mercoledì 16 agosto 2023

Alastair Crooke - La guerra in Ucraina e una questione aperta: le ostilità fuori vista nel Mar nero


 Traduzione da Strategic Culture, 14 agosto 2023.

In Occidente si dispera per i possibili sviluppi sul campo. Questo implica forse un prossimo raffreddarsi del conflitto oppure un ripensamento della strategia occidentale, magari a favore di una guerra di logoramento?
L'offensiva ucraina si è esaurita; lo dice persino la CNN:
"[Gli ucraini stanno] ancora verificando [se] esista la possiblità di un qualche progresso nelle prossime due settimane. Ma che riescano davvero a farne di tali da incidere sulle sorti del conflitto credo che sia estremamente, altamente improbabile" - ha dichiarato alla CNN un "diplomatico occidentale di alto livello" di cui si tace il nome.
Tuttavia, mentre le ostilità si acquietano su un fronte, si riaccendono su un altro: fuori dai riflettori si è riaccesa la guerra per la navigazione nel Mar Nero.
Questa nuova guerra potrebbe essere chiamata anche "guerra del grano", perché segue al ritiro di Mosca dall'"accordo sul grano" avvenuto il mese scorso. Per sottolineare quanto fosse seria l'intenzione di porre fine a quello che per la Russia si era rivelato un affare del tutto insoddisfacente, oltre ad aver inasprito in generale i termini dell'accordo Mosca è passata all'azione per mettere fuori uso le infrastrutture portuali in una serie di porti del Mar Nero che servono l'Ucraina e che, a suo dire, erano state utilizzate per immagazzinare armi (oltre che per esportare grano).
Il 19 luglio, Mosca ha avvertito che tutte le navi che si sarebbero avvicinate all'Ucraina a partire dal giorno successivo sarebbero state considerate come potenziali vettori di carichi militari e trattate di conseguenza.
I costi delle coperture assicurative, naturalmente, sono saliti alle stelle.
Pochi giorni dopo, il 24 luglio, l'infrastruttura cerealicola del porto ucraino di Reni è stata distrutta. Un avviso all'Occidente: i russi intendono abbandonare l'accordo sul grano.
La Russia ha affermato che il 31 luglio l'Ucraina ha attaccato senza successo una nave civile russa e due navi militari nel Mar Nero, utilizzando tre droni marittimi senza equipaggio. L'Ucraina ha negato l'attacco e ha dichiarato che non avrebbe mai attaccato una nave civile. Tuttavia il mese successivo l'Ucraina ha ammesso di aver attaccato una petroliera civile nel porto di Novorossijsk, il 4 agosto.
La NATO ha quindi alzato la posta in gioco: Il 1° agosto tre navi da carico civili sono entrate nel porto ucraino di Izmail. Questo porto -come quello di Reni- si trova sul Danubio, a un tiro di schioppo dalla Romania che è membro della NATO. Si è trattato di una provocazione della NATO: il Mar Nero, si vuol mettere in chiaro, non è un "lago russo". E le navi si trovavano attraccate a meno di cinquecento metri dal territorio di un paese della NATO. Una nave era di proprietà di una società dello stato sionista, un'altra di una società greca e la terza di una società turco-georgiana; tutte e tre però erano registrate in Stati come la Liberia.
Il 2 agosto la Russia ha distrutto i silos di grano di Izmail tramite droni di precisione.
L'Ucraina sta disperatamente cercando di far sì che l'accordo sul grano resti in vigore. Esso rappresenta un cespite fondamentale per le imprese agricole ucraine che controllano queste esportazioni. E rappresenta un cespite fondamentale anche per l'intermediario Turchia, che trasforma il grano in farina destinata alla vendita (per lo più in Europa, e con un forte sovrapprezzo).
La prima battaglia l'hanno vinta quindi i russi. Ma poi la NATO ha alzato la posta una seconda volta, con due attacchi marittimi ad opera di droni ucraini: uno contro una piccola petroliera civile vuota e l'altro contro una nave da sbarco della Marina all'ancora nel porto di Novorossijsk. Nessuna delle due navi è affondata, ma entrambe sono rimaste gravemente danneggiate.
