Traduzione da Strategic Culture, 13 giugno 2018.
Il Presidente Trump è tornato da pochi giorni sulla questione arrivando a suggerire l'idea di invitare Putin a Washington. All'apparenza si tratta di una bella pensata: la distensione con la Russia permetterebbe al principale artefice del clima di tensione che esiste nella geopolitica mondiale di uscire dalla defatigante e pericolosa spirale in cui si trova.
Un incontro al vertice, per una volta, poteva sembrare la soluzione giusta. Solo che la politica estera di Trump non è più quella di un tempo. Si sta evolvendo in una maniera in qualche misura in attesa.
A livello formale le dichiarazioni dell'amministrazione statunitense in materia di politica estera e difesa hanno preso una strada tutta loro, a cominciare da un primo difficile connubio tra i punti fermi della campagna elettorale di Trump (sull'arrestare il degrado della zona industriale ameriKKKana e sulla necessità per gli USA di tornare vincenti) e le posizioni del consiglio per la sicurezza nazionale, abbigliate per l'occasione nel vestito da sposa costituito dal concetto di predominio globale caro a Paul Wolfowitz. Da qui hanno attraversato una trasformazione successiva in cui la Russia e la Cina da "rivali e competitori" che erano sono diventate delle facinorose "potenze revisioniste" dedite all'indebolimento dell'ordine mondiale. Ultimamente hanno preso la veste attuale, in cui parlano di un'AmeriKKKa che risorge e rinasce come una fenice nucleare e dominatrice.
Questa la marcia di avvicinamento verso un'ideologia di predominio non collima bene con la precedente immagine da campagna elettorale di un Presidente che avrebbe riportato in patria i posti di lavoro perduti e che avrebbe riposto in qualche cassetto i sogni di gloria militare. Addio all'immagine della campagna elettorale.
Anche il "riportare in patria i posti di lavoro" si è rivelato avere poco a che fare col raggiungimento di accordi più vantaggiosi e molto a che vedere col modello d'affari della mafia. Vale a dire, "lasciate perdere immediatamente il Nord Stream 2 (un gasdotto) o vi spacco le gambe, tedeschi." Ossia distruggo il vostro export di automobili negli Stati Uniti.
In poco tempo ne abbiamo fatta di strada, da un Trump che agevola il ritorno di posti di lavoro nel settore manifatturiero alternando il bastone alla carota, a un Trump che mente a scena aperta a tutti i partner commerciali dell'AmeriKKKa agitando il randello delle sanzioni e dei dazi inteso come parte di un diverso approccio al negoziato rispetto a quell'arte del giungere a un accordo che perlomeno implicava un minimo di negoziazioni invece di puntare alla resa senza condizioni della controparte come nel caso dell'Iran.
Anche la natura del nuovo randello che Trump ha preso ad agitare costituisce un passo indietro, soprattutto nei confronti dell'Iran; in questo caso non si spende nemmeno un po' di fatica per far finta che si tratti di qualcosa di diverso dal puro e semplice tentativo di rovesciarne il governo.
Di fatto è qui in gioco la visione retrospettiva di Trump: la volontà di recuperare e ripristinare i pilastri storici della potenza statunitense e del mondo anglofono: il predominio nel sistema finanziario globale, la supremazia tecnologica e il controllo dell'energia. Tutto sempre con le forze armate a disposizione. Il dominio in questi tre campi negli anni fra le due guerre e dopo la seconda guerra mondiale costituiva la fonte della supremazia politica.
La cosa essenziale in tutto questo che qualunque passo avanti nella politica estera di Trump indica un ampliamento ed un allargamento della potenza ameriKKKana piuttosto che l'intenzione di assecondare -in un certo senso stoicamente- il suo lento declino. Insomma, l'intento è quello di prolungare e di puntellare l'esistenza di un mondo unipolare e di posticipare l'affermazione di un mondo multipolare.
Occorre ricordare che nei primi tempi dell'influenza di Steve Bannon su Trump le cose stavano in un altro modo. All'epoca Bannon, in modo simile a quello di Evola e di Guénon, era senza dubbio orientato verso il multipolarismo: l'AmeriKKKa voleva essere culturalmente ameriKKKana a modo proprio, perché dunque la Russia non avrebbe dovuto essere russa, anch'essa a modo proprio?
Perché il Presidente Trump inviterebbe il Presidente Putin a Washington, dal momento che l'epoca di Bannon ha ceduto il posto al desiderio di rafforzare culturalmente i settori della antica supremazia dell'uomo bianco e anglofono?
Si potrebbe rispondere che Trump sta cercando di separare la Russia dalla Cina, considerando il Presidente Putin come un potenziale appartenente allo stesso club culturale, in base alla dottrina cara a Kissinger del perenne mantenimento di una triangolazione tra le due potenze e chiaramente del fatto che la Cina non fa parte di quello che la squadra di Trump chiama retaggio giudaico-cristiano.
