10 luglio 2025

Alastair Crooke - Iran. Trump voleva una guerra perfetta e una vittoria sensazionale: il suo è il "Paese delle performance"...



Traduzione da Strategic Culture, 8 luglio 2025.

"A seconda di chi risponde alla domanda, il bombardamento statunitense degli impianti nucleari iraniani a Fordow, Natanz e Isfahan è stato un successo clamoroso che ha gravemente compromesso il programma nucleare di Tehran oppure un vistoso fuoco di paglia i cui risultati sono stati inferiori alle aspettative... Nel quadro generale, tutto questo non è altro che una recita".
Michael Wolff ha scritto quattro libri su Trump; a suo parere la questione principale, seconda solo a cosa succederà in Iran e a come gli iraniani potrebbero reagire, è data da come reagiranno quelli del MAGA.
E penso che [Trump] sia sinceramente preoccupato, [sottolinea Wolff]. Credo proprio che dovrebbe esserlo. Ci sono due temi essenziali agli occhi di questa coalizione: l'immigrazione e la guerra. Tutto il resto non è intoccabile e può essere oggetto di compromesso. Ma non è certo che su questi due temi siano possibili compromessi.
Il segnale lanciato da Hegseth ("non siamo in guerra con il popolo iraniano, ma solo con il suo programma nucleare") riflette chiaramente un messaggio che di fronte alla reazione dei MAGA ha perso ardimento: "Non fateci caso. Non stiamo davvero facendo la guerra"; ecco cosa stava cercando di dire Hegseth.
Quindi cosa succederà? Ci sono fondamentalmente quattro possibilità: la prima è che gli iraniani dicano "Va bene, ci arrendiamo", ma questo non succederà. La seconda è quella di una guerra prolungata tra Iran e stato sionista, con lo stato sionista che continuerà a subire attacchi mai subiti prima d'ora. La terza è il tentativo di rovesciare la Repubblica Islamica, anche se una cosa del genere non è mai successa in seguito ai soli attacchi aerei. Storicamente, iniziative del genere per mano degli statunitensi si sono sempre svolte in un contesto fatto di massacri, periodi di instabilità lunghi molti anni, terrorismo e caos.
Infine, c'è chi avverte che sarebbe in ballo un Armageddon nucleare con l'obiettivo di distruggere l'Iran. Ma sarebbe un caso di autolesionismo, poiché con esso arriverebbe probabilmente anche l'Armageddon di Trump alle elezioni di metà mandato.
“Mi spiego meglio”, dice Wolff:
Ho fatto molte telefonate, quindi credo di avere un'idea del percorso che ha portato Trump al punto in cui siamo [quello degli attacchi all'Iran]. Le telefonate sono uno dei principali metodi con cui cerco di capire cosa sta pensando (uso il termine "pensare" in senso lato).
Parlo con persone con cui Trump ha parlato al telefono. Voglio dire, l'organizzazione cognitiva di Trump è completamente esterna, e si manifesta in una serie continua di telefonate. Ed è piuttosto facile da seguire, perché Trump dice la stessa cosa a tutti. Quindi è un continuo ripetersi...
In sostanza, quando lo stato sionista ha attaccato l'Iran, lui si è eccitato molto e le sue telefonate erano tutte ripetizioni di un unico refrain: "Vinceranno? È una mossa vincente? È finita? Sono così bravi! È davvero uno spettacolo".
Quindi, ancora una volta, siamo nel mondo dello spettacolo. Questo è un palcoscenico e il giorno prima che attaccassimo l'Iran le sue telefonate ripetevano costantemente: Se lo facciamo, deve essere perfetto. Deve essere una vittoria. Deve sembrare perfetto. Nessuno deve morire.
Trump continua a dire ai suoi interlocutori: "Arrivamo, giù bombe e via! Una gran giornata. Una grande giornata, vogliamo. Vogliamo (eccoci, dice Wolff) una guerra perfetta". Poi, all'improvviso, Trump ha annunciato un cessate il fuoco che secondo Wolff "ha segnato la fine della guerra perfetta di Trump".
E così, all'improvviso, con lo stato sionista e l'Iran che sono sembrati proprio collaborare a mettere in scena questo perfetto film di guerra, "Trump si infastidisce, perché proprio perfetto non è".
Wolff continua:
Trump, a quel punto, era già entrato nel ruolo di uno che dice che "questa è la sua guerra". La sua guerra perfetta. Un drammone televisivo della più bell'acqua, una guerra che è servita per tirare fuori un titolo. E il titolo è ABBIAMO VINTO. Ora comando io e tutti faranno quello che gli dico io. Quello che abbiamo visto in seguito è stato il manifestarsi della sua frustrazione per come è andato a finire il drammone con il titolo eccezionale: nessuno sta facendo quello che lui dice.
Quali sono gli sviluppi di più ampia portata di questo episodietto? Beh, Wolff per esempio ritiene improbabile che Trump venga risucchiato in una guerra lunga e complicata. Perché? "Perché Trump, semplicemente, non ha la capacità di attenzione necessaria. È così. Ha già chiuso: arriva, giù bombe e via".
Nelle considerazioni di Wolff si trova un punto fondamentale da afferrare, per coglierne il più ampio significato strategico: Trump è avido di attenzione. Pensa in termini di titoli da generare, ogni giorno, ma non necessariamente alle politiche che derivano da quei titoli. Cerca il dominio quotidiano dei titoli e per questo vuole definirli attraverso un atteggiamento retorico, modellando la "realtà" per darne una sua "interpretazione" spettacolare in linea col suo stile.
I titoli diventano quindi, per così dire, la materia dell'iniziativa politica. Poi possono svilupparsi in politiche vere e proprie, oppure no.
Al contrario di quello che pensa Wolff, per Trump non sarà facile cavarsela togliendo semplicemente l'Iran da sotto i riflettori, nonostante egli sia capace di prove magistrali quando si tratta di trovare nuovi terreni di contesa. Fondamentalmente Trump si è impegnato a rispettare i sottolitoli per cui "L'Iran non avrà mai la bomba". Si noti che Trump non ha definito la questione in termini politici e si è anzi lasciato margini di manovra per una possibile rivendicazione di vittoria in un secondo momento.
Tuttavia c'è un altro punto fondamentale: l'attacco dello stato sionista all'Iran del 13 giugno avrebbe dovuto far crollare la Repubblica Islamica dell'Iran come un castello di carte. Questo si aspettava lo stato sionista, e chiaramente questo era quello che si aspettava anche Trump: "[Le telefonate di Trump alla vigilia dell'attacco a sorpresa dello stato sionista] erano tutte ripetizioni di un unico refrain: "Vinceranno? È una mossa vincente? È finita? Sono così bravi! È davvero uno spettacolo". Insomma, Trump aveva messo in conto il possibile crollo dello Stato iraniano.
Beh... no. Nessuna fine dei giochi. Nello stato sionista si staranno anche abbracciando gli uni con gli altri emozionati per la pièce teatrale del Mossad del 13 giugno, per la "professionalità" delle decapitazioni guidate dal Mossad, per gli omicidi di scienziati, per gli attacchi informatici e per i sabotaggi. Il Mossad è acclamato da molti nello stato sionista, ma si è trattato solo di successi tattici.
L'obiettivo strategico, il fine ultimo, è stato un fallimento: il castello di carte non solo non è crollato, ma ha reagito vigorosamente. Invece di indebolire la Repubblica Islamica dell'Iran, l'attacco è riuscito ad incendiare il sentimento nazionale sciita e iraniano. Ha ridato vigore a un fervore e a una passione nazionale che erano in gran parte sopiti. L'Iran in futuro sarà più risoluto.
Quindi, se l'attacco dello stato sionista del 13 giugno non ha avuto successo, perché mai le cose dovrebbero andare meglio in un secondo tentativo che troverebbe l'Iran prontissimo a reagire? Contro l'Iran Netanyahu potrebbe preferire una lunga guerra di logoramento che contribuisca alla "grande vittoria in cui spera. Ma Netanyahu adesso non può lasciarsi andare a illusioni del genere (né lo stato sionista può sopravvivere a una guerra di logoramento) senza un aiuto sostanziale da parte degli Stati Uniti (che potrebbe anche non arrivare).
Tuttavia, l'atteggiamento vistosamente ansioso (descritto anche dagli interlocutori di Wolff) di Trump nei confronti degli esiti più o meno rapidamente vittoriosi dell'attacco a sopresa sferrato dallo stato sionista è un indice del suo temperamento: "È una mossa vincente? È finita? Deve essere una vittoria: deve sembrare perfetta! Arrivamo, giù bombe e via!".
Questo modo di fare petulante rivolto al suo entourage denota più una mancanza di fiducia in se stesso che la volontà –o la capacità di concentrazione– necessarie a un lungo scontro privo di un ben definito momento in cui si possa dichiarare la fine dei giochi.
Inoltre, Trump sarà preoccupato -e con buoni motivi- degli effetti di una lunga guerra sulla sua base MAGA, così come sui suoi giovani elettori (che stanno già cominciando ad allontanarsi da lui, come suggeriscono i sondaggi centrati su di essi). La maggioranza di Trump in entrambe le Camere è incredibilmente precaria. Trecento milioni di dollari potrebbero ribaltare la situazione, in un senso o nell'altro.
Occorre ricordare anche un secondo dato di fondamentale importanza. Lo stato sionista è stato attaccato in un modo mai visto prima. A tutt'oggi lo stato sionista nasconde l'estensione dei danni inflittigli dai missili iraniani ma anche i suoi esperti in materia di sicurezza, man mano che prendono atto dell'entità dei danni causati al Paese, stanno arrivando all'amara conclusione che distruggere il “programma” iraniano con mezzi militari potrebbe essere impossibile. Sempre che si riesca a farlo, sarà solo tramite accordi diplomatici di qualche tipo.
Anche il rovesciamento della Repubblica Islamica si è rivelato una chimera. L'Iran non è mai stato così unito e risoluto come lo è oggi. Persino la minaccia di uccidere la Guida Suprema ha avuto l'effetto diametralmente opposto. Quattro autorità religiose sciite (Marja'iyya) -tra cui il celebre Grande Ayatollah Sistani in Iraq- hanno emesso sentenze per cui qualsiasi attacco alla Guida Suprema renderebbe valida una fatwa di jihad che obbligherebbe tutta la Ummah (comunità dei credenti) a unirsi alla guerra religiosa contro l'AmeriKKKa e contro lo stato sionista.
I negoziati tra Stati Uniti e Iran sembrano lontani dal raggiungere un accordo. La AIEA si è resa protagonista del problema, invece di contribuire in qualche modo alla soluzione. L'attenzione di Trump per la questione di un cessate il fuoco in Ucraina sembra si stia affievolendo, e anche per l'Iran alla fine il risultato potrebbe essere lo stesso: quello di lunghi negoziati che non portano a nulla, mentre l'Iran riprende silenziosamente il suo programma di arricchimento. E presumibilmente lo stato sionista scaglierà altri attacchi contro l'Iran, provocandone l'inevitabile risposta e una escalation.

