Traduzione da Orient XXI, 12 giugno 2024.
Come tutte le guerre, anche quella dello stato sionista contro Gaza è estremamente costosa dal punto di vista economico e il tasso di crescita dell'economia sionista sta crollando. Al momento un crollo effettivo è stato evitato grazie a sovvenzioni tanto pubbliche quanto private provenienti non solo dagli Stati Uniti ma anche dall'Unione Europea, che ha continuato con gli scambi commerciali come se nulla fosse. E non dimentichiamo l'India e la Cina. Benyamin Netanyahu può continuare tranquillamente col suo genocidio di palestinesi.
L'economia dello stato sionista ha fatto segnare un calo del prodotto interno lordo del 21% nell'ultimo trimestre del 2023 rispetto all'anno precedente; il doppio di quanto previsto dalla banca centrale dopo il 7 ottobre. Nel febbraio 2024 l'agenzia statunitense Moody's ha compiuto un passo senza precedenti declassando lo Stato sionista e le sue cinque maggiori banche commerciali.
Le conseguenze peseranno molto sull'industria tecnologica. In tempi normali questo settore dà lavoro a un cittadino dello stato sionista su sette ed è responsabile di circa la metà delle esportazioni del Paese, di un quinto del prodotto interno lordo e di più di un quarto delle entrate fiscali. Questa performance può essere mantenuta solo con l'accesso a capitali stranieri, il cui costo minaccia di aumentare.
Calo degli investimenti in tecnologia
Dalla fine del 2022 gli investimenti nell'alta tecnologia sono in costante calo e alla fine del 2023 hanno raggiunto il 20% rispetto al dato già basso dell'anno precedente. Gli investimenti esteri sono crollati del 29%(1). I primi dati per il 2024 mostrano che i flussi sono al minimo da nove anni a questa parte.
Dal momento che il modello di crescita del Paese è legato a questo settore, simili risultati pongono problemi rilevanti. Tanto più che i progetti del Primo Ministro Benyamin Netanyahu di orientare l'economia verso la produzione di materie prime -a scapito di questo settore che egli considera di dubbia fedeltà politica- stanno andando male. Nel marzo 2024 la Compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi (ADNOC) e la British Petroleum (BP) hanno interrotto i colloqui per la prevista acquisizione della metà del più grande produttore di gas naturale dello stato sionista NewMed Energy, preoccupate per i missili degli Houthi e per le ricadute politiche(2).
Tutto questo solleva qualche interrrogativo sulla sostenibilità dell'economia dello stato sionista e, di conseguenza, sulla sua capacità di continuare con la guerra contro Gaza. Gli economisti del Ministero delle Finanze avevano già stimato che le sole manovre di Netanyahu per cambiare la Costituzione e l'opposizione che questa iniziativa ha incontrato avrebbero portato a un taglio della crescita tra i 15 e i 25 miliardi di dollari -14,9 e 18,6 miliardi di euro- all'anno(3). Uno studio della società di consulenza statunitense RAND ha stimato che le perdite economiche in caso di una campagna militare limitata ma a lungo termine contro la Palestina ammonterebbero a 400 miliardi di dollari -oltre 373 miliardi di euro- in dieci anni(4). Secondo il Ministero delle Finanze l'Operazione Iron Scourge sta costando all'economia 269 milioni di dollari -oltre 350 milioni di euro- al giorno - una guerra a livello regionale sarebbe ovviamente molto più costosa.
È lecito chiedersi se la società dello stato sionista, che vive in un relativo benessere materiale, sarebbe in grado di sopportare un ritorno all'economia di guerra degli anni Settanta, quando le spese militari rappresentavano il 30% del PIL. Anche ignorando questo interrrogativo ne sorgono molti altri: le realtà economiche possono influenzare il percorso seguito dai leader politici e militari? Se sì, in che modo? Le aziende straniere che hanno contribuito al genocidio saranno in grado di mantenere la propria politica nel lungo periodo?
Fonti di resilienza a medio termine
Nonostante le oggettive difficoltà, ci sono poche ragioni per credere che le pressioni economiche possano accelerare la fine della guerra nel breve o nel medio termine. Ciò è dovuto alle dimensioni dei mercati finanziari e delle riserve valutarie dello stato sionista da un lato, e alle relazioni esterne dello Stato e dell'economia dall'altro.
