lunedì 30 giugno 2014

Nascita dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante. Da Bin Laden a Zarqawi e lo scisma da Al Qaeda



Traduzione da Conflicts Forum.


Un po' di chiarezza fin dal principio: il fenomeno cui stiamo assistendo oggi in Iraq, e che è presente in Siria come orientamento distinto almeno dal 2002-2003, non è Al Qaeda. Da un certo punto di vista si potrebbe affermare che gli sforzi compiuti dall'Occidente contro Al Qaeda intesa come Bin Laden sono effettivamente serviti a qualcosa perché la Al Qaeda come Bin Laden la intendeva è stata effettivamente affossata in larga misura. E' stata affossata in larga misura, ma non grazie all'"Islam moderato" come vorrebbe una visione dura a morire. Nel mondo arabo sunnita Al Qaeda è stata superata e sostituita da un nuovo movimento che ha formalmente rescisso le radici che lo univano a Bin Laden e si è rivolto contro di esso. Il venir meno di Al Qaeda, paradossalmente, è stato una vittoria di Pirro. Sicuramente Al Qaeda è un problema superato, ma al suo posto c'è qualcosa di più estremo, di più violento e di infinitamente più pericoloso.
Per afferrare la natura di questo cambiamento dobbiamo ritornare alle circostanze in cui Al Qaeda è nata. Al Qaeda si è concretizzata attorno ad un mito: è nata dalla (errata) convinzione diffusa presso i mujaheddin afghani di essere stati lo strumento che aveva portato all'implosione di una superpotenza mondiale, l'Unione Sovietica. Al Qaeda era semplicemente lo sviluppo dell'idea secondo cui l'Unione Sovietica era stata portata all'implosione esasperandola e costringendola ad una reazione smodata che l'avrebbe fiaccata militarmente ed economicamente, e che un attacco dello stesso genere avrebbe funzionato anche nei confronti dell'AmeriKKKa.
Bin Laden, e più correttamente Abdallah Azzam, erano convinti che la più macroscopica manifestazione dell'Occidente, ovvero la globalizzazione, potesse essere costretta a ritorcersi contro se stessa e a divorare la propria etica ed i propri valori per mezzo di attacchi plateali condotti a livello mondiale, che avrebbero costretto l'AmeriKKKa ad impegnarsi oltremisura, arrivando a sovvertire i propri principi nel tentativo di schiacciare una zanzara (Si veda Landscapes of jihad di Faisal Devji per trovare una compiuta esposizione di questo tema ad opera di Bin Laden). Fin dalla sua prima formulazione la concezione di Bin Laden -ma si tratta di una definizione imprecisa- contemplava l'implosione del "nemico lontano" intesa come contrapposta alla lotta contro i nemici di prossimità, e non era favorevole al settarismo. Bin Laden pensava ad una "tenda ampia": aveva persino fatto proprio, reinterpretandolo, il simbolismo sufi in modo da accrescere l'attrattiva del suo movimento. Al Qaeda era un progetto rivoluzionario utopistico, i cui leader provenivano in buona parte dalla colta élite urbana.
Si deve anche ricordare il fatto che l'élite politica occidentale si mostrò abbastanza soddisfatta di essere riuscita a far deflagrare l'Islam sunnita radicale: a fargli da mèntore e da direttore d'orchestra c'era il principe Turki Al Faisal dell'Arabia Saudita, alleato degli occidentali, che già si era rivelato d'aiuto quando c'era stato da far crollare l'Unione Sovietica, in quella che era stata una dolce vendetta del Viet Nam. Quel gioiellino di risultato era arrivato dopo che già c'erano state altre produzioni in comune, in cui l'Islam sunnita era stato mobilitato per combattere il baathismo, il nasserismo e il socialismo nei decenni precedenti. I successi conseguiti dalla cooperazione con l'Arabia Saudita nella mobilitazione dell'Islam sunnita in nome degli interessi occidentali procurarono dividendi anche ai sauditi stessi: da molto tempo cercavano di ridurre le molteplici correnti dell'Islam ad una voce unica, di imporre un'unica autorità sull'interpretazione del Corano e dunque alla voce unica di cui sopra, e di far sì che l'Islam fosse guidato da un unico capofila.

