lunedì 21 aprile 2014

Pepe Escobar - L'Ucraina e la grande scacchiera



Traduzione da Asia Times.



Il capo della CIA John Brennan ha detto che quelli che hanno rovesciato il governo di Kiev stanno "conducendo operazioni tattiche" nel quadro di un'offensiva "antiterrorista" nell'est dell'Ucraina. Il Dipartimento di Stato degli USA, per tramire del suo portavoce Jennifer Psaki, ha fatto sapere che si tratta di affermazioni "completamente false". Questo significa che Brennan ha dato l'ordine di passare all'azione. D'ora in poi la "campagna antiterrorista", come la si è chiamata con un tocchettino di retorica alla George Diabolus Bush, degenera in farsa.
Il retriever danese della NATO, Anders Fogh Rasmussen, guaisce sulla rafforzata presenza sul fronte est dell'alleanza: "Avremo più aerei in cielo, più navi in mare e maggiore prontezza sulla terra".
Si colleghino i due fatti. La guerra postmoderna secondo due tirapiedi.

O pagate o vi congeliamo a morte
L'Ucraina è a pezzi, da ogni punto di vista pratico. In  tutti gli ultimi tre mesi il Cremlino si è mantenuto su un atteggiamento consistente nell'incoraggiare Bruxelles a trovare una soluzione per gli enormi problemi economici dell'Ucraina. A Bruxelles non hanno fatto nulla; erano occupati a scommettere sul rovesciamento del governo, a tutto vantaggio di Vladimir Klitschko, il peso massimo burattino dei tedeschi noto anche come Klitsch il boxer.
Il governo è stato rovesciato, solo che a rovesciarlo è stato il Khaganato di Nullandia: un sottoscala neo-con al Dipartimento di Stato, capeggiato dall'assistente del Segretario di Stato per l'Europa e gli affari eurasiatici Victoria Nulands. Ora il Presidente degli Statio Uniti può scegliere tra due burattini: il cioccomiliardario Petro Poroshenko e "Santa Yulia" Timoshenko, ex primo ministro ucraino, ex detenuto e presidente in pectore. All'Unione Europea invece è rimasto il conto da pagare. Un conto che non c'è modo di pagare: e qui arriva il Fondo Monetario Internazionale con uno dei suoi "aggiustamenti strutturali" che spedirà gli ucraini in un inferno anche peggiore di quello che già conoscono.  
Nonostante il clima isterico che il Ministero della Verità degli USA ha instaurato in tutte le sue succursali nel mainstream occidentale, il Cremlino non ha bisogno di invadere un bel nulla. Questo è bene che sia chiaro. Se la Gazprom non viene pagata, non deve far altro che chiudere la diramazione ucraina dell'Oleodottistan. Se questo succede, Kiev non potrà fare altro che usare parte delle scorte destinate a qualche paese della UE perché agli ucraini non manchi l'energia necessaria a tenere in vita se stessi e le proprie fabbriche. E l'Unione Europea, la cui "politica energetica" è una barzelletta già per proprio conto, dovrà fare i conti con un altro problema che si è procurata da sola.
L'Unione Europea resterà vittima di un perenne gioco al ribasso, se Bruxelles non si mette sul serio ad un tavolino insieme con Mosca. Ancora non lo ha fatto e c'è una sola spiegazione: le fortissime pressioni di Washington, esercitate per tramite della NATO.
Un'altra cosa dev'essere chiara, come contromossa all'isteria dilagante: l'Unione Euopea è il miglior cliente della Gazprom, di cui assorbe il 61% delle esportazioni. E' una relazione complessa, e si basa sull'interdipendenza: la capitalizzazione del North Stream, del Blue Stream e del South Stream in via di completamento comprende imprese tedesche, olandese, francesi e dello stato che occupa la penisola italiana.
Certo, la Gazprom ha bisogno del mercato europeo. Ma fino ad un certo punto, visto il corposissimo accordo con la Cina sul gas siberiano che verrà siglato con ogni probabilità il mese prossimo a Pechino, nel corso della visita di Putin a Xi Jinping.

