Aisling Byrne da Asia Times del 5 gennaio 2012, riportato in Conflicts Forum.
"La guerra con l'Iran è già cominciata", ha scritto un importante editorialista israeliano poco tempo fa, descrivendo "l'insieme di operazioni sotto copertura e di pressioni internazionali" messo in atto contro l'Iran.
Nell'articolo non se ne faceva menzione, ma il "vantaggio strategico" della prima mossa in questa guerra contro l'Iran è rappresentato dalla Siria; quella di Siria è la prima campagna nel contesto di un più ampio conflitto per il potere a carattere settario. "Più del collasso della Repubblica Islamica come tale", sembra abbia detto quest'estate il re saudita Abdullah, "nulla indebolirebbe l'Iran più della perdita della Siria"
[1].
A dicembre alcuni ufficiali superiori degli Stati Uniti hanno fatto espliciti riferimenti alla loro agenda per un rovesciamento del governo siriano: Tom Donilon, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati uniti, ha spiegato che "la fine del governo del [presidente Bashar al] Assad rappresenterebbe il peggior scacco per l'Iran in tutta la regione; una sconfitta strategica che renderebbe il bilancio dei poteri nella regione ancora più sfavorevole all'Iran".
Poco prima una figura fondamentale nella traduzione operativa di questi intenti politici, il sottosegretario di stato per il Medio Oriente Jeffrey Feltman, aveva affermato durante un'audizione al congresso che gli Stati Uniti avrebbero "proseguito senza rallentamenti sulla doppia strategia del sostenere l'opposizione e dello strangolare diplomaticamente e finanziariamente il regime [siriano] fino a quando il risultato non sarà raggiunto"
[2].
In Siria stiamo assistendo ad una deliberata e pianificata campagna il cui obiettivo è quello di abbattere il governo di Assad e di sostituirlo con uno "più compatibile" con gli interessi statunitensi in Medio oriente.
La traccia seguita per l'iniziativa è rappresentata essenzialmente da una relazione prodotta dal Brookings Institute, un'organizzazione di orientamento neoconservatore, per il rovesciamento del governo iraniano nel 2009. La relazione si intitola
Quale strada per la Persia? [3] ed è a tutt'oggi quella che guida l'approccio strategico generale delle iniziative di rovesciamento di governi mediorientali capeggiate dagli Stati uniti.
Rileggerla oggi, insieme alla più recente "Verso una Siria del dopo Assad"
[4] -che adotta lo stesso linguaggio e la stessa prospettiva ma è centrata sulla Siria, ed è stata recentemente redatta da due think thank neoconservatori statunitensi- si nota che essa mostra in che modo gli avvenimenti in sira sono stati modellati proprio secondo l'approccio per passi successivi definito in "Quale strada per la Persia?", e con lo stesso obiettivo essenziale che è rappresentato dal rovesciamento del governo.
Tra gli autori di queste relazioni figurano tra gli altri John Hannah e Martin Indyk, entrambi ex funzionari neoconservatori dell'esecutivo Bush-Cheney ed entrambi fautori del rovesciamento del governo siriano
[5a] [5b]. Non è questo il primo caso in cui è dato assistere ad una stretta alleanza tra neoconservatori britannici o statunitensi da una parte ed islamici dall'altra (tra i quali, secondo alcune fonti
[6], figurerebbero alcuni personaggi legati ad AlQaeda) con l'intento di cooperare per rovesciare il governo di uno stato "nemico".
Ci sono ottime possibilità che la componente più importante in questa lotta per la conquista del "vantaggio strategico" sia stata la deliberata costruzione di una narrativa in larga parte menzognera, che raffigura dimostranti democratici disarmati mentre vengono ammazzati a centinaia e a migliaia mentre protestano pacificamente contro un regime oppressivo e violento, una "macchina per ammazzare"
[7] guidata dal "mostro"
[8] Assad.
In Libia la NATO ha affermato di non disporre di "attestazioni confermate in merito alla morte di civili" perché, come scritto di recente dal New York Times, "la NATO utilizzava una definizione tutta particolare di 'conferma': veniva intesa come
confermata solo una morte sul cui conto le indagini erano svolte dalla NATO stessa, così come la raccolta delle prove". "Dal momento che la NATO ha rifiutato di svolgere indagini su quanto le veniva contestato", ha scritto il Times, "il numero di vittime corrispondente alla definizione adottata non poteva essere diverso da uno zero spaccato"
[9].
Nel caso della Siria invece assistiamo a qualcosa di esattamente opposto: la maggioranza delle produzioni mediatiche del mainstream occidentale, insieme a quelle dei mass media che fanno capo agli alleati mediorientali degli Stati Uniti con particolare riferimento ad AlJazeera e al canale televisivo AlArabiya che è di proprietà saudita, stanno fattivamente collaborando alla narrativa favorevole al "regime change" e alla relativa agenda, riportando senza alcun comento e senza alcuna verifica statistiche ed informazioni fornite da organizzazioni e mass media che sono finanziati o detenuti dagli Stati Uniti, dagli europei o dai loro alleati nel Golfo Persico: gli stessi paesi che sono in prima fila nell'istigare i progetti che contemplano il rovesciamento del governo siriano.