La concezione di Zarqawi è nata in circostanze piuttosto diverse. Essa è nata in mezzo all'incattivito e rancoroso sottoproletariato dei sobborghi di Amman, in mezzo agli abitanti della campagna, impoveriti e costretti a spostarsi in un divorante ghetto industriale alla periferia della città. A partire dal 2003 Zarqawi iniziò ad alimentare l'assai più genericamente vasto sentimento sunnita di esser stati espropriati di qualcosa e di aver subìto dei torti. Immediatamente dopo l'occupazione ameriKKKana, con la sbrigativa estromissione dei sunniti dal potere, con l'umiliante ed abborracciata esecuzione di Saddam Hussein, con lo scioglimento di un esercito orgoglioso i cui appartenenti credevano di aver raggiunto in precedenza un accordo col comando militare statunitense in base al quale alla decisione di non combattere l'invasore ameriKKKano sarebbe stato concesso un qualche riconoscimento, i rancori si approfondirono. Zarqawi indirizzò il risentimento dei suoi combattenti contro quelli che identificava come usurpatori: l'Iran, e gli sciiti che stavano estromettendo i sunniti dal potere, che stavano occupando ogni posizione nei servizi e che alla fine avrebbero prevalso nella guerra della pulizia etnica a Baghdad.
L'ideologia di Zarqawi altro non era che una concezione del mondo autoreferenziale, grossolana, incattivita, bigotta ed intollerante.
A differenza di quello di Bin Laden, il movimento di Zarqawi si nutriva di rancore, risentimento e voglia di vendetta. Osama bin Laden nutriva sospetti sul conto del proprio protetto in Giordania anche prima dell'11 settembre 2001, e cercò di tenerlo a bada. Bin Laden spedì per un po' Zarqawi nell'Afghanistan occidentale: non si fidava della sua lealtà e non gli piaceva la sua violenza estrema e settaria contro gli sciiti iracheni, anche se non mancò di apprezzare l'efficienza dimostrata da Zarqawi una volta che la guerra in Iraq ebbe avuto inizio.
Molti di coloro che si unirono a Zarqawi nella lotta contro l'occupazione ameriKKKana venivano dalla Siria; arrivavano forse ad essere diecimila, la maggior parte dei quali proveniva dalla fascia di villaggi sunniti che si estende fra la città libanese di Tripoli e i sobborghi di Homs e di Hamma, oppure dal nord del paese.
Quando i combattimenti diminuirono di intensità, molti di questi combattenti attraversarono di nuovo la frontiera e tornarono in Siria alle loro case. Dopo tutto questo, Al Baghdadi ha rivelato pubblicamente che fin dal 2003 Al Qaeda aveva iniziato a mettere i piedi un movimento clandestino in Siria, affinché servisse come sostegno logistico e militare e come fonte di approvvigionamento per Al Qaeda in Iraq. Questo movimento clandestino venne chiamato Jahbat Al Nusra. Nel corso del suo ultimo anno di vita, Ayman Zawahiri dichiarò il Fronte di Al Nusra il braccio ufficiale di Al Qaeda in Siria, dopo un aspro scambio di schermaglie con l'ISIL. Al Baghdadi e molti altri comandanti dell'ISIL abbandonarono allora Al Qaeda, che accusavano di aver intrapreso un percorso dottrinale sbagliato.
Le divergenze dottrinali spiegano perché l'ISIL non è Al Qaeda, e consentono di spiegare cosa sta succedendo in Siria, cosa sta succedendo in Iraq, ed anche perché il movimento oggi in azione ha un carattere autenticamente radicale. Si ricorderà che sono esistite figure provenienti dall'Arabia Saudita, non necessariamente esponenti ufficiali, che hanno sempre tratto qualche vantaggio dall'usare i gruppi jihadisti salafiti per il proprio tornaconto, che si trattasse di scopi dei sauditi o dei paesi occidentali, che si trattasse dell'Afghanistan o dell'Iraq. Al Qaeda non andava direttamente ad interferire con la dottrina islamica salafita o con gli obiettivi dei sauditi, e negli ambienti del regno questa cosa era chiara. 
L'ISIL, invece, riguarda direttamente l'una e l'altra cosa. I paesi del Golfo temono oggi la "corposa probabilità che il caos arrivi fino ai confini del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo", come ha rivelato una fonte jihadista all'importante quotidiano libanese indipendente Al Akhbar; il capo dell'ISIL Baghdadi avrebbe ricevuto "da un'organizzazione regionale che ha sede in un paese musulmano sunnita amico l'incoraggiamento a recarsi in Siria, nonché la promessa di aiuti economici per raggiungere quest'obiettivo". La fonte si è fermata poco prima di nominare direttamente il paese coinvolto; alla domanda se fosse l'Araba Saudita o il Qatar, ha risposto "Si tratta di uno di questi due".
La nuova dottrina che ha superato le idee di Bin Laden fa in un certo senso capo al revisionismo storico, ad una lettura della storia secondo cui lo Stato Islamico non è nato dall'opera dei Quraysh, il gruppo tribale dell'Inviato, e neppure dall'opera dei califfi o dalle prime comunità "saggiamente guidate". Non è nato neppure dalle vittorie di Saladino. Lo Stato Islamico sarebbe invece nato dall'opera di molti piccoli gruppi di "studiosi combattenti" che lottavano per la giustizia in nome dell'Islam. Questi gruppi erano spesso guidati da uno studioso o da un imam che interpretava il Corano per gli altri appartenenti al gruppo e che agiva come fonte di autorità per il resto del gruppo. Questi molti piccoli gruppi avrebbero finito per unirsi; allora, e solo allora, sarebbe nato lo Stato Islamico.
L'ISIL non è un "movimento". L'ISIL considera se stesso lo Stato Islamico embrionale che sta prendendo forma. Nella loro concezione, gli appartenenti all'ISIL stanno smantellando gli stati-nazione e tutte le divisioni territoriali nate dall'accordo Sykes Picot; stanno sgomberando l'Islam da tutte le sue eresie e da tutte le sue innovazioni, come purificandolo con il fuoco. Stanno facendo nascere lo Stato Islamico. Baghdadi non accetta aiuti militari, tranne quelli delle formazioni che gli hanno espresso la loro lealtà; pensa che le preghiere dell'ISIL abbiano la stessa lettera autorevole che hanno le interpretazioni che seguono la tradizione degli studiosi combattenti del passato. Inoltre, Baghdadi pretende che il bottino di guerra e tutto quello che viene conquistato spetti all'ISIL come tale.  
Non potrebbe essere altrimenti. Jamal Khashoggi, ex portavoce del principe Turki Al Faisal, ha risposto a chi gli chiedeva perché l'ISIL non si unisse ad altre formazioni islamiche: "La risposta è molto semplice, l'ISIL è lo Stato; come può uno stato fare causa comune con organizzazioni che stati non sono? Inoltre, l'ISIL ritiene che le altre formazioni armate dovrebbero rimanere al di sotto dell'ombrello statale, giurando fedeltà ad Abu Bakr Al Baghdadi che è lo Emir Al Mumin, il 'Comandante dei Credenti', e mostrarglisi obbedienti e sottomesse nella buona e nella cattiva sorte".
E' facile capire perché Khashoggi si mostra così caustico nei confronti dell'ISIL. La legittimazione del regno saudita poggia su tre pilastri: la discendenza dai Qurayish, il controllo della moschea della Mecca e quello delle autorità che fanno fede quanto ad interpretazione, ovvero degli ulema wahabiti e dell'università cairota di Al Azhar. La concezione revisionista della storia adottata dall'ISIL priva l'Arabia Saudita di tutti e tre i punti d'appoggio da cui trae legittimazione.
Tramite il proprio impegno in Siria, l'ISIL ha ottenuto molti vantaggi; ha reclutato migliaia di combattenti, al punto che esistono stime secondo cui il 65% degli appartenenti ad Al Nusra ha defezionato a favore dell'ISIL. Pare che in qualche caso battaglioni interi si siano uniti all'ISIL. La formazione combattente è riuscita anche ad impossessarsi di armamenti, razziando nel dicembre del 2013 il più grande magazzino del "Libero" Esercito Siriano del Generale Idris, e ad assicurarsi ottime fonti di reddito tramite il controllo di campi petroliferi. Nel momento in cui scriviamo, l'ISIL controlla vari campi petroliferi e sta combattendo per ottenere la supremazia su altri campi ancora. Secondo fonti di Al Nusra, un solo pozzo petrolifero a sud di Raqqa, nella Siria orientale, fa guadagnare un milione e trecentomila dollari al giorno; altri impianti della zona come quelli di Zamla, Al Tabaqa e Kuniko ne fanno guadagnare cinquecentomila.
Queste attività in Siria sono servite come base per gli attacchi in Iraq che hanno portato alla presa della città-simbolo di Mossul. Mossul è la seconda città dell'Iraq ed ha due milioni di abitanti. Prima di marciare alla volta di Baghdad, l'ISIL si è doviziosamente rifornito di denaro e di armi.
Il sito ameriKKKano Stratfor è noto perché ottiene informazioni direttamente da funzionari governativi; afferma che "Sicuramente il successo dell'ISIL ha molto a che fare con le forze e i gruppi tribali della zona, che gli hanno facilitato le cose o hanno deciso a maggioranza di non ostacolare le incursioni dell'ISIL verso Mossul. Mossul ha due milioni di abitanti e senza un aiuto dalla gente del posto i mille o duemila combattenti dell'ISIL non sarebbero mai riusciti a mettere in fuga l'esercito regolare iracheno. I media sociali mostrano varie testimonianze di come i sunniti locali abbiano ben accolto i combattenti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante, e mostrano anche combattenti locali che aiutano quelli dell'ISIL ad attaccare le posizioni governative".
Stratfor ha ragione; quello che non dice è che il lavoro sul terreno per arrivare alla presa di Mossul è cominciato molto tempo fa, durante la guerra in Iraq. Quello che Stratfor afferma, ovvero che l'arrivo dell'ISIL in città è stato preparato in anticipo, è vero; però è vero anche che una mossa del genere richiede una preparazione accurata. Secondo qualcuno, prepararla ha richiesto circa due anni.
I sunniti, fin dai primi tempi della guerra in Iraq, si sono trovati sotto attacco su due fronti. Da una parte c'era l'AmeriKKKa, che stava facendo di tutto per combattere l'insurrezione sunnita; la popolazione sunnita era isolata e sofferente. Dall'altra, i sunniti stavano perdendo l'altra guerra, quella per la pulizia etnica a Baghdad.
Alcuni capi tribali cercarono una soluzione proponendo un accordo agli ameriKKKani: in cambio della fine degli attacchi contro i loro soldati -obiettivo da raggiungere grazie all'influenza esercitata sui capi che sostenevano la resistenza armata- avrebbero avuto armi e finanziamenti. Di qui la nascita dei cosiddetti "Consigli del Risveglio". Lo scopo dichiarato degli armamenti era quello di combattere Al Qaeda; in realtà questo voleva dire più che altro contrastare le teste calde venute dall'estero a combattere il jihad, che erano assolutamente impopolari e che stavano facendo a pezzi la società irachena. La rabbia ed il rancore dei giovani capi della resistenza avrebbe finito per ritorcersi contro la comunità sunnita in generale.
In effetti, i Consigli del Risveglio posero fine agli scontri fra i sunniti e l'esercito ameriKKKano, in nome del superiore interesse rappresentato dall'acquisizione delle armi e del denaro che sarebbe servito alla comunità sunnita per difendersi dal governo sciita di Baghdad e dalle sue milizie. In poche parole, la mossa plateale compiuta dai Consigli del Risveglio nel prendere le parti dell'AmeriKKKa contro gli jihadisti può aver avuto come sfondo una più ampia comunanza di interessi all'interno degli ambienti sunniti. Proprio durante il periodo dei Consigli sono state poste le basi di quell'infrastruttura e di quella rete di interessi e di rancori condivisi che avrebbe permesso la presa di Mossul.
Quello che appare significativo, nel caso della presa di Mossul, è che a quanto pare esistono altri e diversificati settori sunniti della società irachena che sono pronti ad aiutare una formazione radicale come l'ISIL; si vedano le testimonianze di chi riferisce di combattenti locali che dato sostegno o addirittura marciato a fianco dell'ISIL stesso. Abbiamo visto formarsi alleanze dello stesso tipo a Tripoli in Libano ed in Siria; dei precedenti specifici esistono. Le agenzie di stampa che scrivono che l'avanzata dell'ISIL è stata ben preparata fanno pensare che possiamo trovarci davanti all'epilogo lungamente atteso della guerra civile irachena: la guerra senza quartiere per il futuro del paese.

