scienza" materiale meccanicistica, possono facilmente convincersi di essere gli unici a possedere le convinzioni corrette e ad essere allineati con il giusto percorso di analisi. E che gli altri si trovino semplicemente dalla parte del torto, proprio come gli Stati che sono arrivati a fare "erroneamente" affidamento sulla tecnologia militare russa piuttosto che sul non plus ultra statunitense.
In una scienza sociale che segue un paradigma dominante e arrogante, il nostro mondo viene trattato come un qualcosa che può essere compreso, controllato e piegato ai nostri capricci. Le cose non stanno così.
Nel suo bestseller Chaos: Making a New Science (1987), James Gleick "osserva che la scienza del XX secolo sarà ricordata per tre cose: la relatività, la meccanica quantistica (MQ) e il caos. Queste teorie si distinguono perché spostano la nostra comprensione della fisica classica verso un mondo più complesso, misterioso e imprevedibile", scrive Erik van Aken.
La teoria del caos è emersa negli anni '60 e nei decenni successivi i fisici matematici ne hanno riconosciute le intuizioni per la comprensione dei sistemi dinamici del mondo reale.
Questi cambiamenti fondamentali però hanno avuto scarso impatto sul paradigma del pensiero occidentale, che è ancora visto dalla maggior parte degli occidentali come una macchina in cui ogni azione, come la caduta di una tessera del domino, innesca inevitabilmente un effetto prevedibile.
"Anche se ci troviamo in un mondo imprevedibile in cui quasi tutto influenza tutto il resto, la parola "causa" inizia a perdere di significato. Per quanto certi eventi sembrino non correlati o remoti, tutti hanno qualche convergenza e contribuiscono a una complessa rete o matrice di causalità".
Bertrand Russell, nel suo On the Notion of Cause (1912-13), arrivò a due conclusioni significative. In primo luogo, che la corrente nozione convenzionale di causalità non è fondata sulla fisica. In secondo luogo, se nozioni come "causa" devono essere riducibili alla fisica, dovremmo eliminare del tutto l'uso semplicistico del vocabolo causa.
Come possiamo quindi dare un senso ai cambiamenti sociali quando i cambiamenti conseguenti spesso nascono dal caos? Intanto che cerchiamo ordine e modelli, forse passiamo meno tempo a concentrarci su una verità ovvia ma consequenziale: gli eventi inaspettati e inspiegabili sono importanti. In altre parole, hanno una qualità e un significato.
Uno di questi eventi si è apparentemente verificato sabato 26 ottobre, quando sembra che l'attacco dello stato sionista contro l'Iran si sia imbattuto in un inatteso e considerevole ostacolo nelle prime fasi dell'operazione contro le difese aeree nemiche che puntava a sopprimere e distruggere le difese aeree dell'Iran. A quanto pare, la prima ondata di attacchi era intesa come un primo passo diretto a rendere praticabile lo spazio aereo iraniano, per spianare la strada ai successivi attacchi condotti da F-35 armati di bombe convenzionali.
L'evento inatteso? "I media dello stato sionista hanno riferito che un sistema di difesa aerea sconosciuto è stato utilizzato per abbattere obiettivi sopra la provincia di Tehran". Secondo quanto riferito, l'operazione dello stato sionista sarebbe stata cancellata subito dopo, mentre ai quattro venti à stata proclamata la narrativa vittoriosa poi ripresa tra i molti altri anche dal WSJ.
La narrativa vittoriosa era troppo preziosa perché si potesse rinunciarvi, ovviamente. Solo che gli eventi inspiegabili hanno la loro importanza.
Se gli aerei dello stato sionista (o quelli statunitensi) non riescono a penetrare lo spazio aereo iraniano protetto, in tutto o in parte -e il 26 ottobre nessun aereo dello stato sionista è entrato nello spazio aereo iraniano- l'intero paradigma per un attacco militare statunitense o dello stato sionista viene meno perché l'Iran dispone di un arsenale missilistico convenzionale di portata schiacciante e custodito molto in profondità con cui reagire.
Allo stesso modo crolla anche il paradigma della "Grande Vittoria" di Netanyahu, come scrive Ronen Bergman, autorevole commentatore dell'intelligence sionista:
Un alto funzionario della sicurezza dello stato sionista l'ha definita così: "Successo attraverso il fallimento". Lo stato sionista è entrato in guerra a Gaza per raggiungere due obiettivi, il rilascio degli ostaggi e lo smantellamento delle capacità militari di Hamas. Per non parlare della sua distruzione in una vittoria assoluta con il crisma del divino. Dopo aver fallito nel raggiungere anche soltanto uno di questi obiettivi, ne è stato aggiunto un altro sul fronte settentrionale: riportare i residenti in sicurezza nelle loro case. E anche a questo non è chiaro come ci arriveremo. Alcuni credono che il fronte meridionale possa essere chiuso con una vittoria sul fronte settentrionale. Adesso poi siamo sicuri che se solo assestiamo un colpo vittorioso all'Iran, ne sarà conseguenza la chiusura del fronte settentrionale; questo chiuderà anche il fronte meridionale.
L'Iran dice che intende infliggere allo stato sionista un colpo doloroso per l'attacco del 26 ottobre. E lo stato sionista dice che proverà di nuovo a colpire l'Iran.
Come fa lo stato sionista ad andare avanti così? Beh, nota l'alto funzionario della sicurezza: "forse la risposta è 'perché tutto è diventato normale'. Ciò che ci sembra impossibile -una cosa che non c'è modo che accada- improvvisamente accade... E tutti si abituano a questo, [e si abituano] alla mancanza di strategia. La mancanza di strategia, da accidentale che è, diventa una caratteristica stabile... Quindi nulla di grave, proveremo qualcos'altro".

