10 ottobre 2025

Alastair Crooke - "Muoversi rapidi e spaccare tutto": la nuova dottrina che apre a una nuova epoca di sottomissione



Traduzione da Strategic Culture, 8 ottobre 2025.

In Occidente sono in atto cambiamenti tanto dirompenti quanto poco vistosi. Vi ha messo radici una nuova dottrina politica: il pensiero populista occidentale conservatore (e più recente) si sta ristrutturando in qualcosa di più rude, più cattivo e molto meno sentimentale o tollerante.
Aspira anche ad affermarsi come dominantore, come deliberatamente coercitivo e radicale. Aspira a buttare per aria gli elementi che costituiscono l'ordine esistente per vedere se all'atterraggio si ripresentano in un assetto vantaggioso per gli Stati Uniti, vale a dire in grado di procurar loro maggiori rendite di posizione.
Quello che veniva chiamato ordine basato sulle regole -sempre che sia mai esistito davvero, al di là della narrativa- è finito in brandelli. La situazione di oggi è quella di una guerra senza limiti, senza regole, senza legge e in completo disprezzo della Carta delle Nazioni Unite. I limiti imposti dall'etica, in particolare, vengono rifiutati in alcune realtà dell'Occidente e bollati come debolezze e come relativismo morale. L'essenziale è lasciare gli avversari sbalorditi e immobili, come figurine di cartone.
Al tempo stesso la politica estera dello stato sionista e degli USA ha subito una profonda trasformazione: essa ignora di proposito qualsiasi regola, per scioccare. Muoversi rapidi e spaccare tutto. Negli ultimi mesi lo stato sionista ha usato la forza militare in Cisgiordania, in Iran, in Siria, in Libano, nello Yemen, in Qatar e in Tunisia, oltre che a Gaza. A giugno gli USA e lo stato sionista, che sono Paesi nucleari, hanno bombardato gli impianti nucleari della Repubblica Islamica dell'Iran, un firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare sotto la protezione dell'AIEA.
Questo fenomeno del muoversi rapidi e spaccare tutto è emerso con chiarezza quando lo stato sionista, con il sostegno degli Stati Uniti, ha lanciato il suo attacco a sorpresa contro la Repubblica Islamica dell'Iran il 12 giugno. In secondo luogo è emerso con chiarezza anche nella rapidità burocratica -che ha colto molti di sorpresa- con cui Francia, Regno Unito e Germania -i tre membri europei del JCPOA- hanno attuato il ripristino automatico di tutte le sanzioni previste dal JCPOA contro l'Iran. I tentativi diplomatici dell'Iran sono stati spazzati via senza pietà.
Il ripristino automatico delle sanzioni, chiaramente, è avvenuto in tutta fretta per anticipare l'imminente eclissarsi dell'intero inquadramento del JCPOA, perché dopo il 18 ottobre il JCPOA non esisterà più.
Mentre la Russia e la Cina considerano illegale, viziata dal punto di vista procedurale e giuridicamente nulla la manovra di ripristino automatico delle sanzioni orchestrata dagli Stati Uniti, si palesa una realtà agghiacciante. La Repubblica Islamica dell'Iran vede inesorabilmente avvicinarsi la prospettiva di un ultimatum statunitense e sionista che la costringe a capitolare completamente alla volontà statunitense, oppure ad affrontare un attacco militare devastante.
Questa nuova dottrina di potenza è emersa da un Occidente in crisi finanziaria, ed essendo nata dalla disperazione potrebbe benissimo fallire. La più ampia crisi occidentale di opposizione allo establishment tuttavia non è -come pensano molti progressisti o tecnocrati burocratici- il mero risultato di un deplorevole sussulto reazionario "bianco" in senso razziale.
Come ha scritto Giuliano da Empoli sul Financial Times:
Fino a poco tempo fa, le élite economiche, i finanzieri, gli imprenditori e i manager delle grandi aziende facevano affidamento su una classe politica di tecnocrati –o aspiranti tali– di destra e di sinistra, moderati, ragionevoli, più o meno indistinguibili gli uni dagli altri... che governavano i loro paesi sulla base dei principi della democrazia liberale, in conformità con le regole del mercato, talvolta temperate da considerazioni sociali. A Davos, questo era il comune sentire.
Il crollo del liberalismo globale e delle sue illusioni, insieme alla struttura tecnocratica di governance che lo accompagnava, ha semplicemente confermato, agli occhi delle nuove élite, che la sfera tecnocratica degli "esperti" non era né competente né radicata nella realtà.
Ecco dunque che la "strategia ombrello" dell'ordine internazionale basato sulle regole è finita. La nuova era è quella del dominio imposto con la forza, sia da parte dello stato sionista che degli Stati Uniti. Questa dottrina è incentrata sul dominio inteso come lo intende lo stato sionista, al quale gli altri devono logicamente sottomettersi. E questa sottomissione deve arrivare tramite pressioni finanziarie o tramite la forza militare. A simboleggiare la nuova dottrina, il cambio di denominazione che negli Stati Uniti ha subito il Dipartimento della Difesa, diventato "Dipartimento della Guerra".
Spiega da Empoli:
Le nuove élite tecnologiche statunitensi, i Musk, gli Zuckerberg e i Sam Altman di questo mondo, non hanno nulla in comune con i tecnocrati di Davos. La loro filosofia di vita non si basa sulla gestione competente dell'ordine esistente ma -al contrario- su un desiderio irrefrenabile di stravolgere tutto. Ordine, prudenza e rispetto delle regole sono anatema, per chi si è fatto un nome muovendosi rapidamente e spaccando tutto.
Per loro stessa natura e per loro esperienza i signori della tecnologia sono più affini ai leader nazionalisti populisti -i Trump, i Netanyahu, i Ben Gavir e gli Smotrich- e, in modo diverso, alla fazione evangelica da cui è emerso Charlie Kirk piuttosto che alle classi politiche moderate di Davos che essi disprezzano in blocco.
Kirk credeva che la sua vocazione divina fosse quella di essere un combattente, un guerriero nella guerra culturale. "Alcuni sono chiamati a guarire i malati", disse una volta. "Altri sono chiamati a ricomporre matrimoni in crisi". Kirk dichiarò che la sua vocazione era quella di "combattere il male e proclamare la verità. Tutto qui". Un commentatore lo definì la politicizzazione del cristianesimo evangelico per assicurarsi l'esclusiva su Gesù.
Stephen Miller, vice capo di gabinetto alla Casa Bianca, ha detto che "il giorno in cui Charlie è morto, gli angeli hanno pianto, ma quelle lacrime si sono trasformate in fuoco nei nostri cuori. E quel fuoco brucia con una giusta furia che i nostri nemici non possono comprendere o capire".