Osiamo pensare che tutti questi settori della società irachena si sarebbero guardati bene dal fare un simile patto col diavolo, se non fossero stati sicuri di potere in qualche modo controllare gli sviluppi e se non avessero visto nella diffusa antipatia per il governo di Baghdad qualcosa che potremmo considerare una comunità di intenti. Il problema è che la storia è piena di gente che pensava di poter usare i salafiti, per trovarsi poi alla fine ad essere usata da loro. Ed un'operazione della vastità di quella in atto -sempre che effettivamente si tratti di questo, vale a dire del mutamento dell'orientamento politico dell'intero Iraq, richiede anche risorse ragguardevoli, ben al di là di quelle che si possono mettere insieme rapinando le banche che si incontrano lungo la strada; occorre, detto altrimenti, che un altro paese sia pronto a sostenere la conquista dell'Iraq. In ultimo, dobbiamo ricordare il fatto che i sunniti in Iraq sono una minoranza assoluta, e rappresentano soltanto il 20% della popolazione.

sabato 28 giugno 2014

Il nuovo califfato incontra la geopolitica mediorientale. La fulminea avanzata dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante secondo Conflicts Forum.



Traduzione da Conflicts Forum.

Che dire di quello che sta succedendo in Iraq? Finalmente abbiamo qualche punto fermo cui attaccarci, qualcosa che permette di capire in qualche misura quello che sta succedendo. In verità, anche per chi è testimone diretto degli eventi, le domande sono ancora molte di più delle risposte. Questo, per quale motivo? Pensiamo che per far luce sulla profonda incomprensibilità delle motivazioni alla base di quanto sta succedendo -vale a dire dell'irrompere a valanga in Iraq del Da'ish, detto anche Stato Islamico in Iraq e nel Levante- si debbano cercare di capire le complesse intersezioni che le radici profonde della psicologia religiosa -cosa diversa dal mero settarismo- hanno con la geopolitica. Se consideriamo gli eventi nella mera ottica delle considerazioni geostrategiche, ne ricaviamo un quadro troppo frammentato. Se invece prendiamo in considerazione gli eventi nel contesto della psicologia religiosa (una psicologia in cui gli eventi acquistano sicuramente un significato sia per i membri del Da'ish sia per i suoi molti simpatizzanti sunniti), notiamo che i due àmbiti, quello geostrategico e quello psicologico, possono presentare dei punti di intersezione, e che li presentano effettivamente.
Su quali punti fermi possiamo contare? Il Da'ish è "entrato a Mossul" senza imbattersi in alcun tipo di resistenza. Anzi, la presa della città era stata preparata da settori significativi della società irachena che almeno formalmente non sostengono il jihad: in particolare da ex ufficiali del disciolto esercito di Saddam Hussein, alcuni dei quali militavano -o militano a tutt'oggi- nel partito Ba'ath. Mille e trecento combattenti non occupano senza spargimento di sangue una città di due milioni di abitanti senza un beneplacito di una qualche rilevanza da parte degli appartenenti all'esercito iracheno di oggi. Questo significa che la conquista è stata certamente preparata con cura in anticipo e sicuramente è stata facilitata dal fatto che molti soldi sono passati di mano. Chi sia il fornitore ultimo di questo denaro non è dato saperlo. In secondo luogo l'instaurazione del "califfato" da parte del Da'ish è stata accolta con approvazione da molti sunniti in Iraq e fuori, nonostante si possa pensare che quello che hanno passato li spingerebbe a temere una simile forma di governo. Che cosa unirebbe mai i baathisti laici e gli ex ufficiali di professione dell'esercito all'intolleranza violenta del Da'ish e alla sua pretesa di vedersi riconosciuta un'egemonia senza condizioni? Non lo sanno che cosa è successo agli utopici riformisti della città di Aleppo, quando sono arrivati i rivoluzionari jihadisti sitibondi di vendetta? Eppure, il dato di fatto è tanto chiaro quanto difficile da mandare giù: molti iracheni sunniti -e molti sunniti in generale, fino a settori molto oltre a quelli che potrebbero in qualche modo essere visti come la base naturale del Da'ish- vanno asserendo oggi che preferirebbero vivere una vita precaria all'ombra della ghigliottina e di un regime rivoluzionario giacobino, piuttosto che sotto l'amministrazione sciita di Al Maliki. In questo, scopriamo qualcosa di profondo nella psicologia di questi sunniti. A dire il vero dobbiamo anche notare come esistano molti sunniti che stanno fuggendo da questa situazione e che vi si stanno opponendo.
In terzo luogo, il blitzkrieg contro l'Iraq è stato condotto molto bene, molto professionalmente dal punto di vista militare e in maniera molto avveduta dal punto di vista politico. Il Da'ish si è sottratto alla ignominia dell'incombente sconfitta della propria "divina" missione in Siria -con tutte la ripercussioni metaforiche tratte di peso dalla storia dei primi anni dell'Islam che una sconfitta avrebbe comportato- ed ha sferrato un grosso colpo ad un Iraq che si è rivelato fragile come il cristallo. Il Da'ish è riuscito a trasformare la sconfitta imminente in un colpo audace che, almeno fino ad oggi, ha mandato in frantumi la cristalleria rappresentata dalla stabilità in Iraq, mettendo rudemente a nudo le linee di frattura che dividono lo stato iracheno. L'ampiezza stessa del colpo e la prospettiva che per i sunniti possa nascere un punto di riferimento, una specie di staterello che possa fare da punto d'appoggio sicuro, esteso sui territori che ci sono tra Siria ed Iraq, ha sicuramente toccato corde profonde della psiche dei sunniti e dei paesi del Golfo. Un ex ambasciatore del Qatar negli USA ha ammonito il governo Obama a non intervenire a fianco di al Maliki; una cosa del genere sarebbe considerata un atto di guerra dall'intera comunità dei paesi arabi sunniti. Questo, non per la psicologia dei sunniti siriani; i siriani hanno accolto con preoccupazione il secondo cedimento militare iracheno, paragonato all'esito opposto che la loro resistenza ha conseguito confrontandosi con l'ISIL.
Tutta questa eccitazione per il Da'ish possiamo attribuirla al desiderio di rivalsa dei baahtisti? Di sicuro i baathisti sono stati estromessi dal potere, dal punto di vista politico sono stati cancellati dall'esecutivo, sono stati espulsi dall'esercito, sono stati aggrediti prima dagli ameriKKKani e poi dalle milizie del nuovo governo iracheno, e parecchi a Mossul, a Tikrit e nella provincia di Anbar nutrono una profonda antipatia nei confronti dell'Iran e del nuovo governo di Baghdad che è filoiraniano; sono vecchi rancori che risalgono ai tempi della rivoluzione in iran. Parecchi sunniti iracheni sono, e con ragione, preoccupati ed arrabbiati. Ma l'ideologia baathista in sé non può spiegare il patto faustiano stretto da alcuni baathisti col Da'ish. L'ideologia baathista così com'era in Iraq era stata in gran parte svuotata dal proprio contenuto, e in occasione della guerra del 2003 si è rivelata insufficiente a funzionare come collante identitario. Qualche volta, al salire delle tensioni settarie l'identità baathista si dissolve, e torna preponderante quando queste ultime vengono meno. Quando si ridestano, le tensioni settarie fanno troppo facilmente strame di ogni altra identità. Con questo non si vuole sostenere che tutto quello che succede in Iraq può essere ricondotto ad una questione settaria. Ci sono anche aspetti politici e geostrategici, ma sono comunque le tensioni settarie e non l'ideologia ad alimentare l'attrazione dei baathisti verso i takfiri dell'ISIL.

