Traduzione da Strategic Culture, 15 novembre 2024.
Gli ambienti governativi dello stato sionista si mostrano serenamente sicuri, entro certi limiti, di poter imbrigliare Trump. Magari non per la completa annessione dei Territori occupati -Trump nel suo primo mandato non ha sostenuto iniziative del genere- ma piuttosto per intrappolarlo in una guerra contro l'Iran. Nello stato sionista sono in molti (per non dire la maggioranza) a non vedere l'ora di fare la guerra all'Iran e di ampliare il proprio territorio (senza arabi). E credono alle chiacchiere secondo cui l'Iran sarebbe supino e incredibilmente vulnerabile davanti a un attacco militare statunitense e sionista.
Le nomine per l'amministrazione Trump, finora, rivelano una squadra di politica estera fatta di feroci sostenitori dello stato sionista, dalla appassionata ostilità nei confronti dell'Iran. I media dello stato sionista la definiscono una "squadra da sogno" per Netanyahu. Sembra proprio così.
La lobby dello stato sionista non avrebbe potuto chiedere di meglio. Hanno avuto quello che volevano. E con il nuovo capo della CIA si ritrovano di giunta anche un noto falco anticinese.
Solo che sul piano interno i toni sono esattamente opposti. Il nome fondamentale tra quanti spetta fare pulizia è quello di Matt Gaetz, nominato procuratore generale; un bombarolo fatto e finito. E per dare una sistemata ai servizi è stata nominata direttore dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard. Tutte le agenzie faranno capo a lei, che sarà anche responsabile del briefing quotidiano con il Presidente. Le valutazioni dell'intelligence potrebbero così iniziare a riflettere qualcosa di più vicino alla realtà.
La interconnessa e profonda realtà delle agenzie governative ha motivo di essere sinceramente intimorita; è nel panico, soprattutto a causa di Gaetz.
Elon Musk e Vivek Ramaswamy hanno il compito quasi impossibile di tagliare la spesa federale fuori controllo e di mettere un freno alla stampa di valuta. Il sistema è profondamente dipendente da una spesa pubblica gonfiata a dismisura per mantenere in funzione gli ingranaggi e le leve del mastodontico apparato di "sicurezza", e non si arrenderà senza prima avere duramente combattuto.
Se da un lato una Lobby ottiene una squadra da sogno (per lo stato sionista), dall'altro -sul piano interno- si ritrova con una squadra di rinnegati.
La cosa deve essere stata intenzionale. Trump sa che l'eredità dell'operato di Biden, che ha gonfiato il PIL con posti di lavoro statali e una spesa pubblica eccessiva, è la vera bomba a orologeria che lo attende. Anche in questo caso i sintomi di astinenza, quando la droga del denaro facile viene meno, potrebbero rivelarsi incendiari. Il passaggio a un sistema basato su tariffe e tasse basse sarà dirompente.
Che ne avesse avuta l'intenzione o meno, Trump sta giocando a carte coperte. Abbiamo solo delle anticipazioni suli suoi intendimenti, e i pezzi grossi delle agenzie governative sono al lavoro per confondere le acque. Ad esempio, il Pentagono ha autorizzato le compagnie private ad operare in Ucraina in accordo con le "parti interessate nelle agenzie governative".
Trump è di nuovo alle prese con la vecchia nemesi che ha paralizzato il suo primo mandato. Durante il processo di impeachment per l'Ucraina un testimone (Vindman) quando gli è stato chiesto perché non si sarebbe attenuto alle istruzioni esplicitamente impartitegli dal Presidente ha risposto che, sebbene Trump avesse un proprio punto di vista sulla questione dell'Ucraina, tale posizione non corrispondeva a quella concordata tra agenzie governative. In parole povere, Vindman ha negato che un presidente degli Stati Uniti abbia un qualche potere nella formulazione della politica estera.
Insomma, le agenzie governative stavano facendo capire a Trump che il sostegno militare all'Ucraina doveva continuare.