Qual è la visione comune di queste fazioni occidentali apparentemente disparate che ora abbracciano questa dottrina politica più dura, più crudele e massai meno portata al sentimento o alla ricerca del consenso?
A quale scopo si butta all'aria in tanti pezzi il Medio Oriente in modo così brutale, come Gaza ha mostrato a tutto il mondo? L'egemonia regionale dello stato sionista e il controllo statunitense sulle risorse energetiche della regione? Sono questi gli obiettivi? Certamente, ma c'è di più.
La nuova dottrina degli uomini di Trump, della destra sionista e dei miliardari ebrei che lo sostengono è comunque dominata da obiettivi bellici. Non si tratta solo del dominio dello stato sionista e della altrui sottomissione, come sostiene l'inviato statunitense Tom Barrack. Significa anche "mettere sotto controllo l'Iran". Il ripristino automatico delle sanzioni, quindi, è un passo verso la guerra di vaste proporzioni per sottomettere l'Iran.
Un miliardario ebreo statunitense, intervenuto tempo fa a una conferenza degli Zionists of AmeriKKKa, ha prefigurato un conflitto più ampio che si estende all'interno dell'AmeriKKKa: Rober Shillman ha affermato che il suo generoso finanziamento all'organizzazione era destinato a "affrontare i nemici dello stato sionista e del popolo ebraico [ovunque], alla difesa dagli islamisti che vogliono distruggere lo stato sionista e dai radicali di sinistra che odiano gli ebrei e vogliono distruggere il popolo ebraico".
Questo vortice che attraversa il Medio Oriente ha comunque qualcosa a che fare con il piglio bellicoso apparentemente separato e distinto che Trump ha dimostrato nei confronti del Venezuela... e con il concomitante e lucroso accordo fatto con l'Argentina? Certamente. L'essenziale è portare i giacimenti di scisto dell'Argentina e le enormi riserve petrolifere del Venezuela sotto il controllo degli Stati Uniti, per dare agli Stati Uniti il dominio energetico globale con cui mitigare la minaccia dei crescenti deficit statunitensi che stanno travolgendo il governo degli USA.
La situazione di stallo in Venezuela è collegata al progetto mediorientale in quanto costituisce un altro aspetto di un più ampio progetto egemonico, quello di consolidare il dominio statunitense nell'emisfero occidentale oltre che in Medio Oriente.
Come ha fatto l'Occidente ad arrivare fino a questo punto nella propria bellicosa brama di dominio? La metafisica fondamentale che sta alla base del passaggio a questo radicalismo anarchico è -a quanto pare- da rintracciarsi in un periodo di riflessione statunitense su avidità, equità, libertà e dominio. Come sostiene Evan Osnos in The Haves and Have Yachts, negli ultimi cinquant'anni gli oligarchi e i magnati della tecnologia hanno rifiutato in misura sempre maggiore ogni limite alla loro capacità di accumulare ricchezza, rifiutando l'idea che i loro immensi patrimoni comportino una responsabilità speciale nei confronti dei loro concittadini.
Hanno fatta propria un'etica libertaria che li concepisce semplicemente come individui privati, responsabili del proprio destino e autorizzati a godere delle proprie ricchezze come meglio credono. Più significativamente, tuttavia, non hanno rinunciato alla prerogativa di usare il loro denaro per plasmare il governo e la società secondo la loro visione tecno-autarchica. Il modello che ne è risultato, delineato nel libro di Osnos, è improntato a "una semplice aritmetica: il denaro che genera denaro".
La lezione che i signori della tecnologia hanno assimilato è che quando uno Stato o una qualsiasi altra entità diventa incompetente, l'unica cura storica per tale sclerosi politica non è il dialogo né il compromesso; è ciò che i romani chiamavano proscriptio, una purga con tanto di sigillo formale. Silla la conosceva. Cesare la perfezionò. Augusto la istituzionalizzò. Prendete gli interessi della élite, negate loro ogni risorsa, spogliateli delle loro proprietà e costringeteli all'obbedienza... o sono guai seri.
Le élite trumpiane e tecnologiche di oggi sono affascinate dall'antica nozione di grandezza –intesa come grandezza individuale– e dal contributo che essa grandezza può offrire alla civiltà. Tipicamente, in questo concetto c'è sempre un forte elemento da outsider, laddove un outsider è una sorta di trasgressore anarchico che si mette in gioco con un'energia cui i navigati padroni del campo non sono più in grado di arrivare.
Tutti pensiamo a Trump, quando leggiamo queste parole. C'è chiaramente un'affinità nemmeno tanto recondita tra il conservatorismo populista di oggi e il radicalismo anarchico. Il che porta alla domanda: i cambiamenti politici spregiudicati, la costante incertezza, i post irregolari su Truth Social sono in realtà segni di disperazione, intanto che la grandezza degli Stati Uniti si affievolisce visibilmente? Oppure ci stanno preparando a qualcosa di ancora più controcorrente, ancora più radicale come un tentativo di riforma finanziaria globale?
"Da questo momento in poi, l'unica missione del Dipartimento della Guerra appena ripristinato è questa: combattere la guerra, prepararsi alla guerra e prepararsi a vincere, senza tregua e senza compromessi", ha detto martedì il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti ai generali riuniti a Washington.
Il mondo è in fiamme e in Europa la paura sta arrivando a livelli altissimi. In ogni dove è tutto un gridare ai russi che starebbero ovunque tramando nell'ombra. Stanno davvero preparando qualcosa di grosso o è solo una strategia europea volta a spaventare gli Stati Uniti per coinvolgerli in un progetto diretto a indebolire e a mandare in pezzi la Russia?
Il crollo dell'Unione Sovietica ha messo in mano alla “vecchia” Europa - alle grandi nazioni europee- gli enormi mercati dell'Europa orientale, dei Balcani e dell'ex Unione Sovietica; ha anche dato all'Europa risorse ed energia a basso costo. Il progetto dell'Unione Europea in sé è stato effettivamente comprato con il profumo dei soldi, con la promessa di una facile ricchezza.
Con il crollo di quella ricchezza -Trump ha appena impresso alla crisi una notevole accelerazione- e senza lo smembramento del mercato russo, a quale prezzo la Francia, la Germania o lo stato che occupa la penisola italiana potranno mantenere il loro precedente peso politico o la loro influenza globale? Più precisamente, i leader europei si stanno chiedendo: "Adesso, come posso fare per farmi rieleggere?".
La politica del rischio calcolato di una minaccia russa viene spinta dagli europei oltre il limite del rischio. Ma né l'Europa né gli Stati Uniti sembrano avere il coraggio che serve ad affrontare una guerra vera e propria. E certamente nemmeno i loro cittadini.

