mercoledì 15 gennaio 2025

Alastair Crooke - Trump, l'Iran e il piano strategico di Obama


traduzione da Strategic Culture, 13 gennaio 2025.

 Come un antico orologio fracassato -con i suoi elaborati ingranaggi, le ruote dentate e le altre parti interne che fuoriescono dall'involucro- così è il Medio Oriente, con i suoi meccanismi esposti e rotti allo stesso modo. Tutta la regione è in gioco: Siria, Libano, Qatar, Giordania, Egitto, Iran.
L'originale piano strategico di Obama per arginare e bilanciare le energie potenzialmente violente dell'Asia occidentale venne passato all'entourage di Biden alla fine del mandato di Obama, e di Obama portava ancora con chiarezza lo imprimatur, fino a quando non è collassato dopo il 7 ottobre 2023.
Netanyahu ne ha deliberatamente distrutto i meccanismi: con iniziative di sfrenata distruzione Netanyahu ha fatto piazza pulita di uno status quo che vedeva come una camicia di forza con cui gli statunitensi avrebbero impedito alla Grande Israele di arrivare alla propria "Grande Vittoria". Netanyahu mal tollerava i vincoli degli USA anche se, mandando in pezzi tutto quanto, invece di liberare la Grande Israele potrebbe aver scatenato dinamiche che si riveleranno molto più minacciose, per esempio in Siria.
La pietra angolare dell'equilibrio regionale di Obama era descritta in una lettera segreta inviata alla Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran nel 2014 e in cui -come riporta il Wall Street Journal, Obama proponeva a Khamenei di agire congiuntamente in Iraq e Siria contro lo Stato Islamico che vi controllava territori. Questa iniziativa congiunta, tuttavia, era subordinata al raggiungimento da parte dell'Iran di un accordo nucleare con gli Stati Uniti.
La lettera riconosceva esplicitamente gli interessi dell'Iran in Siria; per alleviare le preoccupazioni dell'Iran sul futuro del suo stretto alleato, il Presidente al Assad, la lettera affermava che le operazioni militari degli Stati Uniti in Siria non erano rivolte contro il Presidente Assad o contro le sue forze di sicurezza.
L'intesa tra Obama e Khamanei, va notato, si estendeva implicitamente a Hezbollah, che si era unito all'Iran per combattere lo Stato Islamico in Siria:
Tra gli altri messaggi trasmessi a Teheran, secondo i funzionari statunitensi dell'epoca, c'era anche che le operazioni militari degli Stati Uniti in Iraq e Siria non miravano a indebolire Tehran o i suoi alleati.
Ovviamente, gli impegni presi da Obama nei confronti dell'Iran erano menzogne: Obama aveva già firmato nel 2012 (o anche prima) un mandato presidenziale segreto (cioè un ordine) perché i servizi statunitensi fornissero appoggio ai ribelli siriani nel loro tentativo di spodestare il Presidente Assad.
La lettera del 2014 stabiliva che se l'Iran avesse stretto un accordo sul nucleare i suoi interessi nella regione sarebbero stati rispettati e che avrebbero potuto estendersi anche al Libano, nel contesto di un'amministrazione congiunta internazionale (come esemplificato dalla mediazione dell'inviato statunitense Hochstein sui confini marittimi tra Libano e Siria).
Lo scopo di questo progetto molto complesso era una delle ossessioni fondanti di Obama: arrivare all'instaurazione di un proto-stato palestinese, sia pure sotto la forma di protettorato amministrato e sostenuto dalla comunità internazionale piuttosto che sotto la forma di Stato nazionale sovrano.
Perché Obama ha insistito su un assetto che era un tale anatema per la destra dello stato sionista e per i sostenitori ameriKKKani dello stato sionista? Sembra che (a ragione) diffidasse di Netanyahu e conoscesse bene la determinazione di quest'ultimo a impedire che uno Stato palestinese si concretizzasse.
Con questa iniziativa all'insegna dell'equilibrio tra potenze, Obama aveva cercato indirettamente di legare l'Iran e i suoi alleati al concetto di "Stato" palestinese come egli lo intendeva. Il tutto aveva lo scopo di porre sotto crescente pressione lo stato sionista, affinché acconsentisse alla sua instaurazione. Senza una intensa pressione sullo stato sionista era chiaro a Obama che uno Stato palestinese sarebbe rimasto lettera morta.
Netanyahu aveva già messo anche troppo in chiaro già negli anni Settanta che la sua intenzione era quella di assistere al completo svuotamento della presenza palestinese in Cisgiordania. La cosa era evidente nell'intervista che Netanyahu rilasciò allo scrittore Max Hastings, che stava scrivendo un libro su suo fratello.
Netanyahu non amava Obama, e ne diffidava tanto quanto Obama diffidava di lui.
Dopo il 7 ottobre 2023, con l'anello di fuoco rappresentato da sette fronti di guerra che si stringeva attorno allo stato sionista, Netanyahu ha deciso di rompere i vincoli della camicia di forza. E ci è riuscito.
Tuttavia, non è certo che la struttura finemente elaborata da Obama avrebbe mai funzionato. In ogni caso Netanyahu -sfidando apertamente la Casa Bianca- ha deciso di sbarazzarsi delle remore di Obama e di Biden e di distruggere l'intero progetto di Obama incentrato sull'Iran.
La logica della serie di devastazioni che lo stato sionista ha operato nella regione ha fatto pensare a Netanyahu, così come a molti nello stato sionista e tra gli statunitensi che fanno i sionisti di complemento, che l'Iran sia adesso "incredibilmente vulnerabile" -per dirla con il generale Jack Keane- a causa della perdita della Siria, che era lo snodo centrale dell'Asse della Resistenza.
Axios scrive:
Visti i recenti progressi dell'Iran in campo nucleare, il presidente eletto Trump dovrà prendere una decisione cruciale nei primi mesi del mandato: neutralizzare la minaccia [nucleare iraniana] attraverso negoziati e pressioni [crescenti], oppure ordinare un attacco militare. Diversi consiglieri di Trump ammettono in privato che il programma iraniano è ormai così avanzato che questa strategia [iniziale] potrebbe non essere più efficace. Ciò rende l'opzione militare una possibilità reale”. Il ministro sionista per gli Affari strategici Ron Dermer ha incontrato Trump a Mar-a-Lago in novembre. Dermer ha pensato che ci fossero grandi probabilità che Trump appoggiasse un attacco militare sionista contro le strutture nucleari iraniane -cosa che nello stato sionista stanno prendendo in seria considerazione- o che addirittura ordinasse un attacco statunitense. Nelle ultime settimane, alcuni consiglieri del Presidente Biden hanno sostenuto in privato la necessità di colpire i siti nucleari iraniani prima che Trump entri in carica, dato che l'Iran e i suoi alleati sono così gravemente indeboliti.
Solo che tutto questo potrebbe rivelarsi un pio desiderio. Il 7 gennaio 2025 Trump ha ripubblicato un video sulla piattaforma Truth Social in cui, con la partecipazione del professore della Columbia University Jeffrey Sachs, si parla degli sforzi con cui la CIA si sarebbe segretamente impegnata per destabilizzare il governo siriano e rovesciare Assad, dell'influenza di Netanyahu, del ruolo della lobby sionista nello spingere gli Stati Uniti verso la guerra in Iraq e dei continui tentativi di Netanyahu di coinvolgere gli stessi Stati Uniti in un potenziale conflitto con l'Iran. Sachs ha spiegato che le guerre in Iraq e in Siria sono state fabbricate da Netanyahu e che non hanno nulla a che fare con la "democrazia".
"Netanyahu sta ancora cercando di farci combattere contro l'Iran. È un autentico figlio di puttana, perché ci ha fatto cacciare in guerre senza fine", ha detto il professor Sachs nell'intervista ripubblicata.
Tuttavia, come osserva Barak Ravid, "nell'ambiente di Trump c'è anche chi pensa che cercherà di arrivare a un accordo prima di prendere in considerazione un attacco". A novembre, a chi gli chiedeva se c'era la possibilità di una guerra con l'Iran, Trump ha risposto: "Tutto può succedere, è una situazione molto volatile".
Cosa significa questo per l'Iran?
Essenzialmente, l'Iran ha due opzioni: In primo luogo, segnalare agli Stati Uniti la propria disponibilità a stipulare una sorta di nuovo accordo nucleare con l'esecutivo di Trump -un segnale che il suo Ministro degli Esteri ha peraltro già inviato- e poi attendere un successivo incontro Trump-Putin per rifondare una architettura di sicurezza globale postbellica e che sia coronato da successo. A partire da questo accordo globale a grandi linee, Tehran potrebbe sperare di negoziare un proprio accordo separato con gli Stati Uniti.
Naturalmente, questo sarebbe l'esito migliore.
Tuttavia, l'ambasciatore Chas Freeman ha affermato che, sebbene una pace equilibrata tra Stati Uniti e Russia sia (teoricamente) possibile, sarà "molto difficile" arrivarci. Ray McGovern ha aggiunto più volte che Trump è "abbastanza intelligente" da sapere di non avere grandi carte da giocare con la Russia nello spazio eurasiatico e che, da bravo realista, ha altri e più grandi obiettivi.
È per questo che Trump e Musk stanno rimestando in modo tanto rimarcato nel calderone della geopolitica: Canada, Groenlandia e Panama come parte degli Stati Uniti? Saranno anche chiacchiere da Trump, ma la Groenlandia e Canada insieme potrebbero cambiare l'equilibrio con la Russia: forse che Trump è intenzionato ad esercitare maggiore pressione sull'Artico, per minacciare i confini settentrionali della Russia? Dall'Artico, per dei missili diretti contro di essa, il volo sarebbe più breve.
Dall'altra parte, Musk ha scatenato un fuoco di fila in Europa con i suoi tweet e il suo invito a un livestream con Alice Weidel dell'AfD. La Germania è il cuore della NATO e dell'UE. Se la Germania si allontanasse dalla prospettiva di una guerra con la Russia andandosi a unire ad altri Paesi europei che hanno già cambiato orientamento, Trump potrebbe plausibilmente porre fine al considerevole onere economico che grava sull'economia statunitense rappresentato dal dispiegamento di truppe nell'UE. Come dice il colonnello Doug Macgregor, quante volte dobbiamo dire alla gente che "gli ameriKKKani non vivono in Europa: noi viviamo nell'emisfero occidentale!".
Musk ha effettivamente lanciato una bomba in favore della libertà di parola contro l'egemonia mediatica europea che controlla strettamente il discorso in tutto il continente e che obbedisce al deep state anglosassone.
Questo porterà all'accordo con la Russia e con la massa continentale asiatica che Trump sta cercando? Staremo a vedere.
L'opzione alternativa per l'Iran è più rischiosa, e dipende dalla valutazione dei servizi segreti iraniani sulla probabilità che lo stato sionista tenti un attacco preventivo: l'Iran ha cioè l'opzione di un'ulteriore "Operazione Vera Promessa" in cui però lo scopo non è più quello di fare deterrenza, come nelle versioni precedenti, ma -come spiega Shivan Mahendrarajah- quello di mettere in chiaro che una vittoria sionista è improbabile e dimostrare che un conflitto avrebbe costi inaccettabili, smontando così l'illusoria narrazione di uno stato sionista destinato immancabilmente a trionfare.
Nel 2003, come ha notato Mahendrarajah, l'Iran aveva proposto agli Stati Uniti un "grande accordo". L'amministrazione Bush lo rifiutò. Sarebbe possibile richiamarlo in vita non attraverso colloqui sul nucleare, in cui adesso l'Iran ha la mano più debole, ma con l'uso calibrato della forza. Sarebbe una scommessa audace e di vasta portata.