L'attacco a Novorossijsk non è comunque cosa di poco conto. Il porto marittimo si trova oltre la penisola di Crimea ed è uno dei più grandi della Russia in termini di volume e tra i più estesi d'Europa; è fondamentale per l'esportazione di grano, petrolio e altri prodotti dalla Russia verso destinazioni in tutto il mondo. Novorossijsk è un centro di commercio internazionale per la Russia fin dal XIX secolo.
Si tratta quindi di una sfida seria e di una provocazione rivolta a Mosca. Oleg Ostenko, dell'ufficio di Zelensky, ha poi aggiunto che per l'Ucraina tutti i porti russi sul Mar Nero sono diventati legittimi obiettivi militari.
L'accaduto solleva alcuni interrogativi. In che misura questi attacchi sono stati facilitati e diretti dalla NATO? E a quale scopo? Che si tratti di iniziative della NATO è evidente, prova ne sia che la petroliera colpita si trovava nella lista delle sanzioni statunitensi per aver fornito carburante alla Siria. Che alla CIA ne sappiano qualcosa è piuttosto evidente.
I droni marittimi e subacquei a lungo raggio sono una specialità del Regno Unito (Special Boat Squadron) e degli Stati Uniti (Seals). Non sono armi comunemente diffuse. Sono pochi gli stati ad avere esperienza nel settore. La Gran Bretagna o gli Stati Uniti hanno fornito i droni a Kiev? Come sono stati utilizzati?
Le coordinate del bersaglio -in una certa misura- possono essere preimpostate, ma i video resi pubblici da Kiev sulle ultime manovre prima dell'attacco finale sembravano mostrare correzioni di rotta dell'ultimo minuto. Le radiotrasmissioni sott'acqua viaggiano solo a breve distanza. Le correzioni di rotta finali sono state suggerite da una squadra nelle vicinanze del porto o magari dall'alto, da un operatore in un aereo NATO che incrociava nella zona? Da dove sono stati lanciati questi droni? Da un "porto amico" sul Danubio, visto che gran parte delle armi che raggiungono l'Ucraina arrivano attraverso il Danubio? Oppure c'era una nave madre nelle vicinanze? Se questa fosse davvero un'operazione prevalentemente della NATO, cosa potrebbe fare la Russia al riguardo?
Si tratta di interrogativi ancora senza risposta, tanto più che da Mosca non ne è (per adesso) arrivata alcuna. Senza dubbio ci sono indagini in corso, e si sta riflettendo se questi attacchi rappresentano una deliberata escalation occidentale che la NATO intende avallare con materiale e supporto di intelligence o se in alternativa non abbiano rappresentato altro che un modo rude per incoraggiare Mosca a riprendere i negoziati sull'esportazione del grano ucraino. Esistono rapporti che suggeriscono che JP Morgan avrebbe avuto contatti con la Russian Agricultural Bank, per sondare la possibilità che la banca russa possa ricorrere a JP Morgan per condurre transazioni in dollari nel contesto di un rinnovato accordo sul grano.
La questione di una presunta "guerra del Mar Nero" potrebbe tuttavia confondersi e coincidere con la più ampia questione delle prossime mosse militari della Russia in Ucraina, dal momento che le forze ucraine mostrano sempre più chiaramente tutti i segni di un esaurimento cronico.
I media americani segnalano che ultimamente la politica degli Stati Uniti sta cambiando orientamento, anche se non ha ancora assunto tratti definitivi. Una cosa, tuttavia, è chiara: la colpa del fallimento dell'offensiva, per gli USA è dell'Ucraina. Al tempo stesso, per la prima volta Kiev risponde per le rime dileggiando l'incapacità dell'Occidente di fornire quanto promesso. I rapporti stanno chiaramente peggiorando.
Tuttavia, intanto che l'Occidente disconosce le tattiche militari messe in atto dall'Ucraina per attaccare le "linee Surovikin" e ne prende le distanze, anche le potenze della NATO sembrano tirarsi indietro dall'avvio di qualche negoziato nonostante le pressioni della lobby degli Stati Uniti. Probabilmente i massimi politici occidentali in questo momento considerano una composizione negoziata del conflitto come potenzialmente umiliante per Biden. In parole povere: il fatto che in Occidente si disperi per i possibili sviluppi sul campo implica forse un prossimo raffreddarsi del conflitto, oppure un ripensamento della strategia occidentale a favore di una guerra di logoramento?