08 luglio 2025

Brian McGlinchey - Gli incredibili costi del sostegno statunitense allo stato sionista



Traduzione da Stark Realities, 6 luglio 2025.

Se qualcuno gli chiedesse quanto costa il sostegno governativo allo stato sionista, uno statunitense potrebbe rispondere che si tratta di tre miliardi e ottocento milioni di dollari all'anno. A tanto ammontano gli aiuti militari che gli Stati Uniti si sono impegnati a versare in base all'attuale memorandum di intesa di durata decennale. Questa risposta tuttavia sottovaluta enormemente il vero costo dei rapporti con lo stato sionista, non solo perché non tiene conto delle varie e ingenti spese che ne derivano, ma soprattutto perché quelli che sono davvero i costi più alti non si possono misurare in dollari.
Lo stato sionista è stato di gran lunga il principale destinatario degli aiuti statunitensi fin dalla sua fondazione nel 1948. Se non consideriamo la breve eccezione dovuta alla guerra in Ucraina, lo stato sionista è generalmente il primo della lista ogni anno nonostante sia uno dei paesi più ricchi del mondo, al terzo posto dopo il Regno Unito e al secondo dopo il Giappone in termini di PIL pro capite. A riprova di ciò, anche prendendo in considerazione la cifra largamente sottostimata di tre miliardi e ottocento milioni di dollari per gli stanziamenti statunitensi a favore dello stato sionista, l'AmeriKKKa ha dato allo stato sionista 404 dollari pro capite nell'anno fiscale 2023, contro i soli quindici dollari pro capite elargiti all'Etiopia, uno dei paesi più poveri della Terra e terzo beneficiario dei fondi statunitensi per lo stesso anno (fonte: Council on Foreign Relations).
Dai tempi della seconda guerra mondiale lo stato sionista ha ottenuto quasi il doppio del secondo beneficiario, che è l'Egitto. Quello che la maggior parte degli statunitensi non capisce, tuttavia, è che gran parte delle somme destinate all'Egitto –nel 2023 un miliardo e quattrocento mlioni di dollari– dovrebbero essere considerate come assegnate anche allo stato sionista, dato il perpetuarsi degli oneri che gli accordi di Camp David del 1978 comportarono per gli USA come mediatori per la pace tra Egitto e stato sionista. Lo stesso vale per la Giordania, quarto beneficiario degli Stati Uniti per l'anno fiscale 2023 con un miliardo e settecento milioni di dollari. Gli aiuti statunitensi al Regno sono aumentati dopo la firma del trattato del 1994 con lo stato sionista; una parte degli aiuti alla Giordania serve ad affrontare il problema dei numerosi rifugiati, che comprendono non solo i palestinesi sfollati a seguito della creazione dello stato sionista, ma anche le masse fuggite dalle guerre dirette alla sovversione di questo o quel Paese condotte dagli Stati Uniti per conto dello stato sionista.
Oltre a tutto questo, vanno considerati gli ulteriori fondi diretti allo stato sionista che il Congresso autorizza di quando in quando, in ulteriore aggiunta a quanto previsto dal suddetto memorandum d'intesa. Dal 7 ottobre, data dell'attacco di Hamas contro lo stato sionista, queste cifre supplementari hanno superato di gran lunga l'impegno previsto nel memorandum. Solo nel primo anno della guerra a Gaza il Congresso e il presidente Biden hanno approvato ulteriori quattordici miliardi e cento milioni di dollari in aiuti militari "di emergenza" a favore dello stato sionista, portando il totale per quell'anno a diciassette miliardi e novecento milioni di dollari. Bisogna anche considerare il fatto che, dato che il governo degli Stati Uniti accumula incessantemente deficit che superano ormai di gran lunga i mille miliardi di dollari, ogni spesa marginale, compresi gli aiuti allo stato sionista, viene finanziata ricorrendo al debito. Debito che comporta interessi passivi e che quindi provoca l'aumento del carico fiscale e dell'inflazione per i cittadini statunitensi.
Oltre ai fondi concessi direttamente allo stato sionista, il governo statunitense stanzia ingenti somme in attività destinate a favorire lo stato sionista o legate a sue iniziative. Ad esempio, solo nel primo anno della guerra contro Gaza dopo il 7 ottobre, l'aumento delle operazioni offensive e difensive della Marina statunitense nel teatro mediorientale è costato agli USA circa quattro miliardi e ottocentosessanta milioni di dollari.
Le spese legate alla guerra a Gaza non solo sono continuate, ma sono anche aumentate. Ad esempio all'inizio del 2025 il Pentagono ha intrapreso una serrata campagna contro gli Houthi dello Yemen. In risposta alla sistematica distruzione di Gaza da parte dello stato sionista, gli Houthi hanno preso di mira lo stato sionista e le navi che secondo loro avevano a che vedere con esso. In risposta, l'AmeriKKKa ha scatenato l'Operazione Rough Rider, che ha spesso contemplato il ricorso a missili da due milioni di dollari contro droni Houthi che ne costano diecimila, per una cifra compresa tra uno e due miliardi.
Gli attacchi militari del Presidente Trump contro gli impianti nucleari iraniani -nel contesto di una guerra iniziata dallo stato sionista con pretesti campati in aria- sono costati agli USA ulteriori uno o due miliardi di dollari, secondo le prime stime. Anche prima dell'attacco contro un programma nucleare che la comunità dell'intelligence statunitense continua a ritenere non finalizzato alla produzione di armi, il Pentagono stava già spendendo ancora più soldi dietro allo stato sionista, collaborando alla difesa del Paese contro la risposta dell'Iran alla sua immotivata aggressione. La fase preparatoria degli attacchi statunitensi ha comportato una mobilitazione massiccia e costosa di uomini e mezzi statunitensi nella regione, mentre il Pentagono si preparava a diversi possibili scenari.


Un marine commosso durante una cerimonia commemorativa tenutasi in Iraq nel 2005
in onore di trentun uomini uccisi in un solo giorno (Anja Nedringhaus/AP).

 Naturalmente la più famigerata impresa diretta a sovvertire un Paese è stata l'invasione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003. "Se eliminate Saddam, vi garantisco che ci saranno enormi ripercussioni positive sulla regione", assicurò l'attuale Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu durante un'audizione al Congresso degli Stati Uniti. Facendo la sua parte per aiutare l'amministrazione Bush -dominata da neoconservatori allineati con lo stato sionista e determinati a eliminare uno dei suoi avversari regionali, Netanyahu disse anche che non c'era "alcun dubbio" che Hussein fosse "decisto a sviluppare un'arma nucleare". Il rovesciamento del governo siriano di Assad, alleato dell'Iran, è un altro esempio lampante di sovvertimento a favore dello stato sionista. USA e stato sionista avevano l'intenzione di spezzare la "mezzaluna sciita" che, grazie soprattutto alla cacciata di Saddam, rappresentava un canale diretto per l'influenza iraniana che si estendeva fino ai confini dello stato sionista. Con grande soddisfazione dei governi statunitense e sionista, la Siria è oggi guidata da un ex membro di al Qaeda che, secondo quanto riferito, sarebbe pronto a rinunciare alla rivendicazione di lunga data della Siria sulle alture del Golan, conquistate dallo stato sionista nel 1967.
Secondo il Costs of War Project della Brown University, il costo totale delle operazioni militari statunitensi in Iraq e Siria, comprese le cure mediche e l'assistenza ai veterani per invalidità passate e future, ammonta a duemilanovecento miliardi di dollari. Il bilancio umano è ancora più sconcertante: oltre cinquecentoottantamila vittime fra civili e combattenti. Il numero delle vittime indirette a causa di sfollamenti, malattie e altri fattori è forse due o quattro volte tanto. Più di quattomilaseicento militari statunitensi sono morti in Iraq. I feriti -molti dei quali hanno subito amputazioni e ustioni- sono trentaduemila. Oltre a tanto colossali sofferenze, questi e gli altri interventi intrapresi dagli USA per garantire la supremazia regionale dello stato sionista hanno fomentato un enorme risentimento nei confronti degli Stati Uniti in tutta la regione.
Questo risentimento contribuisce ad alimentare un altro enorme debito che lo stato sionista ha contratto verso gli Stati Uniti: qualsiasi valutazione approfondita dei costi del rapporto tra i due Paesi deve prendere in considerazione il fatto che il sostegno degli Stati Uniti verso lo stato sionista è uno dei principali motori del terrorismo islamico contro gli statunitensi. Non esiste esempio più lampante in proposito dei fatti dell'11 settembre.