03 ottobre 2025

Alastair Crooke - Il clima politico negli USA, ottavo fronte dello stato sionista


Traduzione da Strategic Culture, 2 ottobre 2025.

 La seconda fase del "passaggio di consegne" da Trump agli europei nella guerra in Ucraina è stata chiaramente definita nel suo post su Truth Social del 23 settembre. Nella prima fase del passaggio di consegne Trump si è sfilato dal ruolo di principale fornitore di armamenti a Kiev e ha indicato che d'ora in poi l'Europa dovrà pagare praticamente tutto, acquistando le armi da produttori statunitensi.
Naturalmente, Trump sa che l'Europa è fiscalmente “al verde”. Non ha i soldi per finanziarsi, figuriamoci una guerra in piena regola. Inoltre ha girato il coltello nella piaga di questa crisi fiscale sfidando gli Stati della NATO a essere i primi a varare sanzioni contro tutto l'export energetico russo. Anche questo ovviamente non accadrà. Sarebbe una follia.
In questo ultimo post su Truth Social Trump porta la linea di Keith Kellogg fino ai limiti dell'assurdo. "L'Ucraina, con il sostegno della UE, può riportare il Paese [l'Ucraina stessa] ai suoi confini originari facendo sembrare la Russia una 'tigre di carta'... e chissà, forse andare anche oltre!". Certamente; Kiev che avanza fino alle porte di Mosca. Ci provi con qualcun altro, signor Trump. Ovvio che sta meleggiando tanto Kellogg quanto gli europei.
Poi, dopo l'incontro di Trump con Zelensky, con la Francia, la Germania e il Regno Unito alle Nazioni Unite, è stata proposta una bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU che faceva eco alla richiesta dell'Europa e della Coalizione dei Volenterosi, che pretendeva nientemeno che una capitolazione russa. Trump ha permesso ai funzionari statunitensi di partecipare attivamente alla discussione sulla risoluzione, ma poi, all'ultimo momento, ha fatto porre il veto degli Stati Uniti.
In questo modo contorto Trump riesce così a guardare in due direzioni contemporaneamente, come un Giano. Da un lato, sostiene senza mezze misure l'Ucraina esaltando il suo "grande spirito" e adottando la linea di Kellogg secondo cui Putin si troverebbe in grossi guai. Dall'altro, si impegna invece al tempo stesso a "non limitare la possibilità di colloqui di pace, né ad esacerbare ulteriormente le tensioni".
Putin può anche tollerare la "schizofrenia di Giano" di Trump; le forze russe avanzano su tutti i fronti più importanti. Il punto fondamentale è che la Casa Bianca ha fatto intendere di non essere interessata a una guerra con la Russia. E questo è ovvio. C'è comunque una guerra più preoccupante, che cova all'interno degli Stati Uniti.
Questa guerra è l'ottavo fronte dello stato sionista; Netanyahu ha recentemente iniziato a chiamarlo proprio così. L'ottavo fronte è in AmeriKKKa. Ed è lì proprio perché l'AmeriKKKa domina i media mondiali.
Il cosiddetto progetto di "ordine basato sulle regole" (se mai è realmente esistito, al di là della narrativa) è stato ridotto in carta straccia dallo stato sionista. Molto deliberatamente e a sangue freddo.
Tom Barrack, amico di lunga data di Trump e inviato in Medio Oriente, quando gli è stato chiesto quale fosse in definitiva l'obiettivo degli Stati Uniti nella regione, ha respinto categoricamente ogni discorso di "pace": "Quando parliamo di pace, ci illudiamo", ha detto Barrack. "Non c'è mai stata pace. [Alcuni] potrebbero dire che stanno combattendo per i confini e i limiti territoriali. [Ma non è] per questo che stanno combattendo. Un confine o un limite territoriale è [semplicemente] la moneta di scambio in una trattativa". Ha continuato: "In definitiva, qualcuno vuole il predominio, il che significa che qualcun altro deve sottomettersi. In quella parte del mondo... non esiste una parola araba per sottomissione. Non riescono a concepire il concetto di sottomissione...".
Una guerra senza limiti, senza regole, senza legge e, in particolare, senza confini etici diventa il prerequisito per conseguire la sottomissione totale di ogni opposizione.
L'ex consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu, Meir Ben Shabbat, scrivendo con Asher Fredman su Foreign Affairs a settembre, ha affermato che "lo stato sionista non rispetta più i limiti che i suoi vicini credevano non avrebbe mai superato. Lo stato sionista non concederà l'immunità a nessun leader di gruppi ostili, indipendentemente dalla loro caratura politica o dal dove si trovino". Quando Ben Shabbat scrive "ostile", si tratta di un eufemismo per dire "che non si sottomette".
Questa è la nuova dottrina per il predominio dello stato sionista a cui tutti gli altri devono logicamente sottomettersi, insiste Barrack. Il ministro degli Affari strategici Ron Dermer ha suggerito che un grado di sottomissione sufficiente a far sentire lo stato sionista "completamente al sicuro" potrebbe emergere solo da una coscienza arabo-musulmana segnata da una sconfitta totale e "deradicalizzante".
L'idea dell'ottavo fronte di Netanyahu deriva quindi dall'assunto che il predominio dello stato sionista (inteso come lo intende l'inviato statunitense Barrack) richiede una certa presa anche in AmeriKKKA. Lo stato sionista non può arrivare al predominio da solo: ha bisogno del sostegno incondizionato dell'AmeriKKKa a garantirgli il flusso di denaro, armamenti e supporto operativo necessari.
Fino a poco tempo fa, questo sostegno incondizionato era garantito grazie ai miliardari ebrei straricchi, che elargivano denaro a politici e influencer e acquistavano a viso aperto i media mainstream. Tuttavia, l'ascesa dei media alternativi come principale fonte di notizie per gli statunitensi ha cambiato le carte in tavola e ha diffuso un'ondata di timore nell'ambiente dei miliardari ebrei.
L'assassinio di Charlie Kirk è avvenuto in un momento in cui molteplici pressioni venivano esercitate su di lui da miliardari ebrei timorosi che l'elettorato giovanile statunitense si stesse rivoltando contro lo stato sionista, come ha sottolineato Max Blumenthal. Il conflitto con i grandi finanziatori ebrei di Kirk ha fatto emergere il più ampio tema del loro dominio sulla politica degli influencer statunitensi. La controversia che ne è seguita ha portato a un massiccio sforzo da parte dei miliardari schierati con lo stato sionista per prendere il controllo dei media alternativi statunitensi, in particolare di Tik Tok. Tutte le piattaforme social statunitensi hanno algoritmi che favoriscono lo stato sionista, Tik Tok no. I miliardari che stanno per acquistare Tik Tok insistono sul fatto che i sui algoritmi debbano essere "riprogrammati".
