sabato 14 giugno 2014

Shane Harris - L'avanzata jihadista in Iraq ha preso alla sprovvista le spie statunitensi


Uno Hummer dell'esercito regolare iracheno fuori combattimento. Lo Hummer è stato per qualche anno il veicolo simbolo della "politica muscolare" statunitense, al punto che gli "occidentalisti" più consapevoli del proprio ruolo e meglio forniti di denaro ne hanno utilizzate versioni civili per alcuni tra i compiti più pericolosi che l'"occidentale" contemporaneo possa immaginare di dover svolgere, come il recarsi in discoteca o l'accompagnare i bambini a scuola. Sul terreno lo Hummer ha dato prove deludenti. Migliaia di soldati hanno fatto le spese della sua vulnerabilità agli ordigni a bordo strada, cosicché lo si è velocemente sostituito con mezzi ancora più costosi, rifilando i fondi di magazzino e gli esemplari già prodotti agli eserciti alleati o presunti tali.
L'immagine correda l'articolo di cui si fornisce traduzione. In esso vengono citati anche vari
think tank il cui compito è sostanzialmente quello di sostenere quello che il governo yankee vuole che sostengano e le cui denominazioni pompose e articolate -lasciate apposta in lingua originale- dovrebbero a questo punto ispirare da molti anni reazioni di sprezzante sufficienza.

Traduzione da Foreign Policy.

Prima in Crimea, poi in Iraq. Per quali motivi l'apparato spionistico statunitense, che costa cinquanta miliardi di dollari l'anno, continua a farsi prendere di sorpresa?