Un altro modo di considerare quanto accade potrebbe essere quello di pensare a come apparirebbero le cose in un'ottica religosa e psicologica. In ogni caso, sarebbe questa l'ottica in cui considererebbero il dipanarsi evenemenziale della storia quanti provano attrazione per il blitzkrieg dell'ISIL. Il cosiddetto "Risveglio" è stato visto da molti sunniti come un fenomeno specificamente sunnita. All'inizio, pareva che il "Risveglio" avrebbe mietuto delle vittorie conclamate: sembrava il trionfo della battaglia di Badr, in cui il piccolo corpo armato costituito dai trecentotredici sostenitori dell'Inviato sconfisse nel 624 d.C. un esercito della Mecca tre volte più numeroso. Solo che poi è arrivato il riflusso, ovvero la Siria nelle condizioni in cui si trova oggi, oppure, per continuare a seguire l'allegoria, la battaglia sunnita di Uhud, in cui le forze dell'Inviato vennero sconfitte nel 625 perché un contingente di fondamentale importanza non riuscì ad eseguire il principale compito che gli era stato affidato. Solo che dopo questo avvio incerto, che sembrava minacciare l'intero piano musulmano, le forze dell'Inviato non persero più nessuna battaglia. Il Da'ish può benissimo considerare anche la difficile situazione in Siria in un'ottica del genere, come una vittoria degli sciiti che minaccia tutto il piano sunnita, soprattutto in considerazione del fatto che nello stesso periodo i modelli di stato cui i sunniti si riferivano sono andati in frantumi. In quest'ottica le prime vittorie del Da'ish in Iraq, incredibilmente facili, possono essere considerate come i prodromi della prossima sconfitta di Al Maliki e dell'Iran; allo stesso modo l'Inviato passò di vittoria in vittoria dopo la battuta d'arresto di Uhud.

Questi miti avrebbero una forte eco nei paesi del Golfo, ma più prosaicamente i sauditi potrebbero arrivare a concludere che nella battaglia di Uhud dei giorni nostri rappresentata dalla Siria l'Iran ha scelto di seguire la "politica del sangue", come l'ha chiamata uno dei nostri interlocutori che conosce bene l'Arabia Saudita. In Siria è stato versato sangue sunnita, e se si vuole ristabilire un equilibrio nella regione ci dev'essere una contropartita dello stesso genere. Se gli unici mezzi per arrivarci sono l'ISIL e l'ex esercito di Saddam Hussein, non resta che utilizzarli. E' possibile che tutto questo venga considerato da qualcuno, nel Golfo, come un modo di ristabilire un equilibrio geostrategico: i protetti dell'Iran ne fanno le spese (e vengono fuori i punti deboli iraniani in Iraq) e si consolida qualcosa di simile ad un territorio schiettamente sunnita, quand'anche fosse il "califfato" dell'ISIL che magari potrà servire -come magari pensa qualche politico del Golfo- come base per discutere con gli USA del loro riavvicinamento all'Iran e come punto di partenza per un accordo politico tra Arabia Saudita ed Iran
E' realistico, tutto questo? Probabilmente no. L'ardente entusiasmo con cui i sunniti iracheni e del Golfo accolgono le gesta dell'ISIL può raffreddarsi alla svelta, e rivelarsi un fuoco di paglia proprio com'è successo in Siria, dove davvero si è fatta esperienza di cosa voglia dire farsi governare dall'ISIL. L'ISIL, con ogni evidenza, non riuscirà ad impossessarsi militarmente dell'Iraq; le loro incursioni hanno già fatto sì che le tradizionalmente litigiose fazioni sciite del paese si coalizzassero contro il nemico, ed il nuovo "Califfato" riuscirà a tirarsi addosso ostilità da ogni parte: dall'Esercito Arabo Siriano per quanto riguarda il territorio in Siria, dai curdi, dall'Iran a Diyala ed anche dalla maggioranza degli iracheni. Se l'Iran giocherà le proprie carte con prudenza come ha fatto fino ad oggi e riuscirà a tenere unite le fazioni sciite, a fare in modo che i sunniti iracheni contrari al predominio del Da'ish non finiscano tra le braccia dell'ISIL a causa della esagerata assertività dei loro compatrioti sciiti, e se Tehran riuscirà a tenere a bada l'innata sospettosità di Al Maliki, è possibilissimo che gli iraniani riescano ad evitare di pagare il proprio tributo di sangue. Soltanto uno riuscito attacco dell'ISIL ai sacrari di Samarra, Karbala o Najaf potrebbe far saltare ogni calcolo. In questo caso, possiamo attenderci l'esplodere di una guerra settaria a tutto campo.
E' facile, per chi vede le cose dall'esterno, incolpare il Primo Ministro Al Maliki per ogni cosa che non va in Iraq. Solo che non è stato Al Maliki a instaurare la regione autonoma curda, o ad armare i peshmerga; non è stato Al Maliki a congedare l'esercito di Saddam Hussein o ad intraprendere il percorso di epurazione che ha allontanato i sunniti dal potere. E' vero che il Primo Ministro nutre sospetti nevrotici in materia di complotti che sarebbero rivolti contro di lui e che questo si è rivelato patologico per come ha necrotizzato ed ossificato la politica irachena. Ma la sua prudenza e i suoi sospetti, anche se dal punto di vista politico sembrano esagerati e dannosi, difficilmente possono essere considerati privi di fondamento.

giovedì 26 giugno 2014

Eroi della "parità di genere": il Corriere Fiorentino, Jacopo Storni e la prostata femminile



Il Corriere Fiorentino nell'edizione del 26 giugno 2014. La screenshot è delle 9 del mattino.

Il Corriere Fiorentino è quello che l'insihurézza e che i'ddegràdo, quello che per anni ha fatto da assorbente igienico al collodio di Oriana Fallaci, quello che mentre la crisi economica si mangiava via un paio di generazioni indicava come principale problema cittadino i crocifissi nelle scuolettine pubbliche.
Come tutti i fogliettini "occidentalisti" interagisce con qualche conventicola che sta a metà tra la lobby e la claque e che tiene molto a presentarsi come competente e responsabile, laddove competenza e responsabilità si compendiano in linea di massima in un atteggiamento querulo e piagnucoloso propenso a ritenere eccessivamente lassista e permissivo anche il contesto dell'"occidente" contemporaneo, in cui la repressione -a servizio dei suffragi prima e ancora che del "sistema"- è da anni a livelli tali che è sufficiente alzare la voce al pallonaio per vedersela con la polizia politica.
Nelle intenzioni di questi gruppi, sarebbe meglio se le gazzette di riferimento fossero specchio, appunto, di competenza e responsabilità; non esiste mangiaspaghetti parassita e buono a nulla che non giuri sulla credibilità conferita da un abito elegante.
Bene. Illustrando la difficile esistenza di una certa Bakhtije Rustemi, Jacopo Storni spiega che si tratta di
"Una condizione destinata improvvisamente a precipitare quando alla donna viene diagnosticato un tumore alla prostata in stato avanzato".
Spariti dall'agenda setting i munsurmàni e i crocifissi, pare che tra le mode del momento ci siano i contratti matrimoniali tra individui dello stesso sesso; chissà che il Corriere Fiorentino non voglia accampare qualche merito nel campo della "parità di genere" dettando legge in materia di anatomia.
Se proprio va male, troveranno il modo di dare del terrorista ad Andrea Vesalio.

mercoledì 25 giugno 2014

Firenze, giugno 2014. E le foibe stanno a guardare.


