Traduzione da Conflicts Forum.
Una fonte ben informata ci fa sapere da Washington che "per quanto riguarda la Siria, l'attenzione degli Stati Uniti è venuta meno di colpo. Gli esperti dei servizi dicono che Assad sta conseguendo vantaggi sul terreno che sarà praticamente impossibile togliergli. Uno ci ha detto che 'Assad ha praticamente vinto'".
Da questo punto di vista, l'effetto Ucraina si fa già sentire. I funzionari statunitensi avevano qualche grattacapo per l'impatto dei colloqui dei "cinque più uno" con l'Iran e stavano tirando un po' il fiato perché la Russia, almeno durante l'ultimo giro di colloqui, aveva mostrato un po' di collaborazione anche se sapevano che uno degli effetti dello stallo tra Stati Uniti ed alleati da una parte e Putin dall'altra avrebbe potuto essere un riavvicinamento tra Russia ed Iran. Cosa meno esplicita ma più importante, la crisi in Ucraina ha reso molto difficile -se non impossibile- mandare avanti il lavoro di squadra tra Obama e Putin per quanto riguarda la Siria e l'Iran. Un risultato di cui qualcuno, a Washington, può anche essere contento.
A Tehran si pensa che stabilire relazioni più strette con la Russia non sia solo probabile, ma inevitabile. C'è la diffusa convinzione che l'Ucraina, e l'ondata emotiva di biasimo contro la Russia ed il suo Presidente che gli eventi hanno causato, abbia rafforzato la posizione di Tehran nei confronti degli USA e dell'Europa perché la Russia reagirà consolidando la sua alleanza con l'Iran. L'idea predominante è questa, anche se, in qualche modo paradossalmente, accanto ad essa troviamo la molto diffusa convinzione che i colloqui siano destinati al fallimento o, nel migliore dei casi, a sfociare in un'ulteriore proroga di sei mesi dopo la conclusione della tornata in corso. Questa forte sensazione che l'Iran stia traendo vantaggio da quanto succede non pare collegata solo al desiderio di rivalsa che i russi hanno contro l'Ucraina, le cui ripercussioni sono favorevoli all'Iran, ma sembra radicata nella convinzione che gli ultimi avvenimenti possano recare conseguenze geopolitiche di più ampia portata. Di cosa si tratta?
Come abbiamo scritto nel nostro ultimo commento agli eventi della settimana, qualcuno all'interno del governo ha messo Obama con le spalle al muro. Obama pensava di poter sistemare le cose direttamente con il Presidente Putin. Quello che colpisce è il fatto che a Washington si è molto preoccupati che Putin posdsa aver mal compreso la determinazione dell'Occidente di fargliela pagare. A questa preoccupazione fa da pendant la sorpresa con cui in Russia e in gran parte della zona interessata è stato accolto il fatto che gli Stati Uniti e i loro alleati possano aver così mal interpretato la possibile reazione di Putin alle mosse occidentali in Ucraina, vista la storia dell'Ucraina e della Crimea così come la si intende in Russia. I mass media hanno dato la stura alla retorica anti Putin e la cosa può aver sorpreso qualcuno, ma non avrebbe dovuto essercene motivo perché gli indizi per capire come sarebbe andata c'erano comunque tutti.
Alla conferenza sulla sicurezza tenutasi a Monaco a febbraio i segretari statunitensi Hagel e Kerry si sono dati molto da fare per demolire la narrativa ora in voga che considera in declino la potenza statunitense; hanno negato che le cose stiano in questo modo, anche se hanno dovuto dare atto del fatto che l'alleanza con i paesi oltre l'Atlantico è un po' inflaccidita perchè manca una leadership statunitense. Hagel ha detto: "Gli stati Uniti stanno uscendo da un impegno bellico lungo tredici anni; per noi è chiaro, e lo è anche per il Presidente Obama, che il nostro futuro avrà bisogno di un'epoca di rinnovate ed estese relazioni con i nostri amici ed alleati... C'è bisogno di un rinascimento atlantico". "Il fondamento della nostra relazione di sicurezza collettiva con l'Europa è sempre stato costituito dalla cooperazione nei confronti delle comuni minacce... L'elemento centrale della difesa atlantica continuerà ad essere la NATO".