La chiave inglese tra gli ingranaggi
Il mese scorso, mentre andava in scena l'accidentato spettacolo ucraino, Xi Jinping era in Europa a stringere accordi e a promuovere un altro ramo della Via della Seta diritto diritto fino in germania.
In un ambiente sano e non hobbesiano, una Ucraina neutrale non avrebbe che da guadagnare dalla propria posizione di punto di incrocio privilegiato fra l'Unione Europea e quell'Unione Eurasiatica che si va prospettando; sarebbe anche uno snodo fondamentale per la nuova Via della Seta che è protagonista delle iniziative cinesi. I rovesciatori del governo, invece, scommettono sull'ingresso nell'Unione Europea (che non avverrà, fine della questione) e sul diventare una testa di ponte della NATO (che è quello che vuole il Pentagono).
Per la prospettiva di un mercato comune che va da Lisbona a Vladivostok, che è quello che sia Mosca che Pechino vorrebbero e che anche per l'Unione Europea sarebbe un'occasione d'oro, il disastro ucraino è una vera chiave inglese tra gli ingranaggi.
E a trarre vantaggio dalla chiave inglese c'è una sola parte in causa: il governo degli Stati Uniti.
L'amministrazione Obama può anche aver capito -la parola fondamentale è può- che il governo degli Stati Uniti ha perso la battaglia per il controllo dell'Oleodottistan che va dall'Asia all'Europa, a dispetto di tutti gli sforzi di Dick Cheney. Quella che gli esperti di questioni energetiche chiamano la rete di sicurezza asiatica sta progressivamente cambiando, così come sta cambiando la miriade di legami che la collegano all'Europa.
Questa chiave inglese è tutto quello che rimane all'amministrazione Obama, ancora alle prese col tentativo di ostacolare la piena integrazione economica dell'Eurasia.
L'amministrazione Obama, ovviamente, vede la crescente dipendenza dell'Unione Europea dal gas russo come un'ossessione. Di qui la sua idea di proporre il gas statunitense all'Europa come alternativa a quello che arriva dalla Gazprom. Ammesso e non concesso che la cosa sia realizzabile, ci vorrebbero almeno dieci anni e senza nessuna garanzia di successo. L'alternativa vera sarebbe il gas iraniano, dopo la composizione della questione nucleare e dopo la caduta delle sanzioni occidentali. Tutto questo, e la cosa non sorprende, viene visto come fumo negli occhi da varie fazione interne al sistema delle lobby statunitense.
Tanto per cominciare, gli Stati Uniti non possono esportare gas in paesi con cui non hanno stretto un accordo di libero scambio. A questo problemuccio si potrebbe ovviare in grande misura con la partnership transatlantica su cui si sta negoziando in segreto tra Washington e Bruxelles (si veda Breaking bad in southern NATOstan, Asia Times online, 15 aprile 2014).
Intanto l'amministrazione Obama continua col suo "divide et impera" per incutere timore agli attori più piccoli: si agita al massimo lo spettro di una Cina malvagia e militarista, nel tentativo di rafforzare l'ancora incerto "rivolgimento verso l'Asia". Il tutto rimanda a quello che Zbig Brzezinski fodmalizzò ancora nel 1997, nel suo The Grand Chessboard, affinandone poi i dettagli in favore del suo allievo Obama: il dominio degli Stati Uniti sull'Eurasia.
Il Cremlino non si farà trascinare in un bailamme militare. Possiamo pensare che Putin abbia capito qual è la mossa fondamentale per il controllo della scacchiera: il rafforzamento della partnership strategica tra Russia e Cna, fondamentale come la sinergia con l'Europa nella produzione di risorse energetiche. E soprattutto, la mostruosa paura delle élite finanziarie statunitensi dell'inevitabile processo oggi in corso, il superamento del petrodollaro, guidato dai BRICS e che vede coinvolti anche i principali paesi del Gruppo dei venti.
In ultima analisi, tutto questo mostra la progressiva messa da parte del petrodollaro, intanto che va affermandosi un intero paniere di valute come monete di riserva per il sistema internzionale. I BRICS sono già al lavoro per costruire una propria alternativa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, e lo fanno investendo in un paniere di valute di riserva ed in una banca di sviluppo per i BRICS. Mentre il tentativo di costruire un nuovo ordine mondiale stenta a prendere forma nei vari punti del Sud del Mondo, i robocop della NATO sognano la guerra.
 

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