Anthony Quinn ha interpretato due volte il ruolo di un mujahid: Hamza lo zio del Profeta, e Omar Mokhtar.
Traduzione dal blog di Joshua Landis.
Mi recai
senza permesso a Najiyeh, che è un paesino di nessun conto ma che ha la pretesa di essere uno dei principati dello Stato Islamico. Una pretesa ridicola all'apparenza, ma che tanto ridicola non ci sembrò appena vi giungemmo. Prezzi fissi, mercati vivaci, erano aperte anche le gioiellerie. Un contrasto stridente su quello che avevo sentito raccontare su questo "stato". Capii perché la gente aveva accettato di sottomettersi: l'ordine è una cosa fondamentale in ogni conflitto, tanto più in uno brutale come questo. Anche chi viveva nei paraggi e non apparteneva allo Stato Islamico si era espresso positivamente nei suoi confronti "Puoi rivolgerti ad uno dei loro tribunali," mi avevano detto, "e il tuo caso viene risolto senza timori e senza favoritismi". Un esordio che mi ha fatto venire in mente i talebani, accolti a Kabul con grida di giubilo e mazzi di fiori, ma che lasciarono la città in mezzo a gente che si radeva la barba e che ci dava dentro con le sigarette anche se non aveva mai fumato in vita sua.
Qualche mese più tardi incontrai Abu Ali in Turchia, a Tarso. Il giovane comandante di Ansar al Sham sembrava un San Paolo giovane: barba scura e capelli lunghi appena indeboliti in cima alla testa. Era convalescente da una ferita ad una gamba, di quelle che se i miracoli non esistessero davvero lo avrebbe lasciato con una gamba di meno. La ferita era un autentico orrore. Abu Ali mi raccontò che la gente si era schierata con i battaglioni della zona e aveva cacciato lo Stato Islamico da Najiyeh.
"Perché?" gli chiesi io.
"Erano gente malvagia," mi rispose. Notai la sua espressione di disappunto, era come se lo Stato Islamico avesse tradito i siriani. INsomma, la rivoluzione aveva trasformato questi uomini privi di qualsiasi importanza in mujahiddin, in guerrieri di Dio. Alcuni tra costoro avevano fatto una vitaccia da contrabbandieri o da contadini, o erano in fuga dalle autorità. Era stata la rivoluzione a mutare la loro sorte. E ora, quelli come Abu Ali, usciti dalle moschee chiedendo che Assad venisse deposto, che se l'erano vista con i proiettili dopo la preghiera del venerdi, si dovevano sorbire le ramanzine di Abu insomma-neanche-tanto al Britani, che appena sei mesi prima era a rifarsela con qualche svitato a caccia di gonnelle in qualche discoteca del cacchio. Ecco, era arrivato Abu eccetera eccetera, nel paese dell'erudizione islamica, e si era messo a far prediche alla gente sulla nequizia di ciò che è kufr, di ciò che è taghut, sul tawhid e sull'incompatibilità della teologia islamica con la democrazia. Ai siriani non servivano lezioni di dottrina: gli serviva di impedire che le bombe a barile ammazzassero i loro bambini.
Pochi anni dopo a Saraqeb stavo filmando a seguito degli uomini di
Jund al Aqsa. Mi raccontarono che il comandante locale di Ahrar al Sham aveva sparato alle spalle del locale emiro dello Stato Islamico. L'emiro dello Stato Islamico era nativo di Saraqeb e aveva considerato sacrilego prendere le armi contro i propri correligionari. Il capo di Ahrar al Sham invece non si era fatto alcun problema a spedirlo tra i più. Alla gente l'emiro piaceva, ma la stessa gente aveva anche testimoniato il falso davanti alla corte dello Stato Islamico e sulla vicenda erano stati scritti commenti sarcastici. Lo Stato Islamico avrebbe senz'altro parlato di apostasia: nessuno fra gli abitanti del posto aveva rinnegato l'Islam, ma anche loro, come gli abitanti di Kabul, si erano rasati la barba e si erano rimessi a fumare, anche se in precedenza avevano prontamente ammesso che il fumo era "una cosa proibita" dall'Islam. Più di recente ho ascoltato incredulo un iracheno dire che preferiva le milizie sciite sostenute dall'Iran, i Gruppi di Mobilitazione Popolare di Mossul, invece che lo Stato Islamico. Per gli abitanti di Mossul non c'erano molti motivi per sostituire la bandiera dello Stato Islamico con quella irachena, anche se tutti sapevano che la banidera irachena era nata nei club per gentiluomini di Londra e la bandiera dello Stato Islamico nella Baghdad degli abbasidi. Senza alcuna ironia gli abitanti di Mossul avevano preferito la prima. Come ha fatto lo Stato Islamico a ridursi in queste condizioni, quando tutti facevano professione di fede islamica? Perché il progetto di al Baghdadi è fallito sul nascere?
Si può dire che lo Stato Islamico non ha perso a fronte di un avversario risoluto, perché il coraggio non gli manca e gli esperti di cose militari
attestano la sua abilità nella guerra asimmetrica. Lo Stato Islamico ha perso perché la popolazione locale ha smesso di crederci. E ha smesso di crederci al punto che la gente lo disprezza più di quanto disprezzasse Assad. La popolazione odia Assad perché ha ucciso i loro figli, ma odia lo Stato Islamico perché gli ha tirato una coltellata alle spalle intanto che stava cercando di rovesciare Assad.
