Traduzione da CFS Weekly Comment.
L'ordine di grandezza dei carichi di armi consegnati all'opposizione siriana. In un articolo che ha il placet dell'ufficialità il New York Times delinea a chiare lettere l'ampia scala dei trasferimenti di armi verso l'opposizione siriana negli ultimi diciotto mesi. Quasi ogni giorno grossi aerei cargo provenienti dal Qatar e dalla Giordania (si tratta di almeno centosessanta voli) hanno scaricato in aeroporti della Turchia e della Giordania; le armi arrivano, tramite canali aperti dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali, soprattutto dalla Croazia e da altri paesi dell'Europa orientale; secondo l'articolo citato, e si tratta di una stima prudente, su tratterebbe di qualcosa come tremilacinquecento tonnellate. E' bene essere chiari: tremilacinquecento tonnellate sono una quantità di armi enorme. La scala di questo ponte aereo fa semplicemente scomparire l'equivalente organizzato per la resistenza afghana nel corso degli anni Ottanta del passato secolo. L'articolo evidenzia anche quali sono gli scopi che gli Stati Uniti intendono raggiungere rivelando questi particolari. Il Presidente degli Stati Uniti non è certo rimasto a guardare come si vorrebbe dare a intendere; l'ideatore del ponte aereo è Petraeus, e naturalmente le armi sarebbero destinate soltanto a "gruppi scelti dell'opposizione". Il che significa che lo scopo principale dell'articolo è quello di negare che gli Stati Uniti abbiano senza volere consegnato armi ad Al Qaeda. A questa rivelazione può tuttavia essere attribuito anche un altro significato: quello di indicare l'assoluto fallimento militare dell'opposizione armata spalleggiata dall'Occidente, dato l'ordine di grandezza delle forniture di armi che adesso si ammette abbiano raggiunto questi gruppi nel corso dell'ultimo anno e mezzo. L'unico successo militare che l'opposizione può vantare oggi come oggi è dato dal possesso della cittadina di Raqa, nel nord del paese, che per giunta è stata conquistata dal Fronte di Al Nusra, affiliato ad Al Qaeda. Il fronte di Al Nusra non consente ai gruppi di opposizione vicini all'Occidente di entrare in città, perché "potrebbero essere più interessati a saccheggiare che a combattere". Come nota Alex Thomson di Channel Four, l'ala più numerosa dell'opposizione armata in questo momento è occupata a Damasco a sparacchiare a caso con i mortai uccidendo civili: "E' difficile riscontrare casi in cui la tattica dei ribelli qui nella zona sfoci in qualcosa di diverso dal puro terrore e dalla demoralizzazione. Se [i ribelli] pensano di star colpendo dei bersagli militari, qui c'è una lista degli obiettivi degli ultimi tre giorni a dimostrare la loro letale incompetenza". La maggior parte degli osservatori lo sospetta da tempo, ma adesso c'è la conferma del fatto che la Siria è già letteralmente allagata di armi. L'ultima risoluzione della Lega Araba che autorizza i propri membri ad armare l'opposizione farà forse qualche differenza? L'insistenza con cui il Regno Unito e la Francia chiedono all'Unione Europea di togliere l'embargo sulle armi cambierà il corso del conflitto? Adesso che sappiamo di questo ponte aereo che è esistito per un anno e mezzo, sembra poco probabile. Per giunta, come già successo per l'Afghanistan e per la Libia, tutte queste armi gireranno per tutta la regione per un gran bel po' di tempo. E' chiaro che siamo davanti ad un altro sversamento di armamenti in Siria, ed alla prospettiva di un altro tentativo -il sesto- di "prendere Damasco".
Il vertice della Lega Araba. David Ignatius ha scritto per lo Washington Post che le speranze statunitensi di mettere in piedi un'opposizione siriana "a guida politica moderata e dotata di una gerarchia militare definita", che a sua volta rappresenta una conditio sine qua non per qualsiasi prospettiva di negoziato sul futuro della Siria che prenda in considerazione il punto di vista americano, sono state frustrate da "aspre rivalità in campo arabo". Gli osservatori occidentali (si veda qui e qui) hanno acclamato come un successo il "ritiro della legittimazione" simboleggiato dal fatto che Doha ha insistito, senza curarsi delle obiezioni degli altri paesi della Lega Araba e contravvenendo alla stessa regolamentazione della Lega, che Khatib occupasse al vertice il seggio della Siria. Nonostante questo, la realtà dei fatti pare corrispondere più all'analisi che ne ha compiuto Ignatius piuttosto che a quella di certi "esperti" che hanno sancito la legittimità di questo modo di fare. il Qatar dapprincipio ha caldeggiato in ogni modo l'elezione del candidato dei Fratelli Musulmani Hitto, come "Primo Ministro" in pectore di un "governo" siriano di transizione ancora tutto da costituire, soprattutto per impedire al capo del Consiglio Nazionale Siriano, a Khatib, agli statunitensi e ai russi di prendere iniziative per inziare negoziati col governo siriano: Hitto ha rifiutato immediatamente qualsiasi negoziato con Damasco. Khatib ed altri dodici suoi colleghi di prima importanza hanno rassegnato in blocco le dimissioni in segno di protesta ed un'irritatissima Arabia Saudita, che non ha alcuna intenzione di vedere i Fratelli Musulmani al potere in Siria, ha infranto i piani del Qatar imponendo che il dimissionario Khatib assumesse invece la rappresentanza della Siria al vertice al posto di Hitto. Secondo fonti sioniste, i delegati sauditi e qatariani sarebbero stati uditi urlare gli uni contro gli altri in giro per i corridoi, e nelle loro stanze sarebbero anche venuti alle mani. L'Arabia Saudita ed altri paesi del Golfo si sono comportati come allocchi fino alle estreme conseguenze sul piano dell'emiro del Qatar per mettere i Fratelli Musulmani al potere in Siria, e sono ancora irritati per la situazione di caos e di anarchia in Libia e in tutta l'Africa del nord, di cui ritengono il Qatar porti le principali responsabilità. Secondo i russi tutte le manovre sul seggio siriano al vertice, lungi dal conferire a questa rappresentanza una qualsiasi legittimità, non sono state altro che un esempio fra tanti della illegalità che ha contraddistinto l'atteggiamento occidentale nei confronti della Siria, dal tentativo illegale di organizzare un'insurrezione armata fino al ritiro della legittimità ad un Presidente perpetrato in spregio alla normativa internazionale ed alle procedure delle Nazioni Unite e in aperto contrasto con il regolamento della Lega Araba. Il riassunto con cui Ignatius conclude il suo articolo esprime la sua sorpresa su come "gli Stati Uniti abbiano dimostrato così poca volontà o così poca abilità di influire sulla politica siriana nel corso degli ultimi mesi". In conclusione, il vertice ha approfondito le già aspre divisioni che separano i gruppi dell'opposizione siriana.