mercoledì 30 ottobre 2024

Firenze. Scrivere "Palestina libera da israel nazisionista" non va bene. "Gz1spckrJbzsC" sì.

 


Firenze, località Ponte a Ema.
Nel gennaio 2024 qualcuno notò il muro di contenimento delle carreggiate della A1 e lo usò per esprimersi in modo molto negativo nei confronti dello stato sionista.
La scritta "Palestina libera da israel nazisionista" durò quanto un gatto in autostrada; metafora adeguata, visto il contesto.
Considerammo che la scritta fosse stata qualcosa come "SgUErTz50012" nessuno si sarebbe neanche sognato di intervenire con tanta rapidità.
Nell'ottobre 2024 lo stesso muro figura infiorato con queste inferiorate.
Che come tali non infastidiscono nessuno.
Con ogni probabilità finiranno per resistervi fino a sbiadirsi.

martedì 29 ottobre 2024

Alastair Crooke - Decapitare in modo eclatante i vertici della Repubblica Islamica dell'Iran? La "follia" di Netanyahu

 


Traduzione da Strategic Culture, 27 ottobre 2024.

È probabile che presto scoppi un conflitto su larga scala fra stato sionista e Iran, dice il ministro della Difesa dello stato sionista Gallant. La guerra avrà inizio quando lo stato sionista lancerà l'attacco che incombe da tempo. Gallant ha promesso che l'attacco contro l'Iran sarà "letale, preciso e soprattutto sorprendente", e ha aggiunto che l'Iran "non capirà nemmeno cosa gli è successo e in che modo".
In che modo. Una espressione rivelatrice.
A tutt'oggi non c'è traccia della risposta letale promessa da Gallant. Sembra che lo stato sionista, che inizialmente aveva attribuito importanza a una risposta rapida e diretta, stia aspettando che le batterie di missili anti-balistici THAAD vengano installate e che le truppe statunitensi che le gestiranno arrivino nello stato sionista.
Il THAAD probabilmente non è in grado di capovolgere la situazione. Il 1 ottobre l'Iran ha dimostrato la sua capacità di saturare e sopraffare le difese aeree sioniste lanciando due successive salve di missili balistici. Il dato fondamentale sull'arrivo del THAAD è che da un lato lo stato sionista è a corto di missili da intercettazione e dall'altro che impelagare gli Stati Uniti in una guerra tra USA e Iran è molto più importante per Netanyahu che rispettare i tempi.
Le batterie THAAD paradossalmente potrebbero fare proprio questo, attirare gli Stati Uniti nella guerra. Con le forze statunitensi ora dispiegate sul terreno a sostegno della propria cinetica azione militare contro l'Iran, lo stato sionista inserisce di fatto una cordoncino di innesco statunitense nel dramma bellico: se dei soldati statunitensi dovessero essere uccisi, gli Stati Uniti si ritroverebbero in guerra con l'Iran e si sentirebbero obbligati a reagire con forza alla morte dei loro soldati.
Netanyahu vuole questa guerra da venticinque anni. Ora può vederla prendere forma concreta, proprio davanti ai suoi occhi. Inoltre dal suo punto di vista arriva in una congiuntura favorevole: poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi, in cui quasi tutti i candidati stanno facendo a gara per dichiarare la propria fedeltà allo stato sionista.
Per essere chiari, non si tratta di roba con cui scherzare. Potrebbe evolvere in un ampio conflitto con la Russia, se Teheran dovesse essere minacciata. Il genocidio dello stato sionista a Gaza e il bombardamento disumano -al di là di ogni legge di guerra- dei civili in Libano per costringerli a sottomettersi al terrore hanno trasformato la Russia in un partner dell'Iran a tutti gli effetti. La Russia ha quindi lavorato duramente per integrare le difese iraniane con i propri sistemi di difesa di punta.
Il ruolo della Russia tuttavia si limiterà probabilmente alla fornitura di ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance), a quella dei più aggiornati sistemi per la guerra elettronica, a qualche missile e forse a quella di qualche batteria da difesa aerea S-400, anche se il loro arrivo in Iran non è stato confermato.
L'interesse principale dei russi sarà quello di verificare le prestazioni di queste armi contro un attacco da parte dello stato sionista.
Se dovessero funzionare bene, darebbero un notevole impulso alla deterrenza generale russa.
E qui sta il punto chiave: per i sionisti e per i neoconservatori ameriKKKani, il percorso per tagliare le zanne a Mosca passa dalla sconfitta e dalla decapitazione di Tehran. Una vittoria dell'Iran -la vittoria della Resistenza, quindi- farebbe l'interesse della Russia.