Le asserzioni che parlano di "massacri", di "campagne mirate di stupri contro donne e ragazze nelle città a predominanza sunnita"
[10] "torture" e perfino "violenze sessuali su bambini"
[11] vengono riportate da una stampa internazionale che si basa essenzialmente su due fonti -l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, basato nel Regno Unito, ed i Comitati Locali di Coordinamento (LCCs)- e che opera su di esse
controlli e verifiche assolutamente minimi.
Invariabilmente nascosta dietro il refrain del "non siamo in grado di verificare questi dati",
la mancanza di obiettività nel resoconto dei fatti che caratterizza i mass media del mainstream occidentale
è risultata macroscopicamente evidente sin dal primo verificarsi di disordini in Siria. A dieci anni di distanza dalla guerra in Iraq, pare che nessuna delle lezioni del 2003 -dalla demonizzazione di Saddam Hussein alle armi di distruzione di massa che non c'erano- sia stata imparata.
Tutte e tre le principali fonti di tutti i dati sul numero dei manifestanti uccisi e sul numero di partecipanti alle manifestazioni, che sono i pilastri della narrativa sui fatti siriani- sono a vario titolo partecipi dell'alleanza che preme per il rovesciamento del governo.
l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani in particolare sarebbe finanziato attraverso un fondo con sede a Dubai, in cui confluisce denaro dalla varia e dunque dalla negabile provenienza, sia da paesi occidentali che del Golfo. Secondo Elliot Abrams
[12] la sola Arabia Saudita avrebbe stanziato centotrenta miliardi di dollari per "calmare le masse" della "primavera araba".
L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani sembra essere un'oscura organizzazione basata nel Regno Unito, ma in realtà ha avuto un ruolo guida nel fornire sostegno alla narrativa dei massacri di migliaia di manifestanti pacifici ad opera di infiltrati, di "fatti appurati" e di altre ed esagerate attestazioni di "massacri" che sono arrivate negli ultimi tempi a parlare di "genocidio".
Nonostante affermi di avere sede nell'abitazione del proprio presidente
[13] l'Osservatorio viene descritto come la vetrina di un grosso macchinario propagandistico messo in piedi dall'opposizione siriana e dai suoi sostenitori. Il ministro degli esteri russo si è espresso in modo assai acuto:
[14]"L'agenda del consiglio di transizione [siriano] [viene] definita a Londra dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani... E' lo stesso luogo in cui vengono realizzate le immagini degli "orrori" siriani destinate a far crescere l'odio contro il governo di Assad".
L'Osservatorio non risulta legamente registrato né come impresa né come opera non lucrativa di utilità sociale nel Regno Unito; esso opera in modo informale. Non ha alcun ufficio, non ha alcuno staff e pare che il suo presidente sia letteralmente sommerso dai finanziamenti.
L'Osservatorio dice di ricevere informazioni da una rete di "attivisti" che operano in Siria; il suo sito web in lingua inglese è costituito in tutto e per tutto da una sola pagina; è invece AlJazeera ad ospitare una pagina con un blog dal vivo che segue minuto per minuto le vicende riferite dall'Osservatorio fin dall'inizio delle proteste
[15].
La seconda di queste organizzazioni, i Comitati Locali di Coordinamento (LCCs), rappresenta una parte del complesso mediatico dell'opposizione relativamente più visibile; le figure che mostrano ed i fatti che riferiscono si inseriscono comunque alla steessa maniera nel contesto della suddetta narrativa
[16]: passando in rassegna i contenuti diffusi quotidianamente dai Comitati, non si trova il minimo riferimento all'uccisione di insorti armati. A morire sono tutti "martiri", "disertori", persone uccise nel corso di "manifestazioni pacifiche" e via discendo, secondo descrizioni dello stesso genere.
Il terzo elemento è rappresentato da AlJazeera, la cui tendenziosità nel trattare l'argomento "risveglio arabo" è da tempo ben documentata. Secondo la descrizione di un esperto analizzatore dei mass media
[17], AlJazeera è "il sofisticato megafono dello stato del Qatar e del suo ambizioso emiro" e che è organica alle "aspirazioni del Qatar in materia di politica estera".
AlJazeera ha fornito
[18], e continua a fornire, sostegno tecnico, attrezzature, spazio e "credibilità" agli attivisti ed alle organizzazioni dell'opposizione siriana. Esistono testimonianze che affermano che fin dal marzo 2011 AlJazeera ha cominciato a fornire sostegno tecnico e strumenti per la messaggistica ad attivisti in esilio dell'opposizione siriana
[19], che fin da gennaio 2010 stavano coordinando le loro attività di messaggistica da Doha.