(Questa è la seconda parte dello scritto “Può Trump salvare l'America da se stessa?”. La prima parte può essere letta qui).

martedì 14 gennaio 2025

Alastair Crooke - Riuscirà Trump a difendere l'AmeriKKKa da se stessa (parte 1)?



Traduzione da Strategic Culture, 10 gennaio 2025.

La scorsa settimana [la prima del gennaio 2025, n.d.t.] il Ministro della Difesa russo Lavrov ha respinto come insoddisfacenti le proposte di pace per l'Ucraina avanzate dall'entourage di Trump. In sostanza i russi sono convinti che chiedere di congelare il conflitto non colga l'essenza della situazione. Dal punto di vista russo simili idee -conflitti congelati, cessate il fuoco e forze di pace- non sono attinenti al "quadro generale" basato su un trattato che i russi sostengono dal 2021.
Senza una conclusione netta e permanente del conflitto, i russi preferiranno lasciare che sia il campo di battaglia a decidere, anche a rischio di un diniego da parte degli USA che porti a una continua escalation anche nucleare.
La domanda è piuttosto questa: è possibile una pace duratura tra Stati Uniti e Russia? La morte dell'ex presidente Jimmy Carter ci ricorda la turbolenta "rivoluzione" della linea politica degli anni Settanta cristallizzata negli scritti del consigliere per la sicurezza nazionale di Carter Zbig Brzezinski, una rivoluzione che da allora ha reso tormentose le relazioni tra Stati Uniti e Russia.
Ai tempi di Carter si è verificato un rimarchevole punto di inflessione con l'invenzione da parte di Brzezinski del conflitto identitario armato, e l'amplissimo impiego da parte sua degli stessi strumenti identitari al fine di portare le società occidentali sotto il controllo di una élite tecnocratica "[che pratica] una sorveglianza continua su ogni cittadino ... [insieme alla] manipolazione del comportamento e del funzionamento intellettuale di tutte le persone...".
Nei suoi fondamentali scritti, Brzezinski sosteneva in poche parole l'edificazione e il controllo di una sfera identitaria cosmopolita che avrebbe sostituito le culture comunitarie, ovvero i valori nazionali. È nella reazione ostile a questa visione tecnocratica del "controllo" che possiamo identificare le radici dei problemi che oggi deflagrano ovunque e su ogni fronte a livello mondiale.
In parole povere, gli eventi attuali sono per molti versi una replica dei turbolenti anni Settanta. La marcia odierna verso norme antidemocratiche è iniziata con il The Crisis of Democracy (1975) della Commissione Trilaterale, che è stata il precursore del Forum Economico Mondiale di Davos e del Gruppo Bilderberg, con le banche internazionali e le multinazionali incoronate (per dirla con Brzezinski) come la principale forza creativa al posto dello "Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell'uomo".
Che la Russia facesse venire l'orticaria a solo nominarla non era una novità introdotta da Brzezinski. Risale piuttosto allo Hudson Institute degli anni '70 e al senatore Henry "Scoop" Jackson, due volte candidato alla nomination democratica per le elezioni presidenziali del 1972 e del 1976. Jackson (di origine norvegese) odiava il comunismo, odiava i russi e aveva un grande sostegno all'interno del Partito Democratico. Brzezinski, di origine polacca, condivideva la russofobia di Scoop Jackson. Convinse il presidente Carter (nel 1979) a sostenere in Afghanistan una cultura identitaria radicalizzata e jihadista per contrastare la cultura laica e socialista di Kabul sostenuta da Mosca. L'esito della guerra in Afghanistan è stato poi presentato come una grande vittoria ameriKKKana, ma non lo è stata.
Eppure -e questo è il punto- la rivendicazione della vittoria ha comunque rafforzato l'idea che una insurrezione islamica potesse costituire il lubrificatore ideale per i piani indirizzati al rovesciamento degli esecutivi invisi; un'idea tuttora forte, come testimoniano le vicende nella Siria di oggi.
Ma Brzezinski aveva anche altri consigli da dare al Presidente Carter. Nel suo La grande scacchiera (1997), Brzezinski sosteneva che gli USA e Kiev avrebbero all'occorrenza potuto far leva su antiche e complesse questioni culturali e linguistiche (come era stato fatto in Afghanistan) per farne il perno di un'iniziativa diretta contro il cuore del potere continentale e sottrarre alla Russia il controllo dell'Ucraina: "Senza l'Ucraina la Russia non sarebbe mai diventata una potenza continentale; controllando l'Ucraina invece la Russia può e vuole esserlo", puntualizzava. La sua idea era che si dovesse fare i modo che la Russia finisse invischiata in un pantano identitario e culturale analogo anche in Ucraina.
Perché questa decisione politica si è rivelata tanto dannosa per le prospettive di una pace definitiva tra Stati Uniti e Russia? Perché Kiev, incoraggiata dalla CIA, ha promosso l'affermazione identitaria del tutto falsa secondo cui "l'Europa finisce con l'Ucraina" e che al di là di essa si trovino "gli Slavi".
Questa manipolazione, da sola, ha permesso a Kiev di trasformarsi in un'icona della guerra culturale e identitaria totale contro la Russia, nonostante il fatto che la lingua ucraina (correttamente nota come ruteno) non sia certo una lingua germanica. E nonostante il fatto che non sia reperibile alcun DNA vichingo (germanico) tra gli ucraini occidentali di oggi.
Nel suo desiderio di sostenere Kiev e di compiacere Biden, l'UE si è buttata a pesce sul revisionismo strategico ucraino per cui l'Ucraina verrebbe concepita come un baluardo dei "valori europei" contro quelli russi, ovvero asiatici. Si trattava di un perno, sia pure fallace, attorno al quale si poteva forgiare l'unità europea in un momento in cui il dato reale segnava invece un venire meno della coesione dell'Unione Europea. È dunque possibile una "pace sostenibile" con la Russia? Se si cerca di arrivare a costruire una nuova Ucraina intesa come istmo bellicoso dell'Europa e dei suoi "valori" contrapposto alla "retrograda sfera slava" la pace non è possibile. La sua premessa sarebbe del tutto falsa e porterebbe sicuramente a nuovi conflitti in futuro. Mosca rifiuterebbe quasi certamente un accordo su basi del genere.
Eppure nell'opinione pubblica statunitense cresce l'inquietudine per il fatto che la guerra in Ucraina sembra destinata a un'escalation senza fine, e il concreto timore dell'opinione pubblica è che Biden e i falchi del Congresso stiano portando gli Stati Uniti verso un olocausto nucleare.
Noi -l'umanità- continueremo a pencolare sul ciglio dell'annientamento se un "accordo" proposto da Trump e limitato all'Ucraina verrà rifiutato da Mosca? L'urgenza di arrestare questo scivolare verso l'escalation è evidente; tuttavia lo spazio di manovra politica si riduce continuamente, poiché la stringente pretesa dei falchi di Washington e di Bruxelles perché venga sferrato un attacco fatale contro la Russia non si indebolisce. Inoltre, visto dalla prospettiva degli uomini di Trump, il compito di negoziare con Putin è tutt'altro che semplice. L'opinione pubblica occidentale non è mai stata psicologicamente preparata a considerare con realismo l'idea che potesse affermarsi una Russia più forte. Al contrario, ha dovuto sopportare gli "esperti" occidentali che dileggiavano le forze armate russe e denigravano come incompetente una leadership russa che le televisioni occidentali presentavano come animata da pura malvagità.
Tenendo presente il prolifico contributo di Brzezinski sulla democrazia e il suo successivo fissarsi sul concetto di una "sfera identitaria" controllata da una élite di tecnocrati, non è difficile capire come mai un Paese frammentato come gli USA si trovi in difficoltà mentre il mondo sta scivolando verso una realtà multipolare definita da criteri culturali.
Certo, non è del tutto vero che gli USA non abbiano una cultura comune, nonostante l'ampia varietà delle culture immigrate negli Stati Uniti; è vero invece che quella che viene considerata la loro cultura tradizionale si trova sotto assedio. Questo, dopo tutto, è stato il tema fondamentale delle recenti elezioni presidenziali; e lo è stato anche nelle contese elettorali di molti altri Paesi.
L'idea che gli inviati di Trump si recheranno dapprima a Mosca e ne torneranno a mani vuote, e che a quel punto Trump si precipiterà a concludere un accordo con l'Ucraina, non riflette quello che Mosca ha sempre sottolineato. Serve un accordo basato su un trattato che definisca l'architettura di sicurezza, e i limiti precisi tra gli interessi in materia della massa continentale e di quella oceanica.
Un accordo del genere sarà visto da molti statunitensi come un cedimento, come una rinuncia alla supremazia e alla "grandezza" degli Stati Uniti? Senza dubbio sarà inteso in questo modo, perché Trump sancirebbe di fatto la sconfitta dell'AmeriKKKa e riposizionerebbe gli Stati Uniti come uno Stato tra pari in un nuovo consesso di potenze, ovvero in un mondo multipolare.
Si tratta di un grande interrogativo. Riuscirà Trump a intraprendere questa strada e a mettere da parte l'orgoglio statunitense? Un buon modo di procedere comporterebbe il tornare al nodo gordiano originale e scioglierlo: cioè risolvere il problema dato dalla mancanza di un trattato scritto del secondo dopoguerra che ponesse dei limiti all'avanzata della NATO e, così facendo, porre fine alla pretesa che l'avanzamento della NATO ovunque si verifichi non sia affare di nessuno se non suo.
Purtroppo un altro modo per controbilanciare quella che sembra proprio una sconfitta statunitense e della NATO in Ucraina potrebbe essere la distruzione della Repubblica Islamica dell'Iran. I consiglieri falchi di Trump potrebbero prenderla in considerazione per dare un segnale di virilità.
I negoziati, in ultima analisi, riguardano gli interessi e la capacità di risolvere l'enigma di due parti che percepiscono il modo in cui "l'altro" si vede percepito, se come debolezza o come forza. Trump, se si trovasse in una impasse letterale in Ucraina, potrebbe limitarsi ad alzare i toni sul piano metafisico per ribadire che lui solo ha la visione che serve a salvare l'AmeriKKKa dalla terza guerra mondiale. Per salvare l'AmeriKKKa da se stessa.

domenica 12 gennaio 2025

Firenze. Alessandro Draghi e Antonella Bundu nei peggiori bar di Caracas!