Giugno 2014 a Firenze.
Per gli "occidentalisti" va peggio di male.
I pallonieri vestiti di azzurro già di ritorno dalle pallonate brasiliane.
Qui si auspica che all'aeroporto i pepperoni spaghettos si vedano sequestrare la pummarola nascosta assieme all'aglio nei bagagli a mano e che qualcuno dei "loro ragazzi" -tatuaggi, orecchini e tutto il resto- ne approfitti per imbastire una piazzata adatta ai rotocalchi, finendo ovviamente per attirare l'attenzione della Força Nacional de Segurança e per farsi arrestare, a fare da ancor più ridicolo pendant ai due fucilieri di marina da cui la Repubblica dell'India pretende molto giustamente qualche articolata spiegazione.
Possiamo anche ricordare ai lettori che la Repubblica Federativa del Brasile è il paese in cui un certo Cesare Battisti trovò alcuni anni fa asilo politico, concessogli perché le autorità preposte avevano, tra le altre cose, un concetto piuttosto realistico del sistema giudiziario e delle condizioni di detenzione che caratterizzano il "paese" dove mangiano maccheroni. La marmaglia "occidentalista", che con il realismo non ha rapporti di alcun genere, fece fuoco e fiamme e mobilitò la sua claque di sfaccendati in una serie di minuscole manifestazioni di piazza. Adesso davanti al non olet delle pallonate le priorità sono ovviamente differenti; permettono persino di dimenticare la terza picca incassata in tre giorni, l'assegnazione di un'onorificenza fiorentina all'imam Izzedin Elzir che l'occidentalame ha usato per anni per le proprie miserabili esercitazioni di linciaggio mediatico.
A tutto questo assiste, immota nel suo pluriennale e sordido squallore, una piazza Mariti delle Foibe riarsa, che in pieno giugno riesce a sembrare persino peggiore che in pieno inverno.

domenica 22 giugno 2014

Niente pallonate travestite: Dario Nardella fa arrabbiare Casaggì Firenze.


Hanno ucciso il calcio storico fiorentino.
Qualcuno ci faccia avere notizie dell'Uomo Ragno, prima che dobbiamo davvero preoccuparci.

Le elezioni amministrative della primavera 2014 sono state un accadimento salutare, se non altro perché hanno ridotto la rappresentanza "occidentalista" a Firenze ai minimi termini. Achille Totaro, che è grasso e di Scandicci, è stato uno dei pochissimi a sfuggire al disastro e a cose fatte deve aver deciso che le poltrone della camera bassa sono più comode di quelle del consiglio comunale, ed ha lasciato il suo posto ad un intransigente Yeats del pandiramerino come Francesco Torselli.
Appena verificata la morbidezza del cuscino istituzionale il Gerry Adams della ribollita ha dovuto buttar giù ancora una volta una pillola amara come l'annullamento delle pallonate travestite deciso dal nuovo borgomastro.
Le pallonate travestite servono ai partecipanti ad esibire un interminabile campionario di comportamenti bestiali e sanguinari; la cosa obbligò alcuni anni or sono l'amministrazione a modificare i regolamenti, impedendo la partecipazione ad assassini, spacciatori, trafficanti d'armi ed altri insigni rappresentanti della più schietta fiorentinità. Inoltre, viene radiato o squalificato chi si fa beccare a comportarsi nel corso delle pallonate come è solito comportarsi nella vita quotidiana, questo significa che durante le pallonate non è purtroppo ammesso aggredire a casaccio qualcuno dei presenti.
In due parole, "nel dubbio mena" va bene sulle magliette di Boutique Pound, ma non va più bene alle pallonate travestite.
Per gli "occidentalisti", una cosa intollerabile.
Il responsabile di questo ingiusto e forsennato atto repressivo si chiama Dario Nardella, ha una laurea in giurisprudenza che qualche competenza in pubblica amministrazione dovrebbe pur garantirgli, ed un diploma in violino. Piagato più del solito da una mancanza di argomenti arrivata ai limiti del lebbroso, in campagna elettorale l'occidentalame non ha saputo far altro che additarne ai sudditi le origini non fiorentine, come se fossero una condizione che rende indegni di partecipare alla vita pubblica.
Sulle origini non fiorentine di molti pallonieri travestiti, gli "occidentalisti" sono assai più corrivi.
Il pasticcio grafico con cui Casaggì Firenze denuncia la soperchieria dell'amministrazione contiene quattro immagini e tre frasi.
In nessuna delle immagini compaiono palloni; in compenso vi compare -probabilmente non per caso- un signore che sfoggia un tatuaggio inequivocabile.
Le tre frasi invece contengono almeno una menzogna ciascuna.
Sono bastati pochi giorni di Nardella per uccidere secoli di tradizione. Le pallonate travestite sono un'invenzione contemporanea. Sono una tradizione inventata. L'inventore si chiamava Alessandro Pavolini ed è stato fucilato come un cane il 28 aprile 1945.
Il buonismo di un'epoca molle ha prevalso sull'orgoglio di Firenze. In realtà l'epoca attuale ha visto gli "occidentalisti" dare prova di cattivismo deliberato e continuo, sostenuti senza incrinature dall'intero mainstream. Sul fronte interno ne hanno avuto il guiderdone elettorale che sappiamo, sul fronte esterno le cose sono andate ovviamente e logicamente peggio, com'è normale che sia quando si va ad esportare il democratismo dalle parti di chi non aveva alcun bisogno di prendere lezioni.
Nel campo delle pallonate non travestite gli "occidentalisti" si sentono rappresentati da un gruppo di pallonieri vestiti d'azzurro che negli ultimi anni non ha fornito grandi prove. Nel momento in cui scriviamo, questo gruppo è impegnato in una importantissima competizione palloniera che si svolge in Brasile. Il nostro ovvio auspicio è che la competizione si concluda nel peggiore dei modi e che nel percorso di rientro non sia ad esso risparmiata alcuna seccatura, ivi compresa una accurata ed umiliante perquisizione aeroportuale che inventari puntigliosa le scorte di maccheroni, peperoncini, pummarola ed aglio avventatamente riposte nei bagagli a mano, con debite piazzate e battibecchi.
Una vergogna indelebile. La sovversione "occidentalista" chiama vergogna quello che nei contesti normali prende i nomi di logica, realismo, decenza, dignità.

venerdì 20 giugno 2014

Campioni d'Occidente: Giuseppe Povia


E vanno anche a dirlo in giro.

Chi scrive ha messo qualche preferenza qua e là ma va sostanzialmente avanti a musica barocca, usando tutt'al più le svestite della "musica" pop contemporanea come pretesto per qualche sobria considerazione.
Del signor Giuseppe Povia abbiamo già parlato di sfuggita diverso tempo fa, quando si è esibito assieme a Gheri Guido in favore di Mario Razzanelli, inaffondabile cambiatore di casacche dell'"occidentalismo" fiorentino. 
Negli ultimi anni il signor Povia ha conferito con i gazzettieri di una quantità di argomenti esprimendo posizioni perentorie, radicali e documentate quanto un urlo al pallonaio ma sperabilmente utili a rastrellare pubblico tra gli "occidentalisti".
Non aveva calcolato la crisi rovinosa dell'"occidentalismo" politico e della sua propaganda; bruciate in due secondi al calor bianco della politica governativa e rispedite nei sottoscala di provenienza un paio di generazioni di attivisti rimaste senza bandiera, senza rappresentanza e soprattutto senza soldo, il crollo dei suffragi raccolti dai partiti'"occidentalisti" ha punito in maniera altrettanto severa il fittissimo fronte dei propagandisti mediatici, in cui per anni sono andati accumulandosi buoni a nulla di ogni genere rassicurati dalla (ahiloro teorica) incredibile ampiezza del pubblico di riferimento.
In attesa di un suo rientro nell'anonimato con relativo intensificarsi della frequentazione dell'ufficio circoscrizionale per l'impiego (fenomeno battezzato jalissizzazione sulle pagine di Antiwarsongs) non possiamo che prendere atto della tornata di concerti con cui Giuseppe Povia cerca di allontanare dalle proprie nari l'odore di mensa dei poveri che si fa di giorno in giorno più minaccioso. Si tratta di località -e in qualche caso di interi distretti- dei quali non conoscevamo neppure l'esistenza, in cui accorre un pubblico sì numeroso da rendere l'immagine in alto rappresentativa di un contesto utopico.
Il concerto di Masera' era il primo della serie ed è stato compiutamente recensito da Mattia Costioli e Camilla Pietra su Noisey. Dalla recensione traiamo un'immagine significativa ed alcune righe di una certa compiutezza; finiti i tempi in cui elementi del genere potevano difendere la civiltà "occidentale" e il crocifisso, "valori", "radici cristiane" eccetera dai palchi più noti e indirizzandosi alle platee più nutrite, è cominciata una sordida corsa al ribasso, a cui non si può che assistere con un certo divertimento.
Dopo una quantità di chilometri decisamente superiore a quella consentita dai limiti del buonsenso sono dunque arrivato a Maserà, provincia di Padova, e ho subito notato che alla palestra comunale tirava un'aria tutt'altro che da grandi occasioni. L'inizio dell'esibizione è fissato per le 18, ma sembra che Povia (e il suo pubblico) si faranno attendere.
Appena varcata la soglia si viene assaliti, oltre che dal disagio, da alcuni ragazzi che cercano di vendere delle polizze assicurative[1], a loro dire molto vantaggiose.  [...]
Il concerto sta finendo, Povia canta "Vorrei Avere Il Becco", "Zoccoli" e altri pezzi che non conosco bene, toglie le All Star e si mette gli zoccoli perché vuole combattere i poteri forti. Poi toglie anche quelli e resta scalzo perché vuole combattere la lobby delle verruche.