Assad non si è mai dichiarato islamico: da questo punto di vista non c'era nulla da pretendere da lui. Poteva fare quello che voleva, non era altro che uno di quei despoti -inseriti nel solco di una lunga tradizione mediorientale- che soffocano le insurrezioni, che siano dei Fratelli Musulmani, di arabi nelle paludi irachene o di sciiti. Che fosse brutalmente crudele era cosa da aspettarsi.
Lo Stato Islamico ha inflitto un numero di morti minuscolo rispetto ad Assad, ma si definiva islamico. E si comportava con una tale deliberata crudeltà da aver ingenerato disgusto e rifiuto anche nel più dissoluto dei credenti. Anche un musulmano che pure beve pesante e che occhieggia le spogliarelliste, e che si prosterna una volta l'anno (sempre che lo faccia) sa che la misura è colma. Sa che simili comportamenti non si addicono ad alcun "sacro combattente".
Per quanto Graeme Wood si interroghi sullo Stato Islamico e sul suo livello effettivo di islamicità,
quello che uno Ahmed qualsiasi capisce d'istinto è che al Baghdadi e i
suoi sono ben lontani dall'essere islamici; non c'è bisogno di una
fatwa. I musulmani sanno bene cosa si intende per mujahid, o per sacro
combattente. Le storie dei Compagni del Profeta, di Hamza il leone di
Dio o di Omar Mokhtar il leone del deserto, entrambi di solito con le
sembianze di Anthony Quinn, le hanno sorbite con il latte delle madri.
Ai bambini si dà il nome di Mujahid, di Ghazi, di Faris, di Shahid
sperando che saranno all'altezza degli individui eccezionali che
mostrano il meglio della propria virtù morale e marziale in condizioni
in cui ogni bestiale brutalità viene ammessa, risuscendo comunque a
restare umani. La guerra è proprio un banco di prova per la nobiltà
d'animo di un uomo.
Un elogio di Abu Muhammad al Adnani. Un genere classico della letteratura araba.
Qui hanno fallito miseramente al Baghdadi e i suoi. I suoi eroi che infarciscono i canali di telegram incontrano il rifiuto dei musulmani. Abu Muhammad al Adnani, il suo vice, è sicuramente dotato di eloquenza e di coraggio, ma è terra terra per brutalità e per mancanza di pietà, per quanti testi possa padroneggiare a detta di chi ne fa l'apologia. Anche Jihadi John dimostra una disumanità ordinaria. Si vada dal macellaio halal che c'è all'angolo a Harrow Road a Londra, e ci si sentirà dire che il rituale islamico impone che si dia ad un animale un ultimo sorso d'acqua, e che lo si scanni lontano dalla vista degli altri animali, per diminuire la sua sofferenza e quella delle altre bestie. E ora arriva Jihadi John che ammazza gente innocente davanti al mondo intero, così come se nulla fosse, senza alcuna vergogna. Perfino Caino si vergognò dopo aver ucciso Abele.
Le azioni di Jihadi John, questo suo ostentare gesti violenti, hanno un qualche cosa di assolutamente moderno. Si può credere che il suo modo di comportarsi trovi radici nella Londra degli anni Novanta, quando i suoi video pieni di ammazzamenti venivano tranquillamente venduti fuori dalle moschee. Si trattava di filmati che mostravano con dovizia di particolari le gesta dei mujaheddin ceceni contro l'invasione russa della Cecenia. Uno degli imam che allìepoca insegnava nell'organizzazione giovanile di Lisson Green dove andava di solito Mohammed Emwazi, ricorda che a un certo punto quei filmati
"...diventavano scuri quando mostravano un russo decapitato da alcuni Ceceni, e ogni volta che ne vedevo con i fratelli qualcuno ti strisciava alle spalle e ti faceva il gesto di tagliarti il collo."
Chissà, forse la musica di fondo per le gesta di Mohammed Emwazi si è consolidata a quei tempi. L'imam continuava poi a raccontare:
"Ricordo che anche all'epoca ricordavo sempre ai fratelli che non era quello il modo per salutarsi a vicenda, e che al centro del jihad non c'è la sete di sangue; di solito citavo uno hadith del Profeta: "Il nemico non andatelo a cercare, ma se lo incontrate rimanete a piè fermo."
Abdel Kader al Jaza'iri
Il mujahid di oggi è molto diverso dal mujahid di un tempo. Per dimostrarlo ci rifaremo ad un esempio concreto, useremo come paragone un sacro combattente del XIX secolo chiamato Abdel Kader al Jazairi. Era noto come Comandante dei Credenti, anche se rispettava la sovranità del sultano del Marocco. Abdel Kader, come al Baghdadi, cercò di mettere in piedi una compagine statale unendo i vari gruppi tribali dell'Algeria e si comportò con asprezza con quanti collaboravano con i francesi. Come al Baghdadi anch'egli era uno studioso, un giurista, e discendeva in linea diretta dal Profeta. Combatté gli invasori francesi e venne descritto da amici e nemici come un genio militare senza paura, inafferrabile come al Baghdadi. William Thackeray ne scrisse:
Misericordioso e magnanimo in pace come implacabile in guerra,
avveduto consigliere di uomini coraggiosi e il più coraggioso dei consiglieri avveduti;
i tuoi occhi potevano gettare lampi di distruzione al pari di gentilezza e di amore,
il leone in te era amico dell'agnello, l'aquila amica della colomba.
