venerdì 21 gennaio 2022

No al Green Pass, no ai vaccini, uniamoci contro le menzogne di big pharma e della scienza dei professoroni!



La propaganda "occidentalista" è passata dall'islamofobia alla difesa di risibili "libertà" senza nulla perdere
né sul terreno dell'incompetenza né su quello della malafede.Contenuti come quello qui riportato
 hanno poi la peculiarità di spingere verso il passaggio a vie di fatto anche gli animi meglio disposti.

Riceviamo degli inviti a far la propaganda a favore di questo o quel sistema curativo, fregiato degli aggettivi «razionale», «naturale», ecc., accompagnati da critiche, giuste o ingiuste, contro «la scienza ufficiale».
Noi non ne faremo nulla, perché non crediamo che l’essere anarchici dia a noi o ad altri il dono soprannaturale di sapere quello che non si è studiato.
Comprendiamo tutto il male che l’attuale organizzazione sociale, fondata sull’egoismo e sul contrasto degli interessi, fa allo sviluppo della scienza ed alla sincerità degli scienziati.
Sappiamo che molti medici, spinti dall’avidità e spesso forzati dal bisogno, prostituiscono quella che dovrebbe essere una delle più nobili missioni umane, e ne fanno un vile mercimonio. Ma tutto questo non ci impedisce di comprendere che la medicina è una scienza ed un’arte difficilissima che richiede lungo ed arduo tirocinio e non si apprende per intuizione – e per conto nostro, quando fosse il caso, preferiremmo ancora affidare la nostra salute ad un medico disonesto, piuttosto che ad un onestissimo ignorante il quale credesse che il fegato si trova nella punta dei piedi.
Secondo noi hanno torto quei compagni che prendon partito per un dato sistema terapeutico solo perché l’inventore professa, più o meno sinceramente, idee anarchiche e si dà l’aria del ribelle e tuona contro «la scienza ufficiale». Noi, al contrario, ci mettiamo subito in guardia se vediamo che uno vuole avvalersi delle sue idee politiche per far accettare le sue idee scientifiche e ne fa una questione di partito.
Del resto, conosciamo qualcuno che, trovando comodo di guadagnarsi la vita facendo il medico senza esserlo, ha inventato un qualsiasi sistema di medicina «naturale» ed ha molto sbraitato contro i medici; ma poi, quando si è indotto a studiare ed ha potuto ottenere i diplomi, si è messo a fare il medico come gli altri. [...]

Errico Malatesta in Pensiero e volontà, 1 marzo 1924.

La "libera informazione" da un paio d'anni ha smesso di compendiare robetta contro l'Islam e si è messa a compendiare robetta contro la "scienza ufficiale". 
Mezzi busti, bellimbusti, sveltissime e falliti sono rimasti in molti casi gli stessi e non hanno cambiato né toni né abito. 
Anche la loro incompetenza è rimasta identica. 
L'agenda politica "occidentalista" non poteva che muoversi nella stessa direzione, e tra gli olistici di entrambi i sessi che infittiscono le manifestazioni in tema -così come infittiscono il web di proprie foto dall'atmosfera post coitale- abbiamo riconosciuto individui per i quali non avevamo alcuna stima vent'anni fa, e nei cui confronti ne abbiamo adesso ancora meno.
Di qui l'adozione -briosa, primaverile, improntata a sorridente sufficienza- di un atteggiamento opposto.



venerdì 7 gennaio 2022

Pepe Escobar - La steppa in fiamme, una "rivoluzione colorata" in Kazakhstan



Traduzione da Strategic Culture, 7 gennaio 2022.