La palestra di Masera' in cui si è ridotto ad esibirsi (davanti a duecento spettatori, pare) il signor Giuseppe Povia.
Si noti la scritta SPURGHI sullo striscione pubblicitario a sinistra dell'inquadratura.


[1] La reazione che un'iniziativa del genere susciterebbe in un pubblico normale è più facile da immaginare che da descrivere.

martedì 17 giugno 2014

Stile e pallonate.


Hassan Rohani, Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, mentre guarda le pallonate in televisione.
Possiamo ipotizzare che abbia trascorso le ore precedenti sbrigando qualche impegnativo affare di stato.


Tipici sudditi del "paese" dove mangiano maccheroni mentre guardano le pallonate in televisione.
Possiamo ipotizzare che almeno uno di essi abbia trascorso le ore precedenti sbrigando qualche impegnativo affare di famiglia.

lunedì 16 giugno 2014

Sugli Stati Uniti d'AmeriKKKa, la Repubblica Islamica dell'Iran e un certo lavoro rimasto da finire


Questa spicciativa personificazione degli Stati Uniti d'AmeriKKKa, in un poster propagandistico diffuso attorno al 2007, si accingerebbe a "finire il lavoro" iniziato con l'aggressione all'Afghanistan e proseguito con quella all'Iraq.
Secondo dati non si sa quanto attendibili è obeso il 74% della popolazione amriki; una personificazione fedele dovrebbe presentare un tale sovrappeso da renderla più ridicola che temibile, chiave inglese nonostante.

Gli sviluppi nella Terra dei Due Fiumi hanno preso una piega tale da far pensare a qualunque yankee dotato di un minimo di discernimento (la minoranza assoluta) che l'aver lasciato il lavoro a metà potrebbe rivelarsi relativamente utile.
Nel giugno 2014 il gazzettaio sta mostrando gli abboccamenti tra yankee e Repubblica Islamica dell'Iran come se fossero un inedito. La fattiva e costruttiva opera della Repubblica Islamica dell'Iran nella Terra dei Due Fiumi è iniziata nei mesi successivi all'aggressione statunitense, si svolge alla luce del sole avallata, sollecitata ed apprezzata dall'esecutivo iracheno sorto dalle tanto pubblicizzate "libere elezioni" ed è nota a tutti meno che al pubblico della "libera informazione occidentale". In fin dei conti è una delle poche cose che ha permesso ai deafferentati caubòis dell'ubriacone Bush di smetterla di giocare agli apprendisti stregoni limitando danni e beffe al minimo indispensabile, scaricando sostanzialmente i costi umani della propria tracotanza sul popolo aggredito.
Il problema è che tutto questo riguarda la realtà documentabile: un concetto inaccettabile per i gazzettieri "occidentali" al pari di quelli che presentano le esotiche denominazioni di realismo, ponderatezza, competenza. Da un altro punto di vista si può sostenere portando infiniti esempi che la "libera informazione" si accosta ad ogni campo dello scibile con la competenza e con le categorizzazioni del reale che adotta quando deve cianciare di pallone. In questo caso specifico, nello stato che occupa la penisola italiana un radiogazzettino diffuso la mattina del 16 giugno da  Radio Uno ha statuito che "i repubblicani" stavano mettendo "sotto pressione" l'amministrazione statunitense e si è affrettato a stanare chissà dove uno "esperto" amriki proveniente anch'esso dal mondo fogliettista, rappresentato nel caso specifico dalla CNN. In traduzione simultanea, davanti alla non notizia della collaborazione statunitense con la Repubblica Islamica dell'Iran, lo yankee si è prodigato in invettive senza minimamente curarsi delle implicazioni di quanto gli stava uscendo di bocca. In particolare ha sostenuto che "...Tutti i tiranni in un'area compresa tra l'India e la Siria sono caduti ad opera di movimenti sunniti radicali... Al Maliki [il Primo Ministro uscito da una di quelle "libere elezioni" santificate dalla propaganda, n.d.a.] è un despota che odia i sunniti...". Nulla più della "democrazia" incarnata da giovani donne con le dita intinte nell'inchiostro delle commissioni elettorali è mai stato più a cuore degli ultimi governi yankee, il che fa pensare che un "esperto" di questo genere stia praticamente dando conferma del fatto che gli Stati Uniti hanno trescato con l'un nemico per combattere l'altro -cosa in sé comprensibilissima- profondendo ovviamente in questo la stessa incompetenza profusa nelle guerre di aggressione degli ultimi lustri. E arrivando ai costruttivi risultati di cui sopra.
Ad indispettire ancor di più questo signore -i ridicoli e strapagati think tank yankee sono comunque in grado di fornire "esperti" anche meno allucinati di così, ma i servizievoli bambini viziati della "libera informazione" fanno finta di non saperlo- la prospettiva che "i nostri jet" vengano "dati alla Guardia Rivoluzionaria". Tradotto dalla lingua dei caubòis a quella delle persone serie, significa "la parte politica che mi paga non approva che vengano eseguiti attacchi aerei di cui sul terreno si avvantaggerebbero le forze armate della Repubblica Islamica dell'Iran, arrivate sul posto anni luce prima di noi e capacissime di muoversi con efficacia su un terreno che conoscono bene invece di limitarsi a sparare a tutto quello che si muove come abbiamo fatto noi per dieci anni filati, quando non abbiamo fatto di peggio armando e finanziando le stesse organizzazioni che dicevamo di combattere e che adesso diciamo di voler tornare a combattere".
La rivoluzione islamica in Iran rappresenta a tutt'oggi uno dei peggiori rovesci subiti dalla politica estera statunitense. Nel 1978 Reza Pahlavi aveva appena ricevuto dagli Stati Uniti smodate forniture di armamenti modernissimi, tra cui proprio i jet che costituiscono ancora oggi -tenuti insieme con i miracoli e con il reverse engineering- l'ossatura dell'aeronautica rivoluzionaria. Come dire che nel "dare i loro jet alla Guardia Rivoluzionaria" gli yankee hanno persino giocato d'anticipo.

domenica 15 giugno 2014

Dal blog Ekbloggethi - In balneo veritas



Mentre il Male avanzava:
tuo nonno era sulle montagne
tuo padre era sulle barricate
tu eri su Facebook


Sul muro del bagno (delle donne) del Centro sociale Bujanov - Don Chisciotte.
Vacchereccia (Arezzo), 14/6/2014


Da Ekbloggethi.blogspot.it

sabato 14 giugno 2014

Shane Harris - L'avanzata jihadista in Iraq ha preso alla sprovvista le spie statunitensi


Uno Hummer dell'esercito regolare iracheno fuori combattimento. Lo Hummer è stato per qualche anno il veicolo simbolo della "politica muscolare" statunitense, al punto che gli "occidentalisti" più consapevoli del proprio ruolo e meglio forniti di denaro ne hanno utilizzate versioni civili per alcuni tra i compiti più pericolosi che l'"occidentale" contemporaneo possa immaginare di dover svolgere, come il recarsi in discoteca o l'accompagnare i bambini a scuola. Sul terreno lo Hummer ha dato prove deludenti. Migliaia di soldati hanno fatto le spese della sua vulnerabilità agli ordigni a bordo strada, cosicché lo si è velocemente sostituito con mezzi ancora più costosi, rifilando i fondi di magazzino e gli esemplari già prodotti agli eserciti alleati o presunti tali.
L'immagine correda l'articolo di cui si fornisce traduzione. In esso vengono citati anche vari
think tank il cui compito è sostanzialmente quello di sostenere quello che il governo yankee vuole che sostengano e le cui denominazioni pompose e articolate -lasciate apposta in lingua originale- dovrebbero a questo punto ispirare da molti anni reazioni di sprezzante sufficienza.