Portato all'euforia dall'eliminazione da parte dello stato sionista di gran parte dei vertici di Hezbollah e rincuorato forse da segnali non autorizzati (e sbagliati) per cui l'Iran che potrebbe rispondere in modo superficiale a un attacco sionista, la squadra di Biden potrebbe considerare a portata di mano la nascita di un nuovo Medio Oriente a guida sionista.
Lo Stato Maggiore del Pentagono interverrà per fermare la marcia verso il conflitto, come ha fatto per i piani di escalation di Blinken in Ucraina? Sembra improbabile. Finora gli USA hanno sostenuto senza riserve lo stato sionista. E hanno accettato di inviare le batterie THAAD.
Lo Stato Maggiore avrà certamente percepito il forte sentimento filosionista del Congresso, in netto contrasto con il crescente disincanto nei confronti dell'Ucraina.
Tuttavia affrontare l'Iran -sostenuto da Russia e Cina- non è cosa da poco: si può davvero vincere? E se così non lo fosse? E se lo stato sionista perdesse e quindi gli USA perdessero? Sarebbe un terremoto, un'umiliazione che scuoterebbe il mondo occidentale.
Un commentatore, James Kroeger, prevede in modo intrigante che "l'attacco dello stato sionista, se arriverà, sarà un altro attacco fatto per decapitare. Questa volta eseguito in modo ancora più sbalorditivo di quello messo a segno contro Nasrallah".
Il Pentagono non approva i piani delle forze armate dello stato sionista per attaccare i giacimenti petroliferi iraniani e nemmeno l'industria nucleare nel sottosuolo, ma i casi in cui ha fornito sostegno allo stato sionista quando ha preso di mira i leader della Resistenza che fa opposizione allo stato sionista sono stati molti. Le forze armate dello stato sionista non hanno forse appena usato ottantadue bombe statunitensi da duemila libbre a Beirut per uccidere Nasrallah con la piena complicità degli Stati Uniti?
Come concetto di base, è probabile che gli Stati Uniti approvino e magari permettano un attacco che elimini i principali leader iraniani a Teheran, nella convinzione che l'Iran sarebbe troppo stordito per rispondere con un attacco da guerra totale contro stato sionista. Dopo tutto, cosa ha fatto l'Iran dopo l'uccisione di Nasrallah? Ha attaccato alcune basi aeree delle forze armate dello stato sionista, ma in modo da non uccidere nessuno. Questo ha forse dissuaso lo stato sionista dall'osare attaccare nuvamente l'Iran?
Ciò che il Pentagono non approverebbe è il ricorso ad armi nucleari per decapitare il governo iraniano, perché potrebbe essere sufficiente a scatenare la guerra totale che il Pentagono tanto teme. Ma cosa succederebbe se l'astuto stato sionista, dopo aver accettato l'assistenza dell'AmeriKKKa in un'operazione con cui sferrare un attacco con una bomba convenzionale del tipo bunker buster contro la Guida Suprema, decidesse per proprio conto di lanciare anche un'atomica tattica o strategica su Teheran che devasti completamente la catena di comando iraniana?
L'intento dello stato sionista non è quello di evitare una guerra totale con l'Iran, ma quello di scatenarne una. E l'uso di una testata nucleare su Tehran farebbe proprio questo. Garantito al 100%. Bibi sa che dopo un tale attacco, se l'Iran risponderà attaccando lo stato sionista con ogni mezzo a disposizione, sarà in grado di far approvare al Congresso una dichiarazione di guerra contro l'Iran.
Gli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato [insieme al Congresso] verrebbero prima mobilitati per negare il fatto che siano state usate armi nucleari, e poi per caricare emotivamente le scuse sul perché lo stato sionista abbia dovuto usarle "per difendersi". Il tema che ripeteranno all'infinito? "Povero stato sionista, minacciato di annientamento dai terroristi, ha fatto ricorso alle uniche armi che gli rimanevano per sconfiggere il Male contro cui stava combattendo...".
Follia? Sì. La follia di Netanyahu. Eppure, l'enigmatica formulazione di Gallant su un attacco "letale, preciso e soprattutto sorprendente: l'Iran non capirà nemmeno cosa gli è successo e in che modo" costituisce una strana formulazione che si adatta perfettamente a questa tesi di Kroeger.
Una grande incognita: Il Pentagono sarà in grado di prendere una posizione e di rifiutare di adeguarsi? Il Pentagono si è sempre opposto a una guerra totale tra Stati Uniti e Iran. Per quale motivo? Perché tutte le guerre iniziate per azzardo negli ultimi anni hanno avuto come risultato la sconfitta dell'AmeriKKKa.