L'abisso che separa al Jazairi da al Baghdadi è molto ampio, come mostrano i versi di Thackeray. Nell'asprezza e nella brutalità della guerra, al Jazairi aveva fama di cavalleria e trattava umanamente i prigionieri al punto che furono gli stessi prigionieri di guerra a chiedere alla Francia il suo rilascio, quando toccò a lui trovarsi nelle stesse condizioni. Alcuni gli si offrirono come guardie d'onore, per la gentilezza che egli aveva dimostrato nei loro confronti. Abu Bakr al Baghdadi invece non ha mostrato alcuna misericordia. I prigionieri li brucia e li affoga vivi. Abdel Kader condannò un proprio cognato perché aveva massacrato dei prigionieri; al Baghdadi con roba del genere ci va a nozze, è il primo a incoraggiarle con un sadismo talmente creativo che ci si chiede se esista a Raqqa un qualche distaccamento che si occupa solo di inventare sistemi originali e crudeli per ammazzare la gente. Al Baghdadi è un prodotto della guerra in Iraq, e si è dato anima e corpo alla causa del terrore.
Abdel Kader è attento a non colpire i civili. Quando i quartieri cristiani di Damasco furono sfondo di rivolte settarie, salvò innumerevoli cristiani. Al Baghdadi fa compiere un attentato suicida in una chiesa copta di Tanta la domenica delle palme, e causa non si sa quante vittime. Abdel Kader aveva rispetto per gli uomini di religione: i sacerdoti avevano il permesso di officiare per i prigionieri di guerra francesi e di agire come intermediari. Al Baghdadi invece fa rapire il sacerdote gesuita
Paolo Dall'Oglio. Il destino di un uomo che costruiva ponti tra fedi diverse è ancora ignoto. Abdel Kader smette con l'uso di decapitare i prigionieri, al Baghdadi mette le loro teste su internet. Abdel Kader libera quanti rinunciano alla propria fede per sfuggire al destino; al Baghdadi non si interessa affatto se si siano convertiti o meno. Se non accettano il califfato manda uno dei suoi soldati a scagliare una macchina piena di esplosivo contro un mercato affollato, o ne manda un altro a mettersi in fila alla preghiera della sera per azionare poi una cintura esplosiva.
Un ex combattente dello Stato Islamico mi ha detto: "Dawla [lo Stato Islamico] non è tutto ciò che viene fatto per farvelo sapere."
Ah, davvero? Non mi potei trattenere dal chiedergli quante persone avesse dovuto ammazzare per arrivare a quella conclusione.
"Non ti preoccupare," mi rassicurò; "in ogni caso erano tutti apostati."
Grandioso. Allora ha imparato la lezione, non ha incubi quando va a dormire.
In ultimo, Abdel Kader aveva capito che fini nobili si perseguono con mezzi nobili. Si arrese perché aveva capito che la sua guerra coi francesi sarebbe stata troppo gravosa per i gruppi tribali che lo circondavano, e si rimise alla Provvidenza: un antico adagio islamico in fondo dice che la vittoria è nelle Sue mani. La storia dice che questo sconfitto si trasformò in un vincitore.
Abdel Kader attirò su di sé l'ammirazione di tutti. I nemici che lo avevano disprezzato gli resero onore. La prova definitiva del suo spessore morale furono i cittadini di Bordeaux che votarono perché il suo nome comparisse sulla scheda elettorale alle elezioni presidenziali francesi. Come scrisse il
Progres d'Indre et Loire:
Abbiamo saputo che alcuni elettori di Bordeaux sono rimasti così colpiti dai modi, dal carattere e dall'aspetto regale di Abdel Kader da aver messo il suo nome nell'urna per le elezioni presidenziali. Se una simile idea si diffonde, Luigi Napoleone potrebbe risentirsene. Per essere un buon presidente occorre avere reputazione di persona coraggiosa, saggia e ricca di talento. Fra i due, non è forse Abdel Kader a rispondere meglio a questi requisiti?
Lo Stato Islamico e la sfida della modernità
La tomba di Said Kouachi. Foto di Tam Hussein.
A Reims esiste la tomba, senza nome e senza fiori, di Said Couachi, l'attentatore che ha attaccato Charlie Hebdo. Si trova distante dalle altre, come se la sua vicinanza turbasse il riposo degli altri musulmani qui deposti. Un figlio di uno degli uomini sepolti in questo solitario luogo mi chiese perché fotografavo proprio questa tomba, scavata da poco. Non potei mentirgli, e gli dissi chi vi era sepolto. Quell'uomo, un franco-algerino, sputò sulla tomba di Kouachi e lo maledisse. Non c'era alcun dubbio che quell'uomo fosse devoto al Profeta quanto Said Kouachi, tuttavia disse forte: "Come potrà mio padre avere pace, vicino a questo cane!"
Kouachi non apparteneva allo Stato Islamico, ma Kouachi e Ahmed Coulibaly, uno dei suoi compagni, avevano lo stesso padre. Said Kouachi mi ha fatto pena: pochi musulmani leveranno le mani in preghiera per l'anima di quest'uomo. I suoi figli si vergognano di sapere chi sia, sentiranno la stessa vergogna che provò Edipo re.
Avrei quasi potuto scommettere su quale sarebbe stata la risposta del
signore franco-algerino venuto a vedere la tomba del padre se gli avessi
chiesto se Kouachi era stato un mujahid o no. Avrebbe potuto capire la
rabbia di Kouachi, magari aveva anche sperimentato il profondo razzismo
della società francese nei confronti della popolazione musulmana. Ma so
quale sarebbe stata la sua risposta. Ho chiesto qualcosa di simile in
occasione di tutti i principali attacchi terroristici in Europa, a
Parigi, a Bruxelles, a Londra, a Stoccolma. Il musulmano medio sa che
uomini del genere sono ben lontani da Abdel Kader o da Hadji Murat.