Traduzione da Foreign Policy.

Prima in Crimea, poi in Iraq. Per quali motivi l'apparato spionistico statunitense, che costa cinquanta miliardi di dollari l'anno, continua a farsi prendere di sorpresa?

Mercoledi 11 giugno funzionari ed ex funzionari statunitensi hanno riferito che le agenzie spionistiche sono state colte di sorpresa quando i combattenti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante hanno conquistato due delle più grandi città irachene ed hanno messo in rotta l'esercito. Le truppe statunitensi non sono più di stanza in Iraq da anni; Washington non aveva né personale sul terreno né sistemi di osservazione dall'alto per prevedere luoghi e tempi degli attacchi operati dai gruppi jihadisti.
La rapidità e la facilità con cui i combattenti dell'ISIL, ben armati e ben addestrati, hanno conquistato Mossul e Tikrit, rispettivamente la seconda città dell'Iraq e la città natale dell'ex leader iracheno Saddam Hussein, hanno fatto avanzare fondati dubbi sulla capacità dei servizi ameriKKKani di venire a conoscere in anticipo le mosse dell'ISIL; la cosa è preoccupante perché il gruppo islamista si sta rapidamente avvicinando a Baghdad. Ed è ancora più preoccupante se si pensa alla magra figura di febbraio, quando i servizi statunitensi hanno sbagliato nel predire l'invasione russa della Crimea. Tutti fatti che fanno pensare se le decine di miliardi di dollari spese ogni anno per tenere sotto controllo i punti caldi del pianeta siano davvero spesi bene, e a quali altre situazioni potrebbero star sfuggendo agli occhi delle spie.
La CIA è presente all'ambasciata statunitense a Baghdad, ma secondo quanto affermano funzionari ed ex funzionari gran parte della rete di spie presente nel paese ha smesso di funzionare dopo il ritiro dei militari statunitensi dall'Iraq avvenuto nel dicembre del 2011. Questo è successo in parte perché il Joint Special Operations Commmand, che è parte dell'esercito e che opera in segreto, guidava in pratica la caccia ai militanti iracheni. Con la partenza dei gruppi operativi del JSOC, i servizi si sono trovati costretti a cercare di tenere sotto controllo gruppi come l'ISIL con le immagini via satellite e con le intercettazioni, sistemi che si sono rivelati praticamente inutili perché i militanti comunicano tra loro usando corrieri in carne ed ossa invece che telefoni e posta elettronica, e perché vanno in giro in gruppi tanto piccoli che possono facilmente mescolarsi alla popolazione civile.
I politici di Washington e delle altre capitali alleate non hanno dati certi nemmeno della forza effettiva di questo gruppo combattente, e neppure sanno come controbatterne le mosse. A fine maggio il Segretario alla Difesa Chuck Hagel ha incontrato funzionari ministeriali di vari paesi arabi a Gedda, in Arabia Saudita; secondo un alto funzionario statunitense, tutti si sono detti d'accordo sul fatto che l'ISIL e gli altri combattenti islamici in Siria ed in Iraq rappresentano una minaccia per tutto il Medio Oriente. Solo che nell'incontro non è stato messo a punto alcun piano per contrastare le formazioni combattenti, e nulla fa pensar che i servizi statunitensi abbiano fatto qualche progresso nel monitoraggio dei combattenti dell'ISIL in Iraq, che tra l'altro già a gennaio avevano preso il controllo di Falluja e di alcuni quartieri di Ramadi.
"E' da un po' di tempo in qua che ci facciamo prendere in castagna", ha detto Daveed Gartenstein-Ross, un esperto di terrorismo ed esponente di primo piano della Foundation for Defense of Democracies che studia l'ISIL e gli altri gruppi collegati ad Al Qaeda. "Anche se negli ultimi tre anni i funzionari statunitensi hanno verificato che l'ISIL era abbastanza forte da poter tenere testa all'esercito iracheno -cosa che l'organizzazione armata ha dimostrato con le operazioni a Falluja e a Ramadi- nulla autorizza a pensare che le agenzie statunitensi sapessero che l'ISIL stava per dar il via ad un'offensiva su larga scala per conquistare altre due città contemporaneamente".
Secondo quanto riferito da un funzionario, nei giorni precedenti gli attacchi di questa settimana contro Mossul e Tikrit i servizi statunitensi avevano avuto a disposizione un maggior numero di immagini ad alta risoluzione prese dai satelliti da cui si potesse cercare di capire la posizione sul terreno delle forze dell'ISIL; non si sa se effettivamente ueste informazioni siano state passate all'esercito iracheno, in modo che potesse pianificare attacchi aerei o altre operazioni.
Due funzionari statunitensi di alto grado si sono detti d'accordo sul fatto che i servizi hanno molto sottovalutato l'ISIL e che non disponevano di informazioni specifiche in grado di aiutare sul serio l'esercito iracheno a sapere quando e dove l'ISIL avrebbe attaccato. Hanno detto che la preoccupazione più grande, per l'amministrazione Obama, è sempre stata quella degli effettivi dell'esercito iracheno e della loro propensione a combattere davvero.
"La questione non è mai stata se noi fossimo o meno in grado di capire se l'ISIL era in grado di lanciare attacchi. La questione è sempre stata se gli iracheni avessero o meno la capacità di difendere il loro paese", ha spiegato un funzionario. Su questo aspetto della questione, gli Stati Uniti avevano informazioni più accurate. A detta di uno degli interpellati i funzionari dell'amministrazione Obama hanno tentennato molto prima di fornire armamenti avanzati -come aerei da caccia ed elicotteri d'assalto- alle forze armate irachene perché esse non hanno mai mostrato le competenze necessarie a servirsene, e neppure la risolutezza necessaria a combattere i propri nemici. Per molto tempo l'amministrazione Obama ha anche temuto che il Primo Ministro iracheno Nour al Maliki, uno sciita che mostra aperta avversione nei confronti della popolazione sunnita del paese, avrebbe utilizzato contro il proprio popolo gli armamenti fornitigli.
E' verosimile che l'incapacità dimostrata dai servizi nel prevedere l'ultimissima crisi in Iraq alimenti le critiche su come l'amministrazione Obama sta affrontando le altre crisi mondiali, comprese quella siriana e quella ucraina. Nel caso dell'annessione della Crimea da parte della Russia, altra faccenda in cui le spie ameriKKKane si sono fatte cogliere di sorpresa, i sofisticati sistemi di spionaggio elettronico a disposizione della NSA sono serviti a poco perché le forze russe hanno ridotto al minimo il tempo trascorso al telefono ed hanno usato le tecniche degli jihadisti, mandando corrieri avanti e indietro fra le varie unità.
La responsabilità del fallimento nel contrastare l'ISIL in Iraq non è tutta dei servizi statunitensi. Quando erano schierate in Iraq, le forze armate statunitensi avevano messo in piedi uno dei servizi di informazione più efficaci di tutta la storia bellica ameriKKKana. La NSA poteva controllare ogni chiamata telefonica, ogni messaggio di posta elettronica, ogni SMS in tutto il paese e forniva indicazioni su dove fossero jihadisti ed insorti a chi controllava i droni e alle forze speciali, che provvedevano a catturarli o ad ucciderli. I commandos statunitensi agivano di concerto con la CIA e avevano messo in piedi anche un'estesa rete di informatori.
Quando i militari statunitensi hanno lasciato l'Iraq nel 2011, tutto questo se ne è venuto meno insieme a loro. Il governo iracheno non è riuscito ad arrivare alla sottoscrizione di un accordo che avrebbe permesso agli Stati Uniti di mantenere in Iraq il personale sufficiente a far funzionare a pieno ritmo le reti di informazione. Oggi come oggi, quel sistema è l'ombra di se stesso.
"Gli Stati Uniti devono concentrarsi contemporaneamente su informazioni che provengono da una quantità di situazioni. Fare attività di intelligence in una zona in cui non abbiamo nessuno è particolarmente difficile" spiega Christopher Harmer, ex ufficiale di marina ed esperto dello Institute for the Study of the War. In particolare, Harmer afferma che la mancanza di spie vere e proprie mette gli Stati Uniti in condizioni di inferiorità in Iraq perché l'ISIL si affida alle staffette ed evita con cura l'uso di telefoni e posta elettronica. "Quello che all'ISIL riesce meglio è proprio quello che a noi riesce peggio. Non abbiamo una buona rete di informatori umani" in Iraq, ha detto Harmer.
Se gli Stati Uniti vogliono coltivare qualche speranza di recuperare qualche punto sul terreno, possono avvalersi della regione curda autonoma nel nord. "I curdi pregarono gli Stati Uniti di mantenere una base in Kursistan" prima del ritiro delle truppe, spiega David Tafuri che ha servito come coordinatore per il sistema giuridico in Iraq all'interno del Dipartimento di Stato nel 2006 e nel 2007 e che oggi lavora con l'ufficio legale Squire, Patton e Boggs. "I curdi avrebbero dato agli Stati Uniti tutto quello che volevano purchè mantenessero una base. Se lo avessimo fatto oggi avremmo una visione della situazione molto migliore", ha detto Tafuri.
Gli ufficiali iracheni volevano a tutti i costi mettere le mani sugli equipaggiamenti militari statunitensi e sulle informazioni in modo da avvalersene nella lotta contro gli jihadisti. L'8 maggio scorso Foreign Policy ha riferito che il governo iracheno stava dandosi da fare per ottenere droni armati con cui combattere i militanti di Al Qaeda nella provincia di Al Anbar, in cui la violenza cresce di ora in ora e da cui si pensa filtrino combattenti dalla Siria. Persone informate dei fatti asseriscono che come significativa contropartita, gli iracheni avrebbero volentieri accolto nuovamente i conduttori di droni statunitensi nel loro territorio affinché prendessero a loro volta di mira i combattenti. A tutt'oggi gli Stati Uniti si sono soltanto detti d'accordo sulla fornitura di una decina di droni ScanEagle, che si lanciano con una catapulta e che non possono portare armamenti. Mercoledi la Casa Bianca ha assicurato che sarebbero arrivati prima della fine dell'estate.
Il nemico giurato degli Stati Uniti in tutta la regione, la Repubblica Islamica dell'Iran, si è mosso molto più velocemente. Secondo quello che riferiscono certi comunicati stampa centocinquanta uomini della brigata al Quds, corpo di élite della Guardia Rivoluzionaria, sono stati inviati in Iraq come consiglieri per il governo di al Maliki e per combattere l'ISIL. Circolano anche alcuni comunicati che sostengono che un'azione congiunta di militari iraniani ed iracheni ha riconquistato la città di Tikrit, nella sua interezza o quasi.
"Abbiamo visto i comunicati ma non li possiamo confermare", ha riferito giovedi scorso il segretario per la stampa della Casa Bianca Jay Carney. A chi gli ha chiesto se l'amministrazione Obama avrebbe avvertito l'Iraq di non cercare aiuto presso il vicino, Carney ha risposto "Penso che questo sia un problema che riguarda loro: noi pensiamo che gli iracheni dovrebbero muoversi con cautela nell'affrontare la minaccia che l'ISIL rappresenta nei confronti dell'unità nazionale del paese".