Il prezzo del gas motivo di tanta paura e di tanto casino? Non proprio.
Il Kazakhstan è piombato nel caos praticamente da un giorno all'altro: l'innesco è stato il raddoppio del prezzo del gas liquefatto, che ha raggiunto l'equivalente (russo) di venti rubli al litro (rispetto a una media di trenta rubli nella stessa Russia).
La scintilla per manifestazioni ai quattro angoli del paese, dal centro commerciale nevralgico di Almaty ai porti sul Mar Caspio di Aktau e Atyrau e persino alla capitale Nur-Sultan, la ex Astana.
Il governo centrale è stato costretto a ridurre il prezzo del gas all'equivalente di otto rubli al litro; tuttavia questo ha solo tirato la volata alla fase successiva delle proteste, in nome di prezzi più bassi per i generi di consumo, della fine della campagna vaccinale, di un'età pensionabile più bassa per le madri con molti figli e -ultimo ma non meno importante- di un cambio di regime, con tanto di uno slogan proprio: Shal, ket! ("Abbasso il vecchio").
Il "vecchio" non è altri che il leader nazionale Nursultan Nazarbayev, ottantun anni, che nonostante si sia dimesso dalla presidenza nel 2019 dopo ventinove anni al potere resta a tutti gli effetti l'eminenza grigia kazaka come capo del Consiglio di sicurezza, e l'arbitro della politica interna ed estera.
Impossibile non pensare alla prospettiva di una ennesima rivoluzione colorata: magari una rivoluzione Turchese-Giallo, dai colori della bandiera nazionale kazaka. Soprattutto perché proprio al momento giusto alcuni acuti osservatori hanno rilevato che i soliti sospetti -l'ambasciata ameriKKKana- stava già "mandando avvertimenti" su proteste di massa già il 16 dicembre 2021.
Una Maidan ad Almaty? Sì. Ma è una faccenda complessa.


Almaty nel caos

Per il mondo esterno è difficile capire perché una grande potenza esportatrice di energia come il Kazakhstan debba aumentare il prezzo del gas alla popolazione.
La ragione è -e quale altra dovrebbe essere- il neoliberismo sfrenato. Con le proverbiali balle del libero mercato. Dal 2019 il gas liquefatto è oggetto di scambi commerciali per via elettronica in Kazakhstan. Così, mantenere i prezzi calmierati -secondo un'abitudine decennale- è diventato presto impossibile, poiché i produttori si sono trovati costantemente a dover vendere il loro prodotto sottocosto mentre il consumo saliva alle stelle.
Tutti in Kazakhstan si aspettavano un aumento dei prezzi, così come tutti usano il gas liquefatto, specialmente per le automobili convertite. E in Kazakhstan una macchina ce l'hanno tutti, come mi è stato detto con tono scorato durante la mia ultima visita ad Almaty alla fine del 2019, mentre cercavo invano di trovare un taxi per andare in centro.
È abbastanza significativo che le proteste siano iniziate nella città di Zhanaozen, proprio nel centro gaspetrolifero di Mangystau. Ed è significativo anche che al centro dei disordini si sia immediatamente trovata Almaty, il vero centro d'affari della nazione -che è dipendente dalle auto- e non l'isolata capitale piena di infrastrutture governative situata nel mezzo delle steppe.
All'inizio il presidente Kassym-Jomart Tokayev sembrava esserci rimasto come un cervo abbagliato dai fanali. Ha promesso il ritorno del calmiere, ha dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco sia ad Almaty che a Mangystau (esteso poi a livello nazionale) accettando nel contempo le dimissioni in massa del governo in carica e nominando un vice primo ministro senza volto, Alikhan Smailov, come premier ad interim fino alla formazione di un nuovo gabinetto.
Ma questo non poteva arginare i disordini. In rapida successione, abbiamo assistito all'assalto all'Akimat di Almaty (l'ufficio del sindaco), ai manifestanti che sparavano contro l'esercito, alla demolizione di un monumento a Nazarbayev a Taldykorgan, all'occupazione della sua vecchia residenza di Almaty, alla chiusura di internet in tutto il paese da parte di Kazakhtelecom, allo spettacolo di diversi membri della Guardia Nazionale -veicoli blindati inclusi- che si univano ai manifestanti ad Aktau e ai bancomat che smettevano di funzionare. E poi Almaty, sprofondata nel caos più totale, è stata praticamente conquistata dai manifestanti, compreso il suo aeroporto internazionale che mercoledì mattina era sotto sorveglianza rafforzata e in serata era diventato territorio occupato.
Lo spazio aereo kazako nel frattempo ha dovuto vedersela con un persistente ingorgo di jet privati in partenza per Mosca e per l'Europa occidentale. Anche se il Cremlino ha rilevato che Nur-Sultan non ha chiesto alcun aiuto russo, una "delegazione speciale" è partita in volo da Mosca. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha sommessamente specificato che "siamo convinti che i nostri amici kazaki possano risolvere autonomamente i loro problemi interni", aggiungendo che "è importante che nessuno interferisca dall'esterno".