 Il soldato Brendan Marrocco ha perso tutti e quattro gli arti in un attentato tramite bomba a bordo strada,
avvenuto in Iraq nel 2009. (Ruth Fremson per il New York Times, tramite 
NBC News).

La rabbia per l'appoggio statunitense verso lo stato sionista è stata una delle principali motivazioni di Al Qaeda, da Osama bin Laden fino ai dirottatori.
Nella sua dichiarazione di guerra contro gli Stati Uniti del 1996, Bin Laden citò il primo massacro di Qana, in cui lo stato sionista uccise 106 civili libanesi che avevano cercato rifugio in un compound delle Nazioni Unite. Egli affermò che i giovani musulmani "ritengono [gli Stati Uniti] responsabili di tutti gli omicidi... commessi dai vostri fratelli sionisti in Libano; voi li avete apertamente riforniti di armi e finanziamenti".
Bin Laden disse che l'idea di colpire i grattacieli negli USA gli era venuta dopo aver assistito alla distruzione di alcuni complessi residenziali in Libano da parte dello stato sionista nel 1982.
La Commissione sull'11 settembre affermò che "l'ostilità verso gli Stati Uniti del mandante Khalid Sheikh Mohammed non derivava dalla sua esperienza di studente in quel Paese, ma piuttosto dal suo violento dissenso nei confronti della politica estera statunitense, favorevole allo stato sionista".
Mohammed Atta, capo dei dirottatori dell'11 settembre, firmò il suo testamento il giorno in cui lo stato sionista iniziò l'operazione "Grapes of Wrath" (Furore) contro il Libano nel 1996. Un amico disse che Atta era furioso e che fece di quel testamento un mezzo per dedicare la sua vita alla causa.
Un conoscente del pilota dirottatore Marwan al-Shehhi gli chiese perché né lui né Atta avessero mai riso. "Come si può ridere quando in Palestina muoiono delle persone?", fu la sua risposta.
Riguardo alle motivazioni dei dirottatori dell'11 settembre, l'agente speciale dell'FBI James Fitzgerald disse alla Commissione sull'11 settembre: "Credo che siano furibondi vereso gli Stati Uniti. Si identificano con il problema palestinese... e credo che tendano a concentrare la loro rabbia sugli Stati Uniti".


Gli attentati dell'11 settembre hanno causato la morte di 2.977 persone, provocato circa cinquanta miliardi di dollari di danni liquidati dalle assicurazioni e dato il via alla guerra globale al terrorismo degli Stati Uniti. Oltre ad essere stato utilizzato come falso pretesto per invadere l'Iraq per conto dello stato sionista, l'11 settembre ha spinto gli Stati Uniti a invadere l'Afghanistan e a intraprendere la successiva missione suicida durata vent'anni, che ha causato la morte di 2.459 soldati statunitensi (su un totale di centosettantaseimila effettivi) ed è costata duemilatrecento miliardi di dollari.
Dobbiamo ora chiederci terrorizzati quale prezzo potremmo trovarci a pagare a causa dei terroristi che saranno spinti ad agire dal sostegno degli Stati Uniti alla sanguinosa violenza dello stato sionista contro Gaza, che ha ucciso più di cinquantaseimila persone -più della metà delle quali donne e bambini- e ha deliberatamente reso gran parte del territorio inabitabile.
Morte e distruzione arrivano dalle armi fornite dagli Stati Uniti, dai caccia F-15, F-16 e F-35 agli elicotteri d'attacco Apache, alle munizioni di precisione, fino ai proiettili di artiglieria e ai fucili. Nessuna arma ha avuto un ruolo più importante nel bilancio scioccante delle vittime civili e nella catastrofica distruzione fisica delle bombe MK-84 da duemila libbre fornite dagli Stati Uniti, che hanno un raggio letale fino a 1.198 piedi. Anche dopo che gli osservatori esterni erano rimasti esterrefatti a fronte del ricorso a queste bombe da parte dello stato sionista in aree densamente popolate, il governo degli Stati Uniti è andato avanti con le forniture.
Se tanta morte e tanta distruzione non fossero incentivi sufficienti a meditare vendette devastanti contro chi sostiene lo stato sionista, c'è anche il fatto che soldati sionisti depravati hanno utilizzato i social media per riprendersi mentre demolivano allegramente interi quartieri residenziali, devastavano negozi, spaccavano giocattoli e beni personali e, secondo un vezzo diffusosi in modo inquietante, sfoggiavano biancheria femminile appartenente a donne palestinesi sfollate. Da sempre politici, opinionisti e cittadini dello stato sionista sostengono apertamente la pulizia etnica, la messa alla fame e altri crimini di guerra. La scorsa settimana diversi soldati sionisti hanno confermato che -su ordine dei superiori- le truppe hanno regolarmente utilizzato armi letali, compresi proiettili di artiglieria, come barbaro sistema per controllare la ressa nei punti di distribuzione degli alimenti. Se un giorno degli ameriKKKani innocenti saranno vittime di terroristi che cercano di vendicare l'orrore inflitto a due milioni di uomini, donne e bambini di Gaza per mezzo di armi fornite dagli Stati Uniti, aspettatevi che l'accaduto alimenti una dinamica perversa per cui lo si accamperà come motivo per raddoppiare il sostegno statunitense allo stato sionista. Si tratta di manipolazioni efficaci, il che rende gli atti terrroristici contro gli USA una vera manna per lo stato sionista. Riflesso di questa dinamica oscura all'indomani dell'11 settembre, il fatto che Netanyahu sembrava faticare a contenere il suo entusiasmo mentre parlava al New York Times:
Alla domanda su cosa significasse l'attacco per le relazioni tra Stati Uniti e stato sionista Benjamin Netanyahu, ex Primo Ministro, ha risposto: "È una cosa molto positiva". Poi si è corretto: "Beh, no, non una cosa molto positiva. Ma genererà immediata simpatia".
Questo fenomeno che si autoalimenta, per cui il terrorismo motivato dal sostegno degli USA allo stato sionista viene utilizzato per promuovere lo stesso sostegno degli USA allo stato sionista, non è l'unico esempio del distorto modo di pensare che sovrintende alle relazioni tra i due Paesi. L'approccio ameriKKKano al Medio Oriente è dominato da un circolo vizioso di cui lo stato sionista è il centro. Ad esempio, agli statunitensi viene raccontato che lo stato sionista è un alleato fondamentale perché funge da baluardo contro l'Iran, e che l'AmeriKKKa ha bisogno di un baluardo contro l'Iran perché esso è un nemico dello stato sionista.


All'indomani dell'11 settembre, gli iraniani organizzarono una veglia a lume di candela in piazza Mohseni a Tehran
per esprimere le proprie condoglianze al popolo statunitense.

In una delle numerose osservazioni sul conto dello stato sionista che a giugno lo hanno portato a essere sollevato dall'incarico di capo della sezione "Levante ed Egitto" dello Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, il colonnello dell'esercito Nathan McCormack ha riassunto così la situazione:
Lo stato sionista è il nostro "alleato" peggiore. L'alleanza con lo stato sionista non ci frutta altro che l'inimicizia di milioni di persone in Medio Oriente, in Africa e in Asia.
A poco a poco questa consapevolezza si sta diffondendo in tutto il corpo sociale negli USA. I cittadini hanno fatto caso a come lo stato sionista si sta comportando a Gaza, stanno facendo attenzione come mai prima d'ora al conflitto tra stato sionista e palestinesi, e guardano con sempre maggiore diffidenza ai tentativi dello stato sionista di trascinare gli Stati Uniti in un altro grande conflitto scatenato sulla base di menzogne. Quest'ultimo aspetto ha una risonanza particolare per gli innumerevoli veterani di guerra statunitensi che sono giunti alla terribile conclusione di essersi sacrificati in fin dei conti, loro e i compagni caduti, a vantaggio di un governo straniero e a scapito della sicurezza degli USA.
All'inizio di quest'anno, Pew Research ha scoperto che la maggioranza degli statunitensi ha adesso un'opinione negativa dello stato sionista. Uno dei cambiamenti più sconcertanti si osserva all'interno di quello che è il più forte bastione di sostegno dello stato sionista: il Partito Repubblicano. A far presagire un ulteriore deterioramento della reputazione dello stato sionista ci sono i sentimenti negativi nei confronti di esso espressi da repubblicani sotto i cinquant'anni, che in soli tre anni sono aumentati di quindici punti. La metà di loro ha oggi un'opinione negativa dello stato sionista.
Nel 2010 Meir Dagan, all'epoca a capo del Mossad, avvertì nel corso di una audizione alla Knesset che "lo stato sionista sta gradualmente passando dall'essere una risorsa per gli Stati Uniti a rappresentare un peso". Quindici anni dopo, il fatto che lo stato sionista sia per il popolo statunitense un peso enorme, e che lo sia sotto vari aspetti, è più evidente che mai.

05 luglio 2025

Alastair Crooke - Cosa vuol dire vincere?



Traduzione da
Strategic Culture, 1 luglio 2025.