Quando lo Washington Post ha pubblicato la storia dettagliata di una telefonata Trump-Putin -che il Cremlino afferma recisamente non essere mai avvenuta- erano le strutture politiche del deep state che stavano mandando a dire a Trump che sarebbero state loro a determinare la forma della "soluzione" statunitense per l'Ucraina.
Allo stesso modo, quando Netanyahu si è vantato di aver parlato con Trump e del fatto che Trump "condivideva" le sue idee sull'Iran, Trump ha ricevuto indirettamente istruzioni su quale debba essere la sua politica nei confronti dell'Iran. Anche tutte le (false) voci sulle nomine nella sua squadra non erano altro che voci messe in giro dalle agenzie governative per indicare quali fossero le loro scelte per i posti chiave. Non c'è da stupirsi che la confusione regni.
Quindi, cosa si può dedurre in questa fase iniziale? Il filo conduttore è stato il costante ritornello che Trump è contro la guerra. E che dai suoi esige lealtà personale e nessun vincolo con le lobby o con il deep state.
Il fatto che la sua amministrazione sia piena di sostenitori dello stato sionista è un'indicazione del fatto che Trump si sta orientando verso un "patto faustiano del realismo" per distruggere l'Iran al fine di paralizzare la fonte di approvvigionamento energetico della Cina (che proviene per il novanta per cento dall'Iran), e quindi indebolire la Cina stessa? - Due piccioni con una fava, per così dire?
Il crollo dell'Iran indebolirebbe anche la Russia e ostacolerebbe i progetti per le vie di comunicazione dei BRICS. L'Asia centrale ha bisogno sia dell'energia iraniana sia delle indispensabili vie che collegano Cina, Iran e Russia come snodi primari del commercio eurasiatico.
Quando la RAND, il think tank del Pentagono, ha recentemente pubblicato una notevole valutazione della Strategia di Difesa Nazionale (NDS) per il 2022, le sue conclusioni sono state crude: un'analisi inesorabilmente cupa della macchina bellica statunitense, in ogni suo aspetto. Insomma, la valutazione sosteneva che gli Stati Uniti "non sono preparati" sotto nessun aspetto significativo ad una seria "competizione" con i loro principali avversari. E sono vulnerabili o addirittura nettamente inferiori in ogni ambito bellico.
Gli Stati Uniti, prosegue la valutazione della RAND, potrebbero venir trascinati in breve tempo in una guerra in più teatri contro avversari di pari livello e di quasi pari livello, e potrebbero perderla. Il rapporto avverte che l'opinione pubblica statunitense non ha interiorizzato i costi che comporterebbe la perdita della posizione di superpotenza mondiale. Gli Stati Uniti devono quindi impegnarsi a livello globale con la presenza militare, diplomatica ed economica per preservare la loro influenza nel mondo.
In effetti, come ha osservato un autorevole commentatore, il "culto dell'Impero a tutti i costi" -cioè lo spirito che anima l'organizzazione RAND- è ora "più che mai alla ricerca disperata di una guerra da combattere per ripristinare la propria fortuna e il proprio prestigio".
Rifarsela con la Cina con uno di quei gesti distruttivamente dimostrativi con cui si intenderebbe "preservare l'influenza degli Stati Uniti nel mondo" porterebbe ad esiti del tutto inediti, perché gli Stati Uniti "non sono preparati" a un conflitto serio con avversari di pari livello come la Russia o la Cina, sostiene la RAND.
La situazione di stallo in cui versano gli Stati Uniti dopo decenni di eccessi fiscali e di delocalizzazioni -fenomeni su cui si è sviluppato l'indebolimento della loro base industriale militare oggi tanto rilevante- rende ora la guerra cinetica con la Cina, con la Russia o "in più teatri" una prospettiva da evitare.
Il punto che il commentatore su citato sottolinea è che non esistono più "guerre facili" da combattere. E che la realtà -ritratta a toni crudi dalla RAND- è che gli Stati Uniti possono scegliere di combattere una ed una sola guerra. Trump potrebbe non volerne alcuna, ma i grossi calibri della Lobby -tutti sostenitori dello stato sionista, quando sono sionisti militanti fautori della cacciata dei palestinesi - vogliono la guerra. E credono di poterci arrivare.