 

Antonella Bundu è una signora nessuno libera di comportarsi come meglio crede.
Anche di recarsi a Caracas nella Repubblica Bolivariana del Venezuela per un "Festival mundial internacional antifascista por un nuevo mundo" che difficilmente avrà un impatto apprezzabile sullo stato di cose presente. E di cui, soprattutto, ignoravamo l'esistenza.
E avremmo continuato a ignorarne l'esistenza se la cosa non avesse infastidito il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi, che a Firenze fa il consigliere comunale e che deve essere venuto a conoscenza della cosa con un'occhiata al Libro dei Ceffi.
Gli "occidentalisti" hanno un'agenda politica di ferrea pochezza e non tollerano che avversari veri o presunti se ne discostino, quale che sia il motivo; nel caso specifico Alessandro Draghi avrebbe preteso prese di distanza, disconferme e abiure.
Si è dovuto accontentare di una risata in faccia, che il consigliere Dmitrij Palagi da lui chiamato in causa gli ha fatto recapitare a stretto giro. Rincarando anche la dose.
E cui va ad aggiungersi questo scritto, per il poco che può servire, in cui si approva l'iniziativa di Antonella Bundu in modo esplicito e convinto.

Al di là del registro linguistico adottato correntemente -in cui gli "occidentalisti" definiscono ideologico qualsiasi elemento anche lievemente difforme rispetto alla loro agenda e in cui viene indicato come dittatore qualsiasi Primo Ministro o Presidente non gradito- il comunicato di Alessandro Draghi tocca anche l'argomento dei rifugiati politici, che come tutti sanno sono le prime vittime del Male, a Caracas come a Tehran.
O anche a Pula o a Zadar.
Tutti posti dove qualcuno si alza una mattina e non avendo nulla di più costruttivo da fare comincia a tartassare questa o quella categoria provocandone il lacrimato esodo. E chi non ci crede è un terrorista nostalgico dei gulag.
La prassi è talmente abituale che temiamo fortemente di aver molto annoiato i nostri lettori, da tanti che sono stati i casi in cui la abbiamo indicata e derisa.
Nel caso specifico esiste però una corposa letteratura che attesta come molti postulati fuggitivi sfuggiti a postulate vessazioni si fossero trovati per decenni dalla parte di una borghesia compradora dai demeriti evidenti, nonostante quelli dei successivi esecutivi bolivariani e a prescindere da essi.
Anche nel ricordo di chi scrive, per remote vicende familiari, è rimasta l'immagine di una Caracas dove negli anni Settanta si importava da Miami persino il pane. La scrittrice cilena Isabel Allende, che è vissuta in Venezuela dal 1975 al 1988, avrebbe descritto i comportamenti esibiti dai privilegiati di quegli anni prendendo come esempio "una festa di compleanno, con tanto di orchestra e champagne, organizzata per il viziato cagnolino di una qualche signora dell'alta società... Il denaro sembrava crescere sugli alberi".
Poi il boom petrolifero è finito e verso il 1990 i "morte ai ricchi" iniziarono a risuonare per le strade e durante le manifestazioni; è comprensibile che i diretti interessati non abbiano apprezzato.
Questo non obbliga le persone serie ad accordare loro la palma del martirio.

giovedì 2 gennaio 2025

Alastair Crooke - Siria: l'arroganza imperiale e le sue conseguenze



Traduzione da Strategic Culture, 1 gennaio 2025.