venerdì 25 ottobre 2024

Il testamento spirituale di Yahya Sinwar



La "libera informazione" ha ritratto Yahya Sinwar praticamente come un sorcio.
Yahya Sinwar è morto con la divisa addosso, combattendo fino all'ultimo respiro contro le forze armate dello stato sionista.
Se ne pubblica qui il testamento spirituale.


Sono Yahya, il figlio di un rifugiato che ha trasformato l’esilio in una patria temporanea e ha fatto di un sogno una battaglia incessante. Mentre scrivo queste parole, ricordo ogni momento della mia vita: dalla mia infanzia nei vicoli, ai lunghi anni di prigionia, a ogni goccia di sangue versata sul suolo di questa terra.
Sono nato nel campo di Khan Yunis nel 1962, in un periodo in cui la Palestina era solo un ricordo lacerato e mappe dimenticate sui tavoli dei politici.
Sono l’uomo che ha intrecciato la sua vita tra fuoco e cenere, e ha capito presto che vivere sotto occupazione significa non avere altro che una prigione permanente.
Sapevo fin da giovane che la vita in questa terra non è come qualsiasi altra, e che chi nasce qui deve portare nel cuore un’arma indistruttibile, e capire che la strada verso la libertà è lunga.
Le mie volontà per voi iniziano qui, da quel bambino che ha lanciato la prima pietra contro l’occupante e che ha imparato che le pietre sono le prime parole con cui possiamo farci sentire da un mondo che osserva in silenzio le nostre ferite.
Ho imparato nelle strade di Gaza che una persona non si misura per gli anni della sua vita, ma per ciò che dà alla sua patria. E così è stata la mia vita: prigioni e battaglie, dolore e speranza. Sono entrato in prigione per la prima volta nel 1988 e sono stato condannato all’ergastolo, ma non conoscevo la via della paura.
In quelle celle oscure, vedevo in ogni muro una finestra verso l’orizzonte lontano e in ogni sbarra una luce che illuminava il cammino verso la libertà. In prigione, ho imparato che la pazienza non è solo una virtù, ma un’arma… un’arma amara, come bere il mare goccia dopo goccia.
Il mio consiglio per voi: non temete le prigioni, poiché sono solo una parte del nostro lungo cammino verso la libertà. La prigione mi ha insegnato che la libertà non è solo un diritto rubato, ma un’idea nata dal dolore e affinata dalla pazienza.
Quando sono stato rilasciato con l’accordo “Wafa al-Ahrar” nel 2011, non sono uscito come ero prima, ne sono uscito più forte e la mia fede è aumentata nel fatto che quello che stiamo facendo non è solo una lotta passeggera, ma piuttosto il nostro destino che portiamo fino all’ultima goccia del nostro sangue.
Io vi esorto a resistere senza cedimenti e a conservare senza compromessi la dignità e il vostro attaccamento a un sogno che non muore.
Il nemico vuole che abbandoniamo la resistenza, per trasformare la nostra causa in un eterno negoziato. Ma vi dico: non negoziate per una cosa che vi spetta di diritto. Temono la vostra fermezza più delle vostre armi.
La resistenza non è solo un’arma che portiamo con noi; è piuttosto il nostro amore per la Palestina in ogni nostro respiro, è la nostra volontà di restarvi nonostante l’assedio e le aggressioni.
Io vi esorto a rimanere fedeli al sangue dei martiri, a coloro che se ne sono andati e che ci hanno lasciato su questo cammino pieno di spine. La strada per la libertà è segnata dal sangue dei martiri; fate che il loro sacrificio non sia reso vano dai calcoli dei politici e dai giochi della diplomazia.
Siamo qui per portare a compimento ciò che essi hanno iniziato e non ci faremo distogliere dal nostro cammino, costi quello che costi. Gaza è stata e rimarrà un saldo baluardo, il cuore della Palestina che non smette mai di battere, anche quando il mondo intero ci crolla addosso.
Quando ho assunto la guida di Hamas a Gaza nel 2017, non si è trattato solo di una transizione di potere, ma della continuazione di una resistenza iniziata con le pietre e proseguita con le armi. Ogni giorno sentivo il dolore del mio popolo sotto assedio e sapevo che ogni passo verso la libertà aveva un prezzo.
Ma vi dico: il prezzo della resa è molto più grande. Pertanto, aggrappatevi alla terra come una radice si aggrappa al suolo, poiché nessun vento può sradicare un popolo deciso a vivere.
Nella battaglia dell'Alluvione di Al Aqsa non sono stato il leader di un gruppo o di un movimento, ma la voce di ogni palestinese che sogna la propria liberazione. Sono stato guidato dalla mia convinzione che la resistenza non sia solo una scelta, ma un dovere.
Volevo che questa battaglia fosse una nuova pagina nel libro della lotta palestinese, una battaglia in cui le fazioni si unissero e tutti si schierassero in un’unica trincea contro un nemico che non ha mai fatto distinzione tra un bambino e un anziano o tra una pietra e un albero.
L'Alluvione di Al Aqsa è stata una battaglia delle anime prima ancora che dei corpi e della volontà prima che delle armi. Quello che ho lasciato dietro di me non è un’eredità personale, ma un’eredità collettiva per ogni palestinese che ha sognato la libertà, per ogni madre che ha portato sulle spalle il figlio martire, per ogni padre che ha pianto amaramente per sua figlia assassinata da un proiettile traditore.
Le mie ultime volontà sono quelle di ricordare sempre che la resistenza non è vana e non sta solo in un proiettile sparato; la resistenza è una vita vissuta con onore e dignità.
La prigionia e l’assedio mi hanno insegnato che la battaglia è lunga e la strada difficile, ma ho anche imparato che i popoli che rifiutano di arrendersi fanno miracoli con le proprie stesse mani.
Non aspettatevi che il mondo faccia giustizia per voi; ho vissuto e testimoniato come il mondo rimanga muto di fronte al nostro dolore.
Non aspettatevi giustizia; siate voi la giustizia. Portate il sogno della Palestina nei vostri cuori e trasformate ogni ferita in un’arma e ogni lacrima in una fonte di speranza.
Questa è la mia volontà: non abbandonate le vostre armi, non lasciate cadere le pietre, non dimenticate i vostri martiri e non compromettete un sogno che vi spetta di diritto. Siamo qui per restare, nella nostra terra, nei nostri cuori e nel futuro dei nostri figli.
Vi affido alla Palestina, la terra che ho amato fino alla morte e il sogno che ho portato sulle spalle come una montagna indomita.
Se cado, non cadete insieme a me; portate al mio posto la bandiera mai caduta e fate del mio sangue un ponte per una generazione più forte nata dalle nostre ceneri. Non dimenticate mai che la patria non è una storia da raccontare ma una realtà da vivere; da ogni martire, mille combattenti della resistenza nascono dal ventre di questa terra.
Se ci sarà una nuova alluvione e io non sarò tra voi, sappiate che sono stata la prima goccia nelle onde della libertà e ho vissuto per vedervi continuare il viaggio.
Siate una spina nella loro gola, un’alluvione che non defluisce, e non calmatevi finché il mondo riconoscerà noi come i legittimi titolari del diritto; noi non siamo dei numeri nei notiziari.
Che Dio ci guidi e protegga tutti.