Kouachi giace dimenticato da tutti in una tomba senza nome. Ad Abdel
Kader hanno dedicato la città di
Elkader
nientemeno che nello Iowa, mentre a Hadji Murat è toccato un romanzo
scritto in suo onore da uno dei suoi antichi nemici, Lev Tolstoj.
Abdel
Kader e Murat sono stati sconfitti entrambi, tuttavia Provvidenza ha
voluto che il loro nome venisse ricordato, nonostante la storia
l'avessero scritta i vincitori. Essi ispirano universale ammirazione.
Furono "sacri combattenti", se si vuole, mentre Said Couachi nel
migliore dei casi è stato solo un combattente e nel peggiore un
macellaio. Un macellaio
molto moderno, se è per questo.
Per dimostrare questa affermazione, usiamo il
libro programmatico del generale Petraeus,
I centurioni di Jean Lartéguy. Il libro narra l'odissea di alcuni ufficiali paracadutisti francesi dalla sconfitta per mano dei comunisti in Indocina fino a quella che è tutto sommato una vittoria in quel di Algeri. Solo che mentre sconfiggono il Fronte di Liberazione Nazionale ad Algeri, perdono qualcosa di se stessi. Il romanzo tace sui cento anni di oppressione sofferti dagli algerini, ma è comunque una meditazione profonda sulla guerra moderna ed è basato sull'esperienza diretta di Lartéguy come paracadutista e come corrispondente di guerra. Lartéguy capisce molto velocemente che il FLN usava il jihad come grido di guerra per l'indipendenza, ma il risultato dell'esortazione al jihad fu molto diverso: esso creò una sorta di Francia posticcia. Il romanzo, in questa sede, è interessante per questo. Anche lo Stato Islamico ha fatto qualche cosa di simile, e ha prodotto qualche cosa che somiglia ad una versione imbastardita di quello cui il califfato dovrebbe somigliare, secondo il modo di pensare assai moderno dei suoi fautori.
Per certi versi i vari Abbas e i vari Muhammad si aspettavano che questi combattenti privi di qualunque aspetto eccezionale che si autodefinivano mujahiddin dessero prova di altissima virtù. Invece, si sono rivelati dei combattenti qualsiasi. Erano come tutti gli altri: saccheggiavano, rapinavano e ammazzavano come qualunque milizia di questo mondo. Gentaglia tutt'altro che pia, insomma. Anche Al Baghdadi era più o meno come Saddam Hussein: un tizio qualsiasi. Uno della stessa razza di dominatori e tiranni di cui è ricca la sanguinosa storia della regione, da Saffah a Sissi, che ha massacrato gente per il potere terreno. La differenza tra un mujahid, un combattente e un terrorista è sottile. In I centurioni un capo del FLN dice:
"Che differenza c'è tra un pilota che sgancia napalm su un villaggio al sicuro sul suo aereo e un terrorista che mette una bomba al mercato? Il terrorista deve essere molto più coraggioso."
Questo capo del FLN dimentica però che
quello che ci si aspetta da un mujahid non è solo il coraggio di salire su un camion pieno di esplosivo. Il mujahid di oggi può anche essere un maestro della guerra asimmetrica, ma il suo intendimento non è quello di innescare trappole esplosive usando
bambole e giocattoli, come quelle trovate a Mossul. Il Profeta ha pur detto che "la guerra è fatta di raggiri", ma come punirebbe una cosa come questa? La tradizione guerresca musulmana non aborrisce cose del genere? La sacralità del combattente, se le cose stanno così, è scomparsa a fronte di una mera mediocrità da combattenti qualsiasi. Il mujahid contemporaneo è dunque diventato un mujahid ateo come il Mahmoudi ne
I centurioni, che prega ma non crede in Dio? Il mujahid contemporaneo deve allora sopprimere la propria coscienza e la propria moralità in nome della vittoria? Lo jihadista di oggi sembra aver gettato alle ortiche qualunque paradiso; non gli interessa se bambini, anziani, donne, monaci, alberi da frutto o greggi del nemico vengono distrutti, eppure la sua tradizione religiosa gli impedisce di toccarli. Invece questo tipo di jihadista sembra proprio a suo agio. Mohammed Rezgui per esempio si è ripreso esultante prima di sparare ad un innocente turista britannico a Sousse, in Tunisia. Dopo la morte di Rezgui, l'
autopsia fa pensare che le droghe che aveva in corpo avessero instaurato
un senso di esaurimento, di aggressività, di estrema rabbia che porta a commettere omicidi. Un altro effetto di queste sostanze è che incrementano le prestazioni fisiche e mentali.
Per quale motivo un sacro combattente dovrebbe prendere cose come le anfetamine per portare a termine un'azione virtuosa? Gli servono per sopprimere che cosa? Era come i paracadutisti francesi, che dovevano mettere a tacere il senso di colpevolezza che l'inscalfibile anima dentro di loro avvertiva mentre commettevano qualcosa di moralmente reprensibile?
Per certi versi allora Jihadi è così autenticamente contemporaneo che il musulmano medio, quello della strada, si guarda attorno e dice: basta, non è questo quello che ci hanno raccontato i nostri padri e le nostre madri. Non siamo mica venuti su con Osama bin Laden o Zawahiri; siamo venuti su con Hamza, il leone di Dio. Abu Bakr al Baghdadi è diventato come i paracadutisti francesi, come i leader del FNL de I centurioni: per vincere hanno perso l'anima.