Insomma, gli attacchi a Novorossijsk lasciano presagire un passaggio alla "guerra vera", in cui le infrastrutture di trasporto in Russia sono un obiettivo prioritario per gli attacchi? Oppure semplicemente gli attacchi di Novorossijsk sono stati solo un rozzo avvertimento alla Russia, come dire "fai ripartire le esportazioni di grano dall'Ucraina"?
La questione di più vasta portata che questo attacco a Novorossijsk comporta è se la Russia possa o meno considerare di essere stata troppo cauta e graduale nel perseguire i propri obiettivi strategici. Gli attacchi missilistici su Reni e Izmail possono essere visti come iniziative molto timide da parte della Russia per sondare il terreno e la voglia che la NATO ha di impegnarsi in una "guerra vera", in cui le infrastrutture di trasporto del nemico sarebbero un obiettivo prioritario per gli attacchi.
È questo il momento in cui la Russia potrebbe ritenere di dover passare alla "guerra vera", innanzitutto perché la situazione sul terreno in Ucraina suggerisce che il momento è propizio? E in secondo luogo perché a un altro livello c'è la necessità di affrontare il dilemma perenne di tutti i conflitti: qualsiasi approccio militare (come afferma Sun Tzu: "È il guerriero non emotivo, riservato, calmo e distaccato che vince, non la testa calda") che riconosca la debolezza della psiche dell'avversario e la necessità di spingerlo delicatamente ad accettare una realtà nuova e sconosciuta, è sempre vulnerabile ad essere frainteso come un segnale di debolezza. In parole povere: è necessaria una dimostrazione di forza da parte della Russia per correggere l'errata percezione di un Occidente che continua a fantasticare sulla debolezza, sui disordini e sul prossimo crollo politico della Russia? Sun Tzu avrebbe risposto: "Impegna le persone con qualcosa che esse si aspettano. È ciò che esse sono in grado di discernere, è quello che conferma le loro proiezioni. Le fa adagiare in schemi di risposta prevedibili, occupando le loro menti intanto che si attende il momento straordinario, quello che esse non possono prevedere".
Forse qualche risposta si può anche azzardare: i falchi della guerra occidentali (per usare una vecchia metafora) possono "fare tante chiacchiere, ma la NATO non ha gli attributi" per la guerra vera. L'Occidente, anche adesso, sta lottando sull'orlo della crisi economica con l'interruzione delle linee di approvvigionamento: una guerra contro le petroliere sarebbe fatale (petrolio alle stelle e inflazione). Uscire dalle illusioni richiede sempre molto tempo, come suggerisce Sun Tzu.
L'adagio, piuttosto trito, è che la guerra è "la prosecuzione della politica con altri mezzi", ma soprattutto oggi gli "altri mezzi" possono essere -e spesso sono- la prosecuzione della politica. Oggi la Russia agisce come battistrada verso la costruzione di un nuovo blocco in un ordine mondiale multipolare. In questa veste, la Russia deve agire sul piano politico con lo sguardo rivolto al Sud del mondo, ma anche alle sfumature di un Occidente che vacilla sull'orlo di una metamorfosi radicale.
I comandi militari possono anche disapprovarla, ma il Sud del mondo ammira la Russia, proprio perché non scimmiotta le potenze coloniali. Il mondo rispetta il potere, sì, ma è stanco del "volume di fuoco" puro e semplice. La Russia ha un ruolo di primo piano da svolgere ora, e molti sono le componenti che devono essere prese in considerazione. Questo aspetto sarà sottolineato nei prossimi giorni con l'evolversi degli eventi in Niger e con il vertice dei BRICS, che ha in agenda nuovi accordi per i meccanismi commerciali.
L'uso efficace di "altri mezzi di potere asimmetrico" dipende soprattutto dal tempismo. Ed eccoci per l'ultima volta a Sun Tzu: "Occupa le loro menti mentre aspetti il momento giusto". Sembra che il Presidente Putin conosca molto bene L'arte della guerra.