Da un certo punto di vista l'Iran ha chiaramente "vinto". Trump sarebbe voluto arrivare al trionfo di una splendida "vittoria" in stile reality show. L'attacco di domenica 29 giugno ai tre siti nucleari è stato infatti proclamato a gran voce da Trump e da Hegseth come tale: hanno affermato di aver "annientato" il programma nucleare iraniano per l'arricchimento dell'uranio. "Distrutto completamente", insistono.
Solo che... non è andata così: l'attacco ha causato qualche danno superficiale. Forse. E sembra che sia stato concordato in anticipo con l'Iran tramite intermediari, per essere una faccenda da una botta e via. Per Trump questo del concordare le cose in anticipo è un modo di fare abituale. È stato così in Siria, nello Yemen e persino nel caso dell'assassinio di Qassem Soleimani; tutte cose fatte perché Trump potesse avere una rapida "vittoria" mediatica.
Il cosiddetto "cessate il fuoco" che ha rapidamente fatto seguito -sia pure con qualche intoppo- agli attacchi statunitensi è stato una "cessazione delle ostilità" messa insieme in fretta e furia, e non un cessate il fuoco, poiché non ne sono stati concordati i termini. È stata una "soluzione provvisoria". Il che significa che l'impasse nei negoziati tra l'Iran e Witkoff resta al punto di prima.
La Guida Suprema ha ribadito con forza la posizione dell'Iran: "Nessuna resa", l'arricchimento prosegue, e gli Stati Uniti devono lasciare la regione e non immischiarsi negli affari iraniani.
Insomma, dal punto di vista positivo dell'analisi costi-benefici, l'Iran dispone probabilmente di un numero sufficiente di centrifughe e di 450 kg di uranio altamente arricchito, e nessuno (tranne l'Iran) sa adesso dove sia nascosto tutto quanto. L'Iran riprenderà ad arricchire uranio. Un secondo vantaggio per l'Iran è che l'AIEA e il suo direttore generale Grossi hanno violato in modo così eclatante la sovranità iraniana che l'Agenzia sarà molto probabilmente cacciata dal Paese. L'Agenzia è venuta meno alla sua principale responsabilità, che era quella di salvaguardare i siti in cui era presente uranio arricchito.
I servizi segreti statunitensi ed europei perderanno così gli occhi di cui disponevano sul terreno, e dovranno rinunciare alla raccolta di dati tramite l'intelligenza artificiale della AIEA da cui probabilmente dipendeva in larga misura l'identificazione degli obiettivi da parte dello stato sionista.
Ed ecco la questione dei costi; sul piano militare l'Iran ha ovviamente subito danni materiali, ma ha mantenuto le sue potenzialità missilistiche. La narrativa degli USA e dello stato sionista per cui i cieli iraniani sarebbero "ampiamente aperti" per l'aviazione dello stato sionista non è che l'ennesima balla messa in piedi per sostenere la "narrazione vincente".
Come osserva Simplicius: "Non disponiamo di alcuna prova concreta che aerei dello stato sionista (o anche ameriKKKani, per quanto riguarda il caso) si siano mai addentrati significativamente nello spazio aereo iraniano in un qualsiasi momento. Le affermazioni che rivendicano una 'totale superiorità aerea' sono prive di fondamento. [Le riprese] fino all'ultimo giorno mostrano che lo stato sionista ha continuato a fare affidamento sui suoi pesanti UCAV [grandi droni per la sorveglianza e l'attacco] per colpire obiettivi terrestri iraniani".
Si ha inoltre notizia del ritrovamento di serbatoi di carburante appartenenti ad aerei dello stato sionista sulle coste settentrionali del Mar Caspio, il che fa piuttosto pensare che i missili a lunga gittata siano stati lanciati dall'aviazione sionista dal nord, ovvero dallo spazio aereo dell'Azerbaigian.
Salendo di livello nell'analisi costi-benefici, è necessario considerare una visione più ampia: la distruzione del programma nucleare era un pretesto, non l'obiettivo principale. Gli stessi esponenti dello stato sionista affermano che la decisione di attaccare la Repubblica Islamica dell'Iran è stata presa nel settembre/ottobre del 2024. Il piano intricato, costoso e sofisticato dello stato sionista (decapitazione, omicidi mirati, attacchi informatici e infiltrazione di cellule di sabotaggio dotate di droni) che si è sviluppato durante l'attacco a sorpresa del 13 giugno era incentrato su un obiettivo da raggiungere nell'immediato: l'implosione dello Stato iraniano che avrebbe aperto la strada al caos e al rovesciamento della Repubblica Islamica.
Trump si è fidato della infondata convinzione dello stato sionista l'Iran fosse sull'orlo di un collasso imminente? Molto probabilmente sì. Credeva alla versione sionista (secondo quanto riferito, inventata dal programma Mosaic della AIEA) per cui l'Iran stava muovendosi velocemente "verso l'arma nucleare"? È possibile che Trump sia stato ingannato –o, più probabilmente, che ne sia rimasto facile preda– dalla narrativa costruita dallo stato sionista e dai settori filosionisti degli USA.
Poiché la questione ucraina si è rivelata più ostica di quanto Trump si aspettasse, la promessa dello stato sionista di un "Iran pronto a implodere, in stile siriano" –una trasformazione "epica" verso un "Nuovo Medio Oriente"– deve essere stata abbastanza allettante da spingere Trump a zittire bruscamente una Tulsi Gabbard convinta che l'Iran non possedesse armi nucleari.
Quindi, la risposta militare iraniana e la massiccia mobilitazione popolare attorno alla bandiera sono state una "grande vittoria" per la Repubblica Islamica? Beh, di sicuro è stata una “vittoria” sui piazzisti del "regime change"; forse sarà il caso di perfezionare i risultati? Non si tratta di una "vittoria definitiva". L'Iran non può permettersi di abbassare la guardia.
Una resa incondizionata dell'Iran è, ovviamente, ormai fuori discussione. Ma il punto è che lo establishment dello stato sionista, la lobby filosionista negli Stati Uniti (e forse anche Trump) continueranno a credere che l'unico modo per garantire che l'Iran non si avvicini mai allo status di potenza nucleare non sia attraverso ispezioni e monitoraggi invasivi, ma proprio attraverso il rovesciamento della Repubblica Islamica e l'insediamento di un fantoccio puramente occidentale a Tehran.
La "guerra lunga" per sovvertire la Repubblica Islamica dell'Iran, indebolire la Russia, i BRICS e la Cina è entrata in pausa. Non è finita. L'Iran non può permettersi di rilassarsi o di trascurare le proprie difese. La posta in gioco è il tentativo degli Stati Uniti di controllare il Medio Oriente e il suo petrolio, sostegno alla supremazia del dollaro.
Il professor Hudson osserva che “Trump si aspettava che gli altri paesi avrebbero risposto al caos tariffario da lui sollevato accettando accordi che prevedessero la fine delle transazioni con la Cina e, di fatto, accettando sanzioni commerciali e finanziarie contro Cina, Russia e Iran". Chiaramente, sia la Russia che la Cina capiscono quale sia la posta in gioco geo-finanziaria che circonda un Iran che non si arrende. E capiscono anche che un cambio di regime renderebbe vulnerabile il fianco meridionale della Russia, che potrebbe far crollare i corridoi commerciali dei BRICS e essere utilizzato come un cuneo per separare la Russia dalla Cina.
In parole povere: la lunga guerra degli Stati Uniti probabilmente riprenderà in una nuova forma. L'Iran è sopravvissuto a questa fase acuta del confronto. Lo stato sionista e gli Stati Uniti avevano scommesso tutto sul fatto che il popolo iraniano si sarebbe rivoltato. Cosa che non è successa: la società iraniana ha fatto fronte comune di fronte all'aggressione. E l'aria che si respira sa di maggior forza, di maggior risolutezza.
Tuttavia, l'Iran sarà ancor più un vincitore se le autorità sapranno sfruttare il momento di euforia di una società coesa per infondere nuova energia alla rivoluzione iraniana. L'euforia non durerà per sempre, se non si farà qualcosa; è paradossale, ma la situazione ha fatto sì che la Repubblica possa contare adesso su un'opportunità inattesa.
Lo stato sionista, al contrario, dopo aver lanciato la sua "guerra psicologica" per rovesciare lo Stato iraniano, si è rapidamente trovato in una situazione in cui il nemico non solo non si è arreso, ma ha anche reagito. Lo stato sionista si è ritrovato bersaglio di attacchi di ritorsione su larga scala. La situazione è diventata rapidamente critica, sia dal punto di vista economico che dell'esaurimento delle difese aeree, come dimostrano le disperate richieste di aiuto rivolte da Netanyahu agli Stati Uniti.
Passando al livello più ampio dei costi e dei benefici da un punto di vista geopolitico, la posizione dello stato sionista (a livello regionale) di realtà invulnerabile quando unita alla potenza statunitense ha subito un duro colpo: "Pensate alla questione in questo modo: tra dieci o vent'anni, cosa verrà ricordato... [l'attacco che ha decapitato le forze armate e le uccisioni mirate di scienziati]... o il fatto che le città dello stato sionista sono andate in fiamme per la prima volta, che lo stato sionista non è riuscito a smantellare il programma nucleare iraniano e che ha fallito tutti gli altri obiettivi importanti che si era prefissato, compreso il rovesciamento della Repubblica Islamica? Il fatto è che lo stato sionista ha subito un'umiliazione storica che ha distrutto il suo mito". I paesi del Golfo avranno qualche difficoltà a digerire le implicazioni di più vasta portata di questo evento simbolico.
Sebbene l'elettorato di Trump sembri contento del fatto che l'AmeriKKKa abbia partecipato in modo minimo alla guerra –e apparentemente sia felice di vivere avvolto in una nebbia di autocompiacimento esagerato– ci sono prove significative che i settori MAGA della coalizione di Trump stiano al tempo stesso giungendo alla conclusione che il presidente degli Stati Uniti sta diventando sempre più parte di quel sistema del deep state che aveva criticato con tanta veemenza.
Due sono stati gli argomenti fondamentali nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi: l'immigrazione e il "basta alle guerre di durata indefinita". Trump oggi, nonostante i messaggi molto confusi e contraddittori, è chiaro sul fatto che una guerra di durata indefinita non è fuori discussione: "Se l'Iran costruirà nuovamente impianti nucleari, allora in quello scenario gli Stati Uniti colpiranno [di nuovo]", ha avvertito Trump.
Dichiarazioni come questa, insieme ai post sempre più bizzarri che Trump sta pubblicando, sembrano aver spinto la base populista ad assumere sul tema posizioni radicalmente ostili nei suoi confronti.
Per il resto del mondo, i recenti post di Trump sono inquietanti. Forse funzionano per qualche statunitense, ma non altrove. Ciò significa che Mosca, Pechino o Tehran hanno più difficoltà a prendere sul serio messaggi così incostanti. Altrettanto preoccupante, tuttavia, è quanto gli uomini di Trump si siano dimostrati scollegati dalla realtà geopolitica valutando la situazione, in tutta una serie di casi. In molte capitali del mondo la cosa ha destato allarme.