Colloqui sulla geostrategia

Com'è che la situazione può precipitare così in fretta?
Fino ad oggi la partita della successione in Kazakhstan era stata considerata soprattutto una questione di rilievo per l'Eurasia settentrionale. I caporioni locali, gli oligarchi e le élite della borghesia compradora avevano mantenuto i loro feudi e le loro fonti di reddito. Eppure in via ufficiosa mi è stato detto a Nur-Sultan alla fine del 2019 che ci sarebbero stati seri problemi quando alcuni clan regionali sarebbero venuti a batter cassa, e nei rapporti con "il vecchio" Nazarbayev e con il sistema che aveva messo in piedi.
Tokayev ha lanciato l'appello di prammatica a "non soccombere alle provocazioni interne ed esterne" -e questo ha anche un senso- ma si è anche detto sicuro che il governo "non cadrà". Beh, il governo stava già cadendo, nonostante una riunione di emergenza che cercava di venire a capo del garbuglio di problemi socioeconomici con la promessa che tutte le "richieste legittime" dei manifestanti sarebbero state soddisfatte.
Almeno all'inizio le cose non sono andate come nello scenario classico in cui si rovescia un esecutivo. La situazione si presentava come un fluido, amorfo stato di caos, poiché le (fragili) istituzioni del potere kazako erano semplicemente incapaci di comprendere il diffuso malcontento. Un'opposizione politica competente non esiste, e non c'è scambio politico. La società civile non ha canali per esprimersi.
Quindi sì: there's a riot goin' on, c'è una rivolta in corso, se vogilamo citare il brano rhythm'n blues statunitense. E perdono tutti. Quello che non è ancora esattamente chiaro è quali clan in conflitto stiano soffiando sul fuoco delle proteste e quale sia la loro agenda nel caso in cui avessero la possibilità di arrivare al potere. Dopo tutto, nessuna protesta "spontanea" può scoppiare nello stesso istante in tutto questo vasto paese, e praticamente da un giorno all'altro.
Il Kazakhstan è stata l'ultima repubblica a lasciare una Unione Sovietica al collasso più di tre decenni fa, nel dicembre 1991. Sotto Nazarbayev si è subito impegnato in una politica estera autodefinita "multivettoriale". Fino a oggi Nur-Sultan si è abilmente conquistata una posizione come mediatrice diplomatica di primo piano -dalle discussioni sul programma nucleare iraniano già nel 2013 alla guerra in/sulla Siria a partire dal 2016- con l'obiettivo di consolidarsi come tramite per eccellenza fra Europa e Asia.
La Nuova Via della Seta -o BRI- di iniziativa cinese è stata ufficialmente lanciata da Xi Jinping all'Università Nazarbayev nel settembre 2013. Guarda caso l'idea si è trovata a coincidere rapidamente con il concetto kazako di integrazione economica eurasiatica, elaborato secondo il piano di stanziamento di fondi del governo di Nazarbayev detto Nurly Zhol ("Sentiero luminoso"), progettato per mettere il turbo all'economia dopo la crisi finanziaria del 2008-2009.
Nel settembre 2015 a Pechino Nazarbayev ha allineato il Nurly Zhol con la BRI, spingendo di fatto il Kazakhstan al centro del nuovo ordine per l'integrazione eurasiatica. Dal punto di vista geostrategico la più grande nazione senza sbocco al mare del pianeta è diventata il primo territorio di interazione delle visioni cinese e russa, della BRI e dell'Unione Economica Eurasiatica (EAEU).