sabato 12 agosto 2023

Dodici agosto

 

"...Ama kelebekler nerede uyur?"

Bu dünyadaki zamanı kısaydı.

giovedì 10 agosto 2023

Il buco nero di Erika Pontini

Al momento in cui scriviamo Erika Pontini "lavora" in una gazzetta fiorentina da sempre oggetto di scherno, e non solo in questa sede.
Capocronista, nientemeno: un successore diretto del rimpianto e compianto Giorgio Perozzi.
Su un articolo di gazzetta del 9 agosto 2023 Erika Pontini descrive in questi termini il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud.
Resta un buco nero[*] che ad ogni rintocco di fibrillazione sociale o politica risuona: il Cpa (Centro popolare autogestito) di Firenze sud, un posto occupato dal 1989 dove non si arriva per caso e che, da sempre, è al centro degli attacchi politici delle Destre anche per il calibro scomodo dei personaggi ospitati: da Pasquale Abatangelo (ex Nap, poi Br) l'estate scorsa, all'ex brigatista Barbara Balzerani proprio in occasione dell'anniversario del rapimento di Aldo Moro nel 2018. Sono una ventina in tutto gli occupanti che si riconoscono bel pensiero marxista-leninista ma in grado, durante eventi e manifestazioni, di radunare centinaia di persone.
Chi scrive frequenta il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud da quasi trent'anni, vi è arrivato proprio per caso, si è sorbito per altrettanto tempo gli attacchi delle Destre deridendo gli attaccanti e limitandosi a notare come -sempre da trent'anni- la marmaglia "occidentalista" e le gazzettine che ne riportano ogni giorno i comunicati passino in città da una sconfitta elettorale all'altra. A comportarsi secondo la loro agenda, a Firenze pensa da sempre il PD. Curiosamente e inspiegabilmente considerato dagli stessi foglietti e dai ben vestiti che se ne servono come un partito sostenitore della proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
L'auspicio è che per almeno altri trent'anni Centro Popolare Autogestito Firenze Sud possa continuare a ospitare personaggi dal calibro scomodo. Di Pasquale Abatangelo abbiamo letto e recensito l'autobiografico Correvo pensando ad Anna e il testo di Koufontinas sull'organizzazione rivoluzionaria 17 novembre da lui prefato.
La presenza di Barbara Balzerani levò l'indignazione di individui con interi gazzettifici a disposizione, e da cui sarebbe logicamente assai offensivo l'essere stimati. Per questo motivo abbiamo considerato un piacevole dovere occuparci della sua intera produzione letteraria leggendone e recensendone tutti i titoli, così come ci siamo occupati di un testo di Paolo Persichetti che confuta -a tratti con piacevole piglio derisorio- molte fantasiose ipotesi accumulatesi sul conto dell'operato della formazione combattente irregolare di cui Barbara Balzerani ha fatto parte. Il testo di Persichetti tra l'altro ridimensiona con una certa briosità di toni -e riportando una divertente aneddotica- la costernazione dell'opinione pubblica per la vicenda Moro che la "libera informazione" postula da sempre come universale.
A questo punto sarà chiaro che le gazzette pubblicate nello stato che occupa la penisola italiana, con particolare riguardo a quella in cui "lavora" Erika Pontini, costituiscono in questa sede una guida stimolante: in genere è sufficiente assumere atteggiamenti e opinioni diametralmente opposti a quelli ivi rintracciabili per conservare e rafforzare la propria reputazione di persone serie.
Le decine di migliaia di persone che dal 1989 sono passate da via Villamagna prima, da viale Giannotti poi e da via Villamagna nuovamente difficilmente si sono fatte dettare l'agenda dalla "libera informazione"; sono spesso individui che studiano, lavorano tutto il giorno o fanno entrambe le cose. E che come tali per le emergenze, gli incubi, le insurrezioni, l'insicurezza, il degrado e il resto dello sporco anche morale con cui una volta si faceva giornata in qualche redazione e oggi la si fa invece picchiettando su una tastiera chissà dove non hanno alcun interesse.