25 giugno 2025

Alastair Crooke - Le affermazioni sul nucleare militare iraniano: un casus belli nato da un algoritmo di controspionaggio del sistema Palantir



La risoluzione del Consiglio della AIEA del 12 giugno 2025 in cui si parlava di "inadempienza" ha rappresentato la prevista premessa per l'attacco "a sorpresa" dello stato sionista contro l'Iran iniziato il giorno successivo. Ma nello stato sionista si afferma che il piano di entrare in guerra con l'Iran era basato sulla "opportunità" per colpire, e non su informazioni secondo cui l'Iran stava accelerando la corsa alla bomba (cosa che era il pretesto per la guerra). L'inattesa affermazione per cui l'Iran sarebbe stato molto vicino a realizzare la bomba -che a quanto pare è spuntata dal nulla lasciando gli ameriKKKani stupiti a prendere atto di come fosse possibile ritrovarsi in mezzo a una guerra in un batter d'occhio- è stata successivamente smentita dal capo dell'AIEA Grossi alla CNN il 17 giugno.
Solo che la repentina aggressione contro l'Iran aveva già avuto luogo.
"Non avevamo alcuna prova di uno sforzo sistematico [da parte dell'Iran] per dotarsi di armi nucleari", ha confermato Grossi alla CNN.
A questa dichiarazione ha fatto seguito questa replica dell'Iran, da parte del portavoce del ministero degli Esteri Esmaeil Baqaei il 19 giugno:
"È troppo tardi, signor Grossi: lei ha oscurato questa verità nel suo rapporto assolutamente di parte, che è stato strumentalizzato da Regno Unito, Germania e Francia e dagli Stati Uniti per elaborare una risoluzione contenente infondate accuse di 'inadempienza' [da parte dell'Iran]; la stessa risoluzione è stata poi utilizzata, come pretesto finale, da un regime guerrafondaio e genocida per scatenare una guerra di aggressione contro l'Iran e lanciare un attacco illegale contro i nostri impianti per il nucleare civile. Sapete quanti iraniani innocenti sono stati uccisi o menomati a causa di questa guerra criminale? Avete trasformato la AIEA in uno strumento con cui i paesi che non hanno aderito al Trattato di Non Proliferazione possono privare i paesi che lo hanno sottoscritto dei loro diritti fondamentali ai sensi dell'articolo 4. Pensa di non avere nulla, sulla coscienza?!".
A questo il consigliere della Guida Suprema dottor Ali Larijani ha aggiunto:
"Dopo la guerra ne chiederemo conto a Rafael Grossi, direttore della AIEA".

Cosa si dice?
Dichiarazione del Ministero degli Esteri russo in relazione all’escalation del conflitto tra Repubblica Islamica dell'Iran e stato sionista.
"Sono stati proprio questi ‘simpatizzanti’ [Regno Unito, Germania e Francia] a esercitare pressioni sulla leadership dell'Agenzia [AIEA] affinché preparasse una discutibile "valutazione globale" del programma nucleare iraniano, le cui lacune sono state successivamente sfruttate per far approvare una tendenziosa risoluzione anti-iraniana dal Consiglio dei governatori dell'AIEA il 12 giugno [2025]. Questa risoluzione ha di fatto dato il via libera alle azioni di Gerusalemme Ovest, portando alla tragedia" [cioè all'attacco a sorpresa del giorno successivo, il 13 giugno].
Cosa succede dietro le quinte?
Le informazioni fondamentali per la risoluzione della AIEA del 12 giugno 2025 –che ha dato allo stato sionista il pretesto per attaccare l'Iran e che è stata elaborata per influenzare il presidente Trump affinché ignorasse gli avvertimenti del direttore della sua stessa intelligence secondo cui non c'erano prove che l'Iran stesse facendo progressi nel nucleare militare– non sarebbero state fornite dal Mossad o da altri servizi di intelligence occidentali, ma dal software della AIEA. Come sottolinea DD Geo-politics, dal 2015 la AIEA si affida alla piattaforma Mosaic di Palantir, un sistema di intelligenza artificiale da cinquanta milioni di dollari che setaccia milioni di dati –immagini satellitari, social media, tracciature del personale– per prevedere minacce nucleari:
"Le scorte [di uranio arricchito] dell'Iran erano in costante aumento da mesi, ma il discorso su una svolta imminente è venuto fuori solo dopo la censura della AIEA del 6 giugno 2025. Quella risoluzione, adottata con 19 voti contro 3, ha fornito allo stato sionista la copertura diplomatica di cui aveva bisogno. In questa svolta la piattaforma Mosaic di Palantir ha svolto un ruolo fondamentale. I suoi dati hanno dato forma al rapporto del 31 maggio, segnalando anomalie a Fordow e Lavisan-Shian e riciclando precedenti accuse circa il sito di Turquzabad, nonostante l'Iran le avesse confutate e smentite da anni... Mosaic è stato ideato originariamente per identificare le attività dei ribelli in Iraq e Afghanistan".
Il suo algoritmo cerca di identificare e dedurre "intenzioni ostili" da indicatori indiretti –metadati, modelli comportamentali, intensità negli scambi di dati interpretati come segnaletici– e non da prove oggettive. In altre parole, ipotizza ciò che i sospetti potrebbero pensare o pianificare. Il 12 giugno, l'Iran ha divulgato dei documenti che secondo quanto affermato dimostravano che il capo della AIEA Rafael Grossi aveva condiviso i risultati di Mosaic con lo stato sionista. Nel 2018, Mosaic aveva elaborato oltre 400 milioni di informazioni sottoforma di dati discreti e aveva contribuito a sollevare sospetti su oltre sessanta siti iraniani, in modo tale da giustificarvi ispezioni senza preavviso da parte della AIEA, ai sensi dell'accordo sul nucleare iraniano. Questi risultati, sebbene dipendano in gran parte da equazioni algoritmiche, sono stati incorporati nei rapporti formali di salvaguardia prodotti dalla AIEA e sono stati largamente accettati dagli Stati membri dell'ONU e dai sostenitori della non proliferazione come valutazioni credibili e basate su prove. Mosaic tuttavia non è un sistema passivo. È addestrato a dedurre intenzioni ostili dai propri algoritmi. Solo che quando viene riutilizzato per la sorveglianza nucleare, le sue equazioni rischiano di tradurre una semplice correlazione in un intento malevolo.

Cosa dicono i principali commentatori nello stato sionista?
Il principale commentatore di centro destra Ben Caspit (Ma'ariv):
"La 'svolta' dell'Iran verso l'arma nucleare c'è stata davvero? Probabilmente no. La Guida [Suprema] ha davvero ordinato di realizzare un'arma nucleare? Probabilmente no. Allora perché siamo entrati in guerra? Perché non c'era scelta. Stavano promuovendo un piano di annientamento di Israele e non avevamo scelta... 7 ottobre: una doccia fredda ha svegliato un intero Paese. Tutti coloro che sono coinvolti devono capire che chiunque contempli la nostra distruzione sarà distrutto. Occhi puntati sull'obiettivo e un proiettile tra gli occhi... D'ora in poi, ogni mossa dei nostri nemici, ovunque essa si verifichi, dovrà essere seguita da un'azione. Ogni testa di serpente che si alza deve essere decapitata... E c'è dell'altro: la rara e irripetibile finestra di opportunità storica che si è improvvisamente aperta davanti a noi... Tutto questo ha reso giusta la decisione di entrare in guerra... Netanyahu oggi è euforico".
Il commentatore Nahum Barnea (Yedioth Ahoronot):
"La decisione di iniziare una guerra è stata tutta di Netanyahu. Ed eccolo qui, a prendere decisioni e ad assumersi la responsabilità: tutto il merito è suo. Trump ha dato allo stato sionista il via libera per iniziare una guerra, a condizione che non presenti l'AmeriKKKa come alleata e come responsabile. Il metodo Trump non fa distinzione tra l'Ucraina di Zelensky e l'Iran di Khamenei: una umiliazione strada facendo è garanzia di un accordo alla fine del percorso".
Il commentatore del NY Times, Ronen Bergman (Yedioth Ahoronot):
“L'idea che servisse una serie di omicidi come quella della settimana scorsa è venuta fuori per la prima volta lo scorso settembre in una riunione tra alti funzionari dell'Unità 8200, la divisione di ricerca della Direzione dell'Intelligence, il Mossad e altre branche del sistema. Il fattore scatenante è stata la sconfitta inflitta dall'IDF a Hezbollah, seguita dal successo dell'attacco all'Iran e dalla distruzione delle sue difese aeree in ottobre, cui poi è seguito il crollo del regime di Assad a Damasco con la distruzione del suo sistema di difesa aerea da parte dell'IDF. La sequenza di eventi ha portato molti alti funzionari dello stato sionista a credere che si fosse presentata un'opportunità senza precedenti, una finestra irripetibile, per attaccare l'Iran... E così il comitato per le decapitazioni, che ha deciso il destino di scienziati a migliaia di chilometri di distanza, si è riunito e ha deciso chi sarebbe stato classificato al livello A –il più importante– e chi di livello B, C o D –il più basso".
Il quadro generale?
A quanto pare, a convincere Trump sono stati Netanyahu, Ron Dermer e il generale Kurilla del CENTCOM (Politico riferisce che Kurilla è stato determinante nel persuadere Trump che la direttrice dei servizi Tulsi Gabbard aveva torto a concludere che l'Iran non avesse "la bomba"). Trump ha preso le parti dello stato sionista affermando che l'Iran era "molto vicino" ad avere una bomba e aggiungendo che "non gli importava cosa pensasse lei [Gabbard]". Trump ipotizzò ad alta voce, il giorno prima dell'attacco a sorpresa del 13 giugno, che un attacco dello stato sionista contro l'Iran "avrebbe potuto accelerare [l'arrivo ad un accordo]". Non c'è dubbio che il crollo della Repubblica Araba di Siria, improvviso e inatteso, abbia spinto i neoconservatori a immaginare di poter ripetere rapidamente l'operazione in Iran. Questo è anche il motivo per cui è posta tanta enfasi sull'assassinio della Guida Suprema. Poi l'Iran non è crollato, il sistema iraniano è ripartito in modo inaspettatamente rapido e sono iniziati i contrattacchi dell'Iran contro lo stato sionista. A quel punto, il blocco filosionista è andato nel panico e ha esercitato un'enorme pressione su Trump affinché gli Stati Uniti entrassero in guerra a fianco dello stato sionista.
Questo ha lasciato Trump di fronte a un terribile dilemma: scegliere tra Scilla e Cariddi, ovvero alienarsi la sua base di sostegno MAGA (che ha votato per lui proprio per impedire che gli Stati Uniti entrassero in un'altra guerra senza fine che porterebbe i repubblicani a una probabile sconfitta alle prossime elezioni di medio termine) o alienarsi i suoi ricchissimi donatori ebrei (come Miriam Adelson, il cui denaro domina il Congresso e le cui risorse sono sfruttate dal Deep State per perseguire interessi comuni con lo stato sionista), che si sarebbero rivoltati contro di lui.