Quello che [i sionisti] si trovano a dover affrontare", afferma Blumenthal, "è uno tsunami politico [di riallineamento politico] negli Stati Uniti, e non hanno modo di fermarlo. Ed è per questo che, sulla scia della morte di Kirk e già nei giorni che l'hanno preceduta, alcuni di questi uomini d'affari sionisti hanno avviato una campagna di acquisizione totale dei media statunitensi. È come una pressione a tutto campo negli Stati Uniti. Netanyahu aveva intrapreso una guerra su sette fronti nella regione, e ora gli Stati Uniti sono diventati l'ottavo fronte. Essi vogliono impedire a chiunque di esprimersi, in qualsiasi parte dell'ecosistema digitale online, semplicemente comprandosi ogni cosa.
Pochi tra i miliardari che hanno sostenuto l'organizzazione di Kirk, TPU.S.A, hanno fatto più di Robert Shillman per gettare luce sulla natura dell'ottavo fronte delle ostilità: "Con questa penna e il mio libretto degli assegni, sono io che fornisco le munizioni!", ha proclamato il miliardario tra gli applausi, durante un gala dell'organizzazione sionista di destra Zionist Organization of America (ZoA) nel 2021.
Io brandisco la penna per fornire munizioni [donazioni] a quelle organizzazioni -come la ZoA- che si trovano in prima linea in questa battaglia contro i nemici dello stato sionista e del popolo ebraico, difendendoli dagli islamisti che vogliono distruggere lo stato sionista e dai radicali di sinistra che odiano gli ebrei e vogliono distruggere il popolo ebraico.
In che modo questa vicenda si traduce nelle pressioni su Trump affinché persista nel perseguire lo sforzo bellico dell'Ucraina contro la Russia? Cosa accomuna i ricchissimi donatori ebrei, i classici russofobi statunitensi e lo establishment europeo nel comune impegno a fare pressione su Trump affinché si comporti duramente con la Russia? La risposta è che i finanziatori e le élite vicine allo stato sionista, tanto statunitensi quanto europee, condividono l'interesse di vedere la Russia preoccupata (e, a loro avviso, indebolita) per la guerra in Ucraina. La loro preoccupazione particolare è la prospettiva di una guerra in Medio Oriente. Non vogliono vedere la Russia o la Cina impegnarsi direttamente a sostegno della Repubblica Islamica dell'Iran, qualora fosse attaccata militarmente. Queste élite temono per il futuro dello stato sionista, in particolare se l'Iran dovesse essere sostenuto dagli alleati dei BRICS. Preferiscono una Russia impantanata e che non torni a essere un attore in Medio Oriente, cosa che potrebbe ostacolare le ambizioni di supremazia dello stato sionista in tutta la regione.
Ricordiamo che nel 1992 l'allora sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz -autore della cosiddetta Dottrina Wolfowitz- dichiarò che con l'uscita dei sovietici dal Medio Oriente gli Stati Uniti erano diventati l'unica superpotenza incontrastata nella regione e che potevano così perseguire la loro agenda su scala mondiale. Wolfowitz sottolineò il disimpegno della Russia come fattore cruciale per il raggiungimento dell'egemonia statunitense sul Medio Oriente.
Ricordiamo anche che, sulla scia dell'invocazione del ripristino automatico delle sanzioni contro l'Iran da parte di Francia, Regno Unito e Germania avvenuto il 28 agosto, Russia e Cina hanno firmato congiuntamente delle dichiarazioni in cui denunciavano il voto procedurale dei tre Paesi come "illegale e viziato a livello di procedura". In un certo senso, l'iniziativa ha fornito alla Cina e alla Russia il destro per ignorare qualsiasi sanzione successiva imposta all'Iran in base alla clausola del ripristino automatico. È la prima volta che Russia e Cina sfidano direttamente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e indicano implicitamente che ignoreranno qualsiasi sanzione di questo tipo.
Tuttavia, da un altro punto di vista, la denuncia congiunta del ripristino delle sanzioi potrebbe aprire la porta a un ritorno nella regione da parte della Russia -e della Cina- attraverso il sostegno militare alla Repubblica Islamica dell'Iran, qualora essa venisse attaccata dallo stato sionista, dagli Stati Uniti o da entrambi.
Con la Russia attualmente impegnata in Ucraina, è meno probabile che esssa intenda sostenere direttamente l'Iran in caso di attacco; la Russia è molto attenta ai rischi di un'eccessiva espansione. Se la guerra in Ucraina dovesse finire, la Russia potrebbe avere meno scrupoli ad intervenire direttamente a sostegno dell'Iran. Lo stesso varrebbe per la Cina, nel caso il conflitto in Ucraina dovesse arrivare a un qualche esito.
L'ultima cosa che il triumvirato degli influenti sionisti ebrei, dei falchi statunitensi antirussi e delle élite europee che sostengono lo stato sionista vorrebbero è proprio il ritorno della Russia in Medio Oriente. Per loro sarebbe un incubo.
Quando all'inviato statunitense Tom Barrack è stato chiesto se lo stato sionista sentisse la necessità di un altro "attacco definitivo" contro l'Iran, ha risposto:
Sembra che si stiano avvicinando a grandi passi verso una risoluzione dell'intero problema -perché Gaza è un problema, no? Immagino che limitarsi a tenere sotto controllo Gaza, Hezbollah e gli Houthi non sia sufficiente, se non si tiene sotto controllo il regime iraniano. Non ho informazioni su ciò che intendono fare, ma non lo escluderei... Dobbiamo tagliare la testa a quei serpenti e interrompere il flusso dei fondi. È l'unico modo per fermare Hezbollah.
Quindi l'uccisione improvvisa di Charlie Kirk è avvenuta, "inaspettatamente", in un momento cruciale della corsa di Netanyahu al predominio regionale, mettendo in evidenza come il sostegno verso lo stato sionista stia venendo meno in un intera generazione di giovani statunitensi.
L'omicidio di Kirk ha inavvertitamente sbloccato anche la fase successiva della guerra culturale che covava da tempo negli Stati Uniti. L'assassinio di Kirk è già diventato significativo quanto qualsiasi altro evento analogo nella storia recente degli Stati Uniti.
Se le parole di Rober Shillman al suo uditorio ebraico con cui lo esortava ad "affrontare i nemici dello stato sionista e del popolo ebraico, difendendosi dagli islamisti che vogliono distruggere stato lo sionista e dai radicali di sinistra che odiano gli ebrei e vogliono distruggere il popolo ebraico" non fossero una dichiarazione di guerra abbastanza chiara e dettagliata, allora si legga che cosa ha detto Stephen Miller, vice capo di gabinetto della Casa Bianca, rivolgendosi alla folla presente al servizio funebre di Charlie Kirk. I centomila presenti hanno risposto con un applauso scrosciante.
La Luce sconfiggerà l'Oscurità. Prevarrà sulle forze della malvagità e del male. Loro non possono immaginare che cosa non hanno risvegliato. Non possono avere contezza di quale esercito sia sorto in tutti noi. Perché noi difendiamo ciò che è buono, ciò che è virtuoso, ciò che è nobile. E a coloro che cercano di incitare alla violenza contro di noi, a coloro che cercano di fomentare l'odio contro di noi: cosa avete? Non avete nulla. Siete malvagità, invidia, odio. Non siete nulla. Non potete produrre nulla. Noi siamo quelli che costruiscono, noi siamo quelli che creano, noi siamo quelli che innalzano l'umanità.