La Turchia accetta le scuse dello stato sionista. Il processo di pace del PKK. Questi due eventi non hanno connessione con le aspre contese del campo contrario ad Assad che abbiamo adesso descritto. Al momento il mondo arabo è già impegnato in un confronto serrato su chi sia il più eminente rappresentante del mondo sunnita, ruolo contesto da Erdogan, dall'Emiro del Qatar e dal re saudita. Erdogan e l'Emiro si fidano poco l'uno dell'altro, ma sono uniti dal comune interesse di assistere all'ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in tutta la regione. Entrambi credono che dovrebbero essere i Fratelli Musulmani a dirigere e supervisionare sulla caduta del Presidente Assad, e più in generale sono interessati al fatto che essi giungano al potere. Contro di loro ci sono l'Arabia Saudita e gli Emirati, che non appoggiano questa pretesa e che avanzano la propria candidatura al ruolo di sovvertitori del governo siriano nella prospettiva di non far arrivare al potere i Fratelli Musulmani. Il Presidente Obama pare indeciso su quale partito prendere, ma negli ultimi mesi Washington ha raffreddato in modo rimarchevole il proprio interesse per una Turchia che agisca direttamente da nord contro la Siria. L'ambasciatore statunitense ad Ankara ha pubblicamente criticato le azioni turche in favore del Fronte di Al Nusra, che Washington considera un'affiliazione di Al Qaeda). L'allontanamento di Washington dalle posizioni di Erdogan ha provocato un po' di preoccupazione ad Ankara, assieme alla convinzione che questa relazione strategica avesse bisogno di essere ricostruita in qualche modo. Erdogan dovrebbe recarsi in visita a Washington tra non molto, ma la lobby dello AIPAC ha minacciato di mettergli i bastoni tra le ruote a Washington per denunciare la sua retorica contraria allo stato sionista. Erdogan ha accettato quasi da trionfatore le scuse di Netanyahu, cosa che ha irritato in una certa misura i sionisti; si spera che farà in modo che la Turchia torni ad occupare un ruolo centrale nei piani statunitensi sulla Siria, ed altrettanto centrale per il futuro dei curdi. L'apertura di negoziati con Ocalan ha ache fare sia con la questione siriana che con il desiderio del Primo Ministro di diventare Presidente. E non soltanto "Presidente", ma un "Presidente turco" dotato di pieni poteri esecutivi. I colloqui di pace con Ocalan servono sia a sottolineare la crescente influenza regionale sulla questione curda, che minaccia Ankara, sia a mettere potenzialmente Erdogan nelle condizioni di mettere in opera i necessari cambiamenti alla costituzione che gli serverebbero ad assumere una presidenza dotata di poteri esecutivi. L'AKP non è in parlamento sufficientemente forte per cambiare la costituzione nel senso desiderato da Erdogan, ma se potesse essere raggiunto un accordo di massima che venisse incontro ai desideri dei curdi in materia di riforme costituzionali è verosimile pensare che i curdi ricambierebbero il favore, appoggiando l'AKP nell'equilibrio parlamentare necessario a promulgare gli emendamenti sulla figura del presidente della repubblica. In prospettiva, questo consentirebbe ad Erdogan di rimanere al potere per altri dieci anni. La reazione dei curdi a questa iniziativa è stata tiepida e molto cauta. Il pensiero politico turco (in questo articolo ci sono altri dettagli) prende in considerazione il fatto che la guerra in Siria porti alla dissoluzione della Siria e dell'Iraq come stati nazionali e all'ascesa di un nuovo "grande stato sunnita" che comprenda i sunniti dell'Iraq e della Siria, con poche sacche disperse di sciiti e di alawiti qua e là in quella che un tempo era nota come la Grande Siria. In uno scenario simile i meglio informati pensano che i curdi, così come la popolazione sunnita siriana ed irachena, potrebbero in qualche modo essere condotti sotto il manto della leadership turca. La prospettiva sembra abbastanza improbabile, perché parte dal presupposto che l'Iran, gli sciiti e le altre minoranze (per le quali in questa visione c'è posto a stento) abdichino semplicemente al loro ruolo e si lascino portare dagli eventi. Si tratta di una prospettiva improbabile, a meno che le insurrezioni di stampo sunnita che i paesi del Golfo e la Turchia stanno sostenendo sia in Siria che in Iraq non riescano a smembrare completamente entrambi gli stati.