1. Mercati dei capitali profondi e riserve abbondanti. La profondità dei mercati dei capitali dello stato sionista consente alla coalizione al potere di finanziare gran parte dei progetti militari a livello locale: quest'anno, circa il 70% dei 60 miliardi di dollari -55,8 miliardi di euro- di titoli di Stato saranno venduti sui mercati nazionali e denominati in New Israeli Shekel (NIS). Inoltre, data la forte domanda da parte delle istituzioni finanziarie locali, i tassi d'interesse rimangono bassi a livello locale, un po' più alti rispetto ai titoli del Tesoro offerti a livello internazionale ma non eccessivamente superiori a quelli attualmente emessi dagli Stati Uniti. Di conseguenza nei primi cinque mesi di quest'anno il Ministero delle Finanze dello stato sionista ha potuto prendere in prestito vendendo titoli di Stato un totale di 67,5 miliardi di NIS -16,7 miliardi di euro- senza doversi accollare pesanti oneri per il rimborso.
Quindi, nonostante il governatore della Banca centrale dello stato sionista non cessi di pronunciare ammonimenti contro un eccessivo indebitamento e nonostante alcuni indicatori segnalino un malessere del mercato Tel Aviv può indebitarsi senza soffrire troppo dal punto di vista finanziario, almeno per il momento. Questo dà ai leader una grande autonomia, che a sua volta si riflette sulla condotta in guerra.
L'accumulo di riserve valutarie negli ultimi due decenni ha un effetto protettivo simile. Dai 27 miliardi di dollari -25 miliardi di euro- del 2005, il valore delle riserve detenute dalla Banca centrale dello stato sionista ha superato i 200 miliardi di dollari -186 miliardi di euro- all'inizio del 2024. Queste attività non solo generano reddito per lo Stato, ma consentono alla banca centrale di difendere lo shekel sui mercati dei cambi(5). Questo contribuisce a mantenere bassa l'inflazione, rafforzando la stabilità dell'economia di guerra.
La violenza genocida dell'esercito richiede tuttavia volumi di munizioni di gran lunga superiori a quelli che i produttori nazionali, che hanno riorientato le loro attività verso prodotti di alta gamma, sono attualmente in grado di produrre. Senza l'incessante flusso di proiettili d'artiglieria, missili, testate e simili quasi tutti provenienti dagli Stati Uniti o da depositi di armi di loro proprietà già presenti nello stato sionista prima di questa guerra (6) e dalla Germania, le attuali campagne a Gaza e nel Libano meridionale andrebbero incontro a un rapido fallimento. Allo stesso modo, senza i cloud forniti da Google e Microsoft e senza la condivisione dei dati di WhatsApp fornita da Meta possiamo essere certi che per lo stato sionista le campagne di omicidi mirati guidate dall'intelligenza artificiale andrebbero incontro a fallimenti altrettanto rapidi.
2. Relazioni estere solide. Il secondo e forse il più importante fattore che spiega la resistenza a medio termine dell'economia dello stato sionista è dato dalla solidità delle sue relazioni estere. Da queste gli arriva ogni tipo di aiuto: dai flussi finanziari al commercio e al supporto logistico, senza dimenticare gli eserciti di riserva della manodopera, come i cinquanta o centomila lavoratori che l'India ha promesso per sostituire i palestinesi in Cisgiordania. Sono cose come queste ad aver consentito che lo stato sionista procedesse a un genocidio. Una vasta costellazione di attori statunitensi, sia pubblici che privati, fornisce attualmente sostegno finanziario alla macchina statale, all'esercito e all'economia. I flussi dal governo federale rimangono i più consistenti. La sovvenzione annuale del Programma di finanziamento militare estero degli Stati Uniti -3,3 miliardi di dollari pari a 3,075 miliardi di euro all'anno dall'amministrazione Obama (2009-2017)- copre generalmente il 15% delle spese per la difesa. Poiché le spese per la difesa sono destinate ad aumentare di quasi 15 miliardi di dollari -13,95 miliardi di euro- entro il 2024, dalla linea di credito gratuita del governo statunitense quest'anno si vedranno aumenti significativi. Lo scorso aprile il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il National Security Act concedendo 13 miliardi di dollari -12 miliardi di euro- di aiuti aggiuntivi alle forze armate statunitensi(7). Di questa somma 5,2 miliardi di dollari sono stati destinati al rifornimento dei sistemi di difesa Iron Dome, Iron Beam e David's Sling, 4,4 miliardi di dollari -4,1 miliardi di euro- alla ricostituzione delle scorte di munizioni esaurite e 3,5 miliardi di dollari -3,2 miliardi di euro- a sistemi d'arma avanzati.