Ombre dell'Iraq. E del ruolo di Colin Powell...

19 giugno 2025

Tel Aviv. Anzi no, Haifa. Un eroe normale, una gatta felice e una torta

 


Questa presa in giro del sionismo da gazzetta e dei temi ricorrrenti nelle produzioni degli hasbaristi mantenuti dal Dipartimento per l'Editoria è stata scritta nel 2010 da Miguel Guillermo Martinez Ball. Quindici anni dopo lo stato sionista ha aggredito la Repubblica Islamica dell'Iran. Che non è rimasta compostamente a prenderle e ha reagito lanciando missili a centinaia e bucando più volte le difese antiaeree. Con danni considerevoli, pare, e non solo sugli asili nido e sui rifugi per micetti abbandonati.
Ora, va detto che chi capitasse su iononstoconoriana.com per la prima volta potrebbe pensare che gli scritti qui pubblicati siano lievemente favorevoli alla Repubblica Islamica dell'Iran. Il che non è vero per niente, perché iononstoconoriana.com è schierato con la Repubblica Islamica dell'Iran nel modo più deciso e inequivocabile.
Chi scrive spera vivamente che la Repubblica Islamica dell'Iran sia un boccone troppo grosso per Bibi, e che Bibi ne finisca strozzato.
E pazienza per Fiamma Nait e Deborah Firenstein.

Il Giornale del Berlusconi Minore, martedì 1 giugno, 2010, sezione Esteri

Mitzi oggi è una gatta felice. Fa le fusa, inarca la schiena e si lascia accarezzare da Ari, che si riposa stanco, nella sua casa di Tel Aviv.
Dalla finestra, nella calda aria della tarda primavera, Ari guarda le scintillanti file di grattacieli che i suoi nonni hanno eretto nel deserto, in una terra senza popolo che sembrava quasi invocare un popolo senza terra. Oggi, Ari non vuole guardare verso il mare. E nemmeno verso le splendide spiagge. I bagnanti, le giovani coppie che si baciano, i bambini spensierati che giocano con le figurine del Milan (anche a Tel Aviv, c'è chi tifa per il Milan e ancora di più per il suo Presidente), non sanno che se possono continuare a godersi la vita in un mondo che li odia, è grazie ad Ari.
Perché Ari custodisce un segreto, che condivide solo con Mitzi e con noi due, e che noi confidiamo a voi.
Ieri mattina lui era in mezzo a quel mare. Non sulle calde spiagge, ma tra le onde alte. Di vedetta, Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali, tre eroi che si conoscono da sempre.
Non è ancora l'alba, quando vedono comparire una nave immensa, che inalbera la bandiera della Mezzaluna dell'Odio. Una sagoma paurosa come un iceberg, che vorrebbe affondare il piccolo, fragile vascello di Ari, Shlomo e Gilad.
Carica di cemento, dicono che sia la nave, e la parola suona terribile per orecchie come quelle di Ari, giovani ma che non dimenticano come Auschwitz e le Piramidi fossero state costruite proprio con il cemento. Carica di sedie a rotelle, dicono.
Ma Ari sa bene a cosa servono: quei vigliacchi di Chamas prendono i loro stessi figli affetti dalla sindrome di Down (tra gli arabi tale sindrome è diffusa, a causa della loro sporcizia e delle loro ripugnanti abitudini), promettono loro un paradiso pieno di caramelle, se si fanno saltare per aria.
Ari è un ragazzo sensibile, che non farebbe male a una mosca. Ma ricorda bene quello che gli ha insegnato il suo istruttore: ogni volta che spari a un bambino in carrozzella, pensa a quanti bambini continueranno a camminare normalmente grazie al tuo gesto. Per fare del bene a quegli altri bambini, devi a volte avere il coraggio di fare male a te stesso imponendoti di uccidere. E' il sacrificio più grande, che tanti israeliani fanno umilmente. Un sacrificio d'amore.
Dalla sua piccola imbarcazione, guardando attraverso il binocolo a raggi infrarossi, Ari vede i visi di decine, centinaia, migliaia di persone, che si affacciano e scrutano le acque oscure.
Hanno i nasi che fremono eccitati: anche al buio, sentono odore di ebreo. Di un piccolo ebreo, disperso e quasi solo, in mezzo alle onde. Come la terra fragile che Ari improvvisamente si trova a dover difendere, un paese che vorrebbe disperatamente vivere in pace, ma deve sempre difendersi.
Anche contro il cemento e le sedie a rotelle, anche in mezzo al mare, pieno di acqua, di squali e di antisemiti.
Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali. In quel momento, Ari pensa a Leah. Lei è bella, lui è timido; ma Leah non sa che Ari è anche un eroe.
Ari conosce il proprio dovere. Anche se la nave è carica di terroristi e assassini, deve dare loro una possibilità.
E' quel senso innato di altruismo che hanno tutti gli israeliani, che lo porta a dare il preavviso, anziché affondare l'imbarcazione con un semplice colpo di siluro, come avrebbe fatto chiunque altro alla vista di una nave civile in acque internazionali.
Con voce forte e chiara, grida alla nave: "You dirty son of bitch terroristim, I Israeli man I take you prison every you you tink you do Hitler in my sea I do more bad in your ship!"
Ari sa di aver fatto tutto il possibile per salvare le persone a bordo. Anche se lo odiano, lui comunque pensa prima a loro: gli israeliani sono fatti così. Anche quando sanno che gli altri ne approfitteranno.
Lanciano la fune e si issano a bordo: Ari, Shlomo e Gilad.
Hanno il fiato corto per lo sforzo.
Vedono attorno a loro una selva di visi indemoniati. Dicono di essere pacifisti, ma i ragazzi sanno cosa sono in realtà: schiere di SS e sanguinari macellai muslumaniaci.
Lo sguardo di Ari si fissa per un momento su uno di loro.
E' un ragazzo vestito, anzi mascherato, da cuoco. E' della stessa età di Ari, ma quanto è diverso! Lo sguardo strabico, il labbro contorto da anni di antisemitismo, e tra le mani regge, no, ostenta una torta. Una torta.
Ari riconosce quella torta. Morbida e cremosa. E sa cosa vuol dire.
Capisce il messaggio di odio che quel ragazzo gli sta lanciando.
Ari non dimenticherà mai la scena nel film. Il tavolo con la torta. L'ufficiale nazista, le dita ancora ricoperte di crema, che con i suoi stivali immacolati prendeva a calci una ragazza ebrea. Una ragazza che aveva le stesse lentiggini di Leah.
Fu solo allora, vedendo la torta, che Ari iniziò a sparare.

16 giugno 2025

I tesori archeologici di Gaza in mostra allo Institut du Monde Arabe di Parigi




I danni deliberati che lo Stato Islamico ha causato al patrimonio archeologico siriano sono stati oggetto di diffusa e giustificata esecrazione. Quelli altrettanto deliberati che lo stato sionista ha causato e causa a tutt'oggi al patrimonio archeologico palestinese sono stati al più trattati a margine.
Trésors Sauvés de Gaza - 5000 Ans d'Histoire, allestita presso l'Institut du Monde Arabe di Parigi dal 3 aprile al 2 novembre 2025, aveva tra i suoi obiettivi quello di mettere a disposizione del pubblico reperti e informazioni sul patrimonio archeologico di Gaza. Quelle che seguono sono le traduzioni dal francese della presentazione della mostra e delle descrizioni dei cinque siti più rilevanti.


