mercoledì 23 marzo 2022

Firenze. Controradio riporta la risposta degli occupanti dello stabile di viale Corsica 81 al borgomastro Nardella



In questa sede non si è mai fatto alcun mistero di non avere grande stima per la "legge" dello stato che occupa la penisola italiana, specie per le sue implicazioni in materia di attivismo politico, "degrado" e "insicurezza".
Allo stesso modo si sono più volte documentate le affissioni anarchiche reperite sui muri di Firenze, che a fronte dell'agenda politica del democratismo rappresentativo ci sono sempre sembrate degli inattaccabili monumenti di concretezza.
Si riporta con diligenza un altrettanto solido scritto elaborato dagli occupanti di uno stabile occupato da dieci anni, sgomberato dalla gendarmeria senz'altra motivazione che le intemperanze dei suoi frequentatori, che avrebbero goduto senz'altro di maggior tolleranza (se non di approvazione) se invece che motivazioni politiche avessero avuto pretesti legati al bestiale mondo del pallone.
L'iniziativa della gendarmeria è parsa poco fondata e poco costruttiva persino alle gazzette, risaputamente propense ad assecondare i ben vestiti che chiamano terrorista chiunque non procuri loro un reddito.
Occupazioni, scontri di piazza, cortei?
Va tutto benissimo.
Purché a Minsk, a Mosca, a Damasco, a Tehran o a L'Avana.


Abbiamo ascoltato con un misto di rabbia e divertimento le parole di Nardella ai microfoni di Controradio che, di fronte alle critiche mosse dagli abitanti del quartiere nei confronti dello sgombero del nostro spazio di Viale Corsica si arrampica sugli specchi per difendere il deserto che la su amministrazione, giorno dopo giorno, continua a creare. Una realtà che, udite udite, per gli ascoltatori di Controradio contribuiva a rendere più sicura la zona.
Affermazione che deve aver generato nel nostro sindaco, impegnato da sempre a lucidare solo il suo centro vetrina, non poco imbarazzo. L’ennesima conferma di quello che in molti sanno già: la sicurezza non la fanno la militarizzazione dei quartieri, i massicci dispiegamenti di polizia e le telecamere. La sicurezza è data da un quartiere vivo, dalle relazione sociali, dal mutuo appoggio e dalla solidarietà di chi vive fianco a fianco, non certo dalle forze dell’ordine che nascondono dietro ad una finta impotenza quello che in realtà non è altro che menefreghismo. Non è stato certamente il comune a rendere un luogo come l’Area Cani autogestita, prima abbandonata all’incuria e allo spaccio, un posto in cui incontrarsi e socializzare, in cui si sono svolti eventi e concerti.
Ai legittimi dubbi di chi si chiede come un’immobile vuoto e murato possa essere promotore di decoro e legalità il sindaco preferisce rispondere con i suoi soliti mantra che suonano come parole vuote. Nardella si appella alla legalità, quella della sinistra che rappresenta. La legalità di un palazzo che dopo essere stato al centro di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta da parte di uno dei tanti palazzinari fiorentini è rimasto abbandonato all’incuria senza essere mai trasformato nell’opera di compensazione che doveva essere. La legalità di chi riesce ad accedere a fondi e spazi del comune perché da sempre amica di chi nelle stanze di Palazzo Vecchio tiene il culo al caldo da anni.
Bene, su casa nostra da sempre svetta la scritta Illegalità di massa perché consapevoli che giustizia e legalità non sono la stessa cosa e che nelle aule di tribunale ciò che loro chiamano giustizia è solo sinonimo di repressione.
La nostra giustizia è un’altra. È la consapevolezza che lasciare case vuote e murate quando la gente muore di freddo per strada è criminale anche se legale. È la consapevolezza che non servono né il permesso né i fondi di qualcuno per organizzarsi ed aiutare chi è in difficoltà o per essere promotori di attività culturali e sociali. È la consapevolezza che una presa di coscienza collettiva, che l’autogestione e la difesa della dignità delle persone sono più importanti della burocrazia e dei codici di chi vuole un mondo immutabile e rassegnato alla sua vita fatta di solo consumo.
Nardella si arroga il diritto di dividere tra autogestioni buone e cattive, dando una narrazione tossica e falsa di quelli che sono stati percorsi di autorecupero reali e dal basso.
Parla del Lumen e di come abbia contribuito e rendere vivo un luogo prima usato come base di spaccio, angolo dimenticato di un quartiere popolare come le Minime. Si dimentica però che tra il “degrado”, come direbbero loro, e il bando di recupero ci è corsa l’esperienza de I’ Rovo, occupazione agricola che ha ridato vita al posto, abitandolo e avendone cura. Proprio per questo ha subito attacchi e tentativi di incendio da parte delle bande di spacciatori che ne volevano rientrare in possesso. L’amministrazione comunale si è sempre disinteressata alla sicurezza del posto, preferendo ghettizzare il problema in un angolo di periferia e lasciando a chi lo sentiva suo il compito di difenderlo. E quando ci sono riusciti? Sgomberati, rimossi dalla lista dei possibili beni comuni e la colonica assegnata ad un’associazione non indigesta al comune.
Ridicole poi le affermazioni su Mondeggi Bene Comune Fattoria senza padroni, nata dal fallimento di un’azienda di proprietà della provincia. Mondeggi è stata per anni la spina nel fianco della Città Metropolitana, interessata a venderla per fare cassa velocemente.
Speranza infranta da una serie di aste andate a vuoto. Scontratasi con il forte supporto della comunità locale ha dovuto battere in ritirata, avanzando solo nell’ultimo anno timide proposte di dialogo con gli occupanti e proponendo progetti di legalizzazione. Se non li puoi sconfiggere, unisciti a loro, o quantomeno prova a comprarli.
È quindi evidente come si diventi, agli occhi delle istituzioni, “buoni” o “cattivi” secondo la disponibilità o meno a scendere a compromessi. Ma quando ci si rifiuta di svuotare di significato le proprie lotte, anche solo in parte, per trattare con chi ci vuole reprimere si è di sicuro cattivi.
Questo è l’ennesimo esempio di come il potere tenti di sfruttare le differenze di pratiche, metodi e visioni interne ai movimenti per dividere, isolare e atomizzare le realtà di lotta.
Ma il movimento fiorentino non casca nella strategia divide et impera di un’amministrazione con l’elmetto. Ne è la prova la solidarietà che abbiamo ricevuto da tutte le realtà locali e non, che non si sono tirate indietro e hanno abbracciato con fierezza e gioia le azioni e le pratiche che ci siamo rivendicati negli anni.
Per questo continueremo a ripetere, ora e sempre: si parte e si torna insieme!


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