giovedì 5 giugno 2014

Firenze. Francesco Torselli e Casaggì: proprio un altro film.


Della débacle "occidentalista" alle elezioni amministrative del 2014 si è già detto.
Casaggì è la conventicola fiorentina che, raccogliendo una grossa parte dei giovani "occidentalisti", consente innanzitutto di contarli; negli ultimi anni ha avuto sede in locali abbastanza spaziosi da ospitare l'intera collezione di verbali per affissione abusiva accumulata con impegno ai tempi delle vacche grasse. Tempi ormai trascorsi: da pied-à-terre del più importante partito "occidentalista" della penisola italiana, Casaggì si trova oggi a rappresentare poco più che se stessa. Sicché, voli pindarici e pronostici trionfanti sono rinviati sine die.
In questi tempi di concretezza, Casaggì si è fatta rappresentare alle elezioni amministrative da un "partito" marginale, che ha contribuito in misura determinante alle condizioni da incubo distopico in cui gli individui e le organizzazioni meno involute si trovano a vivere ogni giorno ma che nel prosieguo dell'edificazione e della gestione dell'immenso carcere a cielo aperto rappresentato dallo stato che occupa la penisola italiana può al massimo aspirare ad un ruolo di contorno.
Il feniano all'alchermes Francesco Torselli ha lasciato perdere Codreanu e ha statuito l'esperienza sua e di Casaggì essere un altro flim. Lo ha fatto scrivere anche sui manifesti elettorali, e finché si è trattato di Libro dei Ceffi e di altra roba del genere le cose sono anche andate bene. Così bene che Torselli è riuscito a racimolare oltre quattrocento preferenze.
Solo che il "partito" di Torselli ha raccolto voti sufficienti ad eleggere un solo rappresentante al  Florentiner Rathaus. E quell'unico rappresentante oggi come oggi è di diritto Achille Totaro -che è grasso e di Scandicci- nella cui buona grazia sono riposte le speranze di Torselli di continuare a rappresentare -tutto solo per cinque anni- il proprio areale politico a Firenze.
Fin qui le considerazioni che si possono fare davanti ad un piatto di maccheroni, con una gazzetta in mano, il Libro dei Ceffi che secerne approvazione e la porta di casa chiusa a tre mandate.
Poi si esce di casa, e ci si imbatte nel più spietato dei nemici.

Nessun nemico è spietato come il principio di realtà. Nel mondo reale il "partito" di Torselli continua ad essere connotato dalla stessa virulenta impopolarità che lo stigmatizzavano anche in tempi meno sofferti; in questo senso ci troveremmo davvero in un altro film. Un film in cui la propaganda "occidentalista" a Firenze continua a rivelarsi il boomerang che è sempre stata, ed in cui certi propositi possono contare su reazioni simpaticamente prevedibili.

mercoledì 4 giugno 2014

Iran: pecore in scooter, ma col casco. Buffo video su LiveLeak: in quattro in sella al motorino - Rcd



Dice il Corriere della Sera, quello dell'Eurabia, della democrazia da esportazione, di Magdi Apostata Condannato e Trombato alle Elezioni Allam e dei crocefissi nelle classi scolastiche presentati come un'emergenza "nazionale":
Buffo video su LiveLeak In quattro in sella al motorino: due giovani iraniani e due pecore, con tanto di casco indosso. Accade nella cittadina di Qazvin, nel nord-ovest della repubblica islamica, dove le norme di sicurezza valgono evidentemente tanto per uomini quanto per gli ovini. (Rcd - Corriere Tv)
I cittadini della Repubblica Islamica del'Iran possono forse tirare un sospiro di sollievo; la prospettiva di una democratizzazione a mezzo bombardiere intercontinentale dovrebbe farsi più remota.
I gazzettieri sono riusciti a fare del loro paese un fòmite di ciance telematiche, al pari di tutto il rimanente dell'essere; tra l'altro non è neanche una novità, questa che nella prassi gazzettesca dovrebbe costituire un segnale rassicurante di avvenuta normalizzazione.
Un servizio fotografico con qualche giovane donna poco vestita a passeggio tra le nevi del Damavand -cosa facile da realizzare e facilissima da rivendere come espressione di suprema libertà a fronte dell'oppressivo fanatismo altrui- possiamo attenderla da un giorno all'altro; sarà il segnale defintivo della "normalizzazione" fogliettesca.
E chissà che alle lesbiche di Tehran non venga a breve garantita la stessa, invidiabile libertà di quelle di Damasco.