26 settembre 2025

Penisola italiana. Coscienza di classe, competenza e maturità politica nel 2025

I temi principali che i burocrati dibattevano in attesa del caffè erano quelli che Giovanni ascoltava da trent'anni, sempre gli stessi: lo sport, la politica e i fatti di cronaca nera. Soprattutto questi ultimi accendevano di più gli animi dei colleghi del Ministero. Accadimenti straordinari avvenivano ogni giorno, da trent'anni. Ogni giorno una strage, una faida tragica di famiglia, crollo di dighe, esplosioni di delinquenza, i suicidi più atroci erano al centro dei loro animosi discorso. Tutte le mattine non mancava uno solo di questi argomenti da dibattere: "Per me è stato lui, per me non è stato lui... per me l'assassino è il fratello... l'amante" e via discorrendo. Alla fine, sempre, prima di chiudersi nei rispettivi uffici, gli impiegati si trovavano d'accordo che l'istituzione di una sana pena di morte avrebbe messo a tacere definitivamente tutta la violenza di questo mondo.

 E intanto i colleghi di stanza blateravano e vomitavano la loro rabbia per tutte le ingiustizie di questo schifoso mondo pieno di froci, di comunisti, di drogati e di ministri corrotti.

 Vincenzo Cerami, Un borghese piccolo piccolo, 1976.

24 settembre 2025

Alastair Crooke - "Prima di tutto lo stato sionista". Ecco quale genio è uscito dalla lampada


Traduzione da Strategic Culture, 22 settembre 2025.

