martedì 30 marzo 2010

Renzo Bossi e lo specchio della penisola


Alla fine di marzo 2010 si è tenuta, nello stato che occupa la penisola italiana, una consultazione elettorale locale.
In una divisione amministrativa nel nord della penisola chiamata Lombardia, per la quale i politicanti locali stanno da anni inventando una tradizione nazionale, un certo Renzo Bossi sarebbe risultato tra i primi eletti.
La caratteristica saliente di questo Renzo Bossi dicono stia nel fatto di non aver superato (per tre volte, sembra) quello che in tempi meno sovvertiti veniva chiamato "esame di maturità".
Il fatto che i sudditi che bivaccano nella penisola italiana si sentano rappresentati da un individuo del genere può sorprendere soltanto chi ignori la virtù del realismo. La sovversione presente sta anche nel fatto che intere maggioranze elettorali si riconoscono nelle caratteristiche di individui di questo tipo ed in altri prodigi di incultura. Caratteristiche, quelle dell'incompetenza e dell'incultura, in piena ed incessante diffusione in tutto il numero di casi umani che, cacciati a volte con ignominia da ogni altro settore produttivo, hanno nella "politica" la loro àncora di salvezza.
In contesti più normali, come quei borghi pastorali del Pamir o quegli insediamenti della diaspora palestinese nei quali l'incompetenza e l'incultura sono considerati motivo di vergogna -e non certo accampati ogni istante a giustificativi, com'è prassi consolidata e socialmente approvata nella penisola italiana- individui come questi verrebbero considerati in qualunque modo meno che come modelli da imitare o ai quali delegare una rappresentanza politica.

sabato 27 marzo 2010

La geopolitica come reductio ad cunnum: il libercolo di Silvia Valerio


Non c'è idiozia, menzogna, cialtronata o inesattezza sul conto della Repubblica Islamica dell'Iran e della sua classe politica che non sia stata scritta o detta.
Negli ultimi anni, seguendo una tendenza che non dà il minimo cenno di invertire la rotta, i mass media a più alta fruibilità hanno ritratto il trionfo quotidiano di un kali yuga in cui la diciassettenne mal depilata che vanta su un rotocalco il proprio passato di ladra di merendine all'asilo viene additata ai sudditi come modello più degno di imitazione rispetto ad un premio Nobel. L'applicazione di questa prassi alla divulgazione geopolitica fa sì che risulti difficile credere che esistano persone disposte a non considerare prioritarie questioni come una sfilata in bikini per le strade di Shiraz o una modella che sorseggia whisky davanti al mausoleo dell'Imam Reza, perché non c'è gazzetta che non riduca la realtà geopolitica e sociale della Repubblica Islamica dell'Iran, che è tra le più complesse che esistano, alle mèches sotto lo hijab o alle Lolite di Tehran.
A Padova ci sarebbe una di vent'anni, secondo quanto scrive il Corriere del Veneto in un articolo che è riuscito a schifare anche i pochi che si siano dati la pena di leggerlo e commentarlo, che avrebbe aggiunto del suo all'andazzo di cui sopra pubblicando un libercolo.
Dall'articolo, della padovana di vent'anni poco è dato sapere e molto è dato di vedere.
Del libercolo nulla è dato di vedere e nulla è dato di sapere.
Non scribit, cuius carmina nemo legit. Invece, grazie alla materia che l'Andrea Pasqualetto che figura come autore dell'articolo ha scelto per tirar giornata, c'è la possibilità concreta che questa roba eviti il macero in un numero di copie assai più alto di quanto non sarebbe desiderabile.

venerdì 26 marzo 2010

Firenze: piccoli cinghiamattanzatori crescono


...Crescono, e nel dubbio menano, ovviamente!

Esportazione della democrazia: aggressione deliberata a stati sovrani in spregio della diplomazia internazionale.
Esportazione della cinghiamattanza: aggressione deliberata ad invididui inermi in omaggio alla civiltà "occidentale" contemporanea.
"La Repubblica" ci comunica oggi l'avvenuta "normalizzazione" della città di Firenze.
Nella città un tempo off limits, anche la "destra" può far sentire la propria voce e propagandare le proprie idee, tipo "Con i sionisti per la pace e contritterrorismo" (Irgun e Banda Stern ringraziano) o "Io e 'un ce l'ho miha co' cinesi! Ce l'ho co'cchì ce li fa vvenire!" (homo insipiens insipiens, sottospecie pratesis, anzi, praésis).
I protagonisti dell'episodio hanno età e provenienze tali da renderli associabilissimi alla moda, lanciata qualche anno fa dal prodotto ZetaZeroAlfa, di prendersi a cinghiate durante i concerti rock.
Ora, si vive in epoca di globalizzazione compiuta; un processo in cui l'esportazione di un po' di tutto è divenuto cardine non solo dell'economia e della vita sociale, ma anche dell'immaginario. Perché mai dunque non esportare anche la cinghiamattanza?
Il destinatario della merce ha mostrato di gradire, più o meno come gli iracheni hanno mostrato di gradire l'esportazione della "democrazia" condotta esattamente con gli stessi sistemi.
Agli esportatori va invece il merito di aver contribuito a sdoganare anche a Firenze la cultura ed i meriti di una destra estrema messa all'angolo dal saccheggio indiscriminato delle sue istanze che tutte le forze politiche operanti nella penisola italiana si sono sentite in dovere di compiere; resta solo da ricordare a chi ha avuto la discutibile idea di fornicare per concepirli che nello stato che occupa la penisola italiana la tutela sociale della maternità e -soprattutto- l'interruzione volontaria della gravidanza sono regolate dalla legge n. 194 del 22 maggio 1978.
Farvi ricorso a suo tempo non sarebbe stata la peggiore delle idee.

giovedì 25 marzo 2010

Mario Razzanelli, candidato della Lega Nord a Firenze. Appunti sull'"occidentalismo" elettorale


Una tornata elettorale nel mese di marzo 2010 ci fa trovare nella cassetta della posta un volantino patinato.
La campagna elettorale non è di quelle che mandano gente a Roma, e neppure in Consiglio Comunale, ed abbiamo l'impressione che si sia svolta un po' in sordina, complici i pasticci "occidentalisti" a base di liste rifiutate, sospensive ed altra mercanzia del genere.
Mentre scriviamo apprendiamo che un "occidentalista" prototipico, il Pier Gianni Prosperini attualmente ai domiciliari con un carico di imputazioni poco eroiche e molto venali, avrebbe maldestramente tentato il suicidio.
Il legionario, il terrore dei centri sociali.
Sic transit, e avanti il prossimo.