Introduzione

Fin dalla sua delimitazione nel 1949 il territorio della Striscia di Gaza -365 chilometri quadrati- è stato caratterizzato tanto da un sostanziale isolamento quanto da una estrema densità demografica e edilizia. La sua storia contemporanea è costellata da guerre e crisi umanitarie; il suo glorioso passato di vasto porto mediterraneo ricco grazie ai traffici con l'Arabia ne è stato messo in ombra. Dopo l'attacco terroristico e la presa degli ostaggi da parte di Hamas il 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza ha subito una devastazione fuori dall'ordinario; a causa della guerra e dei bombardamenti ad opera dello stato sionista si è avuto un numero vertiginoso di vittime civili e di sfollati.
I tragici eventi del XX e del XXI secolo fino alla guerra attualmente in corso hanno spazzato via la storia di questa antica oasi, luogo di passaggio e di scambi aperto al mondo: chi mai ricorda che fin dall'età del bronzo Gaza -nata laddove le sabbie e il mare si incontrano- ha avuto un passato dal prestigio ininterrotto?
Le circa cento opere qui presentate consentono uno sguardo attraverso le civiltà cananea, egizia, filistea, neo-assira, babilonese, persiana, ellenistica, romana, bizantina e araba in questa stretta fascia costiera. La ricchezza di questa oasi, un tempo lodata per la sua prosperità e per la piacevolezza delle sue condizioni di vita, ambita per la sua posizione strategica, terra promessa dei commercianti carovanieri e porto delle merci preziose provenienti dall'Arabia, dall'Africa e dal Mediterraneo, è oggi in grave pericolo.
Oggi che il patrimonio di Gaza subisce attacchi senza precedenti e folli speculazioni sul suo futuro minacciano di spazzare via cinquemila anni anni di esistenza, più che mai è necessario conoscere la sua storia.


Un patrimonio in esilio

Nell'autunno 2006 un centinaio di casse contenenti 529 reperti archeologici provenienti da Gaza sono arrivate a Ginevra per la mostra "Gaza, crocevia tra civiltà" (2007). La mostra presentava i reperti arrivati in Francia nel 2000 e 260 opere provenienti dalla collezione privata di Jawdat Khoudary, successivamente donata all'Autorità Nazionale Palestinese. Per diciassette anni le opere che avrebbero dovuto costituire il futuro museo archeologico di Gaza sono rimaste imballate a Ginevra, pronte a partire. Ma non è stato possibile garantire le condizioni per un ritorno in sicurezza nel loro paese d'origine. Mentre il patrimonio culturale palestinese è vittima di distruzioni senza precedenti, le 123 opere presentate oggi rispecchiano la ricca e lunga storia di Gaza, salvaguardata grazie al Musée d'art et d'histoire di Ginevra che conserva la collezione.


1994-2000: le eccezionali scoperte della campagna di scavi franco-palestinesi

Nell'autunno del 2000, l'Institut du Monde Arabe inaugurò la mostra "Gaza mediterranea", che presentava i risultati degli scavi archeologici intrapresi a partire dal 1994. L'iniziativa nasceva dall'accordo di cooperazione franco-palestinese che permise -per la prima volta dopo il ritiro dello stato sionista dalla enclave- al personale della École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), del Centre National de la Recherche Scientifique e del Servizio delle Antichità dell'Autorità Palestinese di indagare quattro siti di grande importanza. I ritrovamenti più rimarchevoli sono stati quelli dell'antico porto di Anthedon, dei mosaici bizantini di Mukheitim (Jabalya) e dell'eccezionale monastero di Sant'Ilarione (Nussayrat), nonché del prestigioso Tali al-Sakan. Gli eccezionali reperti di questa collezione sono stati sotto la responsabilità dell'Institut du Monde Arabe fino al loro arrivo a Ginevra nel 2007.


I - Gaza, cinquemila anni di storia

La tragedia oggi in atto ha contribuito alla cancellazione della plurimillenaria storia di questa prospera oasi ambita da tutti gli imperi della regione. Gaza si trova ai limiti del deserto, affacciata sul mare e sulla lingua di dune costiere che la separa da esso. Punto di confine naturale tra l'Egitto e l'Asia, la zona dello uadi di Gaza (Wadi Ghazza) è l'ultimo luogo sereno prima del deserto inospitale. Gaza e la sua regione sono un'oasi dalla ricca storia commerciale e politica e sono quindi una posta in gioco importante nella rivalità tra chi si trova al potere nella valle del Nilo e chi vi si trova in Mesopotamia. Porto mediterraneo, punto di convergenza delle rotte carovaniere dell'Africa, dell'Arabia e dell'India, la sua posizione strategica secondo Strabone rese l'antica Gaza "la più grande città della Siria", levando volta per volta le brame degli egizi, degli assiri, dei babilonesi, dei persiani, dei greci, dei romani e infine dei mamelucchi e degli ottomani...


L'età del bronzo e del ferro

Sulla strada di Horus, la via che collegava l'Egitto alla Palestina, il passaggio dello uadi a Wadi Ghazza era un luogo strategico. Nelle vicinanze si trovano due importanti siti dell'età del bronzo, Tali al-Sakan (circa 3500-2350 a.C.) e Tali al-'Ajul (circa 1900-1200 a.C.). Già nella prima metà del IV millennio esistevano stabili legami con l'Egitto, prima che esso conquistasse la Palestina meridionale nella prima età del bronzo e dell'organizzazione della provincia egiziana di Canaan nella tarda età del bronzo. Questo periodo corrisponde anche al comparire della città di Gaza nella storia. Fondata probabilmente nella prima metà del III millennio, la città figura per la prima volta nei testi egizi del regno di Thutmose III (1504-1450 a.C.). Qui viene chiamata "Hazattu", da cui deriva l'attuale nome arabo "Ghazza". Qui risiedeva un funzionario reale egiziano incaricato di sorvegliare la regione, ma la città rimaneva un regno il cui re giurava fedeltà al faraone.


Gaza, città filistea nel periodo assiro, persiano ed ellenistico

All'inizio del XII secolo a.C. dei gruppi provenienti probabilmente dal mondo egeo fondarono dei centri commerciali nelle pianure costiere della regione; Gaza divenne così una delle più importanti città-stato della Filistea. Rimase filistea fino all'VIII secolo quando fu conquistata dagli degli Assiri nel 734 a.C. Il re di Gaza iniziò allora a prestare giuramento di fedeltà, riconoscendosi vassallo di Ninive. Con il nuovo impero di Nabucodonosor II Gaza divenne l'avamposto di Babilonia al confine occidentale dell'impero. Nel 539 a.C. il persiano Ciro conquistò Babilonia e fondò l'impero achemenide. Nel corso dei due secoli del periodo persiano Gaza fu la perla del Mediterraneo. Nel corso della conquista della Siria Alessandro Magno impose un crudele assedio alla città, nel 332. Massacri, saccheggi e distruzioni ebbero carattere sistematico e il disastro portò alla ricostruzione di Gaza sotto l'influenza dominante della cultura ellenistica. La città conservò la sua fama e la sua importanza commerciale sotto i successori di Alessandro, i Lagidi e i Seleucidi, che se ne contesero il controllo.


Il periodo romano e bizantino

Nel 97 a.C. Gaza fu conquistata e distrutta dal regno ebraico degli Asmonei e quindi abbandonata: Gaza deserta. Pompeo la conquistò nel 61 a.C. e nella città furono ripristinate le leggi greche. Venne ricostruita una nuova Gaza, dotata di un teatro, di un ippodromo e sicuramente di una palestra e di uno stadio. Nel corso del IV secolo Gaza vede l'insediamento di marinai cristiani provenienti dall'Egitto, in particolare a Maiouma, il porto della città. La città di Gaza e la sua aristocrazia romanizzata rimasero fedeli a Zeus Marnas fino al V secolo, epoca della conversione forzata alla fede cristiana. Una basilica bizantina, l'Eudoxia, fu quindi eretta sulle rovine del Marneion distrutto nel 402. La città ospitava una comunità ebraica di agricoltori, in particolare a Maiouma dove sono stati ritrovati i resti di una sinagoga del V secolo. Il monachesimo si sviluppò nella regione sotto l'impulso di Ilarione (291-371 circa), originario di Gaza. La città divenne un centro attivo della vita cristiana e intellettuale con la famosa scuola di retorica di Procopio di Gaza. Furono costruiti nuovi edifici come il palazzo vescovile, il mercato coperto, le terme e una scuola di mosaicisti di talento che operavano sia in città che nei centri vicini.


Il periodo musulmano

Nel 637 la città fu conquistata dalle armate musulmane. La popolazione era allora in maggioranza cristiana e lo status delle piccole comunità ebraica e samaritana venne rispettato. Così, fino alle crociate, queste comunità continuarono a prosperare in una città che si islamizzava progressivamente. Gaza era ancora una grande città ricca di attività artigianali, di giardini e di vigneti. Diventò un prospero centro di pellegrinaggio perché si diceva che vi fosse sepolto il nonno dell'Inviato. Le crociate aprirono un nuovo periodo di violenze. Gaza venne occupata dai crociati dal 1149 al 1187 e la sua architettura si trasformò. I crociati vi costruirono una grande chiesa romanica, che in seguito divenne la grande moschea al-'Umari. Dopo la conquista da parte dei Mamelucchi (1260-1277) tornò la pace e vennero costruite moschee e edifici commerciali. Nel 1516 Gaza divenne ottomana e la città iniziò a declinare perché le vie commerciali -specie quelle marittime- cambiarono corso.