"Gaza è in fiamme; lo Stato ebraico non cederà", proclama entusiasta il Ministro della Difesa Katz: "Le forze armate dello stato sionista stanno colpendo con il pugno di ferro le infrastrutture terroristiche". In realtà, nelle ultime settimane lo stato sionista ha colpito "infrastrutture" in Cisgiordania, Iran, Siria, Libano, Yemen e Tunisia, oltre che a Gaza.
Il progetto che chiamavano di "ordine basato sulle regole" (ammesso che sia mai esistito davvero, al di là della narrativa) è diventato carta straccia ed è stato sostituito da un sionismo violento: genocidio, attacchi proditori intanto che si fa finta di intraprendere negoziati di pace, assassinii e decapitazione delle leadership politiche. È una guerra senza limiti, senza regole, senza legge e in completo disprezzo della Carta delle Nazioni Unite. I limiti imposti dall'etica, in particolare, vengono liquidati come mero "relativismo morale".
La politica estera dello stato sionista sta subendo una profonda trasformazione. Una trasformazione che deve essere intesa come una virata di centoottanta gradi nei confronti dell'essenza stessa del pensiero sionista. Una rotta che da Ben Gurion porta a Kahane, come ha scritto Yossi Klein.
La strategia dello stato sionista negli ultimi decenni si è sempre basata sulla speranza di arrivare a una vera e propria "deradicalizzazione" sia dei palestinesi che della regione in generale. Una chimera, che nelle intenzioni dovrebbe rendere "sicuro" lo stato sionista. Fin dai tempi della fondazione, il sacro obiettivo dei sionisti è sempre stato questo.
Il ministro degli Affari strategici Ron Dermer sostiene che a un mutamento così radicale nella coscienza collettiva si potrà arrivare solo bombardando gli oppositori fino alla loro totale sottomissione, lezione che egli trae dalla Seconda guerra mondiale. Per lo meno questo aspetto, nella politica estera dello stato sionista, è chiaro: in guerra, si segue la legge della giungla.
Ma c'è un altro aspetto, forse più preoccupante: le norme e i principi etici che lo stato sionista cerca apertamente di distruggere sono, in ultima analisi, norme e principi proclamati dagli Stati Uniti. Solo che quando c'è di mezzo lo stato sionista gli USA mettono da parte la loro etica tradizionale in una maniera stupefacente. Invece di criticare il ricorso dello stato sionista a iniziative militari contrarie ad ogni etica o di mettervi un freno, l'amministrazione Trump le imita: attacchi proditori intanto che finge di intavolare negoziati, tentativi di decapitazione e attacchi missilistici contro navi sconosciute al largo del Venezuela che vaporizzano gli equipaggi.
Gli Stati Uniti si stanno comportando apertamente in questo modo, e come lo stato sionista ignorano il diritto e le convenzioni internazionali.
Sembra che le personalità fondamentali dello establishment statunitense mostrino una sempre maggiore predilezione per le strategie militari dello stato sionista e che stiano addirittura passando dall'etica morale della cosiddetta "guerra giusta" a una più vicina all'etica ebraica di Amalek. Questo significa aggiornare il software morale occidentale all'insegna della "giustizia" alternativa rappresentata dalla guerra senza quartiere.
Lo stato sionista ha un futuro? In questo momento esso sta portando avanti una seconda Nakba a Gaza e in Cisgiordania; la società ebraica resta intrappolata fra repressione e negazione, proprio come nel 1948. Lo storico israeliano Ilan Pappe ha scritto nel 2006, nella sua fondamentale opera sulla Nakba del 1948, che è indispensabile "recuperare [gli eventi del 1948] dall'oblio":
Una volta presa la decisione [il 10 marzo 1948], ci vollero sei mesi per completare la missione. A missione finita più della metà della popolazione autoctona della Palestina, quasi ottocentomila persone, era stata sradicata. Cinquecentotrentuno villaggi... distrutti e undici quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano... e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, furono un caso di esplicita operazione di pulizia etnica. Una cosa considerata oggi dal diritto internazionale come un crimine contro l'umanità...
La storia del 1948 non è complicata... È la semplice ma terribile storia della pulizia etnica della Palestina, un crimine contro l'umanità che lo stato sionista ha voluto negare e far dimenticare al mondo. Recuperarlo dall'oblio è un nostro dovere, non solo come atto di ricostruzione storiografica o come dovere professionale, ma anche come iniziativa sul piano morale. È il primo passo che dobbiamo compiere se vogliamo che la riconciliazione abbia una possibilità.
Recentemente ho scritto di come il controverso documentario della regista Neta Shoshani sulla Nakba del 1948 abbia mostrato come nello stato sionista i limiti dettati dall'etica e dalla legge siano stati cancellati in una sanguinosa ridda di stupri. La Shoshani afferma che la perdita assoluta di ogni limite etico -nessuno è stato chiamato a risponderne e non c'è stata alcuna giustizia- ha messo in pericolo la legittimità del progetto di fondazione dello Stato. Se questo venir meno si verificasse di nuovo -come nel caso della guerra attualmente in corso- "potrebbe essere la cosa che porrà fine allo stato sionista".
Le considerazioni della Shoshani alludono al trauma che gli ebrei laici liberali subiscono a fronte delle condotte e dello stile di vita della loro società, in gran parte laica e liberale, che vengono stravolte dalla svolta verso gli obiettivi militaristici ed escatologici della destra. Il ministro delle Finanze Smotrich ha recentemente dichiarato che il popolo ebraico sta vivendo "il processo della redenzione e del ritorno della presenza divina a Sion, mentre si impegna nella 'conquista della terra'".
Molti ebrei europei erano giunti nel nuovo Stato in cerca di sicurezza e protezione, ma anche per partecipare al progetto sionista in Palestina.
Per ora, Netanyahu afferma di avere da Trump un sostegno "al 100%" e "credito illimitato" per il putiferio scatenato in tutta la regione. Come scrive Ben Caspit, citando un alto diplomatico dello stato sionista:
Il fatto che Rubio sia arrivato qui pochi giorni dopo l'attacco [di Doha] e non abbia espresso quasi nessuna critica –anzi– è un ulteriore avallo per l'operazione dello stato sionista a Gaza... lo stato sionista non ha mai ricevuto un'apertura di credito tanto generosa e tanto lunga, da nessuna amministrazione ameriKKKana.
E Trump sembra allontanarsi dalla nomea di "pacificatore globale" per concentrarsi più specificamente sulla dimostrazione del "grandioso eccezionalismo" ameriKKKano attraverso dazi, sanzioni o operazioni militari. In questo modo dimostra quanto l'AmeriKKKa sia dominatrice, se non propriamente grande.
Eppure ci sono problemi, e sono fin troppo evidenti: negli anni scorsi lo stato sionista era stato in gran parte relegato ai margini della Conferenza Nazionale dei Conservatori degli Stati Uniti. Questa volta invece lo Stato ebraico e le sue guerre non si potevano tralasciare. L'ultima conferenza dei conservatori è scivolata in una serie di schermaglie tra i "realisti" neoconservatori che sostengono lo stato sionista e coloro che chiedono: "Perché dobbiamo infilarci in guerre come queste? Perché gli infiniti problemi dello stato sionista sarebbero una responsabilità degli Stati Uniti? Perché dovremmo accettare [lo stato sionista come parte del] prima l'AmeriKKKa?" Il direttore di The American Conservative è sbottato: "Non dovremmo, c***o!"
La tensione all'interno del Partito Repubblicano è evidente: i sostenitori del MAGA desiderano sostenere Trump, ma i grandi donatori e i commentatori ebrei, come il falco filosionista Max Abrahms, hanno deriso gli "isolazionisti del MAGA" estimatori di Tucker Carlson presenti alla conferenza, raffigurati come degli "invasati" per la loro determinazione a disimpegnarsi dal Medio Oriente.
Trump ha avvertito Netanyahu che il genocidio a Gaza sta indebolendo il sostegno di cui lo stato sionista gode tra i repubblicani, in particolare tra i giovani. Trump non ha modificato la sua linea di incondizionato sostegno allo stato sionista -quale che ne sia il motivo- ma ha preso atto dell'aria che tira nella sua base elettorale.
Se Trump ha davvero notato il cambiamento, a Netanyahu non importa. Come riferisce Amir Tibon su Haaretz:
Se Trump pensa che le sue considerazioni sull'indebolirsi dell'influenza dello stato sionista sul Congresso saranno un campanello d'allarme per Netanyahu, si sbaglia. Nello stato sionista non avevano bisogno di Trump per sapere che il loro Paese sta perdendo la battaglia per il favore dell'opinione pubblica mondiale.
Netanyahu e Ron Dermer... hanno pacificamente preso atto della perdita di sostegno che lo stato sionista sta subendo a livello internazionale, del suo crescente isolamento, delle minacce di sanzioni e dei mandati di arresto per i suoi leader, compreso lo stesso Netanyahu. I due sembrano non curarsene, e il motivo, ironicamente, è dato proprio dallo stesso individuo che lancia l'allarme: Donald Trump.
Dal punto di vista di Netanyahu, finché il sostegno di Trump regge, niente di tutto questo ha importanza.
Ebbene, le guerre dello stato sionista gli hanno alienato una generazione di giovani conservatori statunitensi che non rivedrà più. Quali che siano le circostanze in cui è stato ucciso Charlie Kirk, la sua morte ha liberato nella politica repubblicana un genio dominatore, che è uscito dalla lampada dicendo "lo stato sionista prima di tutto".
Quando darà un'occhiata in giro, Netanyahu scoprirà che lo stato sionista ha perso il sostegno statunitense. E anche quello del resto del mondo.

