lunedì 29 gennaio 2018

Firenze: continuano l'insihurézza e i'ddegràdo provocati dagli anarchici! Ce ne ricorderemo alle elezioni!!


Firenze non cessa di produrre e di ospitare un certo numero di persone serie piuttosto allergiche alle ciance che la feccia con la cravatta produce a ritmi più serrati del solito in occasione delle consultazioni elettorali. 
Invece di perdere tempo col Libro dei Ceffi, queste persone serie usano i vecchi sistemi del volantino, del manifesto e dell'affissione. Ed espongono quello che pensano in paragrafi stringati, che se ne fregano dei tag, degli emoticon e della correttezza politica e curano invece di avere la memoria un po' più lunga di quanto gradirebbero quelli che "non ci sono alternative, è l'Europa che ce lo chiede".
Lo stato che occupa la penisola italiana è nominato nel documento originale; ce ne scusiamo come sempre con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.



Gli aguzzini del mare e del deserto 
La politica del governo italiano in Libia 

 Ciò che accade al largo delle coste e all'interno del territorio libico è davvero rappresentativo dei tempi ignobili in cui viviamo. 
Con lo spudorato pretesto della lotta ai trafficanti di uomini, lo Stato italiano sta lautamente finanziando signori della guerra. Guardie e milizie (quello che si definisce maldestramente "governo libico") per il controllo e l'internamento di massa dei poveri in fuga. Pattugliamenti e respingimenti sulle coste del Mediterraneo, detenzione nei campi di concentramento libici di circa 600.000 persone, costruzione di un muro nel deserto lungo il confine con il Niger, il Ciad e il Mali. Le stesse milizie che si sono arricchite per mesi con i viaggi della disperazione, ora sono pagate per impedirli. Sono le stesse milizie a cui l'Eni delega la difesa armata dei propri pozzi. Nei 34 campi di concentramento (di cui 24 nel territorio controllato dal governo di Tripoli, alleato dell'Italia) si praticano quotidianamente torture, violenze, stupri. L'importante è che la merce umana non richiesta non venga a turbare i bisogni di ordine e sicurezza in Italia e in Europa. Il resto non è affar nostro, giusto? D'altronde, con la Turchia di Erdogan non si sono stipulati gli stessi accordi? 
Nel grande caos seguito ai bombardamenti della Nato nel 2011 (proprio quando stavano scadendo le concessioni petrolifere alle potenze occidentali) i governi d'Italia, Francia e Inghilterra hanno cercato di farsi le scarpe a vicenda rinegoziando con le bombe e con i soldi la propria influenza nell'area. 
Lo stato italiano, di cui Gheddafi è sempre stato un ottimo alleato, non poteva certo perdere il proprio potere sull'ex colonia. La "ricostruzione" che i democratici annunciano ora in Libia in cambio del muro anti-immigrati è la continuazione di ciò che le loro bombe avevano cominciato. Le varie signorie libiche usano l'arma dei migranti da lasciar partire per contendersi i soldi e la legittimazione internazionale. Ciò che ogni potenza riconosce come "governo" è solo la banda di assassini più spietata e più affidabile. Così come la partecipazione alla guerra è stata spinta all'epoca dal sinistro Napolitano, è oggi uno sbirro del partito democratico come Minniti a pavoneggiarsi di aver ridotto gli sbarchi. L'Eni intanto ha aperto altri nove giacimenti petroliferi nei circa 30.000 chilometri quadrati di territorio libico su cui governa. 
Altre aziende italiane sono pronte, con armi e bagagli. 
Si militarizzano la città in nome del cosiddetto antiterrorismo, poi si pagano le milizie jihadiste libiche per i propri interessi. 
Si ciancia di diritti democratici, ma l'unico diritto che hanno milioni di poveri è quello di crepare. Non si scomoda più la nozione di "razze inferiori", ma il risultato è lo stesso. 
Mentre tanti nostri simili sprofondano nel terrore, attaccare i signori lo sfruttamento della guerra è il solo modo per non sprofondare in una disumana indifferenza. 
Se non lo avete capito, si parla anche di noi.

sabato 27 gennaio 2018

Alastair Crooke - La realtà del dopoguerra in Siria. Chi sta arginando chi?



Traduzione da Strategic Culture, 23 gennaio 2018.