Gaza fra il 1905 e il 1922, un patrimonio e paesaggi scomparsi

All'inizio del XX secolo il viaggiatore scopriva a Gaza il fascino di altri tempi dell'abitato circondato da piccoli giardini, il pittoresco palmeto tra le dune e il porto da pesca. Le fotografie inedite della collezione della École Biblique et Archéologique Française de Jérusalem (EBAF) sono testimonianze uniche di questi paesaggi scomparsi. Il XX secolo avrebbe infatti portato a Gaza grandi sconvolgimenti. La prima guerra mondiale non risparmiò questo lembo di terra e i bombardamenti inglesi del 1917 costarono a Gaza gran parte del suo patrimonio architettonico. Dopo l'arrivo di sfollati a partire dal 1947 e la fondazione dello stato sionista, Gaza e i suoi dintorni videro un massiccio afflusso di rifugiati a seguito della guerra del 1948-1949. In questo modo quasi duecentomila "naufraghi della storia" sono andati ad aggiungersi agli ottantamila abitanti di questa fascia costiera. Le conseguenze di quella guerra delimitarono i contorni della "Striscia di Gaza", un territorio enclave di 365 chilometri quadrati. La città portuale di Gaza si trova oggi tagliata fuori dal suo entroterra e dalle strade che in passato ne erano state la ricchezza.


II - Un patrimonio in pericolo

Con oltre 2.150.000 abitanti, di cui settecentomila nella città di Gaza (gennaio 2022), la Striscia di Gaza presenta una densità di popolazione tra le più alte della regione. Da oltre venti anni questa zona è sottoposta a un intenso consumo di suolo, associato a una incessante crisi sociale e umanitaria. Gli interventi urbanistici indispensabili e un'urbanizzazione tanto rapida non potevano essere realizzati senza ripercussioni sul patrimonio archeologico, che abbonda in tutta la regione. A fronte della moltitudine di cantieri, dei rischi di distruzione dei siti e delle scoperte casuali, è stata avviata un'archeologia di emergenza e di conservazione. Il progetto Intiqal (Trasmissione) avviato nel 2017 dall'ONG Première Urgence Internationale in collaborazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestina e con l'EBAF, ha collaborato al salvataggio di diversi siti e ha contribuito alla formazione di oltre un centinaio di studenti laureati in archeologia e architettura. Dall'inizio della guerra sono i palestinesi che intervengono per salvare i siti e le collezioni archeologiche minacciati o in grave pericolo e che un domani documenteranno gli effetti del conflitto sul loro patrimonio.

Il progetto Intiqal è sostenuto dal Consolato Generale di Francia a Gerusalemme, dal British Council, dall'UNESCO, dalla Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine e dall'Agence Française de Développement. Al progetto collaborano anche altri partner istituzionali come il Louvre e l'Institut National du Patrimoine.


Dalla crisi umanitaria alla guerra, la creazione di una nuova archeologia

Sulla base di immagini satellitari aggiornate al 17 febbraio 2025 l'UNESCO ha osservato che dall'inizio della guerra nell'ottobre 2023 nella Striscia di Gaza ci sono stati danni a settantasei siti di interesse culturale. Considerate le minacce che gravano su questo patrimonio, l'UNESCO aveva fatto ricorso alla procedura d'urgenza prevista dalla Convenzione sul patrimonio mondiale. Il 26 luglio 2024 il Monastero di Sant'Ilarione è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale in pericolo. Oltre a questo complesso riconosciuto per il suo valore universale, sono oggi censiti dall'UNESCO circa 345 siti, edifici storici e resti di antiche città, ripartiti tra la città di Gaza, Khan Yunis, Dayr el-Balah, Rafah, Beit Hanoun, otto campi profughi e numerosi villaggi.


Agire in tempo di guerra: documentare, spostare, stabilizzare, salvare

Dall'inizio della guerra operatori palestinesi stanno lavorando per documentare, difendere e salvare i beni culturali minacciati nella Striscia di Gaza. Queste iniziative possono essere portate avanti grazie al sostegno di attori locali e internazionali. La Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine, attiva a Gaza dal 2020, sostiene fin dall'inizio del conflitto progetti di emergenza che hanno permesso di mettere al sicuro collezioni museali o private, di documentare e stabilizzare siti e monumenti e di formare professionisti palestinesi per gli interventi di salvataggio.

Queste operazioni, avviate nel momento in cui più intensi erano i bombardamenti, sono andate sviluppandosi durante la fragile tregua. Adesso gli operatori si trovano ad affrontare nuove sfide. Valutare l'impatto del conflitto sul patrimonio e attuarne il salvataggio e la conservazione nella situazione umanitaria e materiale prevalente a Gaza solleva sfide senza precedenti: la gestione delle macerie in zone dove due terzi degli edifici sono distrutti e le infrastrutture essenziali sono scomparse; la messa in sicurezza dell'accesso ai siti vicini alle zone di combattimento sminando aree in cui quasi il 30% delle bombe e degli esplosivi è rimasto sepolto e inesploso saranno sfide colossali e fondamentali per il futuro di Gaza, per la conservazione del suo patrimonio e della sua storia.

I progetti sostenuti dalla Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine a Gaza vengono portati avanti dal Museo Palestinese, dall'organizzazione Riwaq, da Première Urgence Internationale, dal Center far Cultural Heritage Préservation, dalla Mayasem Association for Arts and Culture, dal Centro Iwan e dal Museo di Rafah, in collaborazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestinese.



Antico porto di Anthedon

Scoperto nel 1995 entro la città di Gaza, vicino al campo profughi di Shatteh.
Cittadella neoassira dell'inizio dell'ottavo secolo a.C. e poi città greca nel sesto secolo.
Sito gravemente danneggiato dai bombardamenti. Estensione dei danni ancora da valutare.
Anthedon è il nome greco di una città costiera vicina alla collocazione della Gaza antica. Il sito ha conosciuto il succedersi di diverse civiltà: neoassira, babilonesek persiana, greca e romana, prima di essere improvvisamente abbandonato attorno al 300 d.C. Prima della guerra del 2023 Il sito presentava le rovine di un bastione romano, un muro di mattoni crudi lungo sessantacinque metri, dei quartieri artigiani romani e una serie di ville ellenistiche. Nell'area sono stati scoperti anche pavimenti a mosaico, magazzini, un cimitero romano e strutture fortificate.



Complesso funerario di Mukheitim

Scoperto nel 1996 a Jabalya.
Dalla seconda metà del quinto secolo fino all'ottavo.
Il sito si trova in una zona di combattimento; la struttura che proteggeva i ritrovamenti è crollata in seguito alla distruzione dell'ospedale adiacente lasciando i resti senza protezione.
Tre corpi di fabbrica contigui per circa seciento metri quadri complessivi. Una chiesa bizantina a tre navate, una cappella delle offerte e un complesso battesimale costituito da quattro ambienti. Al centro un fonte cruciforme. Il sito è rilevante per le sue diciassette iscrizioni in greco e i cinquecentocinquanta metri quadrati di mosaici di ispirazione agreste che raffigurano molti personaggi e molti animali.



Monastero di Sant'Ilarione a Nussayrat

Scoperto agli inizi degli anni Novanta sul tell Umm al-'Amr a Nussayrat e indagato dal 1997.
Dal quarto al settimo secolo.
Il 26 luglio del 2024 il sito è entrato a far parte del patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO ed è nella lista dei siti minacciati.
Fondato da Ilarione, quello di Nussayrat è uno dei complessi monastici noti più antichi e più importanti del Medio Oriente. Gli ottomilatrecento metri quadri del sito sono suddivisi in un complesso ecclesiastico di quattomilaseicentocinquanta metri quadri con al centro un santuario, e in una foresteria dotata di bagni, per altri tremilaseicento metri quadri circa. Tra gli ambienti ecclesiastici si trovano una chiesa, una cripta, un atrio, dei battisteri, una cappella, le celle, il refettorio e altri locali di servizio.



Villa-museo di Jawdat Khoudary

Gaza città, quartiere di Sheikh Radwan.
Dopo l'inizio della guerra nell'ottobre 2023 l'edificio e il suo giardino sono stati occupati dall'esercito dello stato sionista che li usa come centro di comando. I giardini sono stati interamente spianati per farne un parcheggio per mezzi blindati. Più di quattromila reperti, tra i quali un colonnato bizantino con relativi capitelli sono al momento dispersi o gravemente danneggiati.
A partire dal 1996, per contrastare la vendita e il trafugamento di reperti archeologici da Gaza, Jawdat Khoudary aveva iniziato a raccoglierne fino metterne insieme oltre quattromila. Nel 2006 ne ha inviati oltre duecento in prestito a Ginevra, a sostegno della realizzazione di un grande museo archeologico a Gaza. Con l'arrivo al potere di Hamas il progetto è stato abbandonato e non ci sono più state le condizioni perché i reperti prestati potessero rientrare in sicurezza, sia a causa del blocco imposto dallo stato sionista sia delle guerre che si sono susseguite nella enclave.



Tall al Sakan

Scoperto per caso nel 1998.
Età del bronzo antica, verso il 3400-3000 a.C.
Sito molto danneggiato nel 2017 con la costruzione di un complesso immobiliare. Lavori interrrotti per le pressioni del Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestinese e di professionisti del settore archeologico. Nel novembre 2023 si sono avuti altri gravi danni in seguito all'invasione sionista. A tutt'oggi non si hanno notizie sulle condizioni del sito.
Situato a cinque chilometri da Gaza città, rappresenta uno dei primi aggolmerati fortificati noti della regione e uno dei primi insediamenti amministrativi egiziani della zona sudoccidentale della Palestina. Il tell -finito ricoperto da una duna- presenta i resti di un abitato occupato da popolazioni prima egiziane, poi cananee e quindi abbandonato.