Mario Razzanelli è un micropolitico fiorentino entrato al Comune di Firenze con l'Unione di Centro, e recentemente presentatosi da solo con una lista civica per passare armi e bagagli alla Lega Nord in occasione della consultazione successiva.
La sua propaganda elettorale è un tipico esempio di inconsistenza "occcidentalista" e ci facciamo un piacere di demolirla punto per punto tenendone sott'occhio il patinato volantino postale su accennato.
"Voltiamo pagina [per il peggio]. Votiamo Lega Nord".
Tutto il materiale propagandistico "occidentalista" smerciato in Toscana contiene quest'esortazione. Tra parentesi quadra il completamento che i propagandisti si dimenticano di aggiungervi. Abbiamo rimediato noi...
Cara amica, caro amico. Pochissima fantasia anche a questo giro; lo stile relazionale di Mario Razzanelli, ispirato alla stessa confidenzialità irritante, è identico a quello del palloniere cui dedicammo attenzione lo scorso anno. La parte succosa del materiale non si fa comunque aspettare più di dieci righe. Razzanelli statuisce che la lega nord è un partito "che non è coinvolto nelle indagini della magistratura".
Non è vero.
D'altronde, il non essere vere è la caratteristica che accomuna la pressoché totalità delle istanze e delle argomentazioni "occidentaliste".
Un controllo frettoloso fatto con Google fa notare quanto segue.
Mario Borghezio (eurodeputato Lega Nord). Condannato in via definitiva per incendio aggravato da "finalità di discriminazione", per aver dato fuoco ai pagliericci di alcuni immigrati extracomunitari che dormivano sotto un ponte di Torino, a 2 mesi e 20 giorni di reclusione commutati in 3.040 euro di multa.
Umberto Bossi (eurodeputato e segretario Lega Nord). Otto mesi definitivi per tangente Enimont.
Roberto Maroni (deputato Lega Nord). Condannato definitivamente a 4 mesi e 20 giorni per resistenza a pubblico ufficiale durante la perquisizione della polizia nella sede di via Bellerio a Milano. Si noti: questo signore fa il ministro dell'interno per lo stato che occupa la penisola italiana. Lo stesso stato che la Lega Nord voleva ridurre in briciole. Si notino anche i capi d'imputazione, degni di un nogglòbal qualunque.
Ce n'è quanto basta per concludere che "le indagini della magistratura" hanno interessato la Lega Nord ai suoi massimi livelli, e fin qui si tratta solo di roba passata in giudicato già da un bel po'. Tra le questioni in sospeso si potrebbe citare il caso della Guardia Nazionale Padana, il cui ultimo sviluppo al momento in cui scriviamo consiste nel rinvio a giudizio di 36 (trentasei) militanti ed esponenti del "partito", borgomastro di Treviso compreso, con l'accusa di banda armata. Chiunque altro, dal frequentatore di pallonai al frequentatore di centri sociali, con un'accusa del genere sarebbe stato fatto a pezzi: in prima istanza dalla spazzatura umana che sporca la carta delle gazzette, e poi in tribunale.
Mica male, per un "partito che non è coinvolto nelle indagini della magistratura".
La lista in sette punti delle velleità elettorali di Razzanelli merita un'indagine approfondita. Purtroppo la realtà toscana non offre molti esempi utili alla propaganda leghista: tessuto sociale ancora sano e reati efferati entro i limiti dell'accettabilità non costituiscono un buon terreno per l'allarmismo professionale, e nel più recente passato le iniziative ascrivibili alla Lega Nord o al più ampio areale dell'"occidentalismo" in generale hanno fatto autentici frontali contro vere e proprie pareti di granito. Dalla denigrazione della sanità toscana ai "libri" di Oriana Fallaci, dagli slogan maldestri contro la classe politica fiorentina ("via i compagni di merende da Firenze") al reclutamento per coscrizione nelle schiere del bellicismo da poltrona fino al continuo scagnare contro la tramvia fiorentina (un argomento uscito dall'agenda setting tre millisecondi dopo la giornata inaugurale, con i tram presi quasi d'assalto da una folla entusiasta) non c'è stata arma propagandistica elettorale che non gli si sia ritorta contro [1].
Il primo punto, non curiosamente, riguarda gli horti conclusi della politica di palazzo. La stessa in cui Razzanelli sguazza beato da anni e per la quale invoca una roba che si chiama "trasparenza". Per i reati passati in giudicato e per quelli sotto processo commessi da esponenti del suo nuovo "partito", sulla "trasparenza" par di capire si possa anche sorvolare.
Il secondo punto, roba di bottega anche questo, riguarda il ripristino delle preferenze elettorali. Sulle schede in cui sono ammesse, di solito nessuno le scrive; a "rappresentare" i sudditi finiscono così non gli elementi migliori di una formazione politica (ammesso che ve ne siano) ma quelli che più si impongono con gli strumenti della pubblicità e della propaganda riuscendo così ad ottenerne qualche decina o qualche centinaio. Ottima traduzione operazionale del "democratismo" d'"Occidente".
Al terzo punto Razzanelli invoca un ampliamento di un aeroporto, quello di Peretola, considerato "da terzo mondo": da Firenze si dovrebbe poter andare "a Mosca, al Cairo e in Medio Oriente". Gli aeroporti "da terzo mondo" da noi frequentati, da Sa'na a Tashkent passando per quello di Tehran (nuovissimo ed enorme), di Bengasi e di Damasco avrebbero molto da insegnare all'intero sistema aeroportuale peninsulare, ispirato più alla presa in giro che al servizio efficiente. Certi paragoni all'apparenza scontati si potrebbero rivelare armi a doppio taglio. C'è poi da chiedersi perché mai un Razzanelli che si candida per un "partito" per il quale fino a ieri la civiltà finiva alla riva settentrionale del fiume Po ed il cui elettorato considera "Mosca, il Cairo e il Medio Oriente" alla stregua di patria della barbarie avrebbe interesse a raggiungerle in aereo.
Con bella coerenza Razzanelli invoca una "bretella Incisa-Barberino" per la città di Firenze. I lavori in corso per la sola terza corsia dell'autostrada sono in opera dal 2002 ed ancora non se ne vede la fine. Su quanto richiederebbe un'opera simile è meglio non trarre conclusioni.
Altri, e non Razzanelli, hanno mostrato e stanno mostrando a tutt'oggi, correndo rischi personali come in Val di Susa, quale sia il vero volto della TAV e dei macroscopici interessi ad essa connessi. Prospettando la propria contrarietà alla stazione sotterranea dei treni veloci, Mario Razzanelli si sta appropriando di qualcosa che non gli appartiene, secondo una prassi ordinaria nella politica di palazzo ma spregevole per chiunque abbia un minimo di rispetto di sé.
Tutto il terzo punto rotea sulla città di Firenze. Le elezioni per cui Razzanelli si candida riguardano la Toscana, entità sociopolitica e storica di cui Razzanelli non fa menzione alcuna e di cui c'è da temere che ignori pressoché tutto.
Il quarto punto prospetta intransigenza generica contro il nemico elettorale rappresentato dagli "immigrati" e statuisce che "i cittadini chiedono e vogliono il rispetto delle leggi e delle regole". Un'affermazione simile, in un contesto sociale aduso alla furberia spicciola e al condono e dove le "leggi" si applicano ai poveri e si interpretano per i ricchi, non può che suscitare aperto sarcasmo. Si noti: in tutto il volantino elettorale l'unica proposta positiva è rappresentata dalla costruzione di un campo di concentramento. Il futuro della Toscana e la soluzione dei suoi problemi passano dunque innanzitutto attraverso l'edificazione di un lager. Nemmeno la NSDAP avrebbe condotto una campagna elettorale con queste priorità.
Il quinto punto invoca quel "sociale per tutti" che fino a ieri era apertamente osteggiato e disprezzato dalle formazioni politiche "occidentaliste". Per vent'anni l'ognun per sé ha avuto valore di testo sacro. Come mai tanta resipiscenza?
Il sesto punto critica la sanità toscana la cui unica vera colpa è quella di seguire policies opposte a quelle "occidentaliste". Una maldestra operazione dello stesso genere, in endorsement con una casa farmaceutica, fallì peggio che miseramente meno di cinque annni fa.
Il settimo punto, in un contesto politico e governativo apertamente ostile a qualunque spesa non riguardi soldati, gendarmi, missioni militari ed armamenti in genere, mostra il pio desiderio di "fare di Firenze un centro per l'arte, per le fiere, per i congressi, per gli spettacoli". Ossia, quello che Firenze già è, Razzanelli o non Razzanelli.
In chiusura, il volantino invita alla chiusura della campagna elettorale in un albergo di periferia.
La sfilata di politicanti amici è accompagnata dalla musica di Guido Gheri, buffone di corte ufficiale dell'"occidentalismo" fiorentino dotato di un blog ad alta risibilità, e da Giuseppe Povia, la candidatura del quale ad un posto di bracciante agricolo "a progetto" verrebbe da noi accettata solo dopo attentissima ponderazione.

[1] Tra i più sottovalutati pregi del web c'è quello dell'ottima memoria. Si consulti dunque questo breve scritto sui costruttivi risultati conseguiti dall'applicazione della propaganda "occidentalista" al contesto fiorentino.

mercoledì 24 marzo 2010

Firenze: una sera di marzo n'i'ddegrado, senza sihurezza...


I'ddegrado e la sihurezza. Due refrain costanti della propaganda politica "occidentalista" che i lettori di questo blog dovrebbero conoscere bene, insieme alla libertà e allo strepitoso conio recente dell'amore che vince sull'odio con cui il primo partito "occidentalista" della penisola ha mobilitato (con poco successo, dicono) manutengoli e claque.
I centri sociali fiorentini che frequentiamo con estrema assiduità rappresentano uno dei migliori esempi per illustrare la profondissima e probabilmente irreversibile voragine che esiste tra la realtà quotidiana e quella imposta ai sudditi da fogliettisti e politicame assortito. Si tratta di ambienti dalla storia pluridecennale in cui si fanno miracoli con zero soldi e molto impegno, assolutamente refrattari ad una realtà quotidiana che imporrebbe come unico comportamento accettabile l'ossequio untuoso nei confronti di chi crede di comandare, pena il linciaggio in prima pagina.
Nel corso degli ultimi dieci anni almeno, un gazzettaio "occidentalista" che ogni giorno giudica in seduta unica, stritola e distrugge intere esistenze per i nobili motivi dell'audience, della pubblicità e della tiratura ha potuto fidare nell'impunità più completa -ed in questo ci piacerebbe un giorno venire a sapere di quanto fallaci siano certe presunte garanzie- per spalare tonnellate di fango non soltanto contro queste organizzazioni, ma più in generale contro qualunque aspetto della vita sociale e quotidiana che non si traduca in un passaggio di denaro da chi ne ha poco a chi ne ha molto. In questa tutt'altro che santa battaglia non c'è nessuno che possa dirsi al sicuro, dallo squat all'oratorio, dall'artista di strada al prete di campagna; la scampano solo le realtà più ammanicate con la spazzatura umana mossa dal denaro che rappresenta la quintessenza dell'"Occidente" contemporaneo. Gli assist forniti dal gazzettame ai micropolitici di quartiere hanno permesso loro in infinite occasioni di dare prova di quella disumanità consustanziale alla weltanschauung "occidentalista" che abbiamo più volte indicato al disprezzo di chi legge.
Proprio realtà come quella della politica di piazza e dell'autogestione sono un buon indice di come la realtà quotidiana sia ogni giorno, e da anni, diversa e spesso opposta a quella rappresentata dai gazzettieri. Nei giorni in cui l'amore vinceva sull'odio ci è capitato di incontrare, ad una proiezione cinematografica tenutasi in un centro sociale di Firenze, due persone di nostra conoscenza.
Una che anni fa ci era nota per la propensione agli abiti di buona fattura e per la vita brillante ci ha confidato che l'impresa di cui è titolare (si noti il profilo socioeconomico che fa letteralmente a pugni con la vulgata "occidentalista" sui frequentatori di certi luoghi) e che un tempo gli garantiva cinque-seimila euro di introiti mensili, adesso gliene garantisce tra i millequattrocento e i milleseicento. Con una famiglia da mantenere. "Fortuna che ai tempi quei soldi li ho usati per comprare casa, altrimenti... Le vedi queste scarpe? Dieci euro, le ho pagate!".
Un'altra ha una storia di imprenditrice figlia di imprenditori. Stritolate da una crisi che non data certo ad oggi le attività di famiglia, adesso fa la commessa part time in un negozio dove c'è bisogno di lei per tre giorni la settimana. In una famiglia di quattro persone, ad oggi, il suo è l'unico reddito. Ha una sorella con tre figli che vive in un paese montano e che riesce a sfangarla solo rivolgendosi ad istituzioni caritatevoli cristiane che nel corso degli ultimi anni hanno visto decuplicare il numero delle persone che bussano alla loro porta.
Un peggioramento dei redditi e della qualità della vita in cui fare piani a lungo termine è semplicemente ridicolo. Una generazione educata in un clima arrivista ed ambizioso di cui in pochi avevano colto l'irresponsabilità demenziale si trova oggi a fare letteralmente i conti per il pane, e a scoprire assolutamente distruttiva la forma mentis che mass media e classe politica continuano imperterriti ad imporre come l'unica scevra dall'essere guardata con sospetto dalla sezione politica della gendarmeria. Una forma mentis che oggi mostra tutti i suoi risvolti di cattiveria inutile e piccina, in una realtà in cui classi sociali intere si sono fatte sottrarre con faciloneria ridanciana armi sindacali, culturali e politiche che erano costate il sangue a generazioni di lavoratori.
Detto in altre parole, nella Firenze del 2010 la realtà quotidiana è quella di un clima da assalto ai forni. Uno stato di cose che rende il mondo dipinto dai pennaioli e dai politicanti ancora più lunare di quanto non sia già per proprio conto.