Mercoledi 11 giugno funzionari ed ex funzionari statunitensi hanno riferito che le agenzie spionistiche sono state colte di sorpresa quando i combattenti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante hanno conquistato due delle più grandi città irachene ed hanno messo in rotta l'esercito. Le truppe statunitensi non sono più di stanza in Iraq da anni; Washington non aveva né personale sul terreno né sistemi di osservazione dall'alto per prevedere luoghi e tempi degli attacchi operati dai gruppi jihadisti.
La rapidità e la facilità con cui i combattenti dell'ISIL, ben armati e ben addestrati, hanno conquistato Mossul e Tikrit, rispettivamente la seconda città dell'Iraq e la città natale dell'ex leader iracheno Saddam Hussein, hanno fatto avanzare fondati dubbi sulla capacità dei servizi ameriKKKani di venire a conoscere in anticipo le mosse dell'ISIL; la cosa è preoccupante perché il gruppo islamista si sta rapidamente avvicinando a Baghdad. Ed è ancora più preoccupante se si pensa alla magra figura di febbraio, quando i servizi statunitensi hanno sbagliato nel predire l'invasione russa della Crimea. Tutti fatti che fanno pensare se le decine di miliardi di dollari spese ogni anno per tenere sotto controllo i punti caldi del pianeta siano davvero spesi bene, e a quali altre situazioni potrebbero star sfuggendo agli occhi delle spie.
La CIA è presente all'ambasciata statunitense a Baghdad, ma secondo quanto affermano funzionari ed ex funzionari gran parte della rete di spie presente nel paese ha smesso di funzionare dopo il ritiro dei militari statunitensi dall'Iraq avvenuto nel dicembre del 2011. Questo è successo in parte perché il Joint Special Operations Commmand, che è parte dell'esercito e che opera in segreto, guidava in pratica la caccia ai militanti iracheni. Con la partenza dei gruppi operativi del JSOC, i servizi si sono trovati costretti a cercare di tenere sotto controllo gruppi come l'ISIL con le immagini via satellite e con le intercettazioni, sistemi che si sono rivelati praticamente inutili perché i militanti comunicano tra loro usando corrieri in carne ed ossa invece che telefoni e posta elettronica, e perché vanno in giro in gruppi tanto piccoli che possono facilmente mescolarsi alla popolazione civile.
I politici di Washington e delle altre capitali alleate non hanno dati certi nemmeno della forza effettiva di questo gruppo combattente, e neppure sanno come controbatterne le mosse. A fine maggio il Segretario alla Difesa Chuck Hagel ha incontrato funzionari ministeriali di vari paesi arabi a Gedda, in Arabia Saudita; secondo un alto funzionario statunitense, tutti si sono detti d'accordo sul fatto che l'ISIL e gli altri combattenti islamici in Siria ed in Iraq rappresentano una minaccia per tutto il Medio Oriente. Solo che nell'incontro non è stato messo a punto alcun piano per contrastare le formazioni combattenti, e nulla fa pensar che i servizi statunitensi abbiano fatto qualche progresso nel monitoraggio dei combattenti dell'ISIL in Iraq, che tra l'altro già a gennaio avevano preso il controllo di Falluja e di alcuni quartieri di Ramadi.
"E' da un po' di tempo in qua che ci facciamo prendere in castagna", ha detto Daveed Gartenstein-Ross, un esperto di terrorismo ed esponente di primo piano della Foundation for Defense of Democracies che studia l'ISIL e gli altri gruppi collegati ad Al Qaeda. "Anche se negli ultimi tre anni i funzionari statunitensi hanno verificato che l'ISIL era abbastanza forte da poter tenere testa all'esercito iracheno -cosa che l'organizzazione armata ha dimostrato con le operazioni a Falluja e a Ramadi- nulla autorizza a pensare che le agenzie statunitensi sapessero che l'ISIL stava per dar il via ad un'offensiva su larga scala per conquistare altre due città contemporaneamente".
Secondo quanto riferito da un funzionario, nei giorni precedenti gli attacchi di questa settimana contro Mossul e Tikrit i servizi statunitensi avevano avuto a disposizione un maggior numero di immagini ad alta risoluzione prese dai satelliti da cui si potesse cercare di capire la posizione sul terreno delle forze dell'ISIL; non si sa se effettivamente ueste informazioni siano state passate all'esercito iracheno, in modo che potesse pianificare attacchi aerei o altre operazioni.
Due funzionari statunitensi di alto grado si sono detti d'accordo sul fatto che i servizi hanno molto sottovalutato l'ISIL e che non disponevano di informazioni specifiche in grado di aiutare sul serio l'esercito iracheno a sapere quando e dove l'ISIL avrebbe attaccato. Hanno detto che la preoccupazione più grande, per l'amministrazione Obama, è sempre stata quella degli effettivi dell'esercito iracheno e della loro propensione a combattere davvero.
"La questione non è mai stata se noi fossimo o meno in grado di capire se l'ISIL era in grado di lanciare attacchi. La questione è sempre stata se gli iracheni avessero o meno la capacità di difendere il loro paese", ha spiegato un funzionario. Su questo aspetto della questione, gli Stati Uniti avevano informazioni più accurate. A detta di uno degli interpellati i funzionari dell'amministrazione Obama hanno tentennato molto prima di fornire armamenti avanzati -come aerei da caccia ed elicotteri d'assalto- alle forze armate irachene perché esse non hanno mai mostrato le competenze necessarie a servirsene, e neppure la risolutezza necessaria a combattere i propri nemici. Per molto tempo l'amministrazione Obama ha anche temuto che il Primo Ministro iracheno Nour al Maliki, uno sciita che mostra aperta avversione nei confronti della popolazione sunnita del paese, avrebbe utilizzato contro il proprio popolo gli armamenti fornitigli.