In Siria il presidente Assad è caduto e i tecnocrati salafiti hanno preso il potere.
Solo che la situazione non è così semplice.
A un certo livello il crollo era prevedibile. È noto che da alcuni anni Assad era sotto l'influenza egiziana e dagli Emirati Arabi Uniti, che facevano pressione perché rompesse con l'Iran e la Russia e passasse all'Occidente. Per tre o quattro anni Assad ha preso atto della situazione e si è gradatamente mosso in questo senso. L'Iran in particolare si è trovato a dover affrontare ostacoli sempre più consistenti riguardo ai contesti operativi in cui collaborava con le forze siriane. Il mutato atteggiamento di Assad per gli iraniani era un messaggio chiaro.
La situazione finanziaria della Siria era catastrofica. Dopo anni di sanzioni imposte dai Cesari degli USA, cui si è aggiunta la perdita di tutti i proventi dall'agricoltura e dalle fonti energetiche che gli USA hanno sequestrato nel nord est del Paese da loro occupato, l'economia siriana era semplicemente inesistente.
Senza dubbio, quella di avvicinarsi allo stato sionista e a Washington è stata presentata ad Assad come l'unica soluzione pratica al suo dilemma. Con tono di implorazione, gli è stato fatto capire che la "normalizzazione" avrebbe potuto portare all'abolizione delle sanzioni. Secondo gli ambienti a lui vicini Assad, fino all'ultimo minuto prima della "invasione" da parte dello HTS, era apparso convinto del fatto che gli Stati arabi vicini a Washington avrebbero preferito che fosse lui a rimanere alla guida del Paese piuttosto che vedere la Siria cadere preda dei fanatici salafiti.
Per essere chiari, Mosca e Tehran avevano avvertito Assad che il suo esercito (nel suo complesso) era troppo fragile, troppo sottopagato, troppo infiltrato e troppo corrotto dai servizi segreti stranieri, perché ci si potesse aspettare che difendesse efficacemente la Repubblica Araba di Siria. Assad è stato anche ripetutamente avvertito della minaccia rappresentata dagli jihadisti di Idlib che stavano preparandosi a conquistare Aleppo. Il Presidente non solo ha ignorato gli avvertimenti, ma li ha confutati.
Non una ma due volte gli è stato offerto l'aiuto di ragguardevoli contingenti esteri. Anche negli ultimi giorni del suo governo, intanto che le milizie di Jolani avanzavano. E Assad ha rifiutato. "Siamo forti", ha detto a un interlocutore in occasione della prima offerta. "Il mio esercito sta fuggendo", ha dovuto ammettere nella seconda.
Assad non è stato abbandonato dai suoi alleati. Solo che era ormai troppo tardi. Aveva fatto un salto mortale di troppo. Due dei principali attori (Russia e Iran) sono dovuti rimanere inerti e non potevano passare all'azione senza il suo consenso.
Un conoscente siriano della famiglia Assad che aveva parlato a lungo con il Presidente poco prima dell'invasione di Aleppo lo aveva trovato sorprendentemente saldo e sicuro di sé; si era detto sicuro del fatto che i duemilacinquecento uomini di stanza ad Alepppo fossero abbastanza per affrontare le minacce di Jolani, e aveva fatto cenno al fatto che anche il presidente egiziano al Sissi sarebbe stato pronto a intervenire con aiuti per la Siria. L'Egitto temeva ovviamente che gli islamisti dei Fratelli Musulmani prendessero il potere, in quello che era uno Stato laico baathista.
Ibrahim Al-Amine, redattore di Al-Akhbar, ha riportato sensazioni simili su Assad:
Assad sembrava essere diventato più fiducioso sul fatto che Abu Dhabi fosse in grado di risolvere i sui problemi con gli statunitensi e con alcuni Paesi europei, e aveva sentito molte volte fare cenno a miglioramenti economici se avesse adottato una strategia che avesse come obiettivo l'uscita dall'alleanza con le forze della Resistenza. Uno dei collaboratori di Assad, che è rimasto con lui fino alle ultime ore prima che lasciasse Damasco, dice che Assad sperava sempre che accadesse qualcosa di grosso che fermasse l'attacco delle fazioni armate. Credeva che "la comunità araba e la comunità internazionale" avrebbero preferito che lui rimanesse al potere, piuttosto che gli islamisti prendessero in mano il governo della Siria.
Tuttavia, anche mentre le forze di Jolani percorrevano l'autostrada M5 dirette a Damasco la famiglia Assad in generale e i vertici dell'esecutivo non stavano facendo alcuno sforzo per prepararsi a partire o per avvertire gli amici più stretti di pensare a un'eventualità del genere, ha riferito l'interlocutore. Anche mentre Assad si dirigeva a Hmeimin per dirigersi poi a Mosca non è stato inviato agli amici alcun consiglio di espatriare.
Questi ultimi hanno affermato di non sapere, dopo la silenziosa partenza di Assad verso Mosca, chi esattamente abbia ordinato -e quando- all'esercito siriano di ritirarsi e di prepararsi alla transizione.
Assad ha compiuto una breve visita a Mosca il 28 novembre, il giorno successivo agli attacchi dello HTS nella provincia di Aleppo e all'inizio della sua rapida avanzata verso sud (nonché giorno successivo al cessate il fuoco in Libano). Le autorità russe non hanno detto nulla sugli incontri avuti da Assad a Mosca e la sua famiglia ha dichiarato che il Presidente è tornato dalla Russia mantenendo il massimo riserbo.
Successivamente, Assad è partito definitivamente per Mosca (il 7 dicembre, dopo aver fatto compiere svariati voli verso Dubai a un aereo privato, oppure l'8 dicembre). Anche in questo caso non ha detto a quasi nessuno dei suoi parenti più stretti che stava andandosene definitivamente.
Cosa ha spinto Assad a comportamenti così poco in linea con la sua condotta abituale? Nessuno lo sa, ma i membri della famiglia hanno ipotizzato che Bashar Al-Assad sia rimasto emotivamente sconvolto dalla grave malattia della moglie Asma, a cui è molto legato.
In tutta franchezza, mentre i tre attori principali avevano ben chiara la piega che gli eventi stavano prendendo (la fragilità dello Stato non era una sorpresa), l'ostinazione con cui Assad ha negato l'evidenza e la conseguente rapidità dell'epilogo militare sono state una sorpresa. Una sorpresa che è diventata un disastro imprevisto.
Cosa è stato a scatenare gli eventi? Erdogan ha chiesto per diversi anni ad Assad di aprire innanzitutto trattative con la "legittima opposizione siriana", in secondo luogo di riscrivere la Costituzione e infine di incontrarsi faccia a faccia, cosa che Assad si è sempre rifiutato di fare. Tutte e tre le potenze in gioco hanno fatto pressione su Assad affinché negoziasse con la "opposizione", ma Assad non ha voluto e non ha voluto incontrare Erdogan, tantopiù che i due si detestano. Uno stato di cose che ha causato molta frustrazione.
Erdogan adesso ha senz'altro messo le mani sulla ex Siria. Il sentimento irredentista ottomano è alle stelle, e sitibondo di revanscismo turco. Altri -gli abitanti delle città più laiche della Turchia- accolgono invece con meno entusiasmo questa esibizione del nazionalismo religioso turco.
Erdogan, tuttavia, potrebbe già trovarsi -o trovarcisi di qui a non molto- a rimpiangere l'acquisto. Sì, la Turchia in Siria è il nuovo padrone di casa. Solo che questo implica il fatto che è lui Erdogan, adesso, il responsabile morale di ciò che accadrà. Che lo HTS abbia combattuto per procura al posto dei turchi non è un mistero per nessuno. Le minoranze vengono colpite a morte, sta aumentando la frequenza di certe brutali esecuzioni settarie e lo stesso settarismo sta diventando più estremo. La ripartenza dell'economia non si vede, non esistono entrate per o Stato e non esiste materia prima per le raffinerie di carburanti perché il greggio in precedenza arrivava dall'Iran.
La pensata di Erdogan, quella di una AlQaeda col nome cambiato e con una riverniciatura filooccidentale, ha sempre rischiato di rivelarsi inconsistente come le uccisioni settarie stanno crudelmente dimostrando. Riuscirà Jolani a imporre la sua AlQaeda in giacca e cravatta ai suoi seguaci eterodossi? Abu Ali al-Anbari, che verso il 2012-2013 era il principale assistente di al-Baghdadi, ha dato di Jolani questo sprezzante giudizio:
È un individuo egoriferito e di una doppiezza astuta. Non si preoccupa dei suoi soldati, è disposto a sacrificare il loro sangue per farsi un nome nei media; gli brillano gli occhi quando si sente nominare sui canali satellitari.
In ogni caso, un risultato indubbio è che la manovra di Erdogan ha riacceso il settarismo sunnita, un tempo (e per lo più) quiescente, oltre che l'imperialismo ottomano. Le conseguenze saranno molteplici e si ripercuoteranno in tutta la regione. L'Egitto è già in ansia, così come il re Abdullah in Giordania.
Nello stato sionista in molti hanno accolto la fine della Repubblica Araba di Siria come una vittoria, dal momento che la linea di rifornimento dell'Asse della Resistenza è stata troncata proprio al centro. Il capo della sicurezza dello stato sionista Ronan Bar è stato probabilmente informato da Ibrahim Kalin, capo dell'intelligence turca, in occasione di un incontro a Istanbul il 19 novembre della prevista invasione da Idlib in tempo perché lo stato sionista potesse istituire il cessate il fuoco in Libano e ostacolare il passaggio delle forze di Hezbollah in Siria. Lo stato sionista ha immediatamente bombardato tutti i valichi di frontiera tra Libano e Siria.
Tuttavia, nello stato sionista potrebbero trovarsi a constatare che il riaccendersi dello zelo salafita non è loro amico e che in ultima analisi non andrà nemmeno a loro vantaggio.
Il 17 gennaio 2025 l'Iran firmerà con la Russia il tanto atteso accordo in materia di difesa.
La Russia si concentrerà sulla guerra in Ucraina e si terrà lontana dal pantano mediorientale. Si focalizzerà sulla lenta ristrutturazione globale in atto e sul tentativo di far sì che Trump, a tempo debito, riconosca gli interessi di sicurezza dello Heartland asiatico e dei BRICS e si arrivi a concordare una qualche frontiera della sfera di sicurezza del Rimland (atlantista), in modo da accordarsi su come collaborare sulle questioni di stabilità strategica globale e di sicurezza europea.

