Traduzione da Strategic Culture, 17 luglio 2023.
Credere che una narrativa manipolata possa di per sé portare alla vittoria è un atteggiamento arrogante. Si tratta di una fantasia che ha permeato l'Occidente, con sempre maggiore enfasi dal XVII secolo in poi.
Recentemente il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che "è la narrativa a vincere la guerra" e che le battute d'arresto sul campo di battaglia sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro degli attori coinvolti: dal singolo soldato delle forze speciali presente sul terreno fino ai massimi esponenti dei vertici del potere politico. Il succo è che "noi" (l'Occidente) abbiamo costruito una narrativa mentre quella della Russia è "grossolana": "Che vinceremo noi, quindi, è fuori discussione".
Facile sghignazzare, ma possiamo riconoscere in questa pretesa una certa fondatezza, sia pure una fondatezza inventata. La narrativa costituisce ormai per le élite occidentali il mezzo per immaginare il mondo. Che si tratti dell'emergenza pandemica, del clima o dell'Ucraina, tutte le "emergenze" sono ridefinite come "guerre". Tutte "guerre" che devono essere combattute sulla base di una narrativa di vittoria univoca e imposta, a fronte della quale è vietata ogni opinione contraria.
Tanta arroganza ha un difetto ovvio: essa impone di entrare in guerra... contro la realtà. Sulle prime il pubblico rimane confuso, ma via via che le menzogne proliferano e si susseguono le une alle altre, la narrativa perde sempre di più i contatti col reale e un certo sentore di disonestà comincia a levarsi attorno ad essa. Presso il pubblico inizia a farsi strada un certo scetticismo. Le narrative sul perché dell'inflazione, sull'economia più o meno in salute, sul perché è necessario fare la guerra contro la Russia iniziano a sfaldarsi.
Le élite occidentali hanno puntato persino la camicia sul massimo controllo delle "piattaforme mediatiche", sull'assoluto conformismo dei messaggi e sulla spietata repressione delle proteste; sono questi gli strumenti con cui intendono mantenere il potere.
Eppure, contro ogni previsione, il mainstream sul pubblico statunitense sta perdendo presa. I sondaggi mostrano che nei suoi confronti esiste una sempre maggiore sfiducia. Quando su Twitter è apparso il primo show "anti-messaggio" di Tucker Carlson e più di cento milioni di statunitensi (un cittadino su tre) si sono messi ad ascoltarne i toni iconoclastici, si è sentito il rumore delle placche tettoniche che si scontravano.
Il punto debole di questo nuovo autoritarismo "liberale" è che i suoi miti narrativi fondamentali possono essere sfatati. Basta poco, e un po' per volta la gente inizia a parlare della realtà.
Ucraina: come si vince una guerra che non si può vincere? La risposta dell'élite è stata proprio una narrativa in cui, a dispetto della realtà, si asserisce con insistenza che l'Ucraina sta vincendo e che la Russia sta "cedendo". Una posizione arrogante, che alla fine viene contraddetta dalle evidenze sul campo. Anche le classi dirigenti occidentali si rendono conto che la loro pretesa che l'offensiva ucraina avesse successo è finita in un fiasco. Alla fine, i fatti militari battono le chiacchiere della politica: una delle due parti è distrutta, i suoi numerosi morti diventano il tragico agente che rovescia il dogma.
"Potremo invitare l'Ucraina ad aderire all'Alleanza quando gli alleati saranno d'accordo e quando vi saranno le condizioni... [tuttavia] a meno che l'Ucraina non vinca questa guerra, non ci sarà nulla da discutere sulla questione del suo ingresso," ha dichiarato Jens Stoltenberg a Vilnius. Così, dopo aver esortato Kiev a gettare altre centinaia di migliaia di uomini in pasto alla morte in nome dell'adesione alla NATO, la NATO stessa volta le spalle al suo protetto. Tutto considerato si trattava di una guerra che fin dall'inizio non poteva essere vinta.
L'arroganza in queste circostanze stava nel fatto che la NATO contrapponeva la sua presunta "superiorità" in termini di dottrina militare e di armamenti alla deprecata rigidità militare -sclerotizzata e di stile sovietico- dei russi.
Ma i dati di fatto militari sul campo hanno smascherato quanta arroganza vi fosse nella dottrina occidentale; le forze ucraine ne sono uscite decimate, le armi della NATO ridotte a rottami fumanti.
È stata la NATO a insistere sul mettere nuovamente in scena la Battaglia del 73° Est, svoltasi nel deserto iracheno e ora portata in Ucraina.
In Iraq le forze corazzate scompaginarono facilmente le formazioni di carri armati iracheni: si tratto di un'azione decisa che mise gli avversari iracheni al tappeto. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di mezzi corazzati (colonnello Macgregor), si trattò di un esito in gran parte fortuito, a spese di un avversario demotivato. Nonostante questo il "73° Est" è diventato un mito per la NATO, ed è stato trasformato in dottrina generale per le forze ucraine. Una dottrina costruita sulle circostanze uniche verificatesi in Iraq.
In Iraq le forze corazzate scompaginarono facilmente le formazioni di carri armati iracheni: si tratto di un'azione decisa che mise gli avversari iracheni al tappeto. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di mezzi corazzati (colonnello Macgregor), si trattò di un esito in gran parte fortuito, a spese di un avversario demotivato. Nonostante questo il "73° Est" è diventato un mito per la NATO, ed è stato trasformato in dottrina generale per le forze ucraine. Una dottrina costruita sulle circostanze uniche verificatesi in Iraq.