giovedì 24 ottobre 2024

Tomaso Aramini, "Pensando ad Anna". Un film ispirato a un libro di Pasquale Abatangelo



Firenze. Nel febbraio 2023 Pasquale Abatangelo -un ultrasettantenne che ha scontato una lunghissima detenzione perché combattente in una formazione irregolare- presentò il suo libro autobiografico Correvo pensando ad Anna al Centro Popolare Autogestito Firenze Sud.
L'iniziativa non piacque al ben vestito Federico Bussolin, all'epoca consigliere comunale per la Lega al Comune di Firenze, e a una certa Barbara Nannucci
Come da diversi anni nostra abitudine in molti casi analoghi, ci comportammo in modo esattamente opposto a quello auspicato da questi due signori; ci recammo con puntualità alla presentazione e ci occupammo con una certa cura del volume, raccomandandolo ai nostri lettori.
Nel giugno 2024 gli elettori fiorentini si espressero nel più costruttivo dei modi circa la linea politica di Bussolin e Nannucci e la Lega ottenne 8695 voti; nel 2019 ne aveva avuti 25923.
Nell'ottobre 2024 veniamo a sapere che Tomaso Aramini ha curato un lungometraggio legato ai temi del libro, e in particolar modo a quello delle rivolte carcerarie degli anni '70 nella penisola italiana. Pasquale Abatangelo vi compare come uomo di salde convinzioni che non si è mai pentito né dissociato.
Consideriamo quindi un piacevole dovere raccomandare anche la visione del film.

lunedì 21 ottobre 2024

Una casa per Lucia Cardamone



Firenze, quartiere di Gavinana.
Dopo la visita del 2017 e quella del 2016 -e chissà se ce ne sono state altre nel frattempo- si è nuovamente fatto vivo l'architetto Lucia Cardamone.
I cui messaggi si fanno sempre più laconici.