martedì 31 dicembre 2024

Firenze. Guglielmo Mossuto, Federico Bussolin e Barbara Nannucci della Lega, il Centro Popolare Autogestito Firenze sud e i figli delle catastrofi

Nel novembre 2024 il segretario della Lega Matteo Salvini continuava a essere un sovrappeso divorziato che non è stato capace di laurearsi nemmeno in quindici anni; un curriculum che nelle società normali non apre nemmeno la strada a un posto di lavascale a chiamata, ma che negli ambienti governativi dello stato che occupa la penisola italiana vale invece -per non dire ovviamente- l'affidamento di responsabilità vitali.
Di come abbia inveito contro i centri sociali ricorrendo a un registro linguistico meno tollerabile del solito abbiamo già detto.
Abbiamo anche già rilevato di come la comunicazione politica della Lega a Firenze abbia avuto il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud come argomento a tratti monografico, e di come questa linea abbia probabilmente contribuito a portare il partito di questo milanese a un eloquente ridimensionamento in termini di suffragi e di rappresentanti eletti.
C'era solo da mantenere la parola riguardo a un certo libro, di ci eravamo ripromessi di occuparci e che abbiamo recensito come facciamo in simili casi ogni volta che ci è possibile. La presentazione di Figli delle catastrofi presso il CPAFiSud aveva contrariato più di altre iniziative il forense Guglielmo Mossuto e i ben vestiti Barbara Nannucci e Federico Bussolin, il che ha reso l'occuparsene nel dettaglio un piacevole dovere di quelli da assolvere con lieta coscienza e brio primaverile.
Al di là di questo, il libro merita un approfondimento perché presenta un contenuto specifico di quelli che più contrariano i fautori della repressione e gli esponenti di un democratismo rappresentativo ridotto a non sapere letteralmente più che cosa sanzionare.
Negli anni Ottanta -con la Lega abbarbata alle valli della bergamasca- la propaganda politica dello stato che occupa la penisola italiana magnificava uno stato di cose che consentiva di fregiarsi dell'alloro di sesta, quinta o addirittura quarta potenza economica mondiale. Meno di quarant'anni dopo, con la Lega da decenni protagonista della vita politica, la stessa propaganda è ridotta a magnificare come tutto risultato la costruzione di qualche campo di concentramento.
In questa ristrettezza di orizzonti e con traguardi tanto miserabili, è comprensibile che la propaganda governativa non ami certe disconferme.
In Figli delle catastrofi Giorgio Panizzari descrive con buona ricchezza di particolari una realtà che i frequentatori di ristoranti degli ambienti governativi non avrebbero avuto problemi a presentare con orgoglio nella propria agenda, quella dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa.
Già detenuto ad Alghero, Panizzari sarebbe finito allo OPG di Aversa in seguito a un trasferimento meramente punitivo. Qui si sarebbe immediatamente reso conto del fatto che
l'istituzione non sentiva nemmeno più il bisogno di darsi una veste di "medicalizzazione"; la repressione presentava sfacciatamente il suo volto più autentico e brutale.
Deciso a denunciare quanto succedeva, Panizzari sarebbe riuscito a procurarsi un piccolo registratore e una macchina fotografica Polaroid e a raccogliere numerose prove e testimonianze dai prigionieri. Nonostante un'evasione fallita e il fermo intento dell'allora direttore Domenico Ragozzino di evitare che arrivassero al pubblico -la cui coscienza politica non era neppure paragonabile a quella di oggi- informazioni per lo meno problematiche, il dossier di Panizzari avrebbe trovato una certa eco nei mass media dell'epoca e sarebbe poi servito come prova a carico, in un processo celebrato nel 1978.
Insieme a Domenico Ragozzino, prestigiosa figura nel panorama psichiatrico di questo paese ed ex sindaco democristiano di Melito (NA), ricordo il comandante degli Agenti di Custodia maresciallo Focone. L'inchiesta che li riguardò condusse alla riesumazione di decine di cadaveri di persone la cui causa di morte era stranamente, per tutti, attribuita a un "collasso cardiocircolatorio". L'autopsia rivelò invece che avevano chi il cranio sfondato, chi varie ossa rotte nel costato, chi ancora organi interni spappolati, vertebre frantumate, ecc. Una condanna era d'obbligo... ma fu assai mite!
In Sbatti il matto in prima pagina (Roma, 2016) un saggio dedicato alla presentazione mediatica della questione psichiatrica negli anni Settanta, Pier Maria Furlan riferisce che alla gestione di Domenico Ragozzino -descritta nei suoi particolari più abietti- sarebbero state attribuite una quarantina di morti sospette fra i prigionieri. Domenico Ragozzino avrebbe comunque fregato il giudice, impiccandosi nel proprio alloggio all'interno del'OPG.
Difficile pensare che Mossuto, Nannucci e Bussolin abbiano letto il libro.
Ancora più difficile pensare che il contenuto gli sarebbe piaciuto.


sabato 28 dicembre 2024

Alastair Crooke - Coloro che assegnano le corone tolgono di nuovo il velo dalla Siria. E inizia una tragedia greca

Traduzione da Strategic Culture, 23 dicembre 2024.