martedì 23 marzo 2010

"La Nazione" e i... polizziotti di Prato



"La Nazione" è la branca fiorentina del Quotidiano Nazionale. Le occasioni in cui ne abbiamo additato i limiti e la pedestraggine ai nostri lettori ormai non si contano neppure più.
Secondo questo giornalino, a fine inverno nella città toscana di Prato alcuni gendarmi e alcuni medi calibri dell'apparato statale avrebbero avuto qualche piccolo guaio per la disinvoltura con cui avrebbero tenuto i rapporti con la comunità cinese, spauracchio prediletto di quella propaganda "occidentalista" che infarcisce da un anno all'altro le pagine di questo gazzettino insieme al legalismo d'accatto e al qualunquismo forcaiolo di tanti corsivi.
La questione è seria perché mostra aspetti -e falle- dell'apparato repressivo pratese che l'"occidentalismo" politico avrebbe tutto l'interesse a tenere nascosti, specie alla vigilia di una tornata elettorale in cui gli unici cavalli di battaglia della candidata "occidentalista" (una che fa la sua figura in bikini, dicono; altro sul suo conto non siamo riusciti a sapere) sono sempre e soltanto la denigrazione del sistema sanitario e i soliti degradessihurézza da sradicare (i'ddegrado) e da rafforzare (la sihurezza) tramite la improcrastinabile costruzione di un campo di concentramento.
Bene. I correttori ortografici fanno parte da almeno dieci anni anche degli word processor più scalcinati. "La Nazione" riesce comunque a mandare in homepage un polizziotti con due zeta. Anzi, due polizziotti con due zeta. Un metro come un altro per misurare la competenza, il valore e la cura per il dettaglio che 'sta gazzetta e i politicanti che vi fanno riferimento profondono in ogni atto della loro giornata.

sabato 20 marzo 2010

Il Libano mediatico: quello "occidentalista" e quello di Julia Boutros


Quando non tira aria di guerra, occasione in cui si devono arrampicare sugli specchi per difendere le ragioni dei sionisti, i gazzettieri ignorano la Repubblica Libanese in maniera pressoché totale.
Da qualche tempo fa eccezione qualcuna di quelle rassegne fotografiche con ragazze poco vestite che si aggirano su un palco all'aperto in un posto di montagna con la neve altissima e temperature relative che dovrebbe chiamarsi Faraya Mzaar Kfardebian.
La stragrande maggioranza del target ne è portato a concludere che la principale caratteristica della popolazione femminile libanese sia quella di girovagare in mutande con aria ebete ed in posti per lo meno poco adatti. Un comportamento che il gazzettame patinato raffigura come tra i più lodevoli per le giovani donne "occidentali", insieme ai comportamenti di spesa irresponsabili ed alla propensione per l'anoressia nervosa.

La rappresentazione mediatica del Libano secondo criteri "occidentalisti".
Si notino anche la neve alta ed il superalcolico.


Il Libano è una delle realtà più composite del mondo ed ovviamente i suoi aspetti macroscopici e maggioritari sono di tutt'altra specie, così come di tutt'altra specie sono i comportamenti quotidiani delle donne libanesi, abituate a smazzarsi ogni giorno, da un anno all'altro, rischi e problemi di tutt'altro genere con una maturità ed una responsabilità inimmaginabili per moltissime giovani "occidentali".
Julia Boutros canta da e per un Libano su cui i gazzettieri non amano puntare l'attenzione e rappresenta proprio gli aspetti più scomodi e mediaticamente meno redditizi, "occidentalisticamente" parlando. Nel corso degli anni ha alternato produzioni leggerissime ad altre, come quella che mostriamo qui, contrassegnate da un impegno sociale e politico sempre più marcato.

Julia Boutros sul set del video.

Il Libano multiculturale in cui alleanze e simpatie che si vorrebbero stagne e consolidate dovrebbero rendere improbabili le attestazioni di stima e di solidarietà di una cantante cristiana alla popolazione sciita della periferia di Beirut o della valle della Beqaa. Julia Boutros ha smontato questo assunto fin dall'inizio della carriera, solidarizzando concretamente con le vittime dell'aggressione sionista e diventando talmente popolare da meritare riconoscimenti istituzionali per aver dato visibilità alla resistenza libanese contro l'occupazione.
Dopo la guerra dei trentatré giorni, Julia Boutros ha realizzato un singolo il cui testo è ricavato da una lettera con cui Hassan Nassrallah rispose ad alcuni combattenti di Hezbollah, la formazione politica e combattente che ha resistito ai sionisti dimostrando che esistono limiti oggettivi anche alla loro prepotenza.
L'iconografia del video è fatta da e per i libanesi. I coprotagonisti sono uno spaccato di un Libano che nei mass media "occidentali" trova posto solo con il ruolo di vittima: bambine rispettose o no dello hijab, la cantante vestita con una compostezza che nel mainstream peninsulare verrebbe quantomeno vista con fastidio, paesaggi mediterranei e uomini con divise ed armi moderne. Alcuni fading mostrano proprio ragazzini trasformarsi in combattenti.
Il video è stato realizzato con l'attiva collaborazione di Hezbollah e questo mostra ancora una volta la crescente competenza con cui realtà sociali e politiche che il gazzettame "occidentalista" si fa un dovere di demonizzare in blocco sono in grado di utilizzare le stesse armi che gli vengono rivolte contro ogni giorno. I combattenti di Hezbollah, a rinforzo dei fatti concreti, dànno qui di se stessi un'immagine di efficienza e di modernità che è opposta a quella dei fellahin sommariamente armati ed addestrati che sparano contro il cielo spesso associata alla resistenza antisionista.
Tutta l'operazione mediatica, dal testo prescelto alla sua diffusione, dalle modalità di realizzazione del video ai suoi protagonisti, è un interessante contraltare al Libano poco vestito ed amante dei superalcolici che il gazzettame "occidentalista" pretenderebbe maggioritario.




"Miei amati, ho sentito il vostro messaggio.
C'è la nobiltà e la fede.
Siete ciò che dite di essere, gli uomini di Dio sul campo
e siete una promessa veritiera.
Voi siete la nostra prossima vittoria
venite dalle montagne del Sole.
Alteri con i prepotenti,
da voi, i prigionieri saranno liberati
da voi, la terra sarà liberata.
Con i vostri pugni, con la vostra ira
sarà custodita la casa e l'onore.
Voi siete i costruttori di una civiltà
la rinascita delle nostre montagne
siete durevoli come i cedri sulle cime.
Siete la gloria della nostra comunità.
Voi, siete voi le guide
siete la corona sulle nostre teste,
siete voi i signori,
miei amati.
Bacio la nobiltà dei vostri piedi:
onorano, essi stessi, l'onore,
si radicano profondamente nella sacralità della nostra terra.
Non inciamperanno né tremeranno.
Con voi, cambieremo il mondo
il fato chinerà la testa a voi.
Con voi, costruiremo un domani migliore
con voi, avanzeremo e ci sarà concessa la vittoria.

أحبائي.. استمعت إلى رسالتكم
وفيها العز والايمان
فأنتم مثلما قلتم
رجال الله في الميدان
ووعد صادق أنتم
وأنتم نصرنا الآتي
وأنتم من جبال الشمس
عاتية على العاتي
بكم يتحرر الأسرى
بكم تتحرر الأرض
بقبضتكم بغضبتكم
يصان البيت والعرض
بناة حضارة أنتم
وأنتم نهضة القمم
وأنتم خالدون
كما خلود الأرز في القيم
وأنتم مجد أمتنا و
أنتم أنتم القادة
وتاج رؤوسنا أنتم
وأنتم أنتم السادة
أحبائي..
أقبل نبل أقدام
بها يتشرف الشرف
بعزة أرضنا انغرست
فلا تكبو وترتجف
بكم سنغير الدنيا
ويحني رأسه القدر
بكم نبني الغد الأحلى
بكم نمضي وننتصر.

(Traduzione di Miguel Martinez)

domenica 14 marzo 2010

Burqa a Treviso e tragedie a Roma


L'incompetenza cialtrona è una caratteristica strutturale dell'"occidentalismo" contemporaneo.
Insieme alla fantasia, alla malafede ed alla buona propensione verso la menzogna sistematica è la qualità essenziale per i professionisti di una propaganda quotidiana i cui manutengoli hanno anche il coraggio di ciarlare di "informazione approfondita, obiettiva e libera".
La "informazione" -come la chiamano loro- peninsulare è in condizioni tali che le pagine on line dell'Irib, Islamic Republic of Iran Broadcasting, rappresentano una lettura incommensurabilmente più seria ed obiettiva, non foss'altro che per la totale assenza di quelle immagini di giovani donne poco vestite che infarciscono il gazzettame "occidentale".
Da pagine del genere sono anche sostanzialmente assenti quelle considerazioni e quei particolari rivelatori della disumanità spicciola, bassa e quotidiana che è coessenziale alla totalità dei sudditi chiamati ad interagire con i media "occidentalisti". Il "Corriere della Sera" on line del 13 e "Repubblica" on line del 14 marzo offrono da soli due esempi molto chiari di quanto affermiamo.

Il primo è un caso di incompetenza mestierante.
Treviso è una città del nord-est della penisola italiana i cui sudditi sono passati in una generazione dalla pellagra ai terratetto con bagni di marmo. Il giocattolo, alimentato a denaro e da null'altro, si è rotto nel corso degli ultimi anni lasciando un deserto sociale in cui la sistematica delegittimazione di soggetti ed agenzie sociali fino a ieri dotati di un'autorevolezza indiscussa ha aperto la strada ad una rappresentanza politica dedita all'"occidentalismo" più ebefrenico. Un'ebefrenia che non vive certo in proprio, perché rappresenta fedelmente quella condivisa ed incoraggiata da e nei sudditi.
Ne fa fede la non-notizia riportata il 13 marzo e scopiazzata dal Corriere del Veneto. Un'osteria della provincia trevigiana avrebbe vietato l'accesso a chi indossa burqa e niqab. Un trafiletto fantastico, di una tale cialtroneria che è perfino possibile scomporla in diversi aspetti. L'oste trevigiano è a tal punto informato sull'Islam da (1) non aver notato che i credenti tendono a non frequentare osterie e che (2) il burqa è in uso in una ristretta area dell'Asia centrale; al di fuori di essa il rispetto dello hijab si avvale di capi di abbigliamento di tutt'altro genere e denominazione. Lo stesso oste è a tal punto informato sulle pletoriche, onnipresenti ed irritanti leggi del paese di cui è presumibilmente suddito da non sapere (3) che disposizioni in materia di travisamento sono in vigore da decenni.
Fin qui la cialtroneria del singolo. Ad essa si sovrappone quella dei gazzettieri, per i quali la demonizzazione dei nemici additati dalla feccia politicante da cui prendono ordini passa al di sopra di ogni cosa, anche e soprattutto della logica. L'iniziativa di questo venditore di vino, che in epoche e contesti più normali sarebbe stata additata al ridicolo che merita, viene dunque riportata in tutta serietà; in una delle botteghe dell'"occidentalismo" più ciarlante si intitola addirittura "La guerra (sacro)santa di un'osteria trevigiana"...