Tutto il tramestìo e tutto l'affaccendarsi della Casa Bianca con Mohammed bin Salman (MbS), Mohammed bin Zayed (MbZ) e Bibi Netanyahu in nome dell'"accordo del secolo" non solo non ha portato ad alcun accordo, ma ha esasperato le tensioni nel Golfo infilandolo in una crisi quasi capace di minacciarne l'esistenza. Adesso, gli stati del Golfo sono molto vulnerabili. L'ambizione ha spinto alcune personalità a ignorare i limiti contingenti, che sono quelli di piccoli emirati tribali che vivono di traffici, e li ha spinti ad allargarsi, a credersi giocatori di peso, architetti di primo piano del nuovo ordine mediorientale.
La squadra di Trump e anche certi europei, avvelenati da questi ambiziosi attori trentenni reduci da qualche business school del Golfo, si sono bevuti tutto quanto. La famiglia presidenziale ha accolto la narrativa -che è l'esatto contrario della verità- che definisce l'Iran e l'Islam sciita come oltremodo infidi e terroristi, e ha pensato che forzare la mano per un accordo fra Arabia Saudita e stato sionista sarebbe servito a mettere un freno all'Iran e ai suoi alleati; in cambio, lo stato sionista avrebbe finalmente ottenuto quella "normalizzazione" dei rapporti con il mondo sunnita che va cercando da tanto tempo. Questo prevedeva l'accordo del secolo.
Bene: l'avventata decisione su Gerusalemme ha messo fine al gioco. Anzi, l'affermazione di Trump ha avuto l'effetto contrario, ha dato al Medio Oriente un punto d'appoggio su cui gli ex contendenti nel conflitto siriano possono trovare una causa comune: la difesa di Gerusalemme come elemento storico e culturale, come fuoco identitario condiviso da musulmani e cristiani. Una causa che potrebbe unire il Medio Oriente, dopo le tensioni e i conflitti degli ultimi tempi.
I paesi del Golfo, dopo aver perso la guerra in Siria, si ritrovano infilati in un'altra spinosa schermaglia; sembra proprio una specie di jihad a guida ameriKKKana contro gli sciiti e tutte le loro manifestazioni nella regione, reali o immaginarie che siano. Un piano altamente ambizioso che non va bene né dal punto di vista degli affari (Dubai, per esempio, che è sostanzialmente un piccolo stato commerciale del Golfo, sopravvive grazie ai traffici con l'Iran e con il Pakistan, dove pure esiste una considerevole popolazione sciita) né dal punto di vista di una politica prudente: l'Iran è una nazione vera, con seimila anni di storia e una popolazione che sfiora i cento milioni di abitanti.
Non c'è da meravigliarsi se questo discusso piano sta dividendo il GCC. L'Oman, legato all'Iran da antichi rapporti, non lo ha mai condiviso. Il Kuwait, in cui esiste una significativa componente sciita, considera gli sciiti nell'ottica della coesistenza e dell'inclusione. Dubai teme per la propria economia, mentre il Qatar... ecco, angariare il Qatar ha portato al suo allineamento di un nuovo asse regionale con l'Iran e la Turchia.
Soprattutto, la ricerca dell'accordo fa parte del revanscismo economico ameriKKKano di un'AmeriKKKa che recupera i territori economici ceduti ad altri a causa della (presunta) "trascuratezza delle passate amministrazioni", come riporta l'analisi della Sicurezza Stategica Nazionale (NSS). A quanto sembra a Washington stanno giocherellando con l'idea di mettere dazi alle merci cinesi, di imporre sanzioni alla Russia e di scatenare contro l'Iran una guerra economica allo scopo di rovesciarne il governo. Nel caso il Presidente Trump dovesse perseguire questa politica -e sembra proprio che questa sia la sua intenzione- Cina, Russia e Iran prenderanno a loro volta contromisure economiche di qualche genere. L'areale e la popolazione coperte dal sistema del petrodollaro sono già frammentati, e potrebbero ulteriormente frammentarsi, forse al punto che l'Arabia Saudita potrebbe accettare per il proprio greggio pagamenti in yuan.
