Traduzione da Strategic Culture, 25 giugno 2019.
Non c'è niente di nuovo nel dire che l'"Accordo del Secolo" è, come è sempre stato, un progetto essenzialmente economico. Sembra invece che le sue implicazioni politiche siano considerate dalla Casa Bianca come poco più che la conseguenza inevitabile di un'architettura aprioristicamente economica e già in corso di sviluppo.
In altre parole l'intenzione è quella di far sì che siano i dati economici concreti a plasmare il risultato sul piano politico; il piano politico passa in secondo piano e la sua importanza è stata comunque resa minima dalla preventiva eliminazione da parte di Trump di ogni elemento rilevante di cui i palestinesi potessero avvalersi in sede negoziale.
La stretta finanziaria sui palestinesi è ben documentata. Da un lato l'Autorità Palestinese -che storicamente dipende dalle sovvenzioni saudite- sta tranquillamente avviandosi alla bancarotta; nel frattempo Gaza è confinata in condizioni di umiliante dipendenza concedendole con il contagocce fondi che le vengono destinate dal Qatar col benestare dello stato sionista. L'ammontare di questo minimo mensile viene attentamente calibrato dallo stato sionista in base a quelle che esso ritiene essere norme di "buona condotta" il cui soggetto è generalmente Hamas.
Da un lato abbiamo un assedio finanziario il cui scopo è quello di rendere i palestinesi condiscendenti verso il "pacchetto qualità della vita" che l'"Accordo" dovrebbe portare con sé e di cui il vertice in Bahrein tenutosi qualche giorno fa è stato la vetrina. l'"Accordo" tuttavia presenta anche un aspetto meno noto, riassunto nel titolo di un articolo di McClatchy, che suona "La Casa Bianca considera il forum sull'energia in Egitto come una roadmap per la pace in Medio Oriente".
In un successivo articolo McClatchy ha pubblicato la mappa della "roadmap" energetica statuitense per il Mediterraneo Orientale, recentemente resa pubblica. Ne emerge un quadro più completo: il "forum sul gas" sponsorizzato dagli Stati Uniti, "secondo tre funzionari superiori dell'amministrazione, la mappa resa pubblica e ottenuta da McClatchy ha spinto alcuni appartenenti al Consiglio per la Sicurezza Nazionale [degli Stati Uniti] a dare la priorità all'organizzazione di un forum per il gas nel Mediterraneo Orientale, che possa al tempo stesso stimolare e imbrigliare le economie di vari paesi rimasti al palo per decenni".
Sarà il caso di spiegare meglio questo innocente eufemismo, stimolare e imbrigliare. Il significato autentico di questa espressione è che il modo di integrare lo stato sionista nella sfera economica regionale si concretizza in primo luogo sul piano dell'energia. L'intenzione non è quella di integrare il solo stato sionista nella sfera economica egiziana, ma di fare in modo che la Giordania, l'autorità palestinese e magari anche il Libano finiscano per difendere in parte dall'energia sionista -insieme a presunti partner come lo stato che occupa la penisola italiana, la Grecia e la parte greca dell'isola di Cipro- con gli Stati Uniti che si offrono di mettere in piedi con le loro competenze tecniche le infrastrutture del "forum sul gas".
Il nocciolo dell'"Accordo" è questo. Non si tratta soltanto di normalizzare la situazione politica dello stato sionista in Medio Oriente, ma di rendere economicamente dipendenti dalle infrastrutture statunitensi per il gas mediorientale gli egiziani, i palestinesi, i giordani e magari anche il Libano, anche se la cosa è più difficile.
Come è inevitabile che sia, e come nota McClatchy, esiste uno sviluppo in subordine:
"Su questo fronte l'amministrazione può contare sul sostegno di improbabili alleati. Eliot Engel, presidente democratico della Commmisione per gli Affari Esteri della Camera... Ha detto che il progetto per il forum per gas nel Mediterraneo costituiva un'opportunità strategica per le Stati Uniti per rintuzzare gli sforzi dei russi di estendere la propria influenza sulle fonti energetiche della zona. 'Io penso che [il presidente russo Vladimir] Putin e la Russia non possano controllare la situazione e non siano neppure in grado di farlo,' ha detto Engel".
Insomma, l'amministrazione statunitense sta promuovendo due iniziative bipartisan al Congresso per "rinutizzare" la presenza russa nella regione. Una consiste nel promuovere una partnership sull'energia nel Mediterraneo Orientale; l'altra, parallela, nel minacciare sanzioni verso le imprese europee che sostengono la costruzione del Nord Stream 2, il gasdotto che porta in Germania il gas russo.