Nel corso degli ultimi dieci mesi, e nonostante il battage mediatico pressochè quotidiano, il progetto non è propriamente vicino a raggiungere i propri scopi: un sondaggio di YouGov commissionato dalla Qatar Foundation la scorsa settimana
[20] ha mostrato che
il 55% dei siriani non vuole che Assad lasci, e che il 68% dei siriani disapprova le sanzioni della Lega Araba da cui è colpito il paese.
Secondo il sondaggio,
il sostegno ad Assad è anzi cresciuto rispetto al momento in cui tutto è cominciato: il 46% dei siriani pensa chje Assad sia stato un "buon presidente" per la Siria prima della crisi in corso; un dato che non si adatta davvero alla falsa narrativa che viene ostentata.
Come riecheggiando il successo della stessa campagna propagandistica in cui è inserito il sondaggio, le conclusioni allegate recitano alla fine che
La maggioranza degli arabi crede che il presidente Bashar alAssad dovrebbe dare le dimissioni a causa del brutale trattamento che il regime ha inflitto ai manifestanti... l'81% degli arabi [vuole] che il presidente Assad faccia un passo indietro. Pensano che in Siria le cose andrebbero meglio se vi si tenessero elezioni democratiche sotto la supervisione di un governo di transizione [21].
Si rimane a chiedersi a chi Assad debba rispondere delle proprie azioni: al pubblico siriano o a quello arabo? E' probabile che si tratti di
un deliberato confondere le acque, che potrebbe tornare utile perché due dei principali gruppi dell'opposizione siriana hanno affermato
[22] che mentre rimangono contrari ad un intervento militare straniero, non considererebbero
straniero un intervento militare compiuto da arabi.
Il fatto che nessuno dei quotidiani di primo piano del mainstreame e nessun notiziario televisivo abbiano riportato i risultati del sondaggio di YouGov non è strano: non si adattavano alla loro narrativa.
Nel Regno Unito soltanto
Muslim News, un quotidiano mandato avanti da volontari
[23], ha pubblicato i risultati del sondaggio. Meno di due settimane prima, immediatamente dopo le esplosioni suicide a Damasco, il Guardian
[24] ed altri mass media avevano pubblicato asserzioni sensazionali e non corredate da prove prodotte da bloggers, uno dei quali si diceva "sicuro che alcuni dei corpi... appartenevano a dei manifestanti".
"Hanno messo i corpi prima", affermava il blogger. "Hanno preso i morti da Dera'a [nel sud del paese] e li hanno mostrati ai media a Jisr AlShughour [vicino alla frontiera turca]".
Resconti diventati disponibili negli ultimi tempi hanno posto pesanti dubbi sulla veridicità della falsa narrativa che la stampa internazionale di livello mainstream riporta quotidianamente. Questi dubbi riguardano in modo particolare proprio le informazioni diffuse dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani e i Comitati.
A dicembre, l'importante gruppo dei servizi segreti statunitensi Stratfor ha avvertito:
"La maggior parte delle asserzioni più serie fatte dall'opposizione [siriana] si sono rivelate esagerazioni grossolane o menzogne pure e semplici... rivelando più l'inconsistenza dell'opposizione che non l'instabilità del regime siriano [25]".
A nove mesi dall'inizio dei disordini, Stratfor ha raccomandato di fare attenzione all'obiettività della narrativa del mainstream sulle vicende siriane: a settembre scorso, esso affermava infatti che "in ogni guerra esistono due parti... la guerra mediatica sul come vengono percepiti i fatti di Siria non costituisce un'eccezione"
[26].
Quello che viene riferito dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani e dai Comitati, "così come quello che viene riferito dal regime siriano, andrebbe considerato con un certo scetticismo", afferma Stratfor; "l'opposizione è consapevole del fatto che le serve un aiuto esterno, in modo particolare dal punto di vista finanziario, se vuole diventare un movimento più forte di quanto non sia adesso. Per arrivare a questo, essa ha ogni interesse a presentare gli avvenimenti sul terreno in modo che essi possano essere utilizzati per ottenere sostegno dall'estero.
Come notato dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, "E' chiaro che l'obiettivo è quello di provocare una catastrofe umanitaria, in modo da avere il pretesto per pretendere un'intromissione da parte di paesi esteri"
[27].
Lo
American Conservative scriveva a metà dicembre che
Gli analisti della CIA non nascondono il loro scetticismo nei confronti di questa marcia di avvicinamento alla guerra. Il rapporto alle Nazioni Unite di cui si parla spesso, ed in cui si riferisce di tremilacinquecento civili uccisi dai soldati di Assad, è basato in larga parte su fonti che stanno coi ribelli e non è suffragato da prove. La CIA ha rifiutato di sottoscriverne l'appello.
Allo stesso modo, i racconti di defezioni di massa dall'esercito siriano e quelli che parlano di battaglie tra disertori e lealisti paiono essere dei falsi belli e buoni, perché sono state pochi i casi di defezione che hanno avuto delle conferme da parte di fonti indipendenti. Nelle asserzioni del governo siriano, secondo le quali esso è vittima di attacchi condotti da ribelli armati, addestrati e finanziati da governi stranieri c'è più di vero che di falso [28].