 Nel 2016,
  Gentile Proprietario sono interessata all'immobile in vendita nel suo stabile!
Se fosse il suo mi chiami:
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L'architetto Cardamone ha sempre meno voglia di chiacchierare.
Il che è comprensibile, quando si cerca invano casa da otto anni.

mercoledì 16 ottobre 2024

Alastair Crooke - Lo stato sionista fa quello che fa perché il piano è sempre stato questo



Traduzione da Strategic Culture, 14 ottobre 2024. 


 Con l'assassinio di Sayed Hassan Nasrallah e di un certo numero di alti dirigenti di Hezbollah a Beirut -espressamente eseguito senza che il Pentagono ne fosse preventivamente informato- Netanyahu ha dato il via a un implicito allargamento della guerra dello stato sionista ai tentacoli della "piovra", per dirla con il termine dello stato sionista: Hezbollah in Libano, Ansarullah nello Yemen, il governo siriano e le forze irachene di Hash'ad A-Shaabi.
Dopo l'assassinio di Ismail Haniyeh e di parte dei quadri dirigenti di Hezbollah (tra cui un alto generale iraniano), l'Iran -demonizzato come la "testa della piovra"- è entrato nel conflitto con una raffica di missili che hanno preso di mira campi di aviazione, basi militari e il quartier generale del Mossad ma che, intenzionalmente, non hanno causato morti.
Lo stato sionista ha così reso gli Stati Uniti (e la maggior parte dei paesi europei) sodali o complici di una guerra che adesso ha preso definitivamente il carattere di una iniziativa neoimperialista contro l'intero non-Occidente. I palestinesi -icone globali dell'aspirazione alla liberazione nazionale- avrebbero dovuto essere spazzati via dalla Palestina storica.
Inoltre, il bombardamento di Beirut e la risposta dell'Iran hanno posto direttamente in conflitto lo stato sionista, sostenuto e materialmente appoggiato dagli Stati Uniti, con l'Iran sostenuto e materialmente appoggiato dalla Russia. Lo stato sionista, avverte il corrispondente militare di Yedioth Ahronoth, "deve fare un colpo di testa e attaccare l'Iran - perché colpire l'Iran 'metterà fine alla guerra in corso'".
Chiaramente, questo segna la fine dei giochi raffinati, della escalation graduale un passo calcolato dopo l'altro, come se si giocasse a scacchi con un avversario che calcola allo stesso modo. Entrambi i contendenti adesso minacciano di prendere a martellate la scacchiera. "Basta con gli scacchi".
Sembra che anche Mosca abbia capito che non c'è modo di giocare a scacchi quando ci si ritrova con un avversario che non è un uomo adulto ma uno spericolato sociopatico pronto a spazzare via la scacchiera e a giocasi il tutto per tutto con una mossa che gli porti una "grande" quanto effimera vittoria.
Secondo una analisi spassionata, o lo stato sionista sta sfidando il proprio stesso esistere sovraesponendosi su sette fronti, oppure spera di invocare proprio una minaccia esistenziale per provocare l'intervento degli Stati Uniti. Come per Zelensky in Ucraina, non ci sono speranze, a meno che gli Stati Uniti non intervengano in modo decisivo con la loro potenza di fuoco. Sia Netanyahu che Zelensky ne sono convinti.
Insomma, in Asia occidentale gli Stati Uniti stanno ora sostenendo nientemeno che una guerra contro l'umanità in se stessa e contro il mondo intero. È chiaro che una cosa simile non può essere nell'interesse dell'AmeriKKKa. I suoi pantagruelici potenti si rendono conto delle possibili conseguenze di un atto di tale macroscopica immoralità contro il mondo? Netanyahu si sta giocando la casa -e con lui adesso anche l'Occidente- sull'esito della sua scommessa alla roulette.
Qualcuno nelle stanze del potere non ha la sensazione che gli Stati Uniti stiano scommettendo sul cavallo sbagliato? Sembra che qualche voce dissenziente e propensa a esprimere riserve ci sia, negli alti quadri delle forze armate statunitensi. Come in ogni gioco di guerra nel Vicino Oriente in cui gli Stati Uniti vengono sconfitti, di queste voci se ne sentono poche. La classe politica nel suo complesso grida vendetta contro l'Iran.
Il perché ci siano così poche voci contrarie a Washington è un tema che è stato affrontato e illustrato dal professor Michael Hudson. Hudson spiega che le cose non sono così semplici e che il contesto non è quello. La risposta del professor Hudson è parafrasata qui di seguito da due lunghi commenti (qui e qui):