Ci sono comunque due grossi ostacoli che si frappongono al "rintuzzamento" della Russia e alla contemporanea normalizzazione dell'inquadramento economico dello stato sionista in Medio Oriente. Il primo, come nota Simon Henderson dello Washington Institute, è che l'idea per cui la geologia della zona potrebbe favorire il riposizionamento dell'Europa o anche sostituire la sua dipendenza dal gas russo "allo stato attuale delle conoscenze sembra una forzatura. Per cambiare le cose bisognerebbe trovare altri giacimenti enormi come il Leviathan o lo Zohr egiziano":
"L'idea che le fonti energetiche del Mediterraneo orientale potrebbero influire sul bilancio energetico europeo in modo tale da erodere la quota di mercato russa è fantasia; l'Europa ha una tale fame di gas, e la Russia può fornirne tanto, che anche solo sperare di arrivarci a partire dalle limitate riserve fino a oggi scoperte è un pio desiderio," ha detto Henderson. "Sperare di trovare gas non è la stessa cosa che trovarlo".
Insomma, uno hub egiziano finalizzato all'esportazione potrebbe funzionare, per come stanno le cose, solo incanalando i più piccoli giacimenti mediorientali di recente scoperta -con un generoso contributo dallo stato sionista- in gasdotti che portino ai due impianti per la liquefazione che esistono vicino a Porto Said e ad Alessandria. Solo che la disponibilità mondiale di gas liquefatto è alta, i prezzi sono competitivi, e non c'è alcuna certezza che uno hub del genere abbia un senso sul piano commerciale.
E poi c'è l'ostacolo principale: la geopolitica. Qualsiasi iniziativa che punti a integrare lo stato sionista nel Medio Oriente è per forza una questione delicata. Mentre i funzionari statunitensi fanno gli ottimisti sulla leadership egiziana del loro "forum sul gas" dopo l'incontro di al Sissi e di Trump dello scorso aprile, l'Egitto (che è un punto di appoggio nel piano statunitense per arginare l'Iran) poco dopo la visita si è ritirato -con gesto piuttosto rimarchevole e per lo scorno degli stessi USA- dalla MESA (Middle East Strategic Alliance), l'alleanza militare strategica che l'amministrazione Trump stava cercando di mettere in piedi contro l'Iran.
Per quanto riguarda gli accordi nel settore energetico, anche siglare un trattato con lo stato sionista non mette certo fine alla sensibilità del pubblico nei confronti di un riavvicinamento ad esso, nota Henderson. A dispetto di qualsiasi "trattato di pace", molti giordani sono ancora contrari all'idea di usare il gas del Leviathan proveniente dallo stato sionista per la produzione di elettricità su vasta scala a cominciare dai primi mesi del prossimo anno. Ad Amman hanno cercato di sviare questo risentimento ribattezzando la fornitura "gas settentrionale" o "gas AmeriKKKano", enfatizzando il ruolo della Noble nella sua produzione.
E qui c'è un altro aspetto della stessa questione. L'Egitto ovviamente non vuole fare parte di un'alleanza contro l'Iran capeggiata dagli USA come la MESA. E allo stesso modo per quale motivo l'Egitto o anche la Giordania o un altro qualunque degli interessati al "forum sul gas" dovrebbero volersi allineare a un piano statunitense per estromettere i russi dal Medio Oriente? L'Egitto può anche aver aderito al progetto per uno hub per il gas, ma intanto sta firmando un contratto da due miliardi di dollari per comprare più di venti caccia russi Sukhoi 35. I partecipanti allo hub davvero pensano che questo hub egiziano sia rivale delle esportazioni russe in Europa?
Probabilmente no: in fin dei conti l'idea che un ipotetico hub energetico possa "rintuzzare la Russia" è anch'essa una fantasia. L'Europa ha una tale fame di gas, e la Russia ha una tale capacità di fornirgliene, che è un pio desiderio anche solo pensarci. L'Unione Europea ad esempio non mostra alcun particolare interesse per il problematico gasdotto che collega il Mediterraneo Orientale con Cipro e poi con la Grecia cui gli USA hanno contribuito con sette miliardi di dollari. La geologia sottomarina è troppo complicata e i costi troppo alti.
Ovviamente, lo stato sionista spera di trovare altri giacimenti. Ma la scadenza per aggiudicarsi l'autorizzazione alle prospezioni in diciannove zone marine è stata posticipata a metà agosto, a quanto sembra per mancanza di investitori interessati. Per adesso pare che ai giganti del settore interessino di più le autorizzazioni messe all'asta da Cipro.
E qui torna in ballo la politica. Fare parte di un "forum sul gas" statunitense in cui Nicosia -i greci di Cipro- è un componente importante pone senza mezzi termini l'iniziativa e i suoi partecipanti in contrasto con la Turchia, che non rinuncerà facilmente alle proprie ambizioni sul Mediterraneo Orientale: ha appena annunciato che realizzerà a Cipro Nord una base aeronavale. E non lo farà neppure il Libano. Al Sissi e Erdogan non si amano a livello personale, ma perché mai altri dovrebbero farsi trascinare in una simile questione?
La Russia non pare troppo interessata alle potenzialità produttive del Medio Oriente che si affaccia sul Mediterraneo. Le interessa piuttosto un gasdotto che vada dall'Iran all'Iraq per raggiungere l'Europa passando dalla Turchia o anche dalla Siria.
Insomma, l'"Accordo" di Kushner e di Trump per integrare lo stato sionista nell'economia energetica della regione sembra destinato a essere accolto con scetticismo e sfiducia, al pari di tutti gli altri termini dello stesso progetto.
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