18 settembre 2025

Alastair Crooke - Mantenere la supremazia e continuare con la escalation. Trump e l'influenza dei sostenitori dello stato sionista



Traduzione da Strategic Culture, 16 settembre 2025.


L'attacco contro i negoziatori di Hamas riuniti a Doha per discutere della "proposta" di Witkoff per Gaza non è un'altra "operazione" da ignorare in silenzio, come nel caso della eliminazione di quasi tutto l'esecutivo dello Yemen.
Esso segna piuttosto la fine di un'epoca, e apre per il Qatar una realtà nuova.
Si tratta di un evento storico. Per decenni il Qatar ha giocato una partita molto redditizia, sostenendo i jihadisti radicali di An Nusra in Siria per fare leva contro l'Iran e al tempo stesso ospitando basi militari statunitensi e mantenendo una partnership strategica con Washington. Doha si è presentata come mediatrice: andava a cena con gli jihadisti e intanto agevolava le cose al Mossad.
Questo tenere il piede in due scarpe è stata la cosa che ha conferito al Qatar la reputazione di eterno beneficiario delle crisi, in Medio Oriente e in Afghanistan. Anche quando lo stato sionista, l'Iran o l'Arabia Saudita erano sotto attacco, Doha ne usciva vincitrice. I qatarioti contavano con calma i profitti derivanti dal loro gas e traevano utili dal ruolo di intermediari indispensabili.
Ora questa favola è finita: non ci saranno più zone franche. La cosa più significativa è che gli Stati Uniti (secondo quanto riportato dall'emittente sionista Channel 11) avevano approvato l'azione, di cui Trump è stato informato a cose fatte. Nonostante abbia espresso delle riserve sull'attacco, Trump ha detto di plaudire a qualsiasi eliminazione di appartenenti ad Hamas.
Avremmo dovuto prevederlo. L'attacco a Doha è stato l'ennesimo attacco a sorpresa di Trump e dello stato sionista; una prassi iniziata con l'attacco a sorpresa contro la leadership di Hezbollah riunita per discutere un'iniziativa di pace degli Stati Uniti, procedura poi adottata identica per decapitare i vertici della Repubblica Islamica dell'Iran il 13 giugno, proprio mentre Trump faceva pubblicità ai colloqui per il JCPOA con i negoziatori di Witkoff, che sarebbero iniziati nei giorni successivi.
Questa volta lo stato sionista ha colpito usando come esca per riunire i leader di Hamas in un unico luogo a Doha la "proposta di pace" di Trump per Gaza. Il piano di Witkoff per Gaza sembra una burla, o forse un deliberato falso. Lo stato sionista aveva già deciso di porre fine al ruolo del Qatar.
La logica dello stato sionista è tanto semplice quanto cinica, e prescinde dal numero di basi statunitensi presenti o dall'importanza del gas per l'economia mondiale. L'uccisione di Ismail Haniyeh a Tehran, gli attacchi alla Siria e al Libano, l'operazione in Qatar sono tutti anelli di una stessa catena. Netanyahu -e la maggioranza dei cittadini dello stato sionista gli esprime in questo il proprio sostegno- dimostra con metodo che per lui in Medio Oriente non esistono territori proibiti, né legge, né Convenzione di Vienna.
Il sostegno al genocidio e alla pulizia etnica messi in atto dallo stato sionista, la mancanza di un serio impegno nella preparazione di un percorso politico per una soluzione in Ucraina, fare la guerra intanto che si invoca la pace. Ecco di cosa consiste nella sua essenza l'approccio di Trump. Esso contempla l'esercizio di una supremazia con riserva di escalation, sia in patria che all'estero.
L'intera idea del Make AmeriKKKa Great Again (MAGA) sembra basarsi sul ricorso calibrato alla bellicosità, ai dazi o alla potenza militare per mantenere nel tempo questa supremazia basata sulla prerogativa dell'escalation. Trump sembra pensare che il raggiungimento della supremazia in patria e all'estero sia l'essenza del MAGA. E che a tanto si possa arrivare attraverso un esercizio calibrato della prepotenza, rivenduto alla base MAGA asserendo che simili minacce possano portare alla "pace" o a negoziare un "cessate il fuoco".
L'enfasi su questa supremazia con riserva di escalation ha anche a che fare con l'intento, nella mentalità di Trump, di far diventare le guerre delle colossali iniziative che portino agli Stati Uniti dei vantaggi economici. L'idea di trasformare Gaza in un progetto di investimento redditizio sottolinea questo stretto legame tra guerra e guadagno. Lo stesso vale per l'Ucraina, che per gli USA è diventata un'ottima lavanderia per il denaro sporco.
Non si creda che gli Stati Uniti non torneranno a dedicarsi a una guerra in particolare, a tempo debito. Ecco perché la prospettiva di una escalation non viene mai completamente abbandonata o rimossa, poiché il suo persistere permette di ricorrervi in un qualche modo in un secondo momento (cioè in Ucraina).
Sono tutti segnali che a Mosca hanno fatto suonare un campanello d'allarme. Il viaggio di Trump ad Anchorage -dal punto di vista russo- doveva serivre a capire (se possibile) quanto fossero strette le catene che legano Trump, quale sia la sua libertà di agire in modo autonomo, cosa voglia e cosa potrebbe fare in futuro.
Per i russi, la visita ha dimostrato quali siano questi limiti.
Yuri Ushakov, principale consigliere di Putin in materia di politica estera, ha spiegato che a Tianjin, in occasione del vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ci sono state discussioni con tutti gli alleati strategici della Russia; si è capito che c'era stato un ritardo nel varo delle sanzioni contro la Russia da parte di Trump, ma che non era stato organizzato niente per continuare i negoziati. Nessuna struttura, nessun gruppo di lavoro, nessun ulteriore scambio per preparare il cosiddetto incontro a tre fra Trump, Zelensky e Putin. Nessuna preparazione per una agenda, nessuna indicazione sui termini.
Tutto questo ha messo in chiaro le intenzioni di Trump per il futuro: nessuna struttura, nessun segnale, nessun concreto impegno per la pace. Al contrario, i russi vedono un regime Trump che sta prendendo tempo per fare l'opposto, con i piani europei per il riarmo dell'Ucraina.
L'aggressione congiunta dello stato sionista e degli USA contro l'Iran -e poi l'attacco contro il Qatar- sono eventi che si inquadrano nella stessa cornice ideologica e che confermano il predominio dei sostenitori dello stato sionista e di coloro che, nell'ambiente di Trump, nutrono antichi rancori contro la Russia per ragioni religiose dello stesso tipo.
Il predominio di questa politica incentrata sullo stato sionista ha frammentato la base MAGA di Trump. Più in generale, ha compromesso in modo permanente il soft power globale e l'affidabilità diplomatica degli Stati Uniti. Eppure Trump, tenuto saldamente in questa morsa, non osa sfuggirle: farlo significherebbe rischiare l'autodistruzione.
Lo stato sionista sta portando avanti una seconda Nakba (pulizia etnica e genocidio) a Gaza e in Cisgiordania, e la società ebraica si trova in gran parte intrappolata nella repressione e nella negazione proprio come nel 1948. Il controverso documentario della regista Neta Shoshani sulla guerra del 1948 è stato vietato nello stato sionista perché ha messo in luce molte delle manchevolezze dell'etica che stava alla base della costruzione dell'identità del nascente stato.
La Shoshani ha scritto recentemente del suo film:
Improvvisamente mi sono resa conto che negli ultimi due terribili anni l'intera questione dell'etica nello stato sionista è stata completamente distrutta. Ho capito che un ethos ha un grande potere, che è quello di mantenere una società entro certi limiti. E anche se questi limiti vengono violati -e sono stati certamente violati già nel 1948- c'era ancora qualcosa nel codice morale della società che almeno le faceva provare vergogna. Per decenni questo ethos ha salvaguardato la società [dello stato sionista] e l'esercito, costringendoli a rimanere entro certi limiti. E quando questa etica viene meno, succedono cose davvero spaventose. Da questo punto di vista il film era difficile da guardare fin dall'inizio, ma dopo gli ultimi due anni è diventato insopportabile... Se il 1948 è stata una guerra di indipendenza, la guerra adesso in corso potrebbe essere quella che segnerà la fine dello stato sionista.
La Shoshani vuole mettere in guardia sul fatto che quando i limiti etici di una società vengono cancellati con un bagno di sangue (come è successo nel 1948), il loro venir meno può mettere a repentaglio la legittimità dell'intero progetto, portando all'autodistruzione uno stato che si è spinto oltre ogni umano limite.
Questa oscura intuizione, molto pertinente ai giorni nostri, potrebbe essere proprio uno dei tentacoli che legano senza riserve Trump alla sopravvivenza finale dello stato sionista, anche se probabilmente ci sono altri robusti ma non visibili laccioli.
Tutto questo avviene in un momento in cui gli Stati Uniti si stanno allontanando sempre più dalla bozza del 1992 della Defence Planning Guidance (DPG) nota come "Dottrina Wolfowitz", che invitava gli Stati Uniti a mantenere una superiorità militare indiscussa per impedire l'emergere di rivali e, se necessario, ad agire unilateralmente per proteggere i propri interessi e scoraggiare potenziali concorrenti.
L'attuale bozza della Strategia per la Difesa Nazionale sta togliendo l'occhio dalla Cina per concentrarsi sulla sicurezza del suolo patrio e dell'emisfero occidentale. Le truppe saranno richiamate, dapprincipio per rafforzare i confini. Will Schryver scrive:
A quanto sembra Elbridge Colby si è accorto del fatto puro e semplice che è troppo tardi per arrestare il dominio della Cina sul Pacifico occidentale, e sapeva già che una guerra contro la Russia era impensabile. L'unica opzione strategicamente significativa rimasta è l'Iran.
Colby forse sa anche che qualsiasi ulteriore fallimento militare degli Stati Uniti smaschererebbe fatalmente la spavalderia geostrategica di Trump, mostrandola per il bluff che è.
Potremmo quindi assistere a una nuova serie di importanti cambiamenti geopolitici, adesso che Trump sta abbandonando i suoi sforzi per cercare di passare come un pacificatore globale.
Probabilmente Trump stesso non sa cosa vuole fare. Con le tante fazioni che cercano di inserirsi nello spazio strategico vacante, probabilmente si rivolgerà a quelle tattiche di guerra dello stato sionista per le quali prova tanta ammirazione.