Beh, siamo generosi: accordiamo ad al Baghdadi un po' di empatia come facciamo con i protagonisti de I centurioni. Consideriamo con indulgenza uno Esclavier, anche se taglia la gola a tutti gli uomini di un paese algerino. Magari la ragione per cui al Baghdadi si è unito al franchising della Al Qaeda di Abu Musa'ab al Zarqawi si trova in ragioni simili a quelle che Jean Vajour, capo dei servizi francesi in algeria, accampa commentando la pesante tattica adottata dai suoi:
"Usare le unità corazzate, distruggere i villaggi, bombardare certe zone non è più un lavorare di fino ma significa usare il mazzuolo per uccidere le pulci e, cosa molto più grave, significa incoraggiare i giovani e a volte anche i meno giovani a darsi alla macchia [cioè ad unirsi alla guerriglia nelle campagne]."
Forse la mano pesante dell'esercito statunitense a Falluja ha portato al Baghdadi, che tanto giovane non è, ad unirsi agli insorti. Chissà, Abu Bakr non era altro che un tizio qualsiasi, un uomo devoto che stando a tutto quello che se ne dice guidava la preghiera nella sua moschea, giocava coi ragazzini, ascoltava senza scomporsi le lamentele dei vicini e li consigliava sulla base della legge islamica, materia in cui aveva conseguito un dottorato. Il venerdì giocava a pallone per le vie polverose della zona nord di Samarra, un sobborgo di Baghdad. Magari avrebbe continuato a vivere così fino alla fine dei suoi giorni. Ma la guerra è una prova dura per l'animo umano. Come i paracadutisti francesi de
I centurioni finiscono nei campi di prigionia comunisti, Abu Bakr si è ritrovato a
Camp Bucca. Quelli che lo avevano preso hanno insegnato a questo dottor Ibrahim Awad, o Abu Bakr al Baghdadi che dir si voglia, una cosuccia o due. Come l'ufficiale Mirendelle de
I centurioni, anch'egli ha imparato a fare il mediatore e a costruire alleanze, ed ha imparato come si comportavano gli statunitensi. Magari, come i paracadutisti francesi avevano appreso molto dai comunisti e avevano messo in pratica in Algeria quello che avevano imparato -con conseguenze devastanti- anche Abu Bakr ha imparato qualcosa a Camp Bucca e lo ha poi messo in pratica con mortali conseguenze. Di sicuro ha imparato come si fa a mettere la gente in tuta arancione. Quando ha cominciato ad affermarsi aveva già provato l'intensità della guerra asimmetrica; aveva imparato che le bombe nascoste nelle carogne e nei cani funzionavano, aveva imparato a creare zone grigie dividendo i sunniti dagli sciiti, a rimanere seduto perfettamente immobile quando passava un drone, aveva imparato l'arte del non farsi notare.Tutte cose apprese in anni trascorsi senza un momento di riposo o di respiro, sempre braccato con una taglia sulla testa. Forse, al momento in cui è scoppiata l'insurrezione in Siria è diventato amorale come il capitano Julien Boisfeuras de
I centurioni, un esperto di guerra politica e non convenzionale cui piace come un mostro realmente esistito, il capitano
Paul Aussaresses, torturava, annegava, stuprava, passava corrente elettrica per i coglioni della gente se solo serviva ad averla vinta. Secondo i criteri della guerra di oggi Abu Bakr al Baghdadi ben si adattava ad un simile contesto. Magari ciascuno di noi sarebbe potuto diventare come lui, nelle stesse circostanze. Si pensi a Youssef Ben Khedda, professione farmacista e dalle mani immacolate secondo il capo d'opera di Alistair Horne
A Savage War of Peace. Horne scrive:
...Sottoscrisse una lettera per lo Alger Républicain in cui si deploravano gli arresti alla cieca. Due giorni dopo era in carcere anche lui, e vi fu raggiunto di lì a poco dagli altri firmatari; immediatamente dopo il rilascio, pochi mesi dopo, si unì al FLN.
Come si può sostenere che un simile percorso di radicalizzazione non valga anche per al Baghdadi o per uno qualsiasi di noialtri? Non è forse questa la natura umana? Quando i nazisti invasero la Francia, quali tattiche usarono contro di loro i Francesi Liberi? Eserciti che dispongono di miliardi di dollari possono anche permettersi di attenersi alle regole, ma i movimenti di resistenza devono consapevolmente scegliere se attenervisi o meno. Si potrebbe anche chiedersi se gli emuli di Abdel Kader abbiano un qualche spazio, nel torbido terreno etico della guerra contemporanea.
Eppure, forse è proprio quello che Abu Bakr al Baghdadi è diventato che fa indietreggiare il giovane musulmano, la giovane musulmana della strada. "Proprio questo," dice un devoto alla moschea di Norbury. "Possiamo diventare tutti come lui, ma non è questo quello che un mujahid deve essere! Un mujahid deve essere come l'imam Ali, che quando un arabo gli sputa addosso mentre si prepara ad ammazzarlo, non reagisce." La sua espressione è visibilmente irata, Abu Bakr non si merita di essere definito mujahid. Forse il filosofo della politica
John Gray ha colto nel segno quando afferma che lo Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi
...Ha in comune più cose con la tradizione delle rivoluzioni contemporanee che non con una qualsiasi forma antica di governo islamico. Anche se detestano sentirlo dire, questi jihadisti violenti devono il modo in cui si organizzano e anche i loro utopici traguardi all'Occidente contemporaneo.