Per quale motivo il Presidente Putin dovrebbe farsi coinvolgere in una situazione del genere? Schierarsi col mondo unipolare di Trump sancirebbe la fine di quel mondo multipolare che rappresenta la principale piattaforma politica di Xi e di Putin, oltre che la base su cui essi hanno costruito il loro prestigio agli occhi del resto del mondo. Trump cercherebbe di circuire Putin per portarlo lontano da questa prospettiva, una cosa cui Putin non può certo accondiscendere.
È vero che il Presidente Putin, nonostante le considerevoli pressioni che subisce sul piano interno, almeno per il momento non ha ancora del tutto chiuso alla prospettiva di raggiungere una qualche distensione con Washington. Indice ne è il fatto che il suo governo è rimasto favorevole alla distensione e almeno per il momento non ha lasciato il posto ad una sorta di Stavka.
D'altra parte, l'invito da parte del Presidente Trump a condividere con l'AmeriKKKa il predominio nel settore della produzione energetica in una sorta di nuova OPEC potrebbe costituire una carota abbastanza allettante da tentare il Presidente Putin? Anche questo sarebbe problematico. Gli Stati Uniti possono anche controllare il mercato speculativo del petrolio di carta, ma non controllano il mercato del petrolio vero, in cui gli USA potrebbero al limite fare la parte dei produttori ondivaghi. Inoltre l'AmeriKKKa non è potente a tal punto, a meno che gli USA non riescano ad acquisire il controllo della produzione iraniana ed irachena da aggiungere alla produzione interna e a quella del Golfo che sono effettivamente in mano loro.
Perché il tentativo di Trump sia davvero allettante il Presidente Putin dovrebbe concludere che l'Iran non è in grado di sostenere l'assedio economico del signor Trump e che si arrenderà. I russi hanno qualche interesse a vedere la sottomissione dell'Iran? Ovviamente no. Una cosa del genere supera la linea rossa rappresentata dall'impegno di Cina e Russia a favore di un mondo multipolare. È chiaramente interesse strategico di Cina e Russia che un elemento chiave di qualsiasi costruzione multipolare del mondo come l'Iran non cada vittima dell'unipolarismo di Trump.
È verosimile che l'Iran finisca per implodere? No. Da Mosca -e probabilmente anche da Pechino- le cose vengono viste da una prospettiva piuttosto diversa: a Mosca non vedono l'Iran come una vittoria facile, come una passeggiata per la potenza unipolare, ma come l'esatto contrario: l'Iran è per Trump l'ingresso di una trappola a trabocchetto, per dirla con Tom Luongo.
Quello del trabocchetto è un piano militare russo in cui un punto in uno schieramento difensivo che agli occhi di un nemico appare debole lo incoraggia a puntare senza riflettere direttamente contro di esso, solo per scoprire di essersi inavvertitamente andato a cacciare in una manovra di accerchiamento che finisce per annientarlo.
Cosa significa questo in termini di geopolitica? Luongo pensa che Trump si stia esponendo troppo nel suo desiderio di rovesciare sia il governo che la rivoluzione iraniani, per conquistare agli USA il predominio nel settore energetico. Si tratta di un passo più lungo della gamba, e Trump sta dando fastidio a tutti.
Per fare in modo che le sue sanzioni abbiano un effetto devastante sul popolo iraniano Trump sta minacciando tutti quanti, sta comminando sanzioni a tutti, sta umiliando tutti, sta facendo danni agli interessi commerciali e sta scorrazzando per tutto il Medio Oriente: sanziona l'Iran, consolida l'autocrazia saudita, denigra i palestinesi e tratta la "città santa" (Gerusalemme) come se fosse una qualche casella importante nel gioco del Monopoli, di quelle da scambiare al prossimo tiro di dadi.
Non c'è da stupirsi se Mosca pensa di poterlo aspettare al varco: il paradigma si sta rovesciando. Il mondo di oggi bussa alla porta di Mosca. I leader europei che fino a poco tempo fa facevano a gara a comportarsi rudemente nei confronti del Presidente Putin adesso cinguettano che l'Europa ha bisogno di lui. Ovviamente si tratta soltanto della retorica di una Unione Europea indebolita e screditata; non è ancora dato sapere se sotto vi sia qualcosa di sostanziale.
Con quasi tutto il mondo sotto sanzioni o interessato secondariamente da esse, tra gli stati sovrani serpeggia la rabbia. Con il commercio mondiale dominato dalle sanzioni e in fase di contrazione è sicuro che la liquidità del dollaro diventerà evanescente in tutto il mondo e non soltanto per i mercati emergenti; i fondi cercano sicurezza in valori tangibili e facilmente collocabili sul mercato. Questo è quello che accade quando emissioni denominate in dollari statunitensi vengono ridenominate in qualche altra valuta, e ha in sostanza inizio lo sganciamento dal dollaro.
Insomma, andare alla Casa Bianca a Putin sembra poco utile, almeno fino a quando non si concluderanno le elezioni di metà mandato di novembre e Trump avrà smesso di irritare il mondo e fino a quando ad agosto non avrà dispiegato il suo effetto il grosso delle sanzioni e ne saranno chiare le conseguenze. Nondimeno il signor Putin intende oggi sottolineare che a cose fatte -e posatasi la polvere- un signor Trump a quel punto ridotto a ben più miti consigli sarà il benvenuto a Mosca.