A novembre 2011 l'
Esercito per una Siria Libera ha affermato che il numero dei disertori sarebbe più alto ma che, come sono andati spiegando ad un analista, stanno "avvertendo i simpatizzanti di rimandare la diserzione" fino a quando le condizioni generali della situazione non miglioreranno
[29].
Una guida pratica per il rovesciamento dei governiIl terzo capitolo di "Una via per la Persia" tratta della Siria: si tratta di pagine molto rilevanti perché sono praticamente una guida che spiega passo dopo passo come istigare ed appoggiare una sollevazione popolare, come ispirare un'insurrezione e/o istigare un colpo di stato. Del testo fa parte anche una sezione che passa in rassegna i pro ed i contro:
Una insurrezione è spesso più facile da fomentare e da sostenere dall'estero... Fomentare un'insurrezione, notoriamente, richiede un impegno economico poco oneroso... sostenere di nascosto l'insurrezione consentirebbe agli Stati Uniti di poter negare in modo plausibile di averlo fatto, riducendo i contraccolpi sul piano diplomatico e politico... a differenza di quanto avverrebbe se gli Stati uniti si adoperassero per organizzare un'azione militare diretta... Dopo che il governo sarà per alcune volte finito sotto scacco, ci sarà anche il pretesto per agire.
Secondo questa relazione l'intervento militare dovrebbe essere intrapreso solo dopo il fallimento di ogni altra opzione: davanti a questi fallimenti la "comunità internazionale" messa davanti al fatto compiuto riterrebbe che è stato il governo a "tirarsi addosso l'attacco militare" dopo aver rifiutato ogni miglior via d'uscita.
Le questioni fondamentali nell'istigazione di una sollevazione popolare e nella costruzione di una "insurrezione a tutti gli effetti" balzano agli occhi, se si considera l'evolversi degli eventi in Siria.
Questi punti chiave contemplano:
- "Finanziare ed aiutare l'organizzazione dei gruppi interni al paese contrari al governo": per questo si dovranno utilizzare anche i gruppi etnici in cui sia presente "lo scontento".
- "Incrementare le capacità d'azione di
opposizioni effettive con le quali lavorare" per "mettere in piedi una leadership alternativa che possa aspirare alla presa del potere".
- Fornire equipaggiamenti e sostegno coperto a questi gruppi, armi comprese, direttamente o indirettamente; fornire ad essi anche "apparati per i fax... per l'accesso ad internet, denaro" (nel caso dell'Iran la relazione affeermava che "la CIA potrebbe occuparsi della maggior parte delle forniture necessarie e dell'addestramento di questi gruppi, come ha fatto per decenni in tutto il mondo").
- Stabilire e rafforzare i canali di comunicazione esistenti tra gli attivisti dell'opposizione.
- Mettere in piedi una narrativa "con il sostegno dei mass media sostenuti dagli Stati Uniti potrebbe mettere in evidenza le sconfitte patite dal regime e - mettere in maggior evidenza voci critiche altrimenti destinate a rimanere in ombra". "Riuscire a screditare il regime agli occhi di personaggi chiave in grado di "fare opinione" è essenziale per la sua caduta".
- Lo stanziamento di grosse cifre per finanziare una costellazione di iniziative guidate dalla società civile (un simile "fondo da settantacinque milioni di dollari", creato quando Condoleeza Rice era segretario di stato, ha finanziato gruppi che agiscono nella società civile, compreso "un gruppo di think tank e di istituzioni di area [che] hanno annunciato nuovi tavoli decisionali per l'Iran"
[30].
- La necessità di un corridoio sul terreno, in un paese confinante, per "sostenere lo sviluppo di una infrastruttura a sostegno delle operazioni".
"Al di là di tutto questo", continua la relazione, "la pressione esercitata dagli Stati Uniti a livello economico (e forse anche a livello militare) può screditare il governo, rendendo la popolazione ben disposta nei confronti di una leadership opposta ad esso".
Gli Stati Uniti ed i loro alleati, in particolare la Gran Bretagna [31] e la Francia, hanno finanziato e letteralmente dato forma all'opposizione fin dal principio, basandosi sia sui tentativi intrapresi fin dal 2006 dagli USA per costruire un fronte unitario contro il governo Assad, sia da quello che viene considerato il "successo" del caso del Consiglio Nazionale di Transizione in Libia
[32].
Nonostante mesi di tentativi -essenzialmente opera dell'Occidente- passati a cercare di unificare i vari gruppi in un movimento di opposizione unito e capace, esso rimane "un gruppo composito, che rappresenta le divisioni ideologiche, settarie e generazionali del paese".
"Non c'è mai stata, né c'è adesso, alcuna tendenza naturale all'unificazione tra questri gruppi, perché essi appartengono a retroterra ideologici del tutto differenti ed hanno visioni politiche in aperto contrasto tra di loro", ha concluso un analista
[33].