In breve, agli europei si è dovuta dare prova del fatto che nulla è cambiato nella qualità della potenza e della guida statunitensi facendo assumere alla NATO un atteggiamento più aggressivo. Nel caso qualcuno non avesse capito, ci ha pensato John Kerry a spiegare le cose senza mezzi termini: "In nessun luogo come in Ucraina è oggi in corso una lotta più importante per il futuro della democrazia in Europa". In poche parole la NATO deve riprendere vigore, e l'Europa tornare sotto l'ala della guida ameriKKKana, facendo fronte comune contro la comune "minaccia" di una Russia in nuova ascesa. In questo modo la NATO potrà essere "riorientata", via dal lungo fallimento della guerra in Afghanistan, verso una uova missione in Ucraina. In questo modo la NATO continuerà ad avere un senso, perché servirà a tenere un piede nella porta dell'Eurasia. I mass media si sono levati come un solo uomo contro Putin: si può star sicuri che la NATO e gli altri hanno preparato bene il terreno, con qualcuno di quegli incontri di cui portano per intero la responsabilità morale.
E questa responsabilità morale esiste eccome. Come nota l'esperto giornalista investigativo statunitense Robert Parry, fin da settembre del 2013 Carl Gershman, che è presidente dell'organizzazione finanziata dagli statunitensi chiamata National Endowment for Democracy si è accaparrato pagine sullo Washington Post per scriverci che l'Ucraina ora era "la posta in gioco più grossa". Il NED aveva sessantacinque progetti in corso in Ucraina: addestramento di "attivisti", sostegno a "giornalisti" e organizzazione di gruppi di affari, almeno secondo il suo ultimo resoconto. Gershman però ha aggiunto anche che in realtà l'Ucraina era solo un primo passo verso una posta in gioco ancora più alta: il rovesciamento di Putin, che ha mostrato forte volontà e mentalità indipendente e che secondo Gerhsam "alla fine può trovarsi sconfitto non solo nel cortile di casa [l'Ucraina] ma anche nella stessa Russia". In altre parole, si sperava in un "cambiamento di governo" sia a Kiev che a Mosca.
Dunque, i russi hanno semplicemente mal interpretato la volontà della NATO di imporre a Putin un prezzo per qualsiasi reazione all'assorbimento dell'Ucraina nell'orbita occidentale, come afferma qualche funzionario statunitense? Non è che Putin ha un quadro anche troppo chiaro della situazione, ovvero che i fatti in Ucraina rappresentano non tanto una ritorsione sproporzionata per la Siria, quanto una minaccian esistenziale al suo paese e alla base navale di Sebastopoli?
Un analista russo di primo piano, Fyodor Lukyanov, contestualizza gli eventi dal punto di vista russo. Quanto successo in Ucraina non è un fuoco di paglia, ma l'anticipazione della fine di venticinque anni di politica estera russa. Quando Gorbaciov formulò il suo "nuovo pensiero" il mondo si teneva in equilibrio su due superpotenze grosso modo equivalenti. Solo che "la rapida dissoluzione dell'Unione Sovietica pose fine al sogno gorbacioviano di un riavvicinamento su pari basi e di un reciproco arricchimento ideologico, consegnando al vincitore il diritto di interpretare a proprio arbitrio i valori umani e lre rgole delle relazioni internazionali".
Lukyanov afferma che per tutto questo tempo la Russia si è attenuta pedissequamente a queste regole non scritte, anche nei momenti in cui più profonda era la sua debolezza in politica estera. La Russia ha subìto vessazioni sempre più grandi in proporzione diretta con la potenza che recuperava. Eppure, nonostante le frustrazioni e gli interventi occidentali di rovesciamento dei governi a cui la Russia si opponeva tenacemente, essa ha continuato nonostante tutto a custodire il principale retaggio dei tempi di Gorbaciov: la convinzione che avere relazioni costruttive con l'Occdeinte fosse un valore irrinunciabile.