Tutto quello che Abu Bakr al Baghdadi fa sembra confermare il punto di vista di Gray. Quando esorta a commettere atti terroristici contro l'Occidente, al Baghdadi non fa che seguire le tattiche che Abu Bakr Naji ha esposto nel suo "
Il controllo delle efferatezze". L'intento è quello di creare delle zone grigie che dividano la popolazione: noi da una parte,
loro dall'altra. Sono tattiche molto al passo coi tempi, lodate dal leader della guerriglia brasiliana Carlos Marighela, ed usate anche dal FLN in Algeria. Uno dei protagonisti del libro di Lartéguy dice:
...Scoppia una bomba... alla mensa qualcuno del personale medico ha posato una barella con un bambino urlante di dolore; un'altra bomba è esplosa ad Algeri il 5 ottobre uccidendo nove passanti musulmani. Il terrore regnava ad Algeri, e a quello seguirono la paura e l'odio. I musulmani cominciarono ad essere aggrediti senza criterio o senza ragione. Gli europei si liberarono dei loro vecchi servitori arabi, delle Fàtime che per vent'anni erano state di famiglia. in pochi giorni Bab al Oued vide stabilirsi un confine preciso: musulmani da una parte, ebrei ed europei dall'altra. Questo era proprio quello che il FLN voleva: dividere quel quartiere mal definito e separarne sempre di più gli abitanti, che iniziarono a somigliarsi sempre di più perché avevano molte cose in comune: una certa indolenza, la passione per le chiacchiere, il disprezzo per le donne, la gelosia, l'irresponsabilità, l'inclinazione a sognare ad occhi aperti [pp. 452-453]
Le atrocità francesi in Algeria rafforzarono il Fronte di Liberazione Nazionale
Lo Stato Islamico ha compreso quello che avevano compreso i paracadutisti francesi nella lotta contro il FLN: per vincere dovevano mettersi sullo stesso piano dei combattenti locali. Dovevano "coprirsi di fango e di sangue come loro. A quel punto saremmo stati in grado di combatterli, e in questa lotta avremmo perso la nostra anima, sempre che ne avessimo avuta una." I paracadutisti trattarono ancor peggio gli algerini, e fecero cose assolutamente al di fuori della legalità: massacrarono, torturarono, stuprarono. Portavano via le donne algerine; loro stiravano e lavavano per i francesi, che le trattavano come regine e poi le rimandavano dai loro uomini. I francesi pensavano di liberare così le donne algerine dal patriarcato arabo, pensavano di castrare gli arabi mostrando loro quanto poco controllo avessero sulle loro donne. Solo che quando ne trovavano una che non ci stava, la stupravano senza por tempo in mezzo. Uno degli ufficiali paracadutisti ammise:
...Era la tremenda legge della guerra di nuovo tipo. Ci toccò adeguarci, indurirci, e gettare alle ortiche concetti radicati e superati che rappresentano la grandezza dell'uomo occidentale, ma al tempo stesso gli impediscono di proteggersi. [p. 490]
Di fatto questi paracadutisti francesi, come scrive Lartéguy, stavano combattendo contro un nemico che gli somigliava molto. Alcuni capi del FLN erano ex ufficiali, alcuni avevano studiato all'università in Francia ed erano stati trattati con disprezzo nei caffè parigini, come molti francesi di origine nordafricana vengono ancora trattati al giorno d'oggi. Appartenevano a pieno titolo all'epoca contemporanea, e dunque usavano le stesse tattiche dei paracadutisti. Uccisero civili pied noir a Philippeville, liquidarono propri stessi appartenenti, strapparono gli occhi dei collaborazionisti e si convinsero che il fine giustificava i mezzi. Lo Stato Islamico rispecchia probabilmente il FLN del libro di Lartéguy. Il FLN di Lartéguy però aveva capito di essere in un certo senso figlio dell'epoca contemporanea; Abu Bakr e i suoi non hanno afferrato il dato di fatto che anch'essi lo sono.
Nel caso di al Baghdadi, è una sorta di negazione. Non è riuscito a rapportarsi con la modernità, ed è in questo che si trova in nuce la sua sconfitta. Questo è stato il motivo per cui la gente di Najiyeh ha cacciato quelli dello Stato Islamico, il comandante di Ahrar al Sham ha sparato all'emiro dello Stato Islamico e la gente del posto ha fatto commenti sarcastici sul conto del tribunale islamico. L'incapacità nell'afferrare la modernità, nel capire che c'è qualcosa che separa il loro "Stato Islamico" dal passato. Il mondo musulmano ha sperimentato una rottura traumatica, non solo la sconfitta, l'umiliazione e la perdita ma la colonizzazione, l'industrializzazione e i mutamenti sociali che hanno alterato in maniera sostanziale l'epoca in cui viviamo. In passato la vita era organizzata a caratterizzata in modo diverso: oggi non sono più applicabili le regole che invece erano valide per il mondo premoderno. Lo Stato Islamico è come la vittima di un incidente d'auto che dopo il ricovero in ospedale pensa che potrà semplicemente tornare a vivere come prima, mentre in realtà i suoi arti non rispondono più allo stesso modo. Uno che non riesce a venire a patti con quello che gli è successo e che si dirige così verso il disastro. Siccome non ricorda come staano le cose prima dell'incidente, ne evoca uno come per magia, come fa il capo del FLN ne I centurioni.
Per me esiste una sola traduzione per il termine Istiqlal: indipendenza. Una parola che suona profondamente bene alle orecchie dei poveri fellahin; suona più forte della povertà, della sicurezza sociale, delle cure mediche gratuite. Noi algerini, immersi come siamo nell'Islam, abbiamo più bisogno di sogni e di dignità che di cose pratiche. E voi? Che parola avete da offrire? Se è migliore della mia, avete vinto.