Durante un recente incontro con il ministro degli esteri del Regno Unito, i diversi gruppi dell'opposizione non sono riusciti nemmeno a combinare un incontro congiunto con William Hague: i vari gruppi lo hanno incontrato separatamente
[34].
Nonostante le manchino coesione, credibilità sul piano interno e legittimazione, l'opposizione, che per la maggior parte si trova sotto l'ombrello del Consiglio Nazionale Siriano (SNC), viene in ogni caso preparata a rivestire cariche pubbliche. Questa preparazione comprende anche il miglioramento delle competenze, come riferito dall'ex ambasciatorie siriano negli Stati uniti Rafiq Juajati, che adesso è passato all'opposizione.
Durante un'incontro riservato a Washington tenutosi a metà dicembre del 2011, Juajati ha confermato che il Dipartimento di Stato americano e lo SWP, l'Istituto Tedesco per gli Affari Internazionali e per la Sicurezza (un think tank che fornisce al governo tedesco analisi su materie di politica estera) stanno finanziando un progetto controllato dall'americano
Institute for Peace e dallo SWP tedesco, che stanno lavorando di concerto con il Consiglio Nazionale Siriano per prepararlo ad assumere il potere e a governare la Siria.
In un'intervista recente il leader del Consiglio Nazionale Siriano Burhan Ghaliyoun ha rivelato (come per "velocizzare" la caduta di Assad)
[35] quello che ci si aspetta da lui: "Non ci sarà alcuna relazione privilegiata con l'Iran: rompere la relazione privilegiata che attualmente esiste significa rompere l'alleanza militare e strategica" ed ha aggiunto che "dopo la caduta del governo siriano [Hezbollah] non sarà più lo stesso"
[36].
Descritta nella rivista
Slate come "la più orientata in senso liberale e la più filooccidentale delle sollevazioni che hanno fatto la Primavera Araba"
[37], quella dei gruppi siriani di opposizione sembra essere una compagine che corrisponde bene, proprio come i suoi omologhi libici prima della caduta di Gheddafi, a quello che il New York Times ha definito come "un insieme di individui dotati di competenze professionali e di mentalità laica -avvocati, accademici, uomini d'affari- che parlano di democrazia, trasparenza, diritti umani e legalità"
[38]. Una cosa che era vera, per la Libia, fino a quando i riflettori del principio di realtà non hanno inquadrato l'ex leader del Gruppo Islamico Combattente di Libia Abdulhakim Belhaj ed i suoi compagni jihadisti.
L'importazione di armi, equipaggiamento e mano d'opera (per lo più dalla Libia)
[39] e l'addestramento di cui si sono occupati i governi ed altri gruppi non governativi legati agli Stati Uniti, alla NATO e ai loro alleati nella zona sono cominciati ad aprile-maggio del 2011
[40], stando a quanto affermano varie testimonianze
[41], e vengono coordinati dalla base aerea statunitense di Incirlik, nella Turchia meridionale. Da Incirlik un distaccamento specializzato in guerra dell'informazione controlla le comunicazioni con la Siria tramite il Libero Esercito Siriano. Quest'attività di sostegno e copertura continua a tutt'oggi, come ha rivelato un articolo dell'
American Conservative di metà dicembre:
Aerei da combattimento della NATO privi di contrassegni stanno arrivando nelle basi militari turche vicine a Iskenderun lungo la frontiera siriana, trasportando armi... e volontari del Consiglio Nazionale di Transizione libico... Ad Iskenderun c'è anche la sede del Libero Esercito Siriano, che è il braccio armato del Consiglio Nazionale. Istruttori delle forze speciali francesi ed inglesi operano sul terreno nell'assistenza ai ribelli, mentre la CIA e gruppi di intervento speciale statunitensi forniscono strumenti di comiunicazione ed opera di intelligence in sostegno della causa dei ribelli, permettendo ai combattenti di evitare i punti in cui più fitta è la presenza di soldati siriani [42].
Lo Washington Post ha scritto nell'aprile 2011 che i materiali rivelati da WikiLeaks in quello stesso periodo mostravano che il Dipartimento di Stato americano aveva finanziato con milioni di dollari vari gruppi siriani in esilio -compreso il Movimento per la Giustizia e per lo Sviluppo con sede a Londra, un'organizzazione vicina ai Fratelli Musulmani- e vari individui singoli fin dal 2006, tramite una "Middle East Partnership Initiative" amministrata da una fondazione statunitense, il
Democracy Council [43].
I materiali resi pubblici da WikiLeaks confermano che questi finanziamenti continuavano ancora nel 2010, secondo una tendenza che non soltanto resta in essere a tutt'oggi ma che ha preso ancora maggior campo, nell'ottica di un passaggio all'opzione "morbida" per arrivare all'obiettivo di rovesciare il governo siriano.