James Jeffrey, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq e in Turchia, in una intervista del marzo 2021 col canale televisivo pubblico statunitense Frontline, ha descritto con molta chiarezza le linee di quanto è successo in Siria in questo dicembre 2024.
La Siria, date le sue dimensioni, la sua posizione strategica, la sua importanza storica, è fondamentale per capire se [può esistere] nella regione un sistema di sicurezza gestito dagli statunitensi... E quindi esiste questa ampia alleanza, legata con noi a doppio filo. Ma. .. in Siria i motivi di tensione hanno ripercussioni di vastissima portata.
Jeffrey ha spiegato -in questa intervista del 2021- perché gli Stati Uniti si sono messi a sostenere Jolani e lo Hayat Tahrir al-Sham (HTS):
Abbiamo ottenuto da Mike Pompeo una deroga che ci consentisse di fornire aiuti allo HTS; io stesso ho ricevuto e inviato messaggi allo HTS. I messaggi con cui lo HTS rispondeva erano del tipo "Noi [HTS] vogliamo essere vostri amici. Non siamo terroristi. Stiamo solo combattendo contro Assad".
L' intervistatore di Frontline chiede: Gli Stati Uniti stavano "sostenendo indirettamente l'opposizione armata"? Al che Jeffrey risponde:
Per noi era importante che lo HTS non si disgregasse... la nostra politica era... di lasciarlo in pace... E in effetti non lo abbiamo mai preso di mira e non abbiamo mai alzato la voce con i turchi riguardo alle loro brighe con lo HTS. In effetti, ho proprio citato questo esempio l'ultima volta che ho parlato con personalità turche di alto livello quando hanno iniziato a lamentarsi dei rapporti che noi [gli Stati Uniti] abbiamo con le SDF [in Siria orientale].
Ho detto loro: "Sentite, la Turchia ha sempre sostenuto che volete che restiamo nel nord-est della Siria, e ancora lo sostiene. Ma voi non capite. Non possiamo essere nel nord-est della Siria senza una base sicura, perché lì i nostri soldati sono solo poche centinaia... è come per voi a Idlib," ho detto. "Noi vogliamo che rimaniate a Idlib, ma non potete restarci senza una base sicura. E questa base sicura è in gran parte costituita dallo HTS. Ora, a differenza delle SDF, lo HTS è un'organizzazione terroristica ufficialmente definita come tale dalle Nazioni Unite. Ci siamo mai lamentati con voi, io o qualche altro funzionario statunitense, di quello che state facendo con lo HTS? Non mi pare...".
David Miller, un accademico britannico, ha notato che nel 2015 l'eminente studioso musulmano sunnita siriano Shaykh al-Yaqoubi (che è contro Assad), non si fidava degli sforzi di Jolani per ribattezzare AlQaeda come Jabhat an Nusra. Jolani, nell'intervista rilasciata ad Al Jazeera nel 2013, aveva ribadito per due volte la sua fedeltà ad AlQaeda affermando di aver ricevuto ordini dal suo capo, il dottor Ayman [al-Zawahiri]... ordini che imponevano di non prendere di mira l'Occidente. Confermò il suo atteggiamento, che era improntato a una inflessibile intolleranza nei confronti di coloro che praticano un Islam "eretico".
Miller commenta:
Mentre lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante si mette il vestito buono, permette che la Siria venga fatta a pezzi dagli Stati Uniti, predica la pace con lo stato sionista, vuole il libero mercato e fa accordi sul gas con i suoi protettori regionali, i suoi "veri credenti"... nella diaspora identitaria sunnita non si sono ancora accorti di essere stati venduti come era nei piani.
Quando non li vede nessuno, quelli che nei paesi della NATO hanno messo in piedi questa guerra si prendono gioco di questa giovane carne da cannone salafita che da tutto il mondo si va a cacciare nel tritacarne. Gli stipendi da duemila dollari sono bruscolini rispetto alle ricchezze in termini di opere edilizie e di gas che dovrebbero tornare nelle casse di Turchia, Qatar, stato sionista e Stati Uniti. Hanno ucciso la Palestina per questo, e passeranno i prossimi trent'anni a giustificarsi sulla base di qualsiasi linea di condotta che le costosissime società di pubbliche relazioni ingaggiate dalla NATO e dagli Stati del Golfo gli propineranno... L'operazione di rovesciamento del governo in Siria è stata il colpo gobbo del secolo.
Naturalmente, James Jeffrey non ha raccontato propriamente qualche cosa di inedito. Tra il 1979 e il 1992 la CIA ha speso miliardi di dollari per finanziare, armare e addestrare le milizie dei mujahiddin afghani -come Osama bin Laden- nel tentativo di dissanguare l'URSS trascinandola in un pantano. Ed è dai ranghi dei mujahiddin che è emersa AlQaeda.
"Eppure negli anni 2010 gli Stati Uniti, nonostante fossero a quanto pareva in guerra con AlQaeda in Iraq e in Afghanistan, stavano segretamente collaborando con essa in Siria per rovesciare Assad. La CIA spendeva circa un miliardo di dollari all'anno per addestrare e armare un'ampia rete di gruppi ribelli a questo scopo. Come scriveva Jake Sullivan al Segretario di Stato Hillary Clinton in una email il cui contenuto è stato rivelato nel 2012, “AQ [al-Qaeda] in Siria è dalla nostra parte", osserva Alan Macleod su Consortium News.
I resoconti della stampa turca confermano ampiamente che lo scenario ritratto da Jeffrey corrisponde al piano messo in atto oggi: Ömer Önhon, una lunga carriera come ambasciatore e vice-segretario responsabile per il Medio Oriente e l'Asia presso il Ministero degli Affari Esteri turco, scrive che
l'operazione per rovesciare il governo di Assad in Siria è stata meticolosamente pianificata per oltre un anno, con il coinvolgimento coordinato di Turchia, Stati Uniti e diversi altri Paesi. Attraverso varie dichiarazioni è emerso chiaramente che la cacciata di Assad è stata il risultato di un'intricata rete di accordi tra quasi tutte le parti interessate. Sebbene lo HTS stia lavorando attivamente per rendersi presentabile, che sia diventato presentabile sul serio è una cosa ancora tutta da dimostrare.
La vicenda dello HTS ha un precedente. Nell'estate successiva alla guerra (persa) dello stato sionista contro Hezbollah nel 2006, Dick Cheney si sedette nel suo ufficio lamentando ad alta voce il fatto che Hezbollah fosse ancora forte e, cosa ancora peggiore, che gli sembrava che l'Iran fosse stato il principale beneficiario della guerra in Iraq condotta dagli Stati Uniti del 2003.