Il secondo è un caso di quella disumanità abituale, quotidiana e condivisa cui i sudditi che bivaccano nella penisola italiana improntano la loro condotta, e che i gazzettieri sono bravissimi a riportare a commento di qualunque vicenda.
Davanti a quattro morti orribili verificatesi nell'incendio di un garage adibito a locale e piazzato letteralmente sotto casa sua, uno di quei sudditi da gazzetta puntualmente rintracciati in queste circostanze non è capace d'altro che d'augurarsi che con la fine del locale finiscano anche i rumori notturni.
E' certo che se le vittime, invece di essere oscuri cittadini di paesi sempre presentati come lontani ed ininfluenti (quando non direttamente degni di democratizzazione a mezzo di aggressione militare) fossero appartenute alla conventicola su cui gli "occidentalisti" costruiscono la loro autoreferenzialità -pallonieri, coattume di periferia, corpivendole di varia specializzazione, figli di qualche ricco- i gazzettieri avrebbero riportato commenti di ben altra e sentita partecipazione.

sabato 13 marzo 2010

Firenze, Quartiere 3: per la marmaglia "occidentalista" non tutti gli aggrediti sono uguali


Dodici marzo 2010.
Il gazzettaio fiorentino informa con un sacco di particolari che Piero Chilleri, anni settantacinque, è stato aggredito all'interno di un'organizzazione sociale cristiana che opera a Firenze Sud, Quartiere 3, Galluzzo-Gavinana. In alcuni casi l'articolo è impaginato assieme ad altri dettagli su quanto avvenuto alla mescita di piazza del Carmine e dai quali par di capire che le nostre conclusioni sul Cavalli Club e su chi lo frequenta siano state anche troppo generose. In tutti i casi si descrivono in tono particolareggiato e positivo le iniziative dell'organizzazione ed abbondano i toni empatici nei confronti della vittima.

Nove Gennaio 2010.
Un frequentatore del CPA, il Centro Popolare Autogestito che da più di vent'anni opera con infinitamente minori mezzi all'interno dello stesso quartiere, viene anch'egli aggredito all'interno dello stabile in cui ha sede l'organizzazione. In quel caso gazzette e politicame hanno improntato articoli e commenti a ben altri toni: nessuna lode, nessuna empatia, nessuna intervista commossa e partecipata.

Le conclusioni che se ne possono trarre sono poco ambigue: quelli del CPA di crepare ammazzati se lo meritano; in via Cittadella e in piazza Ghiberti si coglie l'occasione per un altro paio di paginate denigratorie in cui si dice peste e corna di quei pezzenti, e se ogni tanto ne fanno fuori uno chi se ne frega; un drogato di meno.

venerdì 12 marzo 2010

Cavalli Club Firenze


Il Cavalli Club di Firenze, in Piazza del Carmine, è una mescita di lusso il cui padrone fa anche il sarto.
Naturalmente la propaganda commerciale "occidentalista" non metterebbe la cosa in questi termini; fedele alle proprie istanze menzognere e sovversive del reale definirebbe il Cavalli Club come "un'oasi di stile, un ambiente ricco di energia, con servizi di lusso e musica di classe. Un lugo in cui fashion e nightlife si intrecciano per creare una situazione unica che stupisce gli ospiti fin dal primo impatto" (così il sito internet della mescita).
Anche in questo caso, come in tutti gli altri che Iononstoconoriana si fa quotidiano piacere di additare al disprezzo dei suoi lettori, la realtà è una cosa, la categorizzazione bugiarda fattane dall'"occidentalismo" è un'altra.
"Servizi di lusso" e "musica di classe" nonostante, una sera di marzo la mescita di Piazza del Carmine è stata visitata da un piccolo gruppo di individui contrariati, che ha illustrato ai presenti le ragioni del proprio malumore con argomenti che hanno poca cittadinanza in un'epoca in cui chi affronta senza frignare una verifica fiscale passa per eroe, ed in cui torme intere di buoni a nulla decidono da dietro la tastiera di un computer a chi vorrebbero dare fòho (in testa alla hit parade, di solito, gli "zingari") e a chi riserverebbero attenzioni sessuali (in testa alla hit parade, altrettanto di solito, la carne da ricchi o più spesso da presunti tali).
I prodromi della questione devono essere stati di una bassezza, di una "occidentalità" e di un razzismo tanto repulsivi quanto al passo con i tempi, se perfino il gazzettaio "occidentalista" più pornocratico ("IlFirenze", "Il Giornale della Toscana") è stato costretto a riferirne con beneficio di inventario e con parecchi condizionali. In sostanza tutto sarebbe cominciato con una lite: una amriki avrebbe accusato di furto un uomo. L'accusato sarebbe stato fatto oggetto delle attenzioni degli appartenenti ad una categoria professionale tanto onnipresente quanto più che discutibile, quella del "servizio d'ordine", ed allontanato, con sistemi facilmente immaginabili, dalla scena. Il tutto già a notte alta: un'ora in cui di solito le donne rispettabili non fanno parlare di sé, se vogliamo finalmente concederci una di quelle considerazioni misogine che le amriki fanno di tutto per meritarsi.
Le gazzette dicono che l'accusato è finito al pronto soccorso, il che fornisce una discreta misura dell'approccio adottato nei suoi confronti dagli "occidentali" del "servizio d'ordine". E fornisce anche una motivazione plausibile all'attestazione di aperta disistima che verso le tre del mattino un piccolo gruppo di mustad'afin ha portato al personale della mescita.
L'episodio ha scuscitato commenti tra il sarcastico e l'apertamente soddisfatto, tra i quali segnaliamo quelli di Miguel Guillermo Martinez Ball. Fedeli alle linee guida di questo blog, noi ne traiamo spunto per alcune conclusioni. Conclusioni che basterà intonare ad un minimo di concretezza perché passino da rivoluzionarie.
Quanto avvenuto è l'ideale per mostrare, come su accennato, l'assoluta dissonanza tra la realtà e la weltanschauung "occidentalista".
In primo luogo va notato che questa mescita ostenta tante pretese di esclusività e di elitarismo, ed ha bisogno di un "servizio d'ordine" espressamente incaricato di evitare episodi da clinica psichiatrica. La sedicente élite "occidentale" target della mescita, definita in base a criteri meramente economici tanto più insultanti in un'epoca ed in un contesto che dell'ingiustizia sociale hanno fatto la propria unica bandiera, è dunque costituita da marmaglia incapace di autolimitarsi e di decidere perfino nelle interazioni più elementari. Questo, senza indulgere ad altre e condivise considerazioni secondo le quali la frequenza di episodi di questo genere sarebbe eloquentemente più alta proprio laddove un "servizio d'ordine" dovrebbe impedire il loro verificarsi. Impossibile non fare paragoni, ovviamente e giustamente ingenerosi, con contesti sociali più normali come quello di certe mense yemenite, in cui la clientela si accalca a tavolacci di plastica con l'AK47 a tracolla, discutendo animatamente ma senza infingimenti ed in un contesto più umano di quello di certe mescite "occidentali" appartenenti a sarti, a canzonettiste note più per l'elasticità della loro virtù che per le loro competenze musicali, a pallonieri in pensione o a gente che di mestiere corre forte con delle macchine apposta o delle moto altrettanto apposta.
In secondo luogo ci sono i "lavoratori" del "servizio d'ordine", che potremmo definire come i cani pastori del gregge su schematicamente definito. La fedeltà di questi individui ai valori dominanti è assoluta, visto che in contesti meno "occidentalizzati" e socialmente meno decomposti sarebbero destinati ad una nera vita di disoccupazione. Una delle gazzette che abbiamo consultato si cura anche di definire alcuni dei servitori dell'ordine come calcianti.
Il vocabolo calciante indica a Firenze gli iniziati di una conventicola che con tanto di patrocinio istituzionale si riunisce in alcuni giorni d'estate in una piazza del centro appositamente preparata con uno strato di tufo, per regolare pendenze e rancori maturati in un anno trascorso in lavori e lavoretti che coprono tutto l'areale compresto tra il sordido e lo scaltro. Il tutto prende il nome di "calcio storico" ed è ammantato da tutti i paludamenti propri delle tradizioni inventate di cui Hobsbawm fece piazza pulita in un suo celebre scritto.
L'aggregato sociale del pallone travestito fa da bacino elettorale per l'"occidentalismo" più fracassone. In questo mese di marzo 2010 il diplomato Giovanni Donzelli, cui di solito spettano in Consiglio comunale le lamentele frignone in materia di degradessihurézza, è impegnato altrove per motivi elettorali, sicché è toccato a Francesco Torselli difendere gli indifendibili sul gazzettaio di riferimento. Di solito non traiamo conclusioni basandoci su elementi esclusivamente gazzettistici e non suffragati da esperienze dirette: in questo caso però la cognizione di causa ci viene dal laido spettacolo che le amriki dànno abitualmente di se stesse per le vie cittadine, peggiorando con indiscriminate assunzioni di alcolici una presenza fisica solitamente connotata da una repulsiva e burrosa grassezza e competenze interattive già per conto loro al di là del qualificabile.
Quale eco e quale ascolto avrebbero in contesti più normali ed in sedi meno infette i reclami, le asserzioni e le attribuzioni di responsabilità espresse in piena notte da elementi simili è facile intuirlo: difficilmente desterebbero l'attenzione di soggetti pagati apposta per rifarsela col primo individuo che dia l'impressione (talvolta clamorosamente sbagliata, come in questo caso) di poter assumere il ruolo di capro espiatorio.
La ricostruzione gazzettiera dell'avvenimento, nella sua abituale parzialità, lascia intravedere più di quanto non voglia a proposito di uno spaccato sociale abbrutito e demente, perfettamente adattato ad un ambiente in cui la costruzione di un'identità sociale presuntamente prestigiosa passa esclusivamente dai comportamenti di consumo.
A Firenze la mescita di piazza del Carmine pare che non goda di buona fama, a dispetto delle intenzioni e del legalismo spicciolo ostentato da chi se ne occupa. Il fatto che posti di questo genere siano in genere frequentati da esponenti e simpatizzanti dell'"occidentalismo" politicante più ostentato dovrebbe anch'esso essere rivelatore.
In attesa di poter costruire una moschea degna della città di Firenze secondo le linee che abbiamo suggerito a suo tempo, quando auspicammo la distruzione del brutto edificio sul lato est di piazza Ghiberti e la fine delle moleste attività che vi si svolgono, non sarebbe male destinare a quest'uso il fondo di piazza del Carmine. I credenti, sempre più numerosi, non dovrebbero accalcarsi in Borgo Allegri e la piazza ne guadagnerebbe non poco in termini di umanità e di vivibilità.