Organizzazioni americane per il budget sionista
Ma non solo. In tutti gli Stati Uniti, anche i singoli Stati, le contee e persino i comuni stanno tirando fuori il libretto degli assegni. Il canale di finanziamento è gestito dalla Development Corporation for Israel (DCI), un ente registrato negli Stati Uniti che agisce come intermediario e sottoscrittore locale per conto del Ministero delle Finanze dello stato sionista. Dal 1951, la DCI emette le cosiddette "obbligazioni dello stato sionista" sul mercato statunitense. Anche se arrivano raramente alla consapevolezza del pubblico, questi strumenti finanziari denominati in dollari e destinati a fornire un sostegno generale al bilancio dello stato sionista rappresentano il 12-15% del suo debito estero totale. Sono quindi una fonte concreta di credito e di valuta forte per Tel Aviv.
Dal 7 ottobre la DCI ha aumentato in modo significativo le vendite di obbligazioni, in parte ampliando la collaborazione con un'organizzazione di destra come l'American Legislative Exchange Council (ALEC). Negli ultimi due decenni l'ALEC è stata una delle forze più influenti dietro le quinte della politica statunitense. Il suo operato consiste tipicamente nel redigere proposte di legge su argomenti che vanno dall'aborto al movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), per poi diffondere i modelli legislativi ai suoi alleati nelle legislature statali; in quella sede diventano legge.
Quest'autunno l'ALEC ha diversificato le sue operazioni mobilitando la sua State Financial Officers Foundation per incoraggiare l'acquisto di obbligazioni dello stato sionista da parte dei fondi pensione pubblici e delle tesorerie statali e municipali. I frutti di questi sforzi sono piuttosto impressionanti: 1,7 miliardi di dollari -1,58 miliardi di euro- in di obbligazioni acquistate in soli sei mesi. Al di là del loro valore materiale per lo stato sionista, questi acquisti rappresentano un grande impegno da parte dell'intero apparato statale statunitense. Sia le autorità locali che il governo federale sono pronti a investire somme significative nelle imprese genocide dello stato sionista.
Purtroppo i cittadini e le istituzioni finanziarie hanno lo stesso atteggiamento dei leader. Anch'essi hanno concesso (e/o agevolato) un gran numero di prestiti allo stato sionista dopo che ha iniziato a distruggere Gaza. Alcuni lo hanno fatto la scorsa primavera, quando hanno acquistato quasi tre quarti delle obbligazioni cui si è appena fatto cenno. All'indomani dell'operazione "Iron Sabre", le banche statunitensi hanno anche organizzato vendite di obbligazioni private per conto dello stato sionista , i cui rendimenti non sono stati resi pubblici.
Da Goldman Sachs a BNP-Paribas
Lo sviluppo più significativo è stato l'operazione guidata da Bank of America e Goldman Sachs, che nel marzo 2024 hanno sottoscritto la prima vendita internazionale di obbligazioni dello stato sionista dopo il 7 ottobre. Insieme a Deutsche Bank e BNP Paribas questi finanziatori sono riusciti ad attirare un tale numero di investitori da tutto il mondo da rendere l'operazione la più grande inziativa del genere nella storia dello stato sionista: quasi 7,5 miliardi di eurobond(8).
I contributi da parte di privati dagli Stati Uniti non sono soltanto questi. Sebbene gli investimenti nel settore tecnologico siano complessivamente diminuiti, alcune aziende continuano a immettere capitali nonostante il genocidio in corso. Ad esempio negli ultimi sei mesi Nvidia, leader mondiale nella produzione di chip e nell'intelligenza artificiale con sede a Santa Clara, ha investito somme considerevoli nell'acquisizione di aziende dello stato sionista(9). A dicembre, Intel ha accettato di costruire un nuovo impianto di semiconduttori approfittando di una sovvenzione di 3,2 miliardi di dollari -3 miliardi di euro- e di un'aliquota fiscale estremamente bassa (7,5% anziché 23%). Un mese dopo Palantir Technologies, una società di modellazione di intelligenza artificiale, ha annunciato una nuova partnership strategica con il Ministero della Difesa dello stato sionista.