[*] Si noti che il titolo di questo scritto è stato scelto di proposito per invogliare i lettori a lasciarsi andare a considerazioni di basso registro.




mercoledì 2 agosto 2023

Alastair Crooke - Parola d'ordine, sgonfiare gli scandali. Funzionerà anche con l'Ucraina?



Traduzione da Strategic Culture, 31 luglio 2023.

Biden: "Putin ha già perso la guerra... Putin ha un problema vero: come uscire da questa situazione? Che fare?". Il segretario Blinken ripete all'infinito lo stesso mantra: "La Russia ha perso". Lo stesso fa il capo dell'MI6 mentre Bill Burns, il capo della CIA, sostiene (con tanto di frecciatine) alla conferenza sulla sicurezza di Aspen che non solo Putin "ha perso", ma anche che sta perdendo la presa su uno stato russo che si sta frammentando e che sta probabilmente infilandosi nella spirale della disintegrazione.
Cosa sta succedendo? C'è chi pensa che un qualche problema psicologico o un caso di autoconvincimento di gruppo si siano manifestati ai vertici della Casa Bianca, con la conseguente formazione di una pseudo-realtà, separata dal mondo, ma modellata senza enfasi attorno a fini ideologici di più ampia portata.
La ripetizione a pappagallo di una narrativa di dubbia fondatezza, tuttavia, si trasforma agli occhi di chi sa come stanno le cose in quella che sembra proprio una illusione occidentale; il mondo come i vertici della Casa Bianca immaginano che sia o, più precisamente, come vorrebbero che fosse.
Questa pedissequa ripetizione non è chiaramente una "coincidenza". Un gruppo di alti funzionari che recitano una parte tutti insieme non sta esprimendo illusioni proprie. Sta mettendo in piedi una nuova narrativa. Il mantra "la Russia ha perso" definisce la meganarrativa che è stato deciso di introdurre. È il preludio di un vigoroso scaricabarile: Il Progetto Ucraina "sta fallendo perché gli ucraini non stanno applicando le dottrine impartite loro dagli addestratori della NATO; eppure, nonostante questo, la guerra ha dimostrato anche che Putin ha 'perso': e anche la Russia si è indebolita".
Questo è un altro esempio della fissazione dell'Occidente contemporaneo sull'idea che "le narrative vincono le guerre" e che le battute d'arresto sul campo di battaglia sono incidentali. Ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato su tutto lo spettro, che affermi con fermezza che l'"episodio" Ucraina è ormai chiuso; una parentesi chiusa per il solo fatto che abbiamo tutti la pretesa di considerarla tale.
Il succo è che noi controlliamo la narrativa; diventa inevitabile che noi vinciamo e che la Russia perda. Il difetto di questo atteggiamento arrogante è, in primo luogo, che esso fa scendere i massimi esponenti dell'amministrazione statunitense in guerra contro la realtà; in secondo luogo, che il pubblico ha perso da tempo la fiducia nei media tradizionali.
Jonathan Turley è un noto studioso di diritto e docente a Georgetown che si è occupato molto di settori che vanno dal diritto costituzionale alla teoria del diritto; richiama l'attenzione sul fatto che "...in questo momento l'impegno dei membri del Congresso e dei media è volto a far sì che l'opinione pubblica passi a interessarsi di altro invece che dello scandalo della corruzione nella famiglia Biden". Il messaggio, scrive, "è chiaro... Tutti devono farsi da parte! ... [Tuttavia] le prove si accumulano e l'interesse del pubblico aumenta: è un po' tardi per le giravolte o per gli specchietti per le allodole".
"Questa settimana è probabile che lo scandalo metterà i Biden e il Paese davanti a una situazione ancora più grave. I media stanno assomigliando sempre di più a Leslie Nielsen in Una pallottola spuntata, con questo loro sbraitare che 'non c'è niente da vedere qui' davanti a una scena virtualmente apocalittica di incendi e devastazione".