Guidata dai neoconservatori, l'istanza favorevole ad un rovesciamento del governo in Siria acquisisce maggior forza presso l'amministrazione statunitense
[44] e viene man mano considerata all'ordine del giorno dai principali think tank statunitensi specializzati in politica estera; molti di questi possiedono "tavoli siriani" o "gruppi di lavoro sulla Siria" che cooperano in stretto contatto con i gruppi di opposizione siriana e con singoli individui. Esempi sono l'USIP
[45] e la Foundation for the Defence of Democracy
[46]. I vari think tank hanno elaborato una vasta gamma di documenti che hanno per tema il rovesciamento del governo siriano.
Nel Regno Unito la
Henry Jackson Society, anch'essa di orientamento neoconservatore (che "sostiene sia necessario che gli Stati Uniti, i paesi dell'Unione Europea e le altre potenze democratiche mantengano un esercito forte, capace di intervenire in qualunque parte del mondo" e che ritiene che soltanto "i moderni stati di orientamento liberaldemocratico devono godere di vera legittimazione") sta esercitando pressioni affinché il rovesciamento del governo siriano sia ritenuto una priorità all'ordine del giorno
[47].
A questo collaborano personaggi dell'opposizione siriana come Ausama Monajed
[48], un tempo leader di un gruppo di oppositori in esilio, e il Movimento per la Giustizia e per lo Sviluppo, collegato ai Fratelli Musulmani, che WikiLeaks afferma essere finanziato dal Dipartimento di Stato statunitense a partire dal 2006.
Monajed fa adesso parte del SNC, manda avanti un'impresa specializzata in pubbliche relazioni
[49] da poco fondata a Londra, ed è stato il primo ad utilizzare il vocabolo "genocidio" per definire quello che sta succedendo in Siria, nel corso di un comunicato stampa che il SNC ha emesso poco tempo fa
[50].
Fin da quando tutto è cominciato sono state esercitate pressioni significative affinché la Turchia realizzasse un "corridoio umanitario" lungo la sua frontiera meridionale con la Siria. Lo scopo principale, come indicato in "una via per la Persia", è quello di fornire una base cui possano appoggiarsi gli insorti sostenuti dall'estero e da cui essi possano lanciare i loro attacchi.
L'obiettivo di un simile "corridoio umanitario" è umanitario come le quattro settimane di bombardamenti aerei su Sirte che la NATO ha messo a segno esercitando il proprio "dovere di proteggere la popolazione", secondo il mandato approvato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Tutto questo non significa che in Siria non esista un'autentica richiesta popolare di cambiamenti, diretta contro un apparato statale repressivo ed ossessionato dalla sicurezza che finisce per dominare ogni aspetto della vita delle persone, né che non siano state commesse in Siria massicce violazioni dei diritti umani, sia da parte delle forze di sicurezza che da parte degli insortì, così come da parte di una misteriosa terza forza che agisce fin dal primo esplodere della crisi, e che comprende insorti
[51] che sono per lo più jihadisti, provenienti tra l'altro dall'Iraq e dal Libano ed in epoca più recente anche dalla Libia. Nei conflitti a bassa intensità questi abusi sono inevitabili. Le principali voci critiche nei confronti di questo piano per il rovesciamento del governo promosso da Stati Uniti, Francia, Regno Unito e paesi del Golfo hanno fin da subito invocato comunque la piena responsabilità e la punibilità di quanti abbiano commesso abusi di qualsiasi genere in materia di diritti umani, non importa quanto alti di grado siano gli accusati delle violazioni.
Ibrahim al Amine scrive che alcune persone interne al governo hanno ammesso che "l'intervento delle forze di sicurezza in molti casi ed in molti luoghi ha fatto più danni che altro [e] che alle proteste popolari sono state date le risposte sbagliate... sarebbe stato possibile arginare la situazione mediante misure pratiche chiare e perentorie, per esempio arrestando i responsabili delle torture inflitte a dei bambini di Deraa". Al-Amine sostiene che il pluralismo politico e la fine alla repressione indiscriminata sono questioni vitali ed improcrastinabili
[53].
Solo che ad un certo puntole proteste popolari, inizialmente centrate su questioni e su incidenti di livello locale (compreso tra questi il caso dei ragazzi torturati a Deraa dalle forze di sicurezza) sono state rapidamente dirottate da questo progetto strategico di ampia portata per il rovesciamento del governo. Cinque anni fa ero al lavoro nel nord della Siria per conto delle Nazioni Unite, a sovrintendere ad un grosso progetto di sviluppo per le comunità locali.
Dopo gli incontri pomeridiani con le varie comunità succedeva spesso di trovare il mukhabarat (lo spionaggio militare) in attesa che ce ne andassimo dalle stanze, in modo da poter copiare i fogli di appunti che erano rimasti appesi alle pareti. Praticamente tutti gli aspetti della vita quotidiana erano regolati dalla burocrazia del partito Baath e delle forze di sicurezza, sclerotica ed elefantiaca, priva di qualunque caratteristica ideologica che non fossero l'inevitabile corruzione ed il nepotismo che accompagnano i poteri autoritari, e presente praticamente in ogni circostanza della vita delle persone.