Abu Bakr al Baghdadi propone "Khilafa ‘ala minhaj an-Nubuwwa", Il califfato secondo il modo del Profeta. Per un attimo il mondo musulmano vi ha guardato con speranza e nostalgia perché il suo passato era questo, proprio come i britannici guardano al loro Impero, all'India, alla Battaglia d'Inghilterra con nostalgia, quasi non riuscendo a rassegnarsi all'idea che non sono più una grande potenza. Abu Bakr al Baghdadi ha cercato di trasformare in realtà la parola Khilafa. Ma cosa può significare questo termine nel contesto contemporaneo, nel mondo postcoloniale? Nel mondo islamico premoderno la popolazione si diveva in millet, in comunità religiose, perché quella era la realtà. Adesso il concetto è quello di cittadinanza, la realtà è questa. Lo Stato Islamico nega la realtà, e ha cercato di spremere ai cristiani in Siria la jizyah, una tassa di appartenenza comunitaria, pensando che fosse meglio per loro invece che pagare qualche forma di tassa più alta. Cristiani che da millenni vivevano da quelle parti avrebbero pagato questa tassa ad Abu Marwan, o Luqman, che viene da Ghafsa in Tunisia. Lo Stato Islamico non ha capito che anche con una Jizyah inferiore, e con un esercito musulmano a proteggerli, nel mondo di oggi questo significa soltanto sottoporre ad umiliazione. Oggi siamo tutti figli della egalité, che ci piaccia o meno. I cristiani di Siria sono cresciuti per generazioni all'ombra di questo concetto. Di fatto, può finire come con l'antica tribù del nord siriano dei Ghassanidi, che preferì pagare tributi più alti al secondo califfo Omar anziché accettare uno status di cittadini di seconda categoria e di pagare la Jizyah. In passato i francesi fecero indossare agli arabi di Algeri un girocollo simile alla stella di David, a indicare che si erano sottomessi al codice francese. Gli arabi del XIX secolo lo avevano accettato. Durnte il medio evo gli ebrei del Medio Oriente portavano abiti di colori particolari. L'uomo contemporaneo non accetta nulla di tutto questo, neppure per il proprio bene. Questo, lo Stato Islamico non è riuscito ad accettarlo.
Al Baghdadi ha di fatto messo in piedi quella che
Benedict Anderson chiama "una comunità immaginaria", tramite un massiccio ricorso alla propaganda e toccando le corde emotive di molti musulmani. Non si tratta solo di un tentativo cinico; su questo Graeme Wood ha ragione. Quelli dello Stato Islamico sono credenti autentici e zelanti. Possono anche esser stati, un tempo, ufficiali laici finiti ad Abu Ghraib ma, come il comandante del FLN ne
I centurioni, hanno riscoperto la propria religione; la loro realtà era andata allo sconquasso con la caduta dello stato iracheno moderno.
Questi ufficiali altamente addestrati mica potevano tornarsene al caffè, a fumare il corposo Zaghloul e a bere caffè amaro dicendo male dei marines statunitensi che giravano per le strade. Una cosa del genere faceva a pugni con il loro senso dell'onore; sarebbero tornati a Falluja e a Mossul, dove c'erano le loro famiglie, e avrebbero combattuto. Hanno fatto quello che fa un ufficiale algerino ne
I centurioni: hanno dato "una storia e una personalità" al loro paese sconfitto.
Hanno preso la bandiera nera degli abbasidi, e l'hanno resa sinonimo di paese islamico. Basandosi in gran parte su una sorta di escatologia, hanno costruito la visione della bandiera nera dell'Islam che va da oriente ad occidente. Hanno ignorato la realtà storica, che dice invece che ad un certo momento i califfati erano tre e che erano in lotta tra loro per il potere, ed anche che dopo la caduta del califfato abbaside a Baghdad non ci fu neppure più un califfo per diversi anni. Lo Stato Islamico ha fato quello che a detta di Lartéguy è successo in Algeria: ha creato una storia che si fonda sui cimiteri, non sulla realtà dei fatti. Un califfato delle notizie bufala. Uno dei capi del FLN si congratula con un paracadutista francese per il contributo che la Francia ha dato alla creazione della moderna Algeria:
Il popolo algerino è stato sconvolto dalla guerra, la sua esistenza è stata troppo stravolta perché a questo punto si possano mettere indietro le lancette dell'orologio. Siete voi stessi a creare l'Algeria con la guerra, unendo berberi, arabi, cabili e chaoui. I ribelli dovrebbero quasi esservi grati, per le violente misure repressive che avete messo in atto. [p. 472]
L'invasione e la deriva settaria dell'Iraq prima e della Siria poi hanno agevolato la nascita di questa nazione, se si vuole. Quando lo Stato Islamico ha abbattuto le frontiere decise dal trattato Sykes-Picot, è parso che esso pareggiasse i conti tra oppressi ed oppressori. Fu come, a detta di Horne, successe ai francesi con la sconfitta di Dien Bien Phu ad opera del Viet Minh nel 1954.
Tutto ad un tratto questa sconfitta incredibile privò lo stato francese di ogni stato di grazia, e per la prima volta lo fece sembrare curiosamente vulnerabile.
Si abbattono le frontiere tra Iraq e Siria: lo Yes we can dello Stato Islamico.