Tutto quello che sta succedendo oggi è stato pianificato cinquant'anni fa, nel 1974 e nel 1973. Io ho lavorato allo Hudson Institute per circa cinque anni, dal 1972 al '76. Ho partecipato alle riunioni con Uzi Arad, che è diventato il principale consigliere militare di Netanyahu dopo aver diretto il Mossad. Ho lavorato a stretto contatto con Uzi... Voglio descrivere il graduale prendere forma di tutta la strategia che ha portato agli Stati Uniti di oggi. E gli Stati Uniti di oggi non vogliono la pace, ma vogliono che lo stato sionista prenda il controllo di tutto il Vicino Oriente. Una volta accompagnai il mio mentore Terrence McCarthy allo Hudson Institute per parlare della visione del mondo nell'Islam. Ogni due frasi Uzi mi interrompeva: "No, no, dobbiamo ucciderli tutti". E anche altre persone appartenenti all'Istituto parlavano continuamente di uccidere gli arabi.
Quella di servirsi dello stato sionista come di un ariete a livello regionale per raggiungere gli obiettivi (imperialisti) degli Stati Uniti fu una strategia elaborata soprattutto negli anni '60, dal senatore Henry "Scoop" Jackson. Jackson era soprannominato "il senatore della Boeing" per il suo sostegno al complesso militare-industriale. E il complesso militare-industriale favorì la sua ascesa alla presidenza del Comitato nazionale democratico. Fu anche candidato per due volte, senza successo, alla nomination democratica per le elezioni presidenziali nel 1972 e nel 1976.
Era sostenuto anche da Herman Kahn, che divenne il principale stratega dell'egemonia statunitense all'interno dello Hudson Institute.
All'inizio lo stato sionista non aveva un ruolo importante nel piano statunitense; Jackson (di origine norvegese) odiava semplicemente il comunismo, odiava i russi e aveva un vasto seguito all'interno del Partito Democratico. Solo che mentre si metteva mano a tutto il piano strategico, Herman Kahn conseguì il fondamentale risultato di convincere i responsabili dell'edificazione dell'impero statunitense che la cosa essenziale da fare per mettere le mani sul Medio Oriente era affidarsi allo stato sionista come ad una sorta di legione straniera.
Secondo Hudson questo accordo a distanza ha permesso agli Stati Uniti di recitare la parte del poliziotto buono e allo stato sionista di svolgere il suo ruolo di spietato mandatario. Ecco perché il Dipartimento di Stato ha affidato la gestione della diplomazia statunitense a sionisti militanti: per separare e distinguere il comportamento dello stato sionista dalla pretesa correttezza dell'imperialismo statunitense.
Herman Kahn espose al professor Hudson quali fossero i punti forti di Jackson agli occhi dei sionisti: non era ebreo, era un paladino del complesso militare e un forte oppositore al sistema di contenimento della spesa militare in vigore. Jackson si oppose al contenimento della spesa militare: "la guerra la dobbiamo fare". Provvide quindi a infarcire il Dipartimento di Stato e altre agenzie statunitensi di neoconservatori (Paul Wolfowitz, Richard Pearl, Douglas Fife tra gli altri) che fin dall'inizio introdussero la prospettiva di una guerra mondiale permanente. A farsi carico della linea politica da indicare al governo sono stati innanzitutto, al Senato, alcuni ex assistenti di Jackson.
L'analisi di Herman era un'analisi di sistema: prima si definisce l'obiettivo generale, poi si lavora all'indietro. "Bene, ecco la politica odierna dello stato sionista. Innanzitutto si riducono strategicamente i palestinesi a frazioni isolate. Quelle in cui è stata trasformata Gaza negli ultimi quindici anni".
"L'obiettivo è sempre stato quello di ucciderli. O per lo meno di rendergli la vita così sgradevole da costringerli a emigrare. Questo è il metodo più facile. Perché mai qualcuno dovrebbe voler rimanere a Gaza quando gli succedono cose come quelle che stanno succedendo in questo periodo? Meglio andarsene. E se non se ne andranno dovrete ucciderli. Con le bombe se possibile, perché in questo modo si riducono al minimo le perdite", osserva Hudson.
"Nessuno sembra aver notato che ciò che sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania si basa sul concetto di frazionamento strategico come fu applicato durante la guerra in Vietnam: l'idea era quella di dividere tutto il Vietnam in piccoli lotti, presidiati in ogni punto di passaggio. Quello che lo stato sionista sta facendo ai palestinesi a Gaza e nei territori è stato sperimentato ai tempi del Vietnam".
Osservandoli bene, scrive Hudson, si notava che questi neoconservatori
praticavano una sorta di religione. Ne ho incontrati molti allo Hudson Institute; alcuni di loro, o i loro padri, erano trotzkisti. E si sono impadroniti dell'idea di rivoluzione permanente di Trotsky. L'idea è quella di una rivoluzione in divenire: mentre Trotsky sosteneva che una volta iniziata nella Russia sovietica essa si sarebbe diffusa in tutto il mondo, i neoconservatori l'hanno adattata affermando "No, la Rivoluzione permanente è l'impero statunitense: si espanderà e si espanderà ancora fino a investire tutto il mondo, e niente potrà fermarci".