Il giorno 20 dicembre 2011 è stato definito "il giorno più sanguinoso dei nove mesi della insurrezione [siriana]". Il 20 dicembre sarebbe avvenuto a Idlib nel nord della Siria, secondo gli esaurienti resoconti della stampa internazionale, il "massacro organizzato" di disertori dell'esercito colpevoli di "defezione in massa".
Il SNC, affermando che vaste aree del paese sarebbero adesso "esposte ad un genocidio su larga scala", ha lamentato "duecentocinquanta eroi, caduti in quarantotto ore", citando testimonianze fornite dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani
[54].
Citando la stessa fonte,
The Guardian affermava che l'esercito siriano stava
...Dando la caccia ai disertori dopo che i soldati... aevavano ucciso qualcosa come centocinquanta uomini che avevano abbandonato la loro base". E' saltata fuori la fotografia... di una defezione in massa... per cui le cose sono andate molto male... i soldati lealisti si erano messi nelle posizioni adatte a falciare un gran numero di disertori tra quelli che avevano appena lasciato una base militare. Secondo molte testimonianze, coloro che sono comunque riusciti a fuggire sono stati uccisi più tardi nei rifugi che avevano trovato sulle vicine montagne. L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani pensa che circa cento disertori siano stati messi sotto assedio, e quindi uccisi o feriti. E' verosimile che le truppe regolari abbiano anche ucciso gli appartenenti alla popolazione locale che avevano offerto rifugio ai disertori [55].
Il blog in aggiornamento continuo del
Guardian ha citato AVAAZ, un gruppo di difesa civile e di pubbliche relazioni, che "ha affermato che negli scontri erano state uccise 269persone" ed ha citato una conta precisa delle vittime, fornita dallo stesso AVAAZ: "163 rivoluzionari armati, 97 soldati governativi e 9 civili"
[56]. Il blog riportava però che l'AVAAZ "non ha fornito nessuna prova a sostegno di quanto affermato".
Lo
Washington Post si è limitato a riferire di aver conferito con "un attivista del gruppo AVAAZ [che] sosteneva di avr parlato ad attivisti locali ed a gruppi di intervento medico, che avevano fissato in 269 i morti nella zona per quel martedì
[57].
Il problema che il giorno successivo alle prime indicazioni di un massacro verificatosi a spese di disertori in fuga, la storia aveva già iniziato a cambiare. Il 23 dicembre il
Telegraph scriveva:
Dapprincipio sono stati ritenuti disertori dell'esercito, che cercavano di oltrepassare il confine con la Turchia per unirsi allo FSA [Libero Esercito Siriano]; oda si dice che fossero civili disarmati ed attivisti politici che stavano cercando di eludere i tentativi dell'esercito di riprendere il controllo della provincia. Secondo i resoconti a disposizione, essi sono stati circondati da soldati e carri armati ed uccisi a colpi di arma da fuoco dal primo all'ultimo [58].
Il
Telegraph citava il presidente dell'Osservatorio, che ha descritto la cosa come "un massacro organizzato" e detto che quanto da lui riferito andava a rafforzare le testimonianze giunte da Kfar Obaid: "Le forze di sicurezza avevano i nomi di coloro che hanno organizzato le grandi proteste antigovernative... i soldati poi hanno sparato con i carri, con i razzi e con le mitragliatrici pesanti [e] bombe riempite di chiodi per accrescere il numero delle vittime
[59].
Il
LA Times ha invece citato un attivista la cui testimonianza era arrivata via satellite e che "dalla sua posizione nascosta nei boschi" aveva detto "La parola
massacro è riduttiva, rispetto a quello che è successo". Da parte sua, il governo siriano ha affermato che tra il 19 ed il 20 dicembre erano state uccise "decine" di appartenenti a "bande armate terroristiche" sia a Homs che ad Idlib, e che molte persone ricercate erano state arrestate
[60].
Probabilmente non si riuscirà mai a sapere cosa sia successo davvero in queste due "sanguinose" giornate: le cifre citate (tra i dieci ed i centosessantatré insorti armati, tra i nove e i centoundici civili disarmati, da nessuna a novantasette perdite tra i militari lealisti) presentano differenze tanto sostanziali sia nel numero delle persone uccise sia nella loro appartenenza dei campo, che è impossibile stabilire quale sia la verità.
In relazione ad un precedente e presunto "massacro" che sarebbe avvenuto a Homs, un'indagine condotta da Stratfor non ha trovato "alcun segno che un massacro sia avvenuto", ed è giunta alla conclusione che
"le forze dell'opposizione hanno interesse a dare ad intendere che sia in atto un massacro, sperando di ripetere le stesse condizioni che hanno aperto la strada ad un intervento militare straniero in Libia"[61].
Nonostante tutto questo, il "massacro" del 19 e del 20 dicembre del 2011 a Idlib è stato riferito come se si trattasse di un fatto accertato, ed è stato ascritto alla narrativa in costruzione sul conto della "macchina da massacro" di Assad.