L'Unione Europea, un'ancora di salvezza
Come dimostra la partecipazione di Deutsche Bank e BNP Paribas all'emissione di Eurobond, l'Europa sta svolgendo un ruolo importante. La Banca Europea per gli Investimenti, con sede in Lussemburgo e di proprietà congiunta dei 27 Stati membri dell'Unione, ha mantenuto la promessa di iniettare liquidità per 900 milioni di dollari -838 milioni di euro- nell'economia dello stato sionista(10). Dal 7 ottobre il programma Horizon Europe, il principale strumento di finanziamento di ricerca e innovazione, ha autorizzato l'assegnazione di quasi un centinaio di sovvenzioni ad aziende e istituzioni dello stato sionista. Su scala più ridotta il Consiglio europeo per gli investimenti (EIC), organizzazione senza scopo di lucro, ha recentemente aumentato i suoi investimenti nelle start up dello stato sionista.
Ma è soprattutto lo scambio di beni e servizi che conta. Il flusso ininterrotto di esportazioni verso il mercato europeo, che rimane il suo principale partner, ha giocato un ruolo chiave nel surplus commerciale dello stato sionista, che ha segnato un 5,1% nell'ultimo trimestre del 2023. Sebbene nelle capitali europee si sia parlato di rivedere l'accordo di associazione dello stato sionista all'Unione Europea, i primi dati pubblicati per il 2024 mostrano che l'UE continua a importare prodotti dello stato sionista: oltre 4,27 miliardi di euro nel primo trimestre. Una somma più o meno in linea con quanto visto negli ultimi anni e che funge da ancora di salvezza per l'economia dello stato sionista.
Gli affari con Cina e India continuano
Il mantenimento da parte di Tel Aviv di legami più o meno pubblici con economie non occidentali ha anche rafforzato la vitalità della sua economia di guerra. Anche se non proprio ai livelli precedenti il 7 ottobre, e senza dubbio ridotti dagli interventi degli Houthi che hanno costretto le compagnie di navigazione a sospendere il commercio diretto, i dati della Banca centrale dello stato sionista indicano che le importazioni dalla Cina sono ancora consistenti: 10 miliardi di dollari (9,3 miliardi di euro) nel primo trimestre del 2024. Esse rimangono una parte vitale dell'economia su base giornaliera, anche se gli investimenti cinesi rimangono depressi per lo più a causa delle pressioni degli Stati Uniti su Tel Aviv.
Il contributo dell'India, che importa grandi quantità di armi dallo stato sionista ed esporta manodopera a basso costo per occupare i posti di lavoro lasciati liberi dai palestinesi, è tutt'altro che trascurabile.
Nonostante le difficoltà è chiaro che le merci indiane continuano ad arrivare nello stato sionista attraverso il Golfo e la Giordania e a rifornire gli scaffali dei negozi.
Infine, bisogna tenere conto delle relazioni ambigue con la Turchia. Sebbene il Ministero del Commercio di Ankara abbia introdotto progressive restrizioni ai traffici con stato sionista a partire dall'inizio di aprile 2024, c'è motivo di credere che la misura non sarà pienamente attuata. Inizialmente la politica prevedeva una moratoria di tre mesi che consentisse alle aziende di evadere gli ordini esistenti attraverso Paesi terzi. È quindi improbabile che la misura porti a una stretta immediata. In secondo luogo, i legami commerciali tra i produttori turchi di acciaio e alluminio e stato sionista sono profondi e di lunga data, e la dipendenza dei produttori turchi da questo mercato è ben nota. Non si può quindi escludere che i produttori turchi trovino un modo per consegnare forniture essenziali non solo alle imprese edili ma anche all'industria degli armamenti, magari attraverso una triangolazione con la Slovenia.
Lo stato sionista può attingere a grandi mercati di capitali e a forti riserve valutarie, nonché avvalersi di solide relazioni con partner economici esteri. Non è soggetto nell'immediato a limiti materiali che gil impediscano di portare a termine il genocidio. A meno che le politiche dei suddetti partner non cambino, lo stato sionista sarà libero di continuare il suo inaccettabile massacro ancora per qualche tempo.
Qualche speranza a lungo termine?