L'ospite di Cheney -l'allora capo dei servizi sauditi principe Bandar- concordò vigorosamente (come riferito da John Hannah, che era presente all'incontro) e, nella sorpresa generale, affermò che l'Iran poteva ancora essere ridimensionato: la Siria era l'anello debole, e si poteva romperlo ricorrendo a un'insurrezione islamista. Lo scetticismo iniziale di Cheney si trasformò in euforia quando Bandar disse che il coinvolgimento degli Stati Uniti avrebbe potuto rivelarsi non necessario. Lui -Bandar- avrebbe messo in piedi e diretto l'operazione: "Lasciate fare a me", disse. Bandar disse poi a tu per tu con John Hannah: "Il Re sa che -a parte il crollo della Repubblica Islamica stessa- nulla indebolirebbe l'Iran più della perdita della Siria".
Bene... quel primo sforzo non ha avuto successo. Ha portato a una sanguinosa guerra civile, ma alla fine il governo del presidente Assad aveva retto. Insomma, Jeffrey nel 2024 non ha fatto altro che riprendere il seguito del piano: il "colpo di mano" wahabita ordito in Siria da parte dei Paesi del Golfo doveva semplicemente essere sostituito in un analogo colpo perpetrato dallo HTS, ad opera di un aggregato dotato di un nuovo nome ma formato da varie milizie, per lo più costituite da ex combattenti (molti non siriani) di AlQaeda/an Nusra e dello Stato Islamico, in questo secondo tentativo diretti dai servizi turchi e finanziati dal Qatar.
La Siria è stata così disintegrata e messa a sacco col pretesto di "liberare" i siriani dalla minaccia dello stesso Stato Islamico che Washington prima ha creato e poi ha usato per giustificare l'occupazione del nord-est della Siria da parte delle forze statunitensi. Allo stesso modo, la parte del piano che passa sotto silenzio è quella che consiste nel trasformare la Siria da laica -il suo sistema giuridico è ispirato a quello francese- a islamica ("...implementeremo la legge islamica..."), per giustificare gli attacchi dello stato sionista e l'occupazione di ulteriori territori, iniziative presentate come "misure difensive contro gli jihadisti".
Naturalmente, è fondato ritenere che da tutto questo qualcuno trarrà anche profitto. Non si sono mai raggiunte prove certe, ma le prospezioni sismiche effettuate nel 2011 prima dell'inizio della prima guerra in Siria sembravano indicare la possibile presenza di giacimenti di petrolio o di gas nel sottosuolo, al di là dei relativamente piccoli giacimenti del nord-est. E sì, la ricostruzione sarà una manna dal cielo per lo stagnante settore edilizio turco.
L'esercito siriano allo sbando non rappresentava di per sé una minaccia militare diretta per lo stato sionista. Ci si può quindi chiedere perché lo stato sionista ne stia facendo piazza pulita. "L'obiettivo dello stato sionista è sostanzialmente quello di distruggere la Siria", sostiene il professor Mearsheimer. "Lo stato sionista oltretutto c'entra fino a un certo punto. Credo che nella distruzione della Siria gli statunitensi e i turchi abbiano avuto un ruolo molto più importante dello stato sionista". "Il Paese è distrutto e non conosco nessuno che pensi che i ribelli che ora controllano Damasco saranno in grado di ristabilirvi l'ordine... Dal punto di vista dello stato sionista, meglio di così non potrebbe andare", aggiunge Mearsheimer.
I falchi antirussi negli USA speravano anche che la Russia abboccasse all'esca di una Siria in pezzi e che si facesse coinvolgere in un pantano mediorientale sempre più vasto.
Tutto ciò ci riporta direttamente alla dichiarazione di Jeffrey: "La Siria, date le sue dimensioni, la sua posizione strategica, la sua importanza storica, è fondamentale per capire se [può esistere] nella regione un sistema di sicurezza gestito dagli statunitensi".
La Siria è stata fin dall'inizio, fin dal 1949, il contrappeso regionale dello stato sionista. Adesso questo contrappeso non esiste più ed è rimasto solo l'Iran a bilanciare la pulsione dello stato sionista verso una "Grande Israele". Non sorprende quindi che lo stato sionista stia chiedendo agli USA di prendere parte insieme a un'altra orgia di distruzione, questa volta a spese dell'Iran.
La Russia era a conoscenza di ciò che stava accadendo a Idlib e del fatto che si stava mettendo in piedi il sovvertimento del potere? Certamente! I servizi russi, molto efficienti, dovevano saperlo, dato che è dalla metà degli anni Settanta che esistevano piani del genere per la Siria (tramite lo Hudson Institute e il senatore Scoop Jackson).
Negli ultimi quattro anni Assad ha disperatamente brigato con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto per passare a una posizione più filosionista e più filooccidentale, nella speranza di normalizzare i rapporti con Washington e ottenere così una riduzione delle sanzioni.
Lo stratagemma di Assad è fallito e in Siria probabilmente si avrà l'equivalente di una tragedia greca, di quelle in cui il punto di svolta è rappresentato dal momento in cui gli attori mettono in scena la propria natura. È probabile che si riaccendano tensioni etniche e settarie sopite e che la situazione deflagri. Il vaso di Pandora è stato aperto. Ma la Russia non avrebbe mai abboccato all'esca tuffandocisi dentro.
USA e stato sionista volevano la Siria da tempo. E ora l'hanno ottenuta. Il conseguente caos è colpa loro. E sì, gli Stati Uniti -in teoria- possono congratularsi con se stessi per aver costruito un "un sistema di sicurezza [e di controllo dei flussi dell'energia] gestito dagli statunitensi".
Solo che le classi dirigenti negli USA non avrebbero mai permesso all'Europa di essere indipendente dal punto di vista energetico. Gli Stati Uniti hanno bisogno delle risorse energetiche dell'Asia occidentale per se stessi, per garantire il debito di cui sono sovraccarichi. Gli Stati europei rimangono a piedi proprio mentre la crisi fiscale morde e la crescita in Europa si allontana.
Qualcun altro potrebbe considerare un effetto collaterale, quello di un Medio Oriente in conflitto e probabilmente di nuovo caratterizzato da un orientamento radicale, pronto a infliggere ulteriori grattacapi a un'Europa dove le tensioni sociali sono già accesissime.
Lo stato sionista comunque si gode la sua vittoria. E cosa ha vinto? L'ex capo di Stato maggiore delle forze armate sioniste e ministro della Difesa "Bogie" Ya'alon la mette così:
L'orientamento dell'attuale governo dello stato sionista è quello di conquistare, annettere, fare pulizia etnica... e fondare insediamenti ebraici. I sondaggi mostrano che circa il 70% dei cittadini dello stato sionista, e in qualche caso anche qualche cosa di più, sostiene tanto questa politica quanto l'idea che lo stato sionista sia una democrazia liberale. Questa [contraddittoria] linea ci porterà alla distruzione",
conclude.
Quale altro può essere l'esito definitivo di questo progetto sionista? Ci sono più di sette milioni di palestinesi "tra il fiume e il mare". Dovranno scomparire tutti dalla carta geografica?