L'abbattimento della linea di confine del Sykes-Picot ha rappresentato il cambiamento di paradigma più grande in Medio Oriente, dopo la caduta di Ben Ali. Ha fatto vedere al mondo, e dunque ai musulmani, che lo stato di cose presente può cambiare e che il controllo del mondo occidentale sui musulmani non è qualcosa di inscalfibile. Fu quello lo yes we can di al Baghdadi, e forse sarà anche la sua eredità dal momento che stiamo accingendoci a scriverne il necrologio. Almeno, nella teoria del postcolonialismo, ha fatto quello che secondo Franz Fanon era indispensabile fare per i rapporti tra colonizzatori e colonizzati: ha ripristinato la parità, non perché aveva un colonizzatore che garantiva per la sua libertà, cosa che è motivo del sorgere di un senso di inferiorità in chi subisce qualcosa di simile, ma perché la libertà se l'è presa, e ha dato ai colonizzatori un brutto colpo. Quando lo Stato Islamico ha fatto irruzione oltre le frontiere del Sykes-Picot, ha ripristinato l'onore di molti mediorientali. Quando ha reintrodotto il concubinato e i ruoli femminili tradizionali, lo Stato Islamico ha infuso nuova fiducia in questa umanità ferita. Eppure, nel far questo ha mostrato anche la propria incapacità di accettare il fatto che la modernità ci ha cambiato in modo tanto profondo che un tempo Jefferson poteva possedere schiavi ed essere comunque considerato un individuo buono e virtuoso: oggi se si azzardasse a farlo sarebbe considerato un mostro.
Lo Stato Islamico può anche aver marcato la propria indipendenza coniando monete d'oro e dichiarando unilateralmente province in tutto il mondo musulmano, eppure, come l'ufficiale algerino Mahmoudi ne
I centurioni, che sapeva che l'Algeria non poteva esistere senza la Francia, ha dimostrato anche che non poteva esistere senza il mondo contemporaneo. La creazione di tribunali uniformati in tutto lo Stato Islamico in realtà è stata l'adozione dei tribunali della legge occidentale, cosa che ha fatto del ruolo della legge il fondamento dello stato. Un po' lo Stato Islamico era consapevole del fatto che avrebbe dovuto competere con questo modello, e un po' non sapeva come altro fare. Da un lato ha dato prova di ingenuità nell'edificazione di una macchina statale, dall'altro ha di fatto ammesso che il paradigma da sconfiggere era sempre quello del modello occidentale. Secondo
Wael Hallaq ed il suo
Impossible State nella storia islamica non sono mai esistiti tribunali tutti uguali come quelli che esistono negli stati nazionali moderni. Anzi, istituzioni del genere erano estremamente strutturate e funzionali, fatte a misura delle esigenze della comunità in cui operavano. Storicamente l'Islam non ha mai avuto un vero e proprio stato di diritto; lo Stato Islamico invece lo ha. Allo stesso modo, quando ha varato il Servizio Sanitario dello Stato Islamico, si è basato sul
NHS britannico e non certo sugli ospedali dell'Andalusia medievale. Insomma, lo Stato Islamico non potrebbe esistere al di fuori del proprio tempo; si tratta di un progetto dei nostri tempi per quanto cerchino di asserire il contrario.
Gli assunti dello Stato Islamico sono come quelli dello jihadista che ha fatto saltare in aria le antiche statue di Buddha o i templi di Palmira perché manifestazione di mancanza di fede e di spirito religioso, ma non capisce che le sue scarpe Nike hanno un nome che omaggia una divinità greca.
La sconfitta di al Baghdadi è nel suo negare la modernità. Il suo gruppo ha fallito perché i Muhammad e le Aysha di Raqqa e di Mossul hanno capito istintivamente che si trattava di non musulmani, con buona pace della barba lunga, dei pantaloni alla caviglia e del bastoncino per pulire i denti. Probabilmente ci saranno altre formazioni che cercheranno di imitare lo Stato Islamico, ma per avere successo dovranno venire a patti con la modernità. Probabilmente anch'essi falliranno. A volte una persona in là con gli anni riesce ad afferrare l'inafferrabile meglio di molti uomini istruiti. Queste persone dall'aria all'antica non hanno studiato molti testi religiosi, ma sono sinceramente pie e si ergono come monumenti di saggezza che vedono con chiarezza come stanno le cose. "Ora questi giovinastri," mi dice dalla sua barbetta rada lo zio Forid seduto nella moschea di Brick Lane mentre attende di incontrare il suo Creatore, "vanno in giro ammazzando qua e là e commettendo Dio sa quali peccati, pensando di star portando a termine l'impresa del Profeta! Che idioti! Sono così lontani da lui! Quando arriverà il Mahdi, tutto andrà a posto." Lo zio Forid attende l'arrivo del Mahdi, il messianico salvatore che secondo le narrazioni apocalittiche musulmane giungerà alla fine dei tempi. Zio Forid sa che i giovani sono troppo impazienti, il paradiso lo vogliono adesso. Non vogliono perdere. I giovani dimenticano che spesso quello che succede nel mondo è riflesso di un cuore impuro, e dimenticano che il pantheon musulmano è poeno di vincitori, ma anche di perdenti: Abdel Kader, Hadji Murat, Imam Shamil, Omar Mokhtar hanno avuto onore dalla storia perché sono rimasti fedeli alla loro tradizione guerriera e al loro codice morale. Davanti all'eternità vincere non è tutto, si direbbe. Un attivista tunisino mi ha raccontato un aneddoto su Omar Mokhtar che è appropriato per questa considerazione. Uno dei mujahiddin di Omar Mokhtar pretendeva che a due prigionieri di guerra della penisola italiana non fosse concessa misericordia, proprio come i loro non ne avevano concessa. Omar Mokhtar gli aveva risposto: "Loro non sono i nostri maestri". Chiunque si insedierà dopo la caduta di Mossul dovrà convincere una popolazione musulmana scettica, stanca di stragi e di sangue, che i mujahid come Omar Mokhtar sono il modello di riferimento.