E' verosimile che l'incapacità dimostrata dai servizi nel prevedere l'ultimissima crisi in Iraq alimenti le critiche su come l'amministrazione Obama sta affrontando le altre crisi mondiali, comprese quella siriana e quella ucraina. Nel caso dell'annessione della Crimea da parte della Russia, altra faccenda in cui le spie ameriKKKane si sono fatte cogliere di sorpresa, i sofisticati sistemi di spionaggio elettronico a disposizione della NSA sono serviti a poco perché le forze russe hanno ridotto al minimo il tempo trascorso al telefono ed hanno usato le tecniche degli jihadisti, mandando corrieri avanti e indietro fra le varie unità.
La responsabilità del fallimento nel contrastare l'ISIL in Iraq non è tutta dei servizi statunitensi. Quando erano schierate in Iraq, le forze armate statunitensi avevano messo in piedi uno dei servizi di informazione più efficaci di tutta la storia bellica ameriKKKana. La NSA poteva controllare ogni chiamata telefonica, ogni messaggio di posta elettronica, ogni SMS in tutto il paese e forniva indicazioni su dove fossero jihadisti ed insorti a chi controllava i droni e alle forze speciali, che provvedevano a catturarli o ad ucciderli. I commandos statunitensi agivano di concerto con la CIA e avevano messo in piedi anche un'estesa rete di informatori.
Quando i militari statunitensi hanno lasciato l'Iraq nel 2011, tutto questo se ne è venuto meno insieme a loro. Il governo iracheno non è riuscito ad arrivare alla sottoscrizione di un accordo che avrebbe permesso agli Stati Uniti di mantenere in Iraq il personale sufficiente a far funzionare a pieno ritmo le reti di informazione. Oggi come oggi, quel sistema è l'ombra di se stesso.
"Gli Stati Uniti devono concentrarsi contemporaneamente su informazioni che provengono da una quantità di situazioni. Fare attività di intelligence in una zona in cui non abbiamo nessuno è particolarmente difficile" spiega Christopher Harmer, ex ufficiale di marina ed esperto dello Institute for the Study of the War. In particolare, Harmer afferma che la mancanza di spie vere e proprie mette gli Stati Uniti in condizioni di inferiorità in Iraq perché l'ISIL si affida alle staffette ed evita con cura l'uso di telefoni e posta elettronica. "Quello che all'ISIL riesce meglio è proprio quello che a noi riesce peggio. Non abbiamo una buona rete di informatori umani" in Iraq, ha detto Harmer.
Se gli Stati Uniti vogliono coltivare qualche speranza di recuperare qualche punto sul terreno, possono avvalersi della regione curda autonoma nel nord. "I curdi pregarono gli Stati Uniti di mantenere una base in Kursistan" prima del ritiro delle truppe, spiega David Tafuri che ha servito come coordinatore per il sistema giuridico in Iraq all'interno del Dipartimento di Stato nel 2006 e nel 2007 e che oggi lavora con l'ufficio legale Squire, Patton e Boggs. "I curdi avrebbero dato agli Stati Uniti tutto quello che volevano purchè mantenessero una base. Se lo avessimo fatto oggi avremmo una visione della situazione molto migliore", ha detto Tafuri.
Gli ufficiali iracheni volevano a tutti i costi mettere le mani sugli equipaggiamenti militari statunitensi e sulle informazioni in modo da avvalersene nella lotta contro gli jihadisti. L'8 maggio scorso Foreign Policy ha riferito che il governo iracheno stava dandosi da fare per ottenere droni armati con cui combattere i militanti di Al Qaeda nella provincia di Al Anbar, in cui la violenza cresce di ora in ora e da cui si pensa filtrino combattenti dalla Siria. Persone informate dei fatti asseriscono che come significativa contropartita, gli iracheni avrebbero volentieri accolto nuovamente i conduttori di droni statunitensi nel loro territorio affinché prendessero a loro volta di mira i combattenti. A tutt'oggi gli Stati Uniti si sono soltanto detti d'accordo sulla fornitura di una decina di droni ScanEagle, che si lanciano con una catapulta e che non possono portare armamenti. Mercoledi la Casa Bianca ha assicurato che sarebbero arrivati prima della fine dell'estate.
Il nemico giurato degli Stati Uniti in tutta la regione, la Repubblica Islamica dell'Iran, si è mosso molto più velocemente. Secondo quello che riferiscono certi comunicati stampa centocinquanta uomini della brigata al Quds, corpo di élite della Guardia Rivoluzionaria, sono stati inviati in Iraq come consiglieri per il governo di al Maliki e per combattere l'ISIL. Circolano anche alcuni comunicati che sostengono che un'azione congiunta di militari iraniani ed iracheni ha riconquistato la città di Tikrit, nella sua interezza o quasi.
"Abbiamo visto i comunicati ma non li possiamo confermare", ha riferito giovedi scorso il segretario per la stampa della Casa Bianca Jay Carney. A chi gli ha chiesto se l'amministrazione Obama avrebbe avvertito l'Iraq di non cercare aiuto presso il vicino, Carney ha risposto "Penso che questo sia un problema che riguarda loro: noi pensiamo che gli iracheni dovrebbero muoversi con cautela nell'affrontare la minaccia che l'ISIL rappresenta nei confronti dell'unità nazionale del paese".

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