martedì 9 marzo 2010

Firenze: foibe e Scuola Media Botticelli. Come l'"occidentalismo" costruisce un pretesto per la delazione


La storia insegna che la delazione rappresenta una delle armi politiche meno blasonate. Insegna anche che nel caso di repentini cambiamenti della situazione sociopolitica, chi vi abbia fatto scoperto ricorso presumendo chissà quale impunità finisce spessissimo per pagarne lo scotto in prima persona.
Nonostante questo, la pratica della delazione negli ambienti "occidentalisti" entra a far parte della pratica politica addirittura per la bassa manovalanza in età adolescenziale, come potemmo documentare a suo tempo.
Disperatamente a corto di argomenti che non siano gli abusati degradessihurézza e la prospettata edificazione di campi di concentramento, l'"occidentalismo" toscano si è attaccato con un bel po' di tenacia ad un fatto di cronaca non solo dalla nulla rilevanza, ma costruito con impegno attorno ad un episodio rivelatore però del fatto che la vulgata storica "occidentalista" stenta ancora ad imporsi, nonostante i quindici anni di indefessa preparazione. Quindici anni nel corso dei quali l'"occidentalismo" politicante e gazzettaro, non lo si ricorderà mai abbastanza, ha sostenuto compatto gli inconsistenti giustificativi che hanno portato lo stato che occupa la penisola italiana a schierare truppe in due guerre d'aggressione e a lasciare che all'interno del dibattito politico si tacciasse abitualmente di terrorista, con l'aperta prospettiva del carcere preventivo, chiunque osasse obiettare.
Si ricorderà che nella Scuola Media Botticelli, nel quartiere fiorentino di Gavinana, un'insegnante ha distribuito in una terza media un lungo scritto risalente al 2006 in cui si restituisce contestualizzazione ad una certa vicenda. Una vicenda che invece la propaganda "occidentalista" che sul lebbroso mainstream che domina la penisola italiana ha praticamente forza di legge, sta cercando di decontestualizzare in modo da presentare eventuali controparti -in questo caso gli yugoslavi ed i comunisti, ma l'escamotage potrebbe essere ampliato a piacimento secondo necessità, adattandone la prassi ad altri episodi e ad altri contesti- come dedite ad una malvagità metafisica.
Un comportamento piuttosto disinvolto, per gente che a parole non finisce mai di denunciare l'altrui propensione al totalitarismo.
Oltre ad una risoluzione in Consiglio Comunale di cui al momento non siamo in grado di proporre il testo, e che ci proponiamo di sviscerare in una prossima occasione, la cosa ha prodotto una breve coda di articoli sul gazzettaio "occidentalista" di più stretta osservanza, ed un riscontro nella pubblica opinione praticamente pari a zero.
"Il Giornale della Toscana", a cui si deve gran parte del supporto mediatico all'operazione, relega il 9 marzo la questione a pagina otto, dopo un po' di argomenti che avrebbero interesse a presentare come più seri. In un articolo intitolato "Il caso della Scuola Botticelli" si riassumono gli apparenti estremi di un caso costruito sul nulla e peggio che sul nulla, dal momento che è stato inventato di sana pianta un negazionismo che nulla autorizza a postulare: nel linguaggio "occidentalista" dell'articolo viene definito giustificazionismo quello che in qualunque altra sede, dal Bar Sport al corso di laurea in storia contemporanea, si chiamerebbe con assai maggiore proprietà di linguaggio "ricostruzione evenemenziale non basata su fonti propagandistiche, con conseguente condanna di un utilizzo propagandistico degli avvenimenti".
Francesco Torselli (sulla cui passione per Corneliu Zelea Codreanu abbiamo già edotto i nostri lettori) porta il caso nientemeno che a Roma ed alla Corte dei Conti.
A Roma, in giornate che definire convulse è riduttivo, dovrebbero trovare interessantissimo che qualcuno dalla parte opposta dell'Atlantico nel 2006 abbia definito Gianfranco Fini un "neofascista" e che qualcun altro abbia stampato e dato in giro un articolo trovato su un sito amriki.
Secondo l'articolo di gazzetta, pare che dalla vicenda possa sortire un danno d'immagine. Più o meno come quello che potrebbe invocare un'attricetta da due soldi per impedire la pubblicazione di qualche scatto fotografico che evidenziasse gli sfortunati esiti di una depilazione all'inguine.
Se pensiamo che la delazione arriva in un momento in cui lo stesso Fini si trova ogni giorno sotto il fuoco "amico" di una torma di gazzettieri, la cosa ha quasi del surreale. L'influenza deteriore che la passione "occidentalista" per l'immagine, per la finzione e per un decoro da sepolcri imbiancati stanno avendo su ogni aspetto della vita sociale ha invece poco o nulla di surreale e molto di pericoloso.
Alla Corte dei Conti il caso dovrebbe interessare perché, secondo Francesco Torselli, potrebbe "rivelarsi opportuno fornire ai ragazzi di terza media un corso suppletivo a carico della scuola su quanto realmente accaduto lungo il confine orientale negli anni a cavallo della fine della seconda guerra mondiale". Chiunque si sia dato la pena di leggere l'articolo incriminato è in grado di trarre in merito le conclusioni che abbiamo tratto noi: l'articolo di Wells riporta eventi incontestabili e mostra nei confronti della propaganda "occidentalista" la nulla considerazione che essa merita; stando così le cose è più facile che a lamentare un danno economico sia qualche propagandista obeso e con la cravatta, costretto ad interiorizzare il fatto che anche una classe di ragazzini possiede competenze e strumenti per ridere in faccia a chi meriterebbe trattamenti ben peggiori, che non quello che nella penisola italiana chiamano Ministero dell'Istruzione. La cosa è di una tale evidenza che cominciamo seriamente a pensare che nessuno di coloro che si sono prestati a dare eco alla questione abbia davvero letto l'articolo nella sua interezza. Non che la cosa sia sorprendente: la politica "occidentalista" ha bisogno di servi che ne ripetano ecoicamente le istanze e considera un nemico chiunque osi mettere in dubbio la comunicazione propagandistica. Anche questo un comportamento piuttosto disinvolto, per gente che a parole non finisce mai di denunciare l'altrui propensione al totalitarismo.
Chiude Francesco Torselli affermando che "da tre giorni la cronaca fiorentina sta dedicando pagine e pagine a questo caso, ma ad oggi non ho ricevuto neppure una telefonata da parte di questa insegnante che, avendo sollevato io il caso, mi pareva doverosa. E se non vuol parlare con me, poteva chiedere pubblicamente scusa agli alunni e ai genitori. Certo, non potrà giustificare la sua grave colpa appellandosi al 'non sapevo' o 'non avevo letto' perché ciò renderebbe ancora più grave il suo operato".
Sic. Bene, vediamo di rimettere le cose al loro posto.
Per tre giorni non la "cronaca fiorentina", ma solo quella del gazzettaio consustanziale all'"occidentalismo" più d'accatto, ha dedicato pagine e pagine non ad un caso, ma ad un'operazione denigratoria dall'intento evidente. Un'operazione sulla cui bassezza può trarre drastiche e sprezzanti conclusioni chiunque si sia preso la briga di dare una scorsa alla letteratura servita per costruirla. Non si capisce dunque perché mai l'insegnante chiamata in causa dovrebbe rivolgersi a chi le ha riservato un trattamento del genere, né tantomeno di quale grave colpa si sia macchiata. A meno che non vada considerata una colpa il considerare la propaganda per quello che è: in questo caso non ci peritiamo di aggiungere colpa nostra a colpa sua, ricordando a Francesco Torselli che l'arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, sulla cui esistenza l'intero "occidentalismo" peninsulare ha giurato a reti unificate per anni, attende ancora di essere reperito.
Va sottolineato anche come il linciaggio a mezzo stampa costruito con tanta cura abbia come target il rappresentante di una categoria professionale che fa da sempre da bersaglio alle invettive "occidentaliste". Una liceità alla critica indiscriminata cui le condizioni dello stato che occupa la penisola italiana, una delle pochissime realtà mondiali dove l'incultura e l'incompetenza siano sistematicamente accampate a giustificativo e a motivo di vanto, forniscono una sorta di pezza d'appoggio.
Nel tentativo analogo condotto mesi fa da un commensale di Francesco Torselli nei confronti di un tale che risultò appartenere ad una classe meno dotata di pazienza e meglio fornita di muscoli il rapporto diretto tra sollevatore della questione e bersaglio ci fu eccome, con conseguenze che potevano essere assai peggiori.
E i ragazzini della scuola media di Firenze? Se politicanti romani e Corte dei Conti non dovessero bastare a rimetterli al loro posto, si adopereranno altri sistemi, come l'ultima volta.

domenica 7 marzo 2010

Firenze: le foibe alla Scuola Media Botticelli come palestra "occidentalista" per un linciaggio mediatico diversivo