In poche parole la base di liquidità, i petrodollari su cui si basano l'ipersfera finanziarizzata del Golfo e gran parte del suo benessere economico, si assottiglierà. E questo succede in un momento in cui i redditi petroliferi sono già crollati, crollo che ha rappresentato la prima fase della frammentazione del petrodollaro attualmente in corso e che ha costretto i paesi del Golfo ad una stretta fiscale di cui hanno fatto le spese i cittadini. Di recente la Cina ha intralciato i piani di guerra commerciale degli USA, lasciando filtrare intenzionalmente, per poi ritrattarla, l'idea che la banca centrale cinese avrebbe smesso di acquistare buoni del tesoro statunitense o che avrebbe disinvestito. E l'importante agenzia cinese di valutazione del credito Dagong ha abbassato la classificazione del debito sovrano statunitense da A- a BBB+ facendo concretamente pensare che i buoni del tesoro statunitense in possesso dei paesi del Golfo non sono più quei "titoli privi di rischi" che si credeva che fossero. Anzi, potrebbero diventare soggetti a svalutazione, col crescere dei tassi di interesse o con l'impatto del quarto quantitative easing.
Come sono arrivati i paesi del Golfo a trovarsi esposti in questo modo? Essenzialmente non riconoscendo i propri limiti e dunque superandoli. Una risposta stringata è questa. Alla fine degli anni Novanta e all'inizio del decennio successivo il Qatar, con il suo padrone Hamad bin Khalifa, era considerato prepotentemente attivo sul piano politico, ben oltre il modesto peso assegnatogli da una popolazione di duecentomila abitanti. Il Qatar aveva lanciato la rete di notizie Al Jazira; una novità sorprendente per il mondo arabo dell'epoca e che sarebbe diventata uno strumento molto potente nel corso della cosiddetta "primavera araba". Ad Al Jazira sono state attribuite -almeno così mi disse all'epoca l'emiro- la caduta del Presidente Mubarak e la fondazione della base politica per la corrispettiva ondata di proteste popolari nel 2011. Probabilmente l'emiro faceva delle valutazioni corrette; all'epoca sembrava che gran parte dei paesi del Golfo, Emirati compresi, potesse essere sovvertita dalla guerriglia mediatica di Al Jazira e finisse in mano ai Fratelli Musulmani, che il Qatar stava proteggendo in qualità di strumento per "riformare" il mondo arabo sunnita.
Insomma, il Qatar stava sfidando l'Arabia Saudita, e la stava sfidando non soltanto sul piano politico; proteggendo i Fratelli Musulmani, il Qatar sfidava proprio la dottrina che poneva le basi religiose della monarchia assoluta dell'Arabia Saudita. Al contrario della Casa dei Saud, i Fratelli Musulmani affermano che la sovranità spirituale appartiene al popolo, alla comunità dei credenti, e non a un qualche "re" saudita. Questo inebriamento rivoluzionario qatariota, che minacciava nella sua stessa essenza il dominio dei Saud, ha suscitato l'odio dei sauditi. E lo stesso ha fatto MbZ, convinto -a ragione- che i Fratelli Musulmani avessero Abu Dhabi nel mirino. Nella questione sono entrati anche antichi rancori, oltre alla competizione che divide Abu Dhabi dal Qatar. L'emiro qatariota alla fine si è esposto troppo, e nel 2013 è stato costretto a lasciare il trono e ad andare in esilio.
Abu Dhabi storicamente non si è mai inteso granché bene con l'Arabia Saudita, che trattava con una certa sufficienza questi emirati di piccolo cabotaggio. MbZ tuttavia aveva visto in MbS un'opportunità, per sé e per Abu Dhabi, di esercitare una certa influenza e soprattutto di far diventare l'emirato una sorta di nuovo Qatar in grado di atteggiarsi ben al di là di quanto gli permettesse il proprio scarso peso politico. A differenza del Qatar però non avrebbe dovuto cercare di tenere testa all'Arabia Saudita, ma di prendere il ruolo di un "Mago di Oz" che, operando dietro le quinte, muovesse le leve saudite per esercitare pressione sugli USA e ottenere l'approvazione ameriKKKana per l'impegno di MbS e di MbZ contro i Fratelli Musulmani e per una posizione laica, neoliberista e anti iraniana.
Subito dopo la guerra dello stato sionista contro Hezbollah nel 2006 MbZ riuscì a mettere in piedi, tramite il generale Petraeus all'epoca comandante del CentCom, un canale diretto con gli ameriKKKani e a concentrarsi sulla minaccia rappresentata dall'Iran; usò con disinvoltura il timore di inflitrazioni da parte dei Fratelli Musulmani per aprire una porta all'espansione del controllo di Abu Dhabi su Dubai e sugli altri emirati sul piano della sicurezza, e utilizzò il sostegno finanziario di Abu Dhabi verso gli altri emirati dopo la crisi finanziaria del 2008. Tutte queste iniziative sono confluite in una sorta di manuale sull'eliminazione dei rivali politici e sull'acquisizione di un potere privo di contrasti. Una scalata che è servita da guida per la successiva ascesa di MbS alla volta del potere assoluto in Arabia Saudita, col più anziano MbZ a fare da guida. I due intendevano nientemeno che rovesciare il corso degli eventi in Medio Oriente arginando l'Iran e, con l'aiuto ameriKKKano e sionista, ripristinare la supremazia dell'Arabia Saudita.