Sia una recente relazione del Commissario per i Diritti Umani dell'ONU sia una relazione riportata il 13 dicembre 2011 da un blog del
Guardian [62] sulle vittime della "sanguinosa insurrezione siriana" (due esempidei tentativi compiuti per stabilire la verità sul numero delle vittime del conflitto siriano) si basano quasi esclusivamente sui dati forniti dall'opposizione: interviste con 233 persone presentate come "disertori dell'esercito" nel caso della relazione dell'ONU, e materiali riferiti dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, dai Comitati e da AlJazeera nel caso dei dati presentati dal
Guardian.
Il
Guardian riferisce di un totale di 1414,5 persone [sic] uccise, compresi 144 appartenenti alle forze di sicurezza siriane, tra il gennaio ed il novembre del 2011. Basato esclusivamente su fonti giornalistiche, questo prospetto presenta un certo numero di palesi inesattezze (per esempio, fonti in cui il numero di persone uccise in un dato luogo non corrisponde a quello citato nelle fonti originali) ed il totale che esso riferisce comprende anche i 23 siriani uccisi dall'esercito dello stato sionista sulle alture del Golan lo scorso giugno: venticinque persone indicate come "ferite" vengono incluse nel totrale delle persone uccise, dal momento che molte persone figurano come colpite da armi da fuoco.
Il resoconto del
Guardian non fa alcuna differenza tra le uccisioni di insorti armati nel corso dei dieci mesi presi in esame: tutte le vittime sono indicate come "manifestanti", "civili" o "persone" in generale, con l'eccezione dei 144 appartenenti alle forze di sicurezza.
Il settanta per cento delle fonti utilizzate per il resoconto viene dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, dai Comitati e da "attivisti" in generale; il trentotto per cento del materiale stampato proviene da AlJazeera, il tre per cento da Amnesty International e l'uno e mezzo per cento da fonti ufficiali del governo siriano.
In risposta al resoconto redatto dal Commissario dell'ONU, l'ambasciatore della Siria alle Nazioni Unite ha detto: "E come potrebbero dei disertori fornire una qualche testimonianza positiva sul conto del governo siriano? E' ovvio che essi si esprimano negativamente: sono dei disertori".
Nel tentativo di gonfiare i dati sulle vittime, il gruppo di attivisti specializzato in pubbliche relazioin AVAAZ è riuscito a superare -e di molto- le stesse nazioni Unite. AVAAZ ha pubblicamente affermato di essere coinvolto nel "portare clandestinamente gli attivisti... fuori dal paese" gestendo "case segrete che possono fungere da rifugi sicuri... per gli attivisti più importanti ricercati dagli sgherri del regime"; un "giornalista-cittadino appartenente ad AVAAZ" invece "[ha] scoperto una fossa comune"
[63].
AVAAZ afferma con orgoglio che la BBC e la CNN hanno detto che i dati forniti da AVAAZ costituiscono circa il trenta per cento delle notizie che essi trasmettono sugli avvenimenti in Siria. Il
Guardian ha riferito l'ultima asserzione di AVAAZ, quella di essere in possesso delle "prove" dell'uccisione di qualcosa come seimiladuecento persone, compresi soldati delle forze di sicurezza e quattrocento bambini, e che seicentodiciassette di queste vittime sarebbero morte per tortura
[64].
La pretesa di AVAAZ di aver verificato ogni singola morte con la conferma di tre persone "tra le quali un parente ed un religioso che si è occupato del corpo" è del tutto improbabile.
L'uccisione di un generale di brigata e dei suoi bambini nell'aprile del 2011 a Homs mostra quanto sia praticamente impossibile, soprattutto quando è in corso un conflitto di tipo settario, fare riscontri sulle vittime una per una. In questo caso si trattava di un uomo e dei suoi bambini.
Il generale, probabilmente Abdu Tallawi, è stato ucciso con i figli e con un nipote mentre passava attraverso un quartiere in cui erano in corso dei disordini.
Esistono due versioni dei fatti su quello che può essere successo a lui ed alla sua famiglia, che divergono circa l'appartenenza settaria delle vittime.
I lealisti dicono che il genrale è stato ucciso da takfiri, islamisti intransigenti che accusano di apostasia tutti gli altri musulmani, perché apparteneva alla setta alawita. I contestatori invece dicono che apparteneva alla famiglia Tallawi di Homs e che è stato ucciso dalle stesse forze di sicurezza, per accusare del fatto gli oppositori e distruggere la loro reputazione. C'è anche chi sostiene che sia stato ucciso perché si era rifiutato di sparare sui manifestanti.
Questa terza versione dei fatti è passata sotto silenzio a causa della polarizzazione estrema delle opinioni che esiste in città [a Homs]. il generale di brigata è stato ucciso perché si trovava in un veicolo militare, nonostante avesse i propri figli con sé. A chiunque lo abbia ucciso non interessava la sua confessione religiosa, ma assestare un colpo al governo peggiorando ulteriormente la situazione, cosa che avrebbe condotto il movimento di protesta a scontrarsi violentemente con lo stato [65].