Una tattica diversiva

Per la Russia, il Kazakhstan è ancora più strategico che per la Cina. Nur-Sultan ha firmato l'adesione all'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) nel 2003. È un membro chiave dell'EAEU. Entrambi i paesi sono fortemente legati sul piano tecnico-militare e hanno intrapreso una cooperazione spaziale strategica a Baikonur. Il russo ha lo status di lingua ufficiale ed è parlato dal 51% dei cittadini della repubblica.
Almeno tre milioni e mezzo di russi vivono in Kazakhstan. È ancora presto per speculare su una possibile "rivoluzione" all'insegna dei colori della liberazione nazionale se il vecchio sistema dovesse alla fine crollare. E anche se ciò accadesse, Mosca non perderà mai del tutto la sua considerevole influenza politica.
Quindi il problema immediato è assicurare la stabilità del Kazakhstan. Le proteste devono essere sedate. Ci saranno molte concessioni economiche. Un caos destabilizzante e permanente non può essere tollerato, e stop. A Mosca lo sanno bene. Un altro ribollente Maidan è fuori questione.
L'analogo caso della Bielorussia ha mostrato come un intervento deciso possa fare miracoli. Eppure, gli accordi della CSTO non prevedono assistenza in caso di crisi politiche interne - e Tokayev non sembrava incline ad avanzare richieste in questo senso.
Poi invece lo ha fatto. Ha chiesto l'intervento della CSTO per ristabilire l'ordine. Ci sarà un coprifuoco imposto dai militari. E Nur-Sultan potrebbe anche confiscare i beni delle aziende statunitensi e britanniche che si presume stiano sponsorizzando le proteste.
Nikol Pashinyan, presidente del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO e primo ministro dell'Armenia, ha inquadrato la situazione in questo modo: Tokayev ha invocato una "minaccia alla sicurezza nazionale" e alla "sovranità" del Kazakhstan, "causata, tra l'altro, da interferenze esterne". Così la CSTO "ha deciso di inviare forze di pace" per normalizzare la situazione, "per un periodo di tempo limitato".
I soliti sospetti della destabilizzazione si sa bene chi sono. Forse non hanno la portata, l'influenza politica e la quantità di cavalli di Troia necessari a tenere il Kazakhstan in fiamme a tempo indeterminato.
Almeno, si tratta di cavalli di Troia di esplicita evidenza. Vogliono il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici, un cambio di regime, un governo provvisorio di cittadini "rispettabili" e -guarda caso- "il ritiro da tutti i trattati di alleanza con la Russia".
E poi si arriva al ridicolo e al farsesco quando l'UE inizia a chiedere alle autorità kazake di "rispettare il diritto alla protesta pacifica". Che significa consentire l'anarchia totale, le rapine, i saccheggi, la distruzione di centinaia di automezzi, gli attacchi con i fucili d'assalto, i bancomat e persino il duty free dell'aeroporto di Almaty completamente saccheggiato.
Questa analisi (in russo) copre alcuni punti chiave, notando che "internet è piena di manifesti di propaganda preparati in anticipo e di consegne per i ribelli" e il fatto che "le autorità non stanno dando una ripulita al casino come ha fatto Lukashenko in Bielorussia".
Gli slogan finora sembrano provenire da molte fonti perché esaltano di tutto, da un "percorso occidentale" in Kazakhstan alla poligamia e alla Sharia; "Non c'è ancora un unico obiettivo, non è stato identificato. I risultati verranno successivamente e di solito sono sempre gli stessi: l'eliminazione della sovranità, la gestione esterna e infine, di regola, la formazione di un partito politico anti-russo".
Putin, Lukashenko e Tokayev hanno passato molto tempo al telefono, su iniziativa di Lukashenko. I leader di tutti i membri della CSTO sono in stretto contatto. Un piano generale sottoforma di una massiccia "operazione antiterrorismo" è già stato elaborato. Il generale Gerasimov lo supervisionerà personalmente.
Ora si confronti tutto questo con quello che ho appreso da due diverse fonti dai piani alti dei servizi.
La prima fonte è stata esplicita: l'intera avventura kazaka è sponsorizzata dall'MI6 per creare un nuovo Maidan appena prima dei colloqui Russia/USA-NATO a Ginevra e Bruxelles la prossima settimana, per impedire qualsiasi tipo di accordo. Significativamente, i "ribelli" hanno mantenuto il loro coordinamento nazionale anche dopo la chiusura di internet.
La seconda fonte si è mantenuta un po' più sul vago. I soliti sospetti stanno cercando di costringere la Russia a fare marcia indietro rispetto al blocco occidentale mettendo in piedi un grosso diversivo alle sue frontiere orientali, come parte di una strategia basata sulla creazione di una situazione di caos, a rotazione lungo tutti i confini russi. Questa può essere un'abile tattica diversiva, ma l'intelligence militare russa sta osservando. Da vicino. E per il bene dei soliti sospetti, sarà meglio che tutto questo non venga sinistramente interpretato come una provocazione per arrivare alla guerra.