Solo che al tempo stesso in cui la Russia formalizzava volta per volta la decisione di ridurre al minimo i possibili danni per le proprie relazioni con l'Europa e gli Stati uniti, a Mosca ci si rendeva anche conto che così facendo non si sarebbe mai usciti dalla condizione di "potenza sconfitta", col risultato di essere trattati come il Giappone. Divenne chiaro che la Russia sarebbe stata sempre un outsider, cui si sarebbe guardato con sufficienza come ad una potenza emergente destinata a non emergere mai.
Questo senso di amarezza è diventato sempre più forte perché i russi non credono di aver perso la guerra fredda. Pensano di esserne stati tirati fuori dai loro capi politici prima che fosse finita. Secondo Lukyanov, "L'obiettivo del Cremlino, adesso, non è quello di restaurare il paese andato in pezzi nel dicembre del 1991, ma quello di rigiocare la fase finale della guerra fredda".
I russi pensano che il vecchio modello di Gorbaciov non abbia nulla da offrire. La Russia non è stata accettata, e non lo sarà mai, come partner su un piano paritario. Nessuno intende discutere con la Russia di nuove regole del gioco e i massimi responsabili politici del mondo sono convinti che il sistema del dopo guerra fredda sia sufficientemente valido e non abbia alcun bisogno di essere corretto. Questo significa che intrattenere relazioni costruttive con le potenze occidentali non soltanto non ha protetto la Russia, ma l'ha esposta alle macchinazioni di gente come il National Endowment for Democracy ed alla loro pianificata crerazione di entità filooccidentali in grado di fare da base per la disaffezione popolare e da infrastrutture per lo scopo ultimo rappresentato dal rovesciamento del governo.
Secondo Lukyanov i massimi rappresentanti politici della Russia hanno deciso che il paese non può limitarsi ad uscire dall'angolo rappresentato dalle condizioni in cui si trova oggi. Deve diventare uno dei principali paesi del mondo, o almeno stabilire un "equilibrio di confronto" basato su alleanze con partner non occidentali che gli consenta di porre un limite preciso: non devono esserci superbasi della NATO nel cuore del continente euroasiatico.
Probabilmente è proprio questo che in Iran si tiene presente quando si guarda all'Ucraina come ad un punto di svolta geopolitico inevitabilmente destinato a portare dei vantaggi. La stessa cosa ha spinto il Presidente Assad ad offrire ogni aiuto possibile a sostegno della posizione di Putin in Ucraina ed in Crimea. In Medio Oriente non mancheranno i sostegni -assieme alla silente condiscendenza della Cina- affinché si metta un freno all'ambizione della NATO di reinventarsi in Eurasia.
La cosa che può causare autentica sorpresa in molti è che l'Europa non ha mostrato consapevolezza alcuna delle possibili conseguenze di tutto questo quando ha cercato di "togliere il trofeo ucraino dalle grinfie di Putin". Pare proprio che gli europei si siano fidati delle analisi dei principali think tank occidentali, che davano per scontato che Putin non si sarebbe mosso. Adesso che Putin ha fatto resistenza, e che sembra che sconfiggerà gli Stati Uniti e la NATO, tutti si rendono conto che l'Europa non ha alcuna carta in mano, retorica anti Putin nonostante.
In tutto questo, c'è appena un'ombra di quello che fu la crisi di Suez. La crisi in Ucraina gioverà alla NATO e alla sua leadership statunitense, così come si sperava Suez avrebbe ripristinato il prestigio francobritannico? Oppure l'Ucraina, così come successe a Suez per le potenze coloniali di allora, non farà che sottolineare la mancanza di ogni plausibile ragion d'essere per la NATO? Non ci resta che aspettare.
Come osserva Lukyanov, "Mosca ha dato il via ad una partita impegnativa. Il rischio di perdere è considerevole, ma la posta in gioco è innegabilmente attraente. Il vecchio ordine mondiale è diventato completamente privo di efficacia e andrebbe sostituito con qualcosa di nuovo. Mikhail Gorbaciov fece il suo annuncio nel 1986 [si tratta della sua idea sul come superare il conflitto tra due sistemi politici diversi], ma non riuscì a portare a termine il compito. Putin è ritornato a quel punto di svolta, per prendere un'altra strada".