"Il Giornale della Toscana" torna domenica 7 marzo 2010 a verificare gli esiti dell'opera delatoria cui ha fornito supporto mediatico nei giorni precedenti. "Il Firenze", altra cellulosa sottratta agli assorbenti igienici e specializzata in linciaggi, degradi e 'nsihurezze, domenica non esce.
L'occasione è buona per identificare una volta di più gli ingranaggi principali di un'operazione di linciaggio mediatico, realizzata in un periodo di obiettiva difficoltà per il principale partito "occidentalista" della penisola, alle prese con gli errori e con le magagne giudiziarie di attivisti e simpatizzanti. Magagne comunque irrilevanti, nessuno di loro creperà in quei carceri in cui mandano tanto volentieri gli altri. E poi si sa che l'unica galera in cui si sta male è quella di Evin. Le altre, tutte, hotel a quattro stelle. Le stesse gazzette "occidentaliste" non perdono occasione per ricordare ai loro lettori come mustad'afin, negri e comunisti vi godano di lussi perfino eccessivi.
Il diversivo ha trovato un cantore anche in un certo Claudio Morganti, scaldapoltrone per conto della Lega Nord già noto ai nostri lettori, puntuale ad imporre come dogmi i punti di vista del suo "partito". Punti di vista che rappresentano l'ennesima incarnazione della bassezza cialtrona e della weltanschauung da bullo di quartiere che tanto concorrono al clima politico contemporaneo. Potremmo anche chiederci in tutta serietà perché mai l'esponente di un "partito" per i cui vertici la bandiera dello stato che occupa la penisola italiana è degna di finire appesa nei cessi[1] sia tanto interessato proprio alla vicenda di vittime suddite di quello stesso stato, ma andiamo pure oltre.
Una caratteristica frequentemente riscontrabile nell'elettorato "occidentalista" toscano, specie in quello di recente acquisizione, è la pretesa condivisa di continuare a percepire redditi da primo mondo ostentando in ogni sede una formazione, delle competenze e dei "valori" che farebbero vergognare l'ultimo dei pastori del Tagikistan, solitamente conditi con una stupidità cattiva ed arrogante. Il peso dei suffragi di questi guardatori di televisione è tale che nessuno si è ancora fatto un piacere di spiegargli che il mondo che ha permesso questo non esiste più, e che avanzare pretese del genere come se nulla fosse non solo non è mai stato giusto, ma finalmente non è neanche più oggettivamente possibile.
Con un target simile, le campagne di linciaggio non abbisognano certo di una lettura approfondita dei materiali di cui si vorrebbe denunciare la nefandezza; è sufficiente attribuire ad una fonte qualche elemento che non vi si rintraccia, e giocare con un minimo di competenza sugli effetti primacy e recency.
Lo scritto di Wells che ci siamo fatti un dovere di riportare per intero non contiene alcuna considerazione valutativa sulle vittime sulla cui storia l'"occidentalismo" peninsulare sta cercando di costruire una legittimità. Presentare gli infoibati come vittime del Male metafisico è indispensabile per costruire una vulgata che metta in ombra decenni di espansionismo arrogante e di imperialismo da ultimi arrivati.
In altre parole, siamo davanti alla difesa di un suprematismo nazionalista sostanzialmente basato sulle fettuccine Alfredo. Un caso unico al mondo.
Nel perseguire i propri obiettivi propagandistici, che in sostanza consistono nella tutela dell'"investimento" culturale e divulgativo fatto sulla questione, l'articolo de "Il Giornale della Toscana" mostra da una parte i toni stizziti di chi vede scoperte le proprie carte, dall'altra il compiacimento di verificare che, almeno a parole, le istanze "occidentaliste" hanno trovato qualche miserabile contentino istituzionale.
Nel complesso un altro caso, l'ennesimo in una prassi quotidiana ed abituale, in cui la propaganda "occidentalista" non disdegna affatto il ricorso alle stesse armi il cui utilizzo viene costantemente rimproverato ad avversari politici veri o presunti.
L'articolo di Wells, come si può verificare con una lettura anche rapidissima, non è affatto "negazionista" nei confronti delle vittime o nei confronti di una "verità storica ormai condivisa" o che si pretenderebbe tale, e tantomeno irrispettoso nei confronti delle vittime stesse.
Irrispettoso è al contrario, e con buone argomentazioni, verso la propaganda con cui le forze politiche "occidentaliste" intenderebbero allagare il mainstream della penisola italiana.
La stessa ripetizione ecoica degli assunti propagandistici tipica di ogni produzione "occidentalista" porta l'articolista a specificare che sul sito della scuola Botticelli è presente "un'ampia pagina dedicata al Giorno del Ricordo"; di questa pagina si statuisce che "la tragedia delle vittime e il dramma degli esuli" vi sono ripercorsi in maniera "del tutto diversa da quanto mostrato dalla professoressa". Ovviamente le cose non stanno in questo modo: una lettura del testo mostra innanzitutto che perfino uno studente di seconda media è in grado di fornire all'evento quella contestualizzazione che la propaganda "occidentalista" fa invece di tutto per togliergli.
Una rapidissima ricerca in rete, tra l'altro, indica che la testimonianza "del sopravvissuto" anonimamente riportata nella stessa pagina non è affatto anonima ed è rintracciabile nel volume Foibe, curato da Raoul Pupo e Roberto Spazzali e pubblicato nel 2003 da Bruno Mondadori. Nel volume viene attribuita a Giovanni Radeticchio. Una nota, questa, che può parere superflua in uno scritto come questo che sostanzialmente si occupa di rimettere al suo posto un articoletto di gazzetta, ma che è bene esplicitare perché sia chiaro che l'"occidentalismo", su questo argomento come su tutti gli altri, preferisce di gran lunga rifarsi a centoni da grand guignol che non ad opere caratterizzate da un minimo di concretezza scientifica e documentale.
In altre parole, il reperimento "occidentalista" delle argomentazioni riesce ad essere di gran lunga peggiore di quello cui può ricorrere una scolaresca di seconda media. Nulla di strano, la propaganda non ha certo fini obiettivi.
In questo contesto si colloca assolutamente dissonante l'intervento di una certa Miriam Andreatini Sfilli, chiamata in causa per conferire autorevolezza ad una pagina che autorevole non è, ovviamente, per nulla. Secondo Andreatini Sfilli "esistono alcune cose che non possono essere messe in vendita sul bancone della vita", tra le quali "la verità e l'onestà intellettuale". Una questione che l'articolo di Wells, incompleto e divulgativo finché si vuole, si guarda bene dal mettere in dubbio.
L'indirizzamento finale del battage è affidato ad un fondo pagina in cui si riportano le affermazioni del micropolitico fiorentino Francesco Torselli, uno che di propaganda giovanile dovrebbe intendersene visto l'impegno con cui ha divulgato le istanze del non capo scout Corneliu Zelea Codreanu, fermissimamente deciso a linciare istituzionalmente con ogni mezzo la distributrice dell'articolo.
Torselli infuria contro "una raccapricciante propaganda ideologica spacciata per una verità storica" con i toni del propagandista, e la cosa non sorprende perché si colloca nella pratica politica abituale le cui linee abbiamo identificato più volte, e che consiste nell'utilizzare le stesse armi il cui utilizzo viene costantemente rinfacciato al presunto avversario. Nel caso in oggetto l'operazione è resa ancora più repellente -questo della repellenza è un tratto fondamentale e caratterizzante della quotidianità politica "occidentalista"- dalle intenzioni delatorie cui è finalizzato il tutto.
Il caso che abbiamo sviscerato non è né emblematico né inusuale; è soltanto uno dei tanti con cui la propaganda governativa tutela abitualmente l'imposizione delle proprie istanze, affidandosi ad un elettorato attivo sistematicamente chiamato a chiamare "libertà" l'invocazione di misure repressive sempre più stringenti nei confronti di chiunque non soggiaccia alle menzogne "occidentaliste".


[1] "Il tricolore lo metta al cesso, signora" (Umberto Bossi, 14 settembre 1997)

sabato 6 marzo 2010

Firenze: la Scuola Media Botticelli una foiba di quartiere? L'"occidentalismo" e la delazione come pratica politica quotidiana


Nulla di nuovo nella penisola italiana per il marzo 2010. Le imprese continuano allegramente a licenziare e a chiudere, i sudditi ad indebitarsi, le gazzette a tuonare contro la Repubblica Islamica dell'Iran per spazzare sotto il tappeto le non memorabili gesta dei politicanti "occidentali" e i non travolgenti successi del democracy export tutt'ora in corso d'opera.
L'operazione è divenuta talmente routinaria che nessuno rimarca neppure più come e qualmente vi siano più morti ammazzati in una settimana nell'Iraq "democratizzato" -dove tra l'altro il primo ad esser richiamato in servizio è stato proprio il carnefice di stato- che in un anno intero nel paese confinante, per definizione in mano ad una "dittatura".
Lo scenario di routine è stato interrotto soltanto da insistenti news di registro particolarmente basso sul conto di una ramificata conventicola "occidentalista" dedita allo scambio di favori e alla frequentazione di prostitute, e dai capolavori di abituale incompetenza nel disbrigo di certe pratiche burocratiche, che hanno fatto correre il rischio al principale partito "occidentalista" e a due suoi candidati di non poter partecipare ad un'importante tornata elettorale.
Nulla a cui i sudditi non siano ampiamente abituati. La consapevolezza e l'autocoscienza dell'aggregato che bivacca nel "paese" dove si mangiano spaghetti è ad un livello tale da aver ridotto l'indignazione a mero esercizio retorico per pochi nostalgici di epoche più normali. Tuttavia le questioni su accennate sono arrivate al mainstream ed hanno tenuto banco per qualche giorno; una cosa che la politica di palazzo non può permettersi di tollerare, a così poca distanza dalle elezioni. Inizia dunque la caccia al diversivo, che per fortuna non tarda ad occorrere.
Sabato 6 marzo qualche foglietto "occidentalista" distribuito a Firenze riserva un bel po' di posto ad una new assolutamente insignificante, costruita ad hoc insieme ai micropolitici di riferimento. Su internet la cosa è attestata almeno da "Il Giornale della Toscana" e dal bollettino di degradi e 'nsihurezze chiamato "IlFirenze"; un altro classico del genere è di solito rappresentato da "La Nazione", che on line al momento in cui scriviamo tace, e che non disturberemo certo nell'edizione cartacea.
In una scuola media fiorentina (la Botticelli, di via Gran Bretagna) una professoressa non meglio identificata avrebbe distribuito in una classe una dispensa, costituita da un articolo sull'utilizzo propagandistico delle esecuzioni sommarie avvenute sulla frontiera orientale della penisola italiana negli ultimi anni della seconda guerra mondiale.
L'articolo non è tratto dal Tehran Times ma da un sito registrato negli Stati Uniti d'AmeriKKKa che afferma di essere la voce di un "Comitato internazionale per la Quarta Internazionale".
Il sito è in lingua inglese; soltanto alcuni articoli, tra cui quello qui in esame, sono disponibili anche nella lingua maggioritaria nel territorio della penisola italiana.
Lo si riporta dunque per intero per due motivi. Il primo è quello di dargli maggiore diffusione, il secondo quello di evidenziare ancora una volta il funzionamento della macchina propagandistica "occidentalista". Come interessante side effect l'articolo di Wells può avere quello di mostrare in quale ottica le vicende storiche dello stato che occupa la penisola italiana vengano considerate nel contesto dell'attivismo politico della sinistra amriki.