Insomma: Trump ci ha pensato bene? Gli altri membri della squadra di governo gli hanno ricordato che nel mondo di oggi, e con la forza militare degli Stati Uniti che sta venendo meno, non ci sono più "guerre facili" da combattere, anche se i sionisti credono che eliminando d'un sol colpo la leadership religiosa dell'Iran e del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (sulla falsariga degli attacchi con cui lo stato sionista ha eliminato i leader di Hezbollah a Beirut), il popolo iraniano si solleverebbe contro i suoi leader e si schiererebbe con lo stato sionista per un "Nuovo Medio Oriente".
Netanyahu ha appena rivolto un secondo discorso televisivo al popolo iraniano promettendogli che la liberazione è vicina. Lui e il suo governo non stanno aspettando Trump per chiedegli l'assenso all'annessione di tutti i territori palestinesi occupati. Quel progetto è in fase di attuazione sul campo ed è in corso in questo momento. Netanyahu e il suo gabinetto hanno la pulizia etnica all'ordine del giorno; Trump sarà in grado di farla scomparire? E in che modo? O forse lascerà fare e diventerà il padrino di un genocidio?
Questa ipotetica "guerra contro l'Iran" segue lo stesso ciclo narrativo della guerra contro la Russia: "la Russia è debole; le sue forze armate sono poco addestrate; il suo equipaggiamento è per lo più riciclato dall'era sovietica; ha pochi missili e poca artiglieria". Zbig Brzezinski aveva già portato questa logica alla sua conclusione in La Grande Scacchiera (1997): La Russia non avrebbe avuto altra scelta che sottomettersi all'espansione della NATO e ai dettami geopolitici degli Stati Uniti. Questa era la situazione "ai tempi", ovvero poco più di un anno fa. La Russia ha accettato la sfida occidentale e oggi sta vincendo in Ucraina, mentre l'Occidente assiste impotente.
Il mese scorso è stato il generale statunitense in pensione Jack Keane, analista strategico di Fox News, a sostenere che l'attacco aereo dello stato sionista contro l'Iran ha lasciato il paese "sostanzialmente indifeso", con la maggior parte delle difese aeree "stroncate" e le fabbriche di missili distrutte dagli attacchi del 26 ottobre. La vulnerabilità dell'Iran, ha detto Keane, è "semplicemente sconcertante".
Keane ha ripreso il primo Brzezinski e il suo messaggio è chiaro: l'Iran sarà una preda facile. Questa previsione tuttavia si rivelerà probabilmente sbagliata. E se ascoltata porterà a un completo disastro militare ed economico per lo stato sionista. Ma non è da escludere che Netanyahu -assediato su tutti i fronti, sull'orlo di una crisi interna e persino a rischio di finire in carcere- sia abbastanza disperato da darle ascolto. Dopo tutto il suo è un imperativo biblico, che egli persegue per Israele...!
L'Iran probabilmente compirà una ritorsione dolorosa contro lo stato sionista prima dell'insediamento presidenziale del 20 gennaio. E questa ritorsione dimostrerà le inaspettate e impreviste innovazioni militari iraniane. La reazione degli Stati Uniti e dello stato sionista potrebbe dare il via a una guerra regionale più ampia. In tutta la regione gli animi fremono per il massacro nei Territori occupati e in Libano.
Trump potrebbe non rendersi conto di quanto gli Stati Uniti e lo stato sionista siano isolati, rispetto ai vicini arabi e sunniti dello stato sionista. Gli Stati Uniti sono talmente indeboliti e le loro forze nella regione sono talmente vulnerabili all'ostilità fomentata dai massacri quotidiani che una guerra regionale potrebbe essere sufficiente a far crollare l'intero castello di carte. La crisi getterebbe Trump in una crisi finanziaria che potrebbe minare anche le sue aspirazioni economiche interne.