I neoconservatori di Scoop Jackson fin dal primo momento avrebbero puntato ad arrivare a fare esattamente quello che stanno facendo oggi. Sostenere la potenza dello stato sionista facendone un combattente per procura nella conquista dei Paesi produttori di petrolio, destinati a diventare parte di una Grande Israele.
L'obiettivo degli Stati Uniti è sempre stato il petrolio. Questo voleva dire che gli Stati Uniti dovevano mettere in sicurezza il Vicino Oriente: a questo proposito potevano contare su due eserciti per procura. Due eserciti che fino a oggi hanno combattuto insieme come alleati. Da una parte i jihadisti di Al-Qaeda, dall'altra le forze armate sioniste che li controllano.
Adesso stiamo assistendo al diffondersi del curioso convincimento per cui quello che lo stato sionista sta facendo sarebbe "tutta colpa di Netanyahu, tutta colpa della destra". Invece fin dal principio sono stati protetti e sostenuti con enormi quantità di denaro, con tutte le bombe di cui avevano bisogno, con tutti gli armamenti di cui avevano bisogno, con tutti i finanziamenti di cui avevano bisogno... Tutte cose che sono state loro elargite proprio per fare esattamente quello che stanno facendo oggi. No, non ci può essere una soluzione basata su due Stati perché Netanyahu ha detto: "Odiamo quelli di Gaza, odiamo i palestinesi, odiamo gli arabi: non ci può essere una soluzione basata su due Stati. Ecco la mia mappa”, ha detto alle Nazioni Unite, "questo è lo stato sionista: non c'è nessuno che non sia ebreo nello stato sionista. Siamo uno Stato ebraico". Lo ha detto esplicitamente.
Hudson arriva poi al fondo di tutta la questione. Ci indica la chiave di volta fondamentale, che è la difficoltà, per gli Stati Uniti, di cambiare approccio. La guerra del Vietnam aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di introdurre una leva obbligatoria da parte delle democrazie occidentali non era praticabile. Lyndon Johnson nel 1968 dovette ritirarsi dalla corsa alle elezioni proprio perché ovunque andasse ci sarebbero state manifestazioni contro la guerra.
Il fondamento ineludibile che Hudson sottolinea è la consapevolezza che le democrazie occidentali non possono più mettere in campo un esercito nazionale ricorrendo alla coscrizione. Il risultato è che lo stato sionista -i cui effettivi sono limitati- può sganciare bombe su Gaza e Hezbollah e cercare di distruggere questo o quello, ma né l'esercito dello stato sionista né un qualsiasi altro esercito sarebbero davvero in grado di invadere e di cercare di conquistare un Paese -o anche solo il Libano meridionale- come fecero gli eserciti nella seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti avevano imparato la lezione ed è per questo che sono ricorsi a qualcuno che combattesse per procura.
"Insomma, quali possibilità sono rimaste agli Stati Uniti? Beh, penso che ci sia solo una forma di guerra non atomica che le democrazie possono permettersi, ed è il terrorismo [cioè il perseguimento di un enorme numero di vittime collaterali]. E credo che si debba guardare all'Ucraina e allo stato sionista come all'alternativa terroristica alla guerra atomica", suggerisce Hudson.
Il punto cruciale, osserva Hudson, è questo: cosa può comportare il fatto che lo stato sionista continui a insistere nel voler coinvolgere gli Stati Uniti nella sua guerra regionale? Gli Stati Uniti non invieranno truppe. Non possono farlo. I quadri dirigenti hanno provato con il terrorismo e il risultato del terrorismo è stato quello di far schierare contro l'Occidente tutto il resto del mondo, inorridito dalle stragi gratuite e dalla violazione di tutte le leggi di guerra. Hudson conclude: "Tracce di ragionevolezza nel Congresso non ne intravedo. Penso che il Dipartimento di Stato, l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale e la leadership del Partito Democratico, dato il suo radicamento nel complesso militare-industriale, siano assolutamente coinvolti".
E quest'ultimo potrebbe dire: "Beh, chi vuole vivere in un mondo che non possiamo controllare? Chi vuole vivere in un mondo in cui gli altri Paesi sono indipendenti e hanno una loro politica? Chi vuole vivere in un mondo in cui non possiamo avocare a noi il loro surplus economico? Se non possiamo prendere tutto e dominare il mondo, beh, chi vuole vivere in un mondo fatto in quel modo?".
Questa è la mentalità con cui abbiamo a che fare; praticare un gioco raffinato non cambierà questo paradigma. Un fallimento invece sì.