Il “Giorno del Ricordo” degli Esuli e delle Foibe in Italia: il significato di una commemorazione neo-fascista

Di Marc Wells

15 marzo 2006

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 9 marzo 2006

Una “foiba” è una cavità naturale a forma di imbuto capovolto con profondità fino ai 200 metri, creata da erosione idrica. Queste formazioni sono tipiche del Carso, un’area a est di Venezia divisa fra Italia, Croazia e Slovenia.
Già da alcuni anni, l’alleanza della destra italiana guidata dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha sfruttato gli eventi legati alle foibe durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale al fine di diffondere una campagna nazionalista e anti-comunista, con il consenso dell’opposizione, costituita dagli ex-stalinisti del Partito Democratico di Sinistra (PDS).
I fatti storici sono stati volgarmente semplificati o estratti dal contesto con lo scopo di stimolare un revival neo-fascista e “patriottico” attraverso ore di trasmissioni televisive e telegiornali dedicati alla propagazione di informazioni parziali o false.
Secondo la versione storica dell’ultra-destra, il regime jugoslavo stalinista del Maresciallo Tito fu responsabile dell’omicidio di massa di 20.000 italiani innocenti i quali vennero catturati, uccisi e gettati nelle foibe nel 1943 e 1945. Molti di essi, si dice, furono gettati in quelle fosse da vivi. Inoltre, secondo questa storia, 350.000 italiani furono cacciati dalle loro case dall’occupazione di Tito.
Nel marzo del 2004 il Parlamento italiano ha passato una legge che dichiara il 10 febbraio “Giorno del Ricordo in Memoria degli Esuli e Vittime delle Foibe,” in onore delle vittime e le loro famiglie, o almeno questa era la motivazione ufficiale. La scelta di questa data è in se stessa una provocazione: il 10 febbraio 1957, Italia cedeva alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia nel Trattato di Parigi.
E così oggi, ogni 10 febbraio, la propaganda nazionalista inquina l’etere italiano promuovendo lo sciovinismo, sfruttando eventi tragici che rimangono senza spiegazione. Filmati di cadaveri rimossi dalle foibe e immagini di donne anziane in lacrime si alternano a quelle del leader neo-fascista Gianfranco Fini che visita la regione, o a quelle del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che discute l’importanza del patriottismo italiano e del sacrificio nazionale. Quest’anno, la propaganda è mirata direttamente ad influenzare i risultati delle prossime elezioni in Aprile.
La prima distorsione è già contenuta nella premessa del “Giorno del Ricordo” che combina due episodi storici distinti: gli eventi delle foibe nel periodo 1943-45 e l’esilio degli italiani dai cosiddetti territori irredenti tra il 1945 e il 1960. Per quanto riguarda questi ultimi, le autorità jugoslave non hanno mai emesso un decreto d’espulsione, mentre quelle italiane hanno ignorato le difficoltà di questi immigrati, rilocando migliaia di persone in posti sperduti come certe aree rurali della Sardegna.
Anche se erano senza dubbio strettamente collegati, questi due episodi non possono essere compresi come il singolo risultato della “furia del comunismo di Tito,” come sostengono per motivi politici i filistei del governo Berlusconi.
Questo articolo discuterà solamente gli eventi delle foibe.
La storia di quell’area geografica che divenne poi la Jugoslavia è una di oppressione e di repressione. All’alba del ventesimo secolo, i popoli slavi dei Balcani erano sotto il dominio, a nord, dell’Impero Austro-Ungarico, e a sud del decrepito Impero Ottomano. Questi popoli, a quel tempo noti come “slavi meridionali”, espressero in molte occasioni la volontà di creare un proprio stato-nazione. Molti di essi si ispiravano all’Unione Balcanica delle Repubbliche Socialiste, un progetto politico a favore del quale combatterono marxisti come Svetozar Markovic, Dimitrije Tucovic and Christian Rakovsky.
Nel tardo diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo, la regione balcanica era un crogiolo di grandi conflitti sociali e nazionali, in cui le grandi potenze intervenivano per favorire i propi interessi. Verso la fine della prima guerra mondiale, le terribili condizioni economiche e sanitarie, e la carestia, contribuivano alla radicalizzazione delle masse di lavoratori nella regione del Carso. Essi organizzavano scioperi chiedendo la fine immediata del conflitto. Quando la guerra finalmente terminò, questi territori si trovavano sotto controllo militare italiano, in teoria fino a quando un accordo internazionale potesse essere raggiunto.
Nel frattempo, spaventate dalla recente Rivoluzione d’Ottobre in Russia, e appoggiate dai paesi imperialisti che volevano dividersi le spoglie della guerra, le classi dirigenti Slovene e Croate creavano il Regno di Serbia, Croazia e Slovenia nel dicembre del 1918 (il nucleo territoriale che nel 1929 divenne poi la Jugoslavia—“Jug” significa “sud”).
I territori nordoccidentali di questo nuovo stato confinavano con l’Italia. Vari trattati (Versailles nel 1919, Rapallo nel 1920) stablilivano la sovranità italiana sulla Venezia Giulia, e anche sulla parte occidentale della Croazia e della Slovenia (Istria e parte della Dalmazia). Diversi gruppi etnici vivevano assieme in quei territori da secoli. Nel primo dopoguerra, i governi italiani, e in particolar modo i fascisti di Mussolini, imposero una politica di pulizia etnica conosciuta come Italianizzazione, mirata a cancellare ogni traccia di cultura slava, considerata barbara e inferiore dai fascisti, e all’imporre l’italiano come lingua e “cultura” ufficiale.
Negli anni venti, le scuole slave della regione furono chiuse; centri culturali bruciati; l’uso delle lingue slovene e croate bandito dalla burocrazia statale e dal sistema giudiziario; nuove leggi limitavano assemblee ed eventi pubblici delle associazioni non-italiane; i nomi furono italianizzati per eliminare qualsiasi apparenza di influenza slavica, e così via. Negli anni trenta, le leggi razziali e anti-semitiche di Mussolini continuavano a distinguere tra gli “italiani puri” e i popoli inferiori.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo i devastanti bombardamenti su Belgrado operati dalla Luftwaffe tedesca, le forze armate italiane, appoggiate da quelle tedesche, ungheresi e bulgare, invasero la Jugoslavia. Il regime di Mussolini prese controllo della Dalmazia, Slovenia (che divenne così la Provincia di Lubiana), Croazia (governata dall’alleato di Mussolini Ante Pavelic, capo della forza fascista Ustascia nota per la sua brutalità) e parte del Montenegro.
La Jugoslavia divenne allora il teatro di molti dei più orrendi crimini di guerra mai commessi. Pochissimi degli ufficiali italiani responsabili furono mai puniti, grazie alla protezione del Vaticano. Infatti, molti dei criminali di guerra entrarono nel più importante partito borghese del dopoguerra: la Democrazia Cristiana. Su una popolazione jugoslava di 16 milioni, quasi 1.400.000 furono uccisi durante la guerra. L’Italia fu responsabile dell’uccisione di almeno 250.000 jugoslavi, la gran parte dei quali morì non sul campo di battaglia, ma durante massacri ed espulsioni di massa.
Il regime fascista di Roma fu direttamente responsabile dell’uccisione, violenza sessuale, tortura, privazione di cibo e mutilazione di migliaia di persone e per aver distrutto centinaia di villaggi. La Seconda Armata guidata dal Generale Roatta fu particolarmente brutale nelle sue tattiche.
Un fatto che è rimasto deliberatamente occulto per decenni è che il regime di Mussolini costruì campi di concentramento sia in Jugoslavia che in Italia. Tennero prigionieri 30.000 croati e sloveni, includendo bambini, donne e anziani, molti dei quali vennero condannati a morte dai tribunali italiani. Deportazioni di massa, torture e incendi dolosi erano usati abitualmente contro l’opposizione incalzante, la quale si organizzava attorno all’Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia guidata da Tito.
L’8 settembre 1943, l’Italia firmava l’Armistizio di Cassabile con il Regno Unito e gli Stati Uniti, cessando ufficialmente le ostilità fra quelle potenze. Questo accordo, tuttavia, non specificava le relazioni fra Italia e Germania. Il fascismo in Italia era ancora vivo e in ottima salute: i tedeschi auitarono Mussolini ad evadere dalla prigione di Campo Imperatore sul Gran Sasso e a fondare la Repubblica Sociale Italiana (RSI) nell’Italia settentrionale alla fine di quel mese, in diretta vicinanza alle aree in questione.
Le ambiguità dell’armistizio, la guerra e la situazione politica in generale contribuirono alla velocità con cui gli eventi si succedettero. Molti sostenitori di Mussolini che appoggiavano la Repubblica di Salò vedevano il patto come un tradimento dei loro alleati tedeschi, continuando quindi una forte presenza fascista.
Il giorno seguente all’armistizio italiano con il Regno Unito e gli USA, l’esercito di Hitler lanciava un’invasione del territorio precedentemente occupato dagli italiani, internando circa 30.000 prigionieri nei campi di concentramento (in particolare la risiera di San Sabba). Le forze armate italiane concessero l’intera regione insieme a migliaia di soldati che vennero eventualmente uccisi o deportati dai tedeschi.
Durante quei giorni di caos e disorientamento, il leader comunista sloveno Edvard Kardelj guidava un contrattacco per distruggere i fascisti. La linea di separazione fra gli italiani e i fascisti era parzialmente offuscata, certamente da decenni di terrore e brutalità. I partigiani e i contadini jugoslavi, a cui si unirono i soldati italiani che erano stati abbandonati dal loro governo e protetti dai partigiani di Tito, catturarono ed uccisero 250-300 italiani, per la maggior parte fascisti, polizia e camicie nere. Fra essi, secondo fonti ufficiali, vi erano donne, bambini ed anziani, possibilmente parenti dei fascisti. I loro corpi venivano infoibati (cioè gettati nelle foibe). Circa 2.000 italiani in totale vennero uccisi nel 1943, includendo uccisioni non correlate alle foibe.
Come indicato dal Resoconto della Commissione Storica e Culturale Sloveno-Italiana pubblicato a gennaio 2000 da un gruppo di storici italiani e sloveni, “le uccisioni erano motivate non solo da fattori nazionali e sociali, ma anche da un desiderio di colpire la classe dirigente locale,” un fatto che l’alleanza di destra dei nostri giorni ed i suoi apologeti vogliono ignorare.
Il secondo episodio delle foibe avvenne nel 1945, subito dopo la resa dei tedeschi. A cominciare dal primo maggio e per le successive sei settimane, i partigiani jugoslavi procedettero all’occupazione della costa adriatica al fine di creare uno stato de facto prima che le forze alleate potessero raggiungere la zona e assoggettarla al loro controllo. I partigiani di Tito lanciarono questa campagna per redimere i territori con l’obiettivo di annettere le aree in questione, ancora popolate prevalentemente da slavi.
Questa campagna consisteva nella persecuzione di chiunque fosse considerato ostile al nuovo stato emergente, la Jugoslavia. Gli eventi deragliarono fuori controllo: l’OZNA (l’agenzia di servizi segreti), l’esercito, bande di croati, serbi, sloveni e persino italiani parteciparono ad un’ondata di repressione contro elementi come gli ustascia, i cetnici, spie, presunti “traditori della lotta popolare”, “disertori del popolo”, “nemici dell’armata popolare” e così via.
Come evidenziato dallo scrittore storico Gianni Oliva nel suo libro La Resa Dei Conti (edizioni Mondadori, 2000), già dal 6 maggio la leadership di Tito aveva avvertito che la situazione stava degenerando ed emise un avviso circa il rischio di atrocità ed uccisioni per vendetta, ammonendo l’OZNA per aver operato irresponsabilmente.
Ma gli eventi si susseguirono ad una velocità vertiginosa: centinaia di persone vennero uccise ed i loro corpi gettati nelle foibe. Testimoni oculari hanno dichiarato che solo cadaveri venivano buttati nelle buche. Ci sono, tuttavia, casi riportati di vittime che sarebbero state infoibate vive. A volte, alcuni venivano fucilati ai margini di una foiba e, nel cadere dentro, trascinavano con loro qualcuno ancora vivo.
Il numero totale di morti durante quei 40 giorni di sangue, secondo gli storici più seri, è stabilito a circa 5.000, 570 dei quali sarebbero stati vittime delle foibe. Il resoconto italo-sloveno di cui sopra dichiara che gli eventi “vennero messi in moto da un’atmosfera di resa dei conti con la violenza fascista; ma, come sembra, procedettero principalmente da un piano preliminare che includeva varie tendenze: azioni volte alla rimozione di persone e strutture che erano in una maniera o l’altra (indipendentemente dalla responsabilità personale) connesse al fascismo, alla supremazia nazista, a collaborazione con lo stato italiano o ad esso stesso, ed azioni volte alla pulizia preventiva di oppositori reali, potenziali o solo sospettati del regime comunista e dell’annessione della Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia.”
Uno degli aspetti reazionari della corrente campagna di destra in Italia sulla questione delle foibe è l’implicazione che le vittime dei “comunisti” sarebbero più significative di coloro morti per mano italiana, tedesca o uccisi dagli Alleati.
Il giornalista Indro Montanelli, in un passato non troppo lontano socio di Berlusconi nella direzione (e proprietà) de Il Giornale, prima della sua morte nel 2001 dichiarava che le vittime durante una guerra, come gli jugoslavi uccisi dalla brutalità fascista, non possono essere paragonate a coloro (gli italiani) i quali venivano uccisi alla fine della guerra. Inoltre, asseriva che l’Italia non ha mai perseguito politiche di pulizia etnica, mentre gli stalinisti jugoslavi sarebbero colpevoli di tale crimine.
Riguardo quest’ultimo punto, Montanelli mostrò semplicemente la sua simpatia per il fascismo quando dichiarava che la campagna di Italianizzazione di Mussolini negli anni ’20 e ’30 e le leggi razziali e antisemite implementate nei tardi anni ’30 in realtà non sono mai successe.
In ultima analisi, l’azione del parlamento italiano nell’istituire il cosiddetto “Giorno del Ricordo” nazionale è un tentativo della classe dirigente, in concerto con i mass media e certi intellettuali, di falsificare la storia al fine di giustificare il suo losco programma attuale. La legittimizzazione del retaggio fascista e la sua brutalità dovrebbero servire alla classe lavoratrice come un serio allarme sul vero stato delle relazioni di classe della “democrazia” italiana.