A lungo termine, diversi fattori potrebbero giocare a sfavore di questa economia di guerra. Tra questi la tendenza al disinvestimento menzionata in precedenza e che gli interventi del governo difficilmente riusciranno a invertire. A ciò si aggiunge la possibilità di un aumento delle tasse per ricostituire le riserve. Ma forse la cosa più importante sono le tensioni sociali che il perdurare del genocidio acuirà nei mesi e negli anni a venire. Il Paese è da tempo uno dei più interessati dalla disuguaglianza sociale in tutta la OCSE(11). Secondo criteri di misurazione più sofisticati, il tasso di povertà è attualmente del 27,8% e un terzo della popolazione soffre di insicurezza alimentare. Con buona pace dell'aura di sapore mitologico che ha avvolto la nazione delle start up, risulta anche che la crescita e gli aumenti della produttività raggiunti negli ultimi due decenni sono stati in realtà relativamente bassi. E la fuga dei cervelli ha fatto sentire il suo peso.
A questo stato di cose si aggiunge l'austerità. Dopo aver accumulato enormi deficit durante la campagna contro Gaza, stato sionista sta per accelerare la contrazione del sistema di welfare tagliando la spesa per l'assistenza sociale e per l'istruzione, e intanto spreme le famiglie povere aumentando le imposte al consumo. Non c'è dubbio che ci si debbano aspettare grandi tensioni sociali in un momento in cui la società dello stato sionista è già percorsa da spaccature: tra i pochi che hanno beneficiato del boom tecnologico e immobiliare e i molti altri che non ne hanno ricavato nulla, tra le comunità religiose esentate dal servizio militare e quelle i cui appartenenti devono rischiare la vita per portare avanti la loro idea di conquista; tra una comunità di coloni che beneficia di una speciale dispensa da parte dello Stato e tutte le altre costrette a fare affidamento sui banchi alimentari per garantirsi la sussistenza. In un modo o nell'altro, questo non può che avere un impatto negativo sulla coerenza del progetto statale e sulla capacità dell'attuale governo di perseguire i suoi piani distruttivi.
Per la Palestina, e più in particolare per i palestinesi di Gaza, la situazione è grave. Il tempo necessario perché nella società dello stato sionista si mettano in moto dinamiche sociali di questo genere e perché la capacità dello stato sionista di fare la guerra venga a indebolirsi dall'interno è semplicemente troppo lungo.
Chiunque speri di porre fine a al genocidio può solo asserire che l'unica via percorribile è quella di isolare economicamente lo stato sionista in ogni modo possibile. Finché le solide relazioni esterne del Paese non verranno indebolite o addirittura troncate il motore della violenza dello stato sionista continuerà a girare senza il minimo intoppo. Per bloccarlo fino a far sì che le bombe smettano di cadere è necessario interrompere i circuiti finanziari e commerciali esistenti.
1. Adrian Filut, Economic concerns mount as Israel faces drop in foreign investment and services export, Ctech, 18 marzo 2024.
2. Ani, BP, UAE suspend USD 2 bn gas deal in Israel amid Gaza war, The Economic Times, Bombay, 15 marzo 2024.
3. Nimrod Flaschenberg, Israel’s economy was Netanyahu’s crown jewel. Can apartheid survive without it?, +972 Magazine, 27 marzo 2023.
4. C. Ross Anthony et al., The Costs o the Israeli-Palestinian Conflict, Rand Corporation, Santa Monica (USA), 2015.
5. Galit Alstein, Israel’s $48 billion war leaves it at mercy of bond markets, BNN Bloomberg, Toronto, 22 novembre 2023.
6. Connor Echols, Bombs, guns, treasure: What Israel wants, the US gives, The New Arab, 12 marzo 2024.
7. FY2024 National Security Supplemental Funding : Defense Appropriations, Insight, Congressional Research Service, Washington, 25 aprile 2024.
8. Steven Scheer, Israel sells record $8 billion in bonds despite Oct 7 attacks, downgrade, Reuters, 6 marzo 2024.
9. Meir Orbach, Nvidia continues Israel shopping spree with acquisition of Deci, Ctech, 25 avril 2024.
10. Sharon Wrobel, EU financial arm to invest €900m in Israel, including Western Galilee desalination, The Times of Israel, 25 giugno 2023.
11. Il coefficiente di Gini, che corrisponde a 0 per la perfetta uguaglianza e a 1 per la totale disuguaglianza, è pari a 0,34, contro lo 0,395 degli Stati Uniti e lo 0,298 della Francia.
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