Il Presidente Trump ha abracciato senza riserve -e a quanto sembra in modo irrevocabile- MbS e MbZ. Ma anche questo si è rivelato essere un caso in cui qualcuno, nel Golfo, ha fatto il passo più lungo della gamba. Trump potrebbe non arrivare a far considerare normalità una Gerusalemme sionista, Netanyahu potrebbe non arrivare a calmare i rapporti con i palestinesi partendo dalla coalizione che lo sostiene, né potrebbe formarne un'altra. In ogni caso, neppure Abu Mazen potrebbe cedere sullo status di Gerusalemme. Insomma, Trump ha semplicemente "consegnato" la città santa allo stato sionista, segnando in questo modo un momento saliente del quasi completo isolamento diplomatico dell'AmeriKKKa. Sul piano politico MbS, MbZ, Netanyahu e Jared Kushner hanno tutti fallito, e si trovano umiliati e indeboliti. Importante è il fatto che adesso il Presidente Trump si trova avvinto ad una leadership saudita vacillante e alla propria radicale antipatia verso l'Iran, come è emerso alle Nazioni Unite nel discorso che ha tenuto a Settembre davanti all'assemblea generale.
Nello schierarsi a favore di questo piano contrario all'Iran, il Presidente Trump si trova -grazie all'aver mal giudicato la capacità di MbS e di Mbz di arrivare a qualche risultato significativo- a non poter contare su alcuna truppa sul terreno. Il GCC, il Consiglio degli Stati del Golfo, è diviso; l'Arabia Saudita è in crisi, l'Egitto sta passando nel campo di Mosca con l'acquisto di missili russi S300 per un miliardo di dollari, e di cinquanta Mig 29 per altri due miliardi. La Turchia è persa, e sta facendo il doppio gioco con Mosca e con Washington per i propri scopi. La maggior parte dell'Iraq sta di fatto con Damasco e con Tehran. Perfino gli europei sono titubanti davanti alla politica statunitense nei confronti dell'Iran.
Ovviamente Trump può comunque nuocere all'Iran; può farlo anche senza venir meno agli acordi sul nucleare. Il suo generare incertezza sul suo ritiro o meno dagli accordi, più il suo minacciare sanzioni di altro genere sono probabilmente abbastanza perché le imprese europee e di altra significativa provenienza rifuggano da progetti commerciali con l'Iran;  ma per quanto doloroso questo possa essere per il popolo iraniano, non può certo nascondere la realtù delle cose nel dopoguerra in Siria: in Libano, in Siria o in Iraq poche cose possono succedere senza che l'Iran ne sia coinvolto, in un modo o nell'altro. Persino la Turchia non può perseguire una stategia contro i curdi all'insegna del realismo senza l'assistenza iraniana. Russia e Cina hanno entrambe bisogno dell'aiuto iraniano per assicurarsi che il loro progetto per la realizzazione di "Una sola via, una sola strada" non venga inficiato da jihadisti estremisti.
La realtà è questa. Mentre i leader ameriKKKani ed europei parlano senza sosta dei propri piani per "arginare" l'Iran, l'Iran e i suoi alleati nella regione (Siria, Libano, Iraq e, in una misura non prevedibile, la Turchia) stanno di fatto "arginando" AmeriKKKa e stato sionista, contro cui agiscono con la deterrenza militare. Inoltre il centro di gravità economico della regione si sta inesorabilmente allontanando dal Golfo, puntando verso il progetto euroasiatico russo-cinese. La potenza economica del Golfo ha superato il proprio punto massimo.
Il dislocare una "piccola" forza d'occupazione statunitense nel nord-est della Siria non significa minacciare l'Iran, ma mettere un ostaggio in mano a Damasco e a Tehran. Tale è il cambiamento nell'equilibrio dei poteri fra paesi del quadrante settentrionale della regione e paesi di quello meridionale. La presenza di militari ameriKKKani in Siria con l'ostentato fine di "arginare l'Iran" rappresenta un gesto simbolico di cui gli USA potrebbero pentirsi se la Turchia dovesse muoversi, e che potrebbero in fin dei conti abbandonare, lasciando i curdi loro alleati di un tempo a vedersela con l'arido vento siriano.