Non c'è che dire. Nonostante scoperte e palesi inesattezze (accostare il PDS allo stalinismo...) ed una sensibile dose di approssimazione, l'articolo rappresenta una confutazione tanto puntuale quanto ovvia della vulgata "occidentalista", tesa a decontestualizzare la questione-foibe e a presentarne gli esiti come dovuti alla gratuita e metafisica crudeltà yugoslava e comunista, due categorie cui si ascrive l'esclusiva della propensione allo sterminio.
L'enumerazione degli eventi e delle responsabilità che hanno preceduto gli esiti di una condotta bellica semplicemente inqualificabile toglie dal tappeto la questione della decontestualizzazione, apertamente denunciata nelle prime righe di uno scritto assolutamente privo di valutazioni negative nei confronti delle vittime, la cui distribuzione in una scuola rischia però di danneggiare l'impatto che la propaganda governativa deve avere sulle generazioni più giovani trattando il "Giorno del Ricordo" per quello che è.
A questo proposito le affermazioni gazzettaie di Francesco Torselli, un "occidentalista" già noto ai nostri lettori per la stima espressa nei confronti dell'antisemita rumeno Corneliu Zelea Codreanu, secondo lui un imprescindibile "riferimento comunitario" per i giovani sudditi dello stato che occupa la penisola italiana, non si saprebbe dire se siano più divertenti o più rivelatrici. "Agli alunni di terza media si definisce il Giorno del Ricordo come una commemorazione neofascista spiegando che questa ricorrenza è stata voluta dal governo di centrodestra al fine di diffondere una campagna nazionalista ed anticomunista e giò questo sarebbe più che sufficiente per far accapponare la pelle".
Non si capisce perché mai la presa d'atto di una realtà evidente dovrebbe far accapponare la pelle. A Firenze anche l'ultima commemorazione del 10 febbraio ha visto la partecipazione pressoché esclusiva di attivisti politici di estrema destra che hanno avuto cura di presentarsi nel modo più coreografico possibile, con qualche presenza istituzionale ad allungar la broda. Un motivo dovrà pur esserci.
Prosegue Torselli: "L'indottrinamento che evidentemente si è cercato di fare a danno dei poveri alunni della Scuola Media Botticelli di Firenze assume presto toni peggiori arrivando a definire "leader neofascista" il Presidente della Camera dei Deputati, ovvero la terza carica dello stato, e filistei del governo Berlusconi tutti coloro che parlano di furia del comunismo di Tito per denunciare la barbara pulizia etnica compiuta a danno del cittadini italiani delle terre istriano-dalmate e giullane".
Bene, prendiamo atto del fatto che quanto successo è la cosa peggiore che possa capitare ad un tredicenne, e passiamo oltre. Nel 2006 Gianfranco Fini era segretario di un partito che non faceva alcun mistero della volontà di rivendicare e diffondere l'eredità del Movimento Sociale e che si beava, nella propria propaganda, di aver trasmesso certi concetti e certi "ideali" alla maggioranza del corpo elettorale. In considerazione dei "valori" sbandierati dai settori di opinione pubblica che abbiamo visto coi nostri occhi partecipare alle commemorazioni di febbraio, sostanzialmente dedite all'ostentazione monocorde di un anticomunismo da stadio, la definizione usata da Wells è se mai fin troppo generosa.
Va anche rimarcato che negli ultimi tempi Gianfranco Fini, colpevole di essersi sia pur minimamente discostato dal servilismo piccino, dalla riverenza fideistica e dalla cattiveria spicciola da quindicenne con le mestruazioni che nel piddì con la elle vengono considerati gli unici atteggiamenti desiderabili, è quotidianamente oggetto di bordate continue da parte del gazzettaio "occidentalista" più schierato.
La "furia del comunismo di Tito" rappresentò il prezzo, in proporzione incommensurabilmente più basso di quello pagato da altri, per l'essersi cacciati in una tragedia mondiale con l'avventatezza cialtrona e la supponenza da "razza superiore" che il propagandismo "occidentalista" tenta da decenni di rimuovere almeno dalla divulgazione storica più fruibile, ma che erano ben presenti nella memoria dei sudditi che vennero spediti nelle pianure russe con piccozze e ramponi o nell'inverno albanese con le divise estive.
L'ultima frase di Francesco Torselli abbisogna di una vera e propria traduzione. Laddove si afferma che "Non riusciamo ancora a capire se sia più ignobile quanto scritto in questi fogli o il fatto che gli stessi siano stati distribuiti a dei ragazzini, spacciando una raccapricciante propaganda ideologica per verità storica" va invece inteso "Siamo consapevolissimi dell'estensione e della pervasività delle barzellette che raccontiamo a giornate intere; d'altronde ne va della nostra poltrona quindi cercate di capirci; solo che ci dà fastidio da morire quando qualcuno osa metterle in discussione; farsi ridere in faccia non è il massimo della vita".
Gli "occidentalisti" di quartiere promettono fuoco e fiamme.
Di carta.
Lettere a tutto e a tutti, risoluzioni urgenti di condanna da presentare in consiglio comunale, e invio del materiale al Ministero della Pubblica Istruzione... che non esiste più, dal momento che, per volere "occidentalista", la sua denominazione è cambiata da anni in quella di "Ministero dell'Istruzione".
La pratica politica "occidentalista" in casi come questo riesce ad esprimere il meglio della propria prassi abituale: incompetenza, malafede e cialtroneria si compendiano in un atto delatorio che nell'epoca di internet e della diffusione capillare di ogni genere di informazione -non solo di quella propagandistica, purtroppo per loro- vorrebbe tradursi in interventi censori. La cosa è tanto più rivelatrice se pensiamo che sono voci dello stesso coretto a ripetere ecoicamente ogni giorno accuse continue nei confronti della Repubblica Islamica dell'Iran, tratte di peso da quella propaganda "occidentalista" che da trent'anni prepara il terreno ad una guerra d'aggressione.
Non solo la coerenza, ma anche la decenza vorrebbero che si facesse un utilizzo meno sfacciato di quelle armi il cui uso viene costantemente rimproverato al nemico propagandistico del giorno.
Il problema di fondo è dato dal fatto che nessuno dei due vocaboli, per l'"occidentalismo" contemporaneo, ha alcun significato, mentre l'essenza della weltanschauung "occidentalista" consiste proprio nel chiamare "libertà" una situazione in cui chi tratta propaganda e menzogne con il disprezzo che meritano deve vedersela con la polizia politica, ed in cui quella propensione alla delazione che in tempi più normali portava al disprezzo generalizzato -e nelle circostanze peggiori direttamente al muro- diventa una pratica lodevole ed abituale.