Qual è il collegamento con l'Ucraina? Un anno fa, il professor Turley scrisse che l'establishment politico e mediatico avrebbe probabilmente usato un approccio atto a far rientrare lo scandalo delle accuse di corruzione man mano che le prove a carico si accumulavano. Turley suggeriva che il Dipartimento di Giustizia avrebbe ottenuto un "patteggiamento benevolo" per Hunter Biden per un paio di capi d'accusa per reati fiscali, con una pena detentiva minima o nulla. Ebbene, questo è esattamente ciò che si è verificato un anno dopo. Poi lo scandalo è rientrato, proprio come previsto: Hunter si è dichiarato colpevole di aver pagato le tasse in ritardo, intanto che un coro di membri della Camera e di mass media gli scrollava di dosso tutte le altre accuse di corruzione e statuiva con fermezza che la questione era chiusa: che si passasse ad altro. Turley osserva tuttavia che "il desiderio dei media di "voltare pagina" in merito a questo argomento sta raggiungendo un livello quasi di frenesia, proprio mentre stanno venendo fuori transazioni estere per milioni e decine di società di comodo, e vengono rese pubbliche e-mail compromettenti.
Non è chiaro se lo stratagemma funzionerà. I problemi sono già cominciati.
Gli elementi chiave dell'operazione sgonfiaggio si rivelano essere la negazione assoluta e perentoria del fatto che esista un qualsiasi problema e l'ostinato rifiuto di concedere anche solo una parvenza di plausibilità all'idea che ci si trovi davanti a un fallimento di un qualche genere. Di farsi un esame di coscienza non se ne parla neppure.
Questo è stato il modus operandi anche per quanto riguarda la débacle del Nordstream (la distruzione del gasdotto verso la Germania): non ammettere nulla e chiedere alla CIA di preparare una versione dei fatti per far sgonfiare lo scandalo. In questo caso, un diversivo assurdo in cui c'entrano uno yacht e certi perfidi sub che scendono a 80-90 metri senza attrezzature speciali e senza gas appositi, per piazzare e far esplodere ordigni esplosivi. Non è stata svolta alcuna indagine vera e propria: "Non c'è niente da vedere".
Solo che, come attestano gli avvenimenti in Germania, a questa storia non crede nessuno; la coalizione di Berlino si trova in gravi difficoltà.
Adesso invece lo stesso copione viene applicato all'Ucraina: Il "coro" sbraita: "Putin ha perso" nonostante l'Ucraina abbia perso la possibilità di indebolire la Russia in modo sostanziale. Chiaramente, la speranza è che la squadra di Biden possa uscire indenne da una sconfitta devastante grazie al fatto che l'operazione sgonfiaggio è stata avviata ampiamente per tempo, dopo la "scadenza" estiva fissata dalla NATO per una "vittoria".
Abbiamo dato loro tutto, eppure gli ucraini hanno voltato le spalle ai nostri consigli di provata esperienza su come "vincere" e di conseguenza non sono arrivati a nulla.
"La controffensiva dell'Ucraina non sta facendo progressi perché il suo esercito non sta mettendo interamente in pratica l'addestramento ricevuto dalla NATO, secondo certe indiscrezioni su una valutazione dei servizi tedeschi... I soldati ucraini addestrati dall'Occidente mostrano di 'stare imparando molto bene', ma restano delusi da comandanti che nei campi di addestramento [della NATO] non ci sono stati, aggiungono... Nell'esercito ucraino si preferisce promuovere soldati con esperienza di combattimento piuttosto che quelli che hanno ricevuto un addestramento secondo gli standard della NATO".
Ah, ma bene. Come in Afghanistan?