Il picco massimo dell'arroganza, il suo vertice, in linea con il video del Daily Telegraph, si ha quando si arriva a imporre la narrativa di una pronosticata "vittoria" occidentale anche nei confronti del mondo politico russo. È una storia vecchia che la Russia sia militarmente debole, politicamente fragile e incline alle fratture. Conor Gallagher ha dimostrato con abbondanza di citazioni che era esattamente la stessa storia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e che essa rifletteva un'analoga sottovalutazione occidentale della Russia, unita a una grossolana sopravvalutazione delle proprie capacità.
Il problema principale, con le illusioni, è che per liberarsene (sempre che ci si riesca) occorre molto più tempo di quello concesso dagli eventi. Uno sfasamento che può determinare gli esiti futuri.
Gli uomini di Biden potrebbero avere interesse a supervisionare un ritiro ordinato della NATO dall'Ucraina, in modo da evitare che si arrivi a un'altra debacle come a Kabul.
Per arrivare a questo, gli uomini di Biden hanno bisogno che la Russia accetti un cessate il fuoco. E qui sta il difetto -su cui si è ampiamente sorvolato- di questa strategia: la Russia non ha alcun interesse a congelare la situazione. Ancora una volta, l'ipotesi che Putin accoglierebbe fremente l'offerta occidentale di un cessate il fuoco indica un atteggiamento arrogante: le posizioni dei due avversari non sono congelate nel senso elementare del vocabolo, ovvero in un conflitto in cui nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sull'altra e si è arrivati allo stallo.
In parole povere, mentre l'Ucraina è strutturalmente sull'orlo dell'implosione, la Russia al contrario ha pieno controllo della propria intatta potenza. Dispone di forze ingenti e fresche, domina lo spazio aereo e ha quasi il dominio dello spazio elettromagnetico. Ma l'obiezione più sostanziale nei confronti di un cessate il fuoco è che Mosca vuole che l'attuale esecutivo di Kiev se ne vada e che le armi della NATO escano dal campo di battaglia.
Ecco quindi il problema: per Biden ci sono le elezioni, quindi sarebbe opportuno che la campagna democratica si chiudesse senza scosse. La guerra in Ucraina ha messo in luce troppe carenze logistiche, da parte statunitense. Ma anche la Russia ha i suoi interessi.
L'Europa più di tutti è ancora alle prese con le illusioni, fin dal momento in cui si è gettata senza riserve dalla parte di Biden. La narrativa sull'Ucraina si è spezzata a Vilnius. Ma l'amor proprio di alcuni leader dell'Unione Europea li mette in conflitto con la realtà. Vogliono continuare ad alimentare il tritacarne ucraino, a ostinarsi nella fantasia di una vittoria completa. "Non esiste altra strada che quella di una vittoria totale e di liberarsi di Putin... Dobbiamo assumercene ogni rischio. No, non esiste compromesso possibile; nessuno".
La classe politica dell'Unione Europea ha preso così tante decisioni disastrose in ossequio alla strategia statunitense -decisioni che vanno direttamente contro gli interessi economici e di sicurezza degli europei- che nutre molti timori.
Se la reazione di alcuni di questi leader sembra sproporzionata e irrealistica ("Non esiste altra strada che quella di una vittoria totale e di liberarsi di Putin") è perché questa guerra va a coinvolgere motivi più profondi; è una reazione che riflette il timore esistenziale di un disfacimento della metanarrativa occidentale capace di provocare il crollo dell'egeomonia dell'Occidente, e con essa anche della sua struttura finanziaria.
La metanarrativa occidentale "da Platone alla NATO è una storia fatta di idee e comportamenti superiori le cui origini risalgono all'antica Grecia e che da allora sono stati raffinati, estesi e trasmessi nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore".
La metanarrativa occidentale "da Platone alla NATO è una storia fatta di idee e comportamenti superiori le cui origini risalgono all'antica Grecia e che da allora sono stati raffinati, estesi e trasmessi nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore".
Questo è ciò che probabilmente avevano in mente gli autori del video del Daily Telegraph quando insistevano a dire che "la nostra narrativa vince le guerre". La loro arroganza risiede nella presunzione implicita che l'Occidente in qualche modo vinca sempre, che sia destinato a prevalere perché è il custode ultimo di questa genealogia privilegiata.
Naturalmente al di fuori del parlare comune si accetta che la nozione di "Occidente coerente" sia stata inventata, riproposta e utilizzata in tempi e luoghi diversi. Nel suo nuovo libro The West l'archeologa classica Naoíse Mac Sweeney contesta questo mito fondante sottolineando che è stato solo "con l'espansione dell'imperialismo europeo oltremare nel XVII secolo che ha cominciato a farsi strada un'idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che poteva essere legittimamente colonizzato e quello che poteva legittimamente fare il colonizzatore".
Con l'invenzione dell'Occidente è arrivata anche l'invenzione della storia dell'Occidente, storia di un lignaggio elevato ed esclusivo, che ha fornito giustificazione storica al dominio occidentale.
Secondo il giurista e filosofo inglese Francis Bacon, nella storia dell'umanità ci sono stati solo tre periodi di progresso e di civiltà: "uno tra i greci, il secondo tra i romani e l'ultimo tra noi, cioè tra le nazioni dell'Europa occidentale".
Il timore più profondo dei leader politici occidentali -complice la consapevolezza che una narrativa altro non è che un racconto fittizio che facciamo a noi stessi, pur sapendo che di fatto si tratta di cose senza fondamento- è che la nostra epoca sia stata resa sempre più e sempre più pericolosamente subordinata rispetto a questa metanarrazione mitica.
Essi non guardano con timore soltanto a una Russia che diventa una potenza, ma piuttosto alla prospettiva che il nuovo ordine multipolare guidato da Putin e Xi, che si sta diffondendo in tutto il mondo, faccia crollare il mito della civiltà occidentale.
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