domenica 14 gennaio 2018

I'ddegrado e l'insihurézza regnano sovrani! Ce ne ricorderemo alle elezioni!!


A marzo 2018 nello stato che occupa la penisola italiana è prevista una consultazione elettorale politica. Il fronte "occidentalista" è sempre lo stesso, decisissimo a delegare la difesa dei "valori occidentali" e delle "radici cristiane" del continente europeo a un terzetto di campioni costituito da un vecchio straricco polipregiudicato, da una ragazza madre e da un sovrappeso che non è riuscito a laurearsi neppure in dodici anni.
Assolutamente incapace di influire costruttivamente su eventi anche minimi, l'"occidentalismo" può solo affidarsi a una propaganda cui non servono neppure nuovi argomenti; inutile annoiare chi legge con confutazioni puntuali di costrutti nati in qualche redazione o in qualche agenzia pubblicitaria e ripetuti con entusiasmo da decine di migliaia di sudditi.


Tenendo senz'altro conto di questo stato di cose e ben conoscendo la coscienza politica da scarafaggi che caratterizza l'elettorato attivo, qualcuno si è divertito a riportare su un calendario la sequenza dei piagnistei "occidentalisti" che più ricorrono da qualche anno.
Il risultato viene riproposto qui perché potrebbe essere utile a qualcuno dei nostri lettori nell'eventualità, peraltro improbabile, che abbia tempo da perdere conversando con i sudditi del "paese" dove mangiano spaghetti.

venerdì 5 gennaio 2018

Firenze: i'ddegrado e l'insihurézza regnano sovrani in via Baracca! Ce ne ricorderemo alle elezioni!!


A marzo 2018 nello stato che occupa la penisola italiana è prevista una consultazione elettorale politica. Il fronte "occidentalista" è sempre lo stesso, decisissimo a delegare la difesa dei "valori occidentali" e delle "radici cristiane" del continente europeo a un terzetto di campioni costituito da un vecchio straricco polipregiudicato, da una ragazza madre e da un sovrappeso che non è riuscito a laurearsi neppure in dodici anni.
Assolutamente incapace di influire costruttivamente su eventi anche minimi, l'"occidentalismo" può solo affidarsi a una propaganda cui non servono neppure nuovi argomenti; inutile annoiare chi legge con confutazioni puntuali di costrutti nati in qualche redazione o in qualche agenzia pubblicitaria e ripetuti con entusiasmo da decine di migliaia di sudditi.
Meglio restare sul terreno più temuto dagli "occidentalisti" -ed ipso facto preferito dalle persone serie- che è quello della realtà, e portare testimonianze dirette dalla Firenze che non conta.
Come quella che segue.

Una mattina piovosa di gennaio all'inizio di via Francesco Baracca.
La zona è da sempre popolare, al massimo piccolo borghese; case a due piani vecchie di almeno un secolo, condomini in cui banche e padroni stanno curando con attenzione il turnover degli inquilini, e anche qualche angolo riposto dove prosperano tranquilli il verde e i gatti perché nessuno ha ancora pensato di disboscare e avvelenare per la tranquillità remunerativa di qualche beddenbrèffast.
Passa un tale sulla settantina in tuta da ginnastica.
"Eh, tutti cinesi, qui! E che lavori con questi indirizzi, non si trovano mai, e come gli chiedi qualche cosa è tutto un non capire, non capire...! No, i ragazzini no; parlano fiorentino perfetto! Ah, ai cinesi ci vivo in mezzo letteralmente; a casa mia, ne ho uno a destra e uno a sinistra! E per Natale mi fanno sempre la cassetta, tutti e due, col vino e i dolci.
E io la faccio a loro.