sabato 21 dicembre 2024

GKN Driveline a Campi Bisenzio. Situazione a dicembre 2024 con un sincero ringraziamento a Elena Meini, consigliere della Lega

Un presidio d'urgenza convocato dagli attivisti vicini al Consiglio di Fabbrica della GKN ha avvertito dell'utilità di presenziare sotto la sede del Consiglio della Toscana, una sera di dicembre che era una sera di dicembre, di quelle che il cambiamento climatico non sarebbe dispiaciuto si fosse fatto sentire con un pizzico di decisione in più.
A che punto fossero la sostituzione etnica, le scie chimiche, i vaccini col grafene (o era la grafite?) e il resto della rumenta del noncelodicono non si sa.
Il Consiglio aveva in programma la discussione di una legge sui consorzi industriali alla cui proposta aveva partecipato proprio il Consiglio di Fabbrica e la cui approvazione era indispensabile perché la reindustrializzazione potesse prendere concretamente il via.
A tardissima notte la legge è stata approvata nonostante le centinaia di emendamenti presentati dalla Lega.
Il 20 dicembre è stata una giornata non da poco, per quel "partito".
A Palermo è arrivato a sentenza un processo in cui il segretario "nazionale" Matteo Salvini era accusato di sequestro di persona.
Matteo Salvini è sovrappeso, divorziato, pubblico peccatore e non è stato buono di prendere uno straccio di triennale. Ma almeno non è un sequestratore, stando al potere giudiziario dello stato che occupa la penisola italiana.
A Firenze invece la Lega era chiamata a salvaguardare posti di lavoro e tessuto produttivo. Roba, forse, minimamente un po' più seria.
E lo ha fatto mettendo i bastoni tra le ruote con impegno perfettamente degno della causa a gente che chiede sostanzialmente di tornare a lavorare.
La nottata all'addiaccio -con eventuali infreddature vin rosso nonostante- pare si debba per intero o quasi alla signora o signorina Elena Meini, in quota Lega nell'organo governativo di cui sopra.
Le conclusioni sul conto di chicchessia cui si può arrivare avendo a disposizione Google, un computer da due spiccioli e un po' di dente avvelenato sono spesso piuttosto stimolanti.
Nel caso di Elena Meini, che non è propriamente una ragazzina, abbiamo un curriculum che ne attesta il vivere di democratismo rappresentativo dal 2016 e un "laurea non conseguita" che ha senz'altro il pregio della sincerità. Il pezzo migliore è comunque elenameini.it, in cui non si è degnata nemmeno di togliere i testi campione presenti sul template di WordPress.
L'interessata non si scomponga troppo per rimediare: archive.org difficilmente perdona.
Una personalità titanica, anche questa.