La guerra in Afghanistan è stata anche una sorta di crogiolo. In senso stretto, l'Afghanistan è stato trasformato in un banco di prova per ogni singola innovazione nella gestione tecnocratica dei progetti della NATO: ogni innovazione vi veniva annunciata come se fosse l'anticipazione di un futuro rivoluzionario. Finanziamenti a pioggia, edifici venuti su come funghi, un esercito di tecnocrati globalizzati arrivato sul posto a supervisionare il processo. I big data, l'intelligenza artificiale e l'utilizzo in tempo reale di una serie sempre più ampia di strumenti tecnici di sorveglianza e di ricognizione avrebbero fatto crollare le vecchie dottrine militari. Doveva essere una vetrina per il managerialismo tecnologico. Si presumeva che un modo di fare la guerra all'insegna della tecnologia e della scienza avrebbe prevalso.
La tecnocrazia come unico mezzo per costruire un efficiente esercito in stile NATO invece ha portato in Afghanistan a mettere in piedi una schifezza che è crollata nel giro di pochi giorni: una "sconfitta su base digitale", come l'ha descritta un veterano afghano degli Stati Uniti. In Ucraina, l'esercito si è trovato tra la padella e la brace: non hanno avuto successo né l'attacco delle forze corazzate contro le difese russe, secondo la dottrina della NATO, né l'alternativa rappresentata dagli attacchi della fanteria leggera.
L'Ucraina sta subendo, piuttosto, una sconfitta in cui la NATO è stata determinante.
Per quale motivo allora si decide di negare l'evidenza e si insiste sprezzantemente ad affermare che Putin ha perso? Non conosciamo, ovviamente, le motivazioni recondite dei vertici dell'amministrazione Biden. Tuttavia l'apertura di negoziati con Mosca nella speranza di ottenere un cessate il fuoco o il congelamento del conflitto (per rafforzare la narrativa) rivelerebbe probabilmente che Mosca non transige sulla piena capitolazione di Kiev. E questo si scontrerebbe con la storia che Putin ha perso la guerra.
Forse il calcolo consiste nello sperare che, da qui all'inverno, l'interesse del pubblico verso l'Ucraina sarà stato talmente distolto da altre questioni da far concludere che l'opinione pubblica ha ormai voltato pagina, lasciando il peso della colpa ai comandanti ucraini che hanno mostrato "notevoli carenze nella leadership" che hanno portato a "decisioni sbagliate e pericolose", prese senza tenere conto dell'addestramento ricevuto secondo gli standard della NATO.
Il professor Turley conclude che
tutto questo non funzionerà, ovviamente. Il pubblico ha perso fiducia nei media. In effetti, il movimento 'Forza Brandon' è tanto una presa in giro dei media quanto una punzecchiatura contro Biden. I sondaggi dimostrano che l'opinione pubblica non sta affatto interessandosi di altro [rispetto alle accuse mosse  contro Hunter] e considera questo scandalo come una cosa grave. La maggioranza ritiene che Hunter abbia ricevuto una protezione speciale rispetto al lavoro degli inquirenti. I media possono anche continuare a sopprimere le prove e le accuse all'interno delle loro camere a eco, ma la verità, come l'acqua, una via d'uscita la trova.
In effetti, gli eventi si stanno facendo strada, con o senza i media.
Ed ecco il punto cruciale: Turley ritiene che l'affare Biden costituisca "un episodio rivelatore della lacerazione interna agli Stati Uniti"; allo stesso modo, l'Occidente si trova di fronte a un'ulteriore sconfitta strategica derivante dal suo progetto ucraino. Questa sconfitta non riguarda solo l'Ucraina come campo di battaglia, ma va a infrangere il mito dell'onnipotenza della NATO e ha messo in crisi la narrativa sugli armamenti "magici" dell'Occidente. Ha fatto crollare l'immagine dell'eccellenza occidentale.
La posta in gioco non è mai stata così alta. Ma la classe dirigente ci aveva pensato bene, al momento di lanciarsi con tanta leggerezza in questo sfortunato "progetto" ucraino? Era consapevole del fatto che esisteva la possibilità di un fallimento?