11 settembre 2025

Alastair Crooke - Dopo il vertice della OCS di Tianjin Donald Trump riuscirà a reagire? La sfida cinese è arrivata davvero in un momento qualsiasi?

 



 Traduzione da Strategic Culture, 8 settembre 2025.

Il guanto della sfida. Il vertice della Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è stato una chiara dimostrazione di uno stato di cose in cui esiste una potenza in forte ascesa e una potenza che sta visibilmente indebolendosi. La straordinaria parata militare è stata la controparte del vertice e ha parlato molto chiaro: Volete sfidarci? Noi siamo pronti.
La Cina ha lanciato la sfida con tempismo perfetto. Si potrebbe quasi pensare che ci avessero davvero pensato in anticipo. "Sono l'inchiostro cinese e l'inchiostro russo adesso a scrivere la Storia", ha osservato un commentatore russo.
I sistemi politici occidentali sono in subbuglio, assediati da un populismo che promette di tutto ma che non ha gli strumenti per risolvere nulla. Le alleanze occidentali sono lacerate dal dubbio e dall'incertezza: la stabilità politica si incrina sotto la pressione dei fallimenti delle politiche occidentali di prestito e di spesa. Anche The Economist ammette che "una nuova realtà sta prendendo piede".
La reazione di Trump allo spettacolo della OCS è stata una frecciatina sarcastica a quella che egli vede come una "cospirazione" diretta contro gli USA. Tuttavia, se in quel raduno di "amici" si sente come se avesse fatto da tappezzeria, è perché ha scelto di non andare a Tianjin. La colpa è solo sua. E se la OCS dovesse essere intesa in Occidente come antioccidentale, anche questo sarebbe in gran parte dovuto a Trump e al modo che ha scelto per inquadrare il futuro degli Stati Uniti.
Xi ha sottolineato quest'ultimo punto nel suo discorso di apertura: "L'umanità si trova ancora una volta a scegliere tra pace o guerra, dialogo o confronto, risultati vantaggiosi per tutti o giochi a somma zero".
Purtroppo, Trump è probabilmente troppo impegnato con la pretesa grandezza dell'eccezionalismo statunitense perché ci si possa aspettare da lui una risposta ponderata. Ma d'altra parte, Trump sembra spesso sfidare l'ovvio.
L'Occidente reagirà in termini psicologici con un antagonismo sulla difensiva. Gli Stati Uniti chiaramente non si sono preparati psicologicamente a considerare le potenze della OCS su un piano di parità. Secoli di superiorità colonialista hanno plasmato una cultura in cui l'unico modello ammissibile è quello di una egemonia che impone una dipendenza filooccidentale.
Riconoscere che Cina, Russia o India hanno fatto parte a sé rispetto all'"ordine basato sulle regole" e che hanno costruito una sfera separata e non occidentale implica chiaramente accettare la fine dell'egemonia globale occidentale. E significa anche accettare il fatto che sia finita l'era dell'egemonia nel suo complesso. Le classi dirigenti statunitensi ed europee non sono assolutamente dell'umore adatto a una cosa del genere. Gli strati dirigenti europei continuano convintamente a mugugnare con ostilità contro la Russia.
Gli europei si sono senz'altro accorti della scossa, ma non hanno capito cosa l'abbia causata esattamente e hanno quindi deciso di rispondere con la maleducazione. Friedrich Merz ha affermato con convinzione: "Putin è un criminale di guerra. È forse l'autore dei più gravi crimini di guerra su vasta scala della nostra epoca. Dobbiamo essere chiari su come trattare i criminali di guerra: non c'è spazio per la clemenza".
La realtà (e il poco che sappiamo) di ciò che è venuto fuori dalla parata di Piazza Tienanmen in Cina causerà senza dubbio costernazione a Washington, Bruxelles e Londra. Il presidente Xi ha dichiarato che l'ascesa della Cina è "inarrestabile", facendo vedere oltre diecimila soldati che marciano in perfetta sincronia e rivelando le nuove e impressionanti armi cinesi: un missile balistico intercontinentale nucleare con una gittata di ventimila chilometri, un sistema di intercettazione laser e giganteschi droni sottomarini.
In particolare, il presidente Xi ha messo in mostra -per la prima volta- la forza nucleare terrestre, marittima e aerea dell'Esercito Popolare di Liberazione: una triade completa e letale.
Alla parata per celebrare la vittoria Xi ha sfilato con orgoglio insieme ai suoi alleati, gli stessi che gli Stati Uniti hanno messo sotto sanzioni. Ha preso posto sul palco con Kim Jong Un alla sua sinistra e Putin alla sua destra: una formazione simbolica che in pochi avrebbero potuto prevedere. Allo stesso modo, il clima di aperta cordialità fra Putin, Xi e il primo ministro Modi era chiaramente reale e non una posa.
Anche i risultati pratici del vertice lasceranno perplessi gli occidentali. L'annuncio del gasdotto Siberia 2, osserva Bloomberg, pone effettivamente fine alle mire degli Stati Uniti in materia di predominio energetico.
Come riporta l'editoriale di Bloomberg, "la Cina potrebbe ora smettere di importare più della metà del gas naturale dall'estero; entro l'inizio degli anni '30 la quota di gas russo rispondente al fabbisogno cinese potrebbe raggiungere il 20%. Gli analisti hanno rapidamente calcolato che l'entrata in servizio del Siberia 2 equivale a un calo della domanda di circa quaranta milioni di tonnellate di gas all'anno".
"Questo significa che molti progetti di produzione di gas su cui gli Stati Uniti avevano scommesso non hanno più senso".
Quali saranno le altre conseguenze? Gli Stati Uniti e l'Europa non prenderanno alla leggera questi avvenimenti. Nella loro ostilità, la loro rabbia si concentrerà probabilmente prima di tutto sulla Russia (tramite l'Ucraina) e al tempo stesso sull'Iran, alleato strategico della Russia e della Cina.
Durante il vertice, Xi ha proposto la creazione di un nuovo ordine internazionale in materia di sicurezza ed economia, sfidando esplicitamente l'attuale sistema istituzionale guidato dagli Stati Uniti. Ha descritto l'iniziativa come un passo verso la costruzione di un mondo multipolare. E agli annunci ha immediatamente fatto seguito la prima iniziativa concreta della OCS.
Cina e Russia hanno fatto causa comune con l'Iran nel respingere l'iniziativa europea di ripristinare automaticamente le sanzioni dell'ONU contro Tehran. Una lettera firmata congiuntamente dai ministri degli Esteri di Cina, Russia e Iran e indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite ha riportato in termini inequivocabili che l'attivazione della clausola di snapback da parte dei tre negoziatori europei "contravviene chiaramente alla risoluzione e pertanto è ipso facto viziata dal punto di vista giuridico e procedurale". La linea adottata dagli europei "costituisce un abuso dell'autorità e delle funzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, oltre a distogliere i suoi membri e la comunità internazionale dalle cause profonde del fallimento dell'attuazione del JCPOA e della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU".
Si tratta di termini duri, che tuttavia potrebbero non essere sufficienti a impedire l'automatica entrata in vigore delle sanzioni entro trenta giorni dalla trasmissione della lettera dei negoziatori europei al Consiglio di Sicurezza, avvenuta il 28 agosto.
I negoziatori europei sostengono che la loro iniziativa in realtà conferisce agibilità all'Iran per negoziare un ritorno alla piena conformità al JCPOA, ma ciò è smentito dal fatto che essi subordinano il periodo di negoziazione di trenta giorni a nuove richieste relative all'inventario missilistico dell'Iran e alla sua posizione in politica estera, che vengono postulati come parte integrante di qualsiasi accordo. Essi sono perfettamente consapevoli del fatto che questi ulteriori elementi non saranno mai accettati dall'Iran.
Francia, Germania e Regno Unito stanno quindi mettendo l'Iran davanti alla prospettiva di un'azione militare, attraverso l'introduzione di condizioni irrealizzabili.
È chiaro che la dichiarazione di Cina e Russia implica che esse non rispetteranno il ripristino di alcuna sanzione che venisse imposta all'Iran.
Trump afferma periodicamente di non volere la guerra con l'Iran, ma ciononostante il 22 giugno ha già colpito gli impianti nucleari iraniani.
Il quadro del ripristino delle sanzioni, con le sue condizioni punitive, è secondo ogni apparenza inteso a provocare un fallimento diplomatico e non è nato dal nulla.
Ricordiamo che è stato Trump, nel febbraio 2025, a firmare un memorandum presidenziale nazionale -che è una ingiunzione legalmente vincolante- in cui si afferma che gli obiettivi degli Stati Uniti sono quelli di "negare all'Iran l'arma nucleare e i missili balistici intercontinentali" e che "la rete e la campagna di aggressione regionale dell'Iran vengano neutralizzate", che il Segretario al Tesoro dovrebbe esercitare la massima pressione possibile con le sanzioni e che il rappresentante degli Stati Uniti presso l'ONU dovrebbe collaborare con i principali alleati per completare il ripristino delle sanzioni e delle restrizioni a livello internazionale nei confronti dell'Iran, ritenendo l'Iran "responsabile della violazione del Trattato di non proliferazione nucleare". Queste sono alcune tra le molte disposizioni incluse nel memorandum.
Il memorandum presidenziale del febbraio 2025 ha posto le basi per un'eventuale azione militare contro l'Iran o per la sua capitolazione totale. L'idea di privare l'Iran dei suoi missili e dei suoi legami con gli alleati regionali è sempre stata destinata al fallimento. Eppure, queste richieste stanno riemergendo con le ultime richieste dei negoziatori europei. E chi c'è dietro tutto questo? Trump. E, dietro di lui, Netanyahu.
Il primo round è già stato giocato e ora le forze dietro le quinte stanno spingendo perché si passi al secondo. Esse vedono l'Iran rafforzarsi, lo stato sionista indebolirsi e il periodo adatto a cogliere l'occasione avvicinarsi alla fine. Hanno fretta.
L'altra parte della ripicca dell'Occidente a fronte dell'"insolenza" con cui la OCS si sta tenendo alla larga dalla sua supremazia, probabilmente prenderà forma in Ucraina. Gli europei e Zelensky chiederanno che si faccia più pressione sulla Russia, sia dal punto di vista militare che finanziario.
La Russia ha senza dubbio informato gli altri Paesi presenti a Tianjin che intende comunicare a Trump che continuerà con l'operazione militare speciale fino al completo raggiungimento di tutti gli obiettivi prefissati, dal momento che Washington sembra incapace di controllare gli ucraini e gli europei. Se la situazione dovesse prendere una piega diversa, la Russia è disponibile a intraprendere un percorso diplomatico per porre fine al conflitto, ma alle sue condizioni. Lo sforzo principale tuttavia sarà quello di assicurarsi la vittoria sul campo di battaglia. Se Trump dovesse reagire con una escalation, la Russia risponderà in modo adeguato.
Trump vive sotto enormi pressioni ed è soggetto a (sconosciuti) vincoli. Ma quello che abbiamo constatato più volte con Trump è che egli sfida l'ovvio. Riesce a sopravvivere alle difficoltà, a superarle e, in un certo senso, a prosperare proprio grazie ad esse. Le avversità sono la sua linfa vitale. Ha una qualche inspiegabile e indomabile caratteristica che coloro che lo conoscono bene affermano di percepire.
Trump riuscirà a reagire al dopo Tianjin? Il suo insistito pretendere che gli Stati Uniti hanno il diritto all'egemonia finanziaria porterà ora -vista la riottosità dei Paesi dell'OCS- a un indebolimento dell'AmeriKKKa? Il momento in cui la Cina ha lanciato il guanto di sfida è stato del tutto casuale o la situazione finanziaria dell'Occidente è più fragile di quanto si pensi generalmente?
Trump sarebbe in grado di arrivare a quella distensione sul nucleare che gli varrebbe la candidatura al Nobel, a dispetto delle pastoie che lo trattengono?

08 settembre 2025

Alastair Crooke - Da Tel Aviv il "nuovo e violento sionismo" prodromo di una geopolitica imperiale fatta di sottomissione e di obbedienza

Traduzione da Strategic Culture, 1 settembre 2025.

 La strategia dello stato sionista degli ultimi decenni continua a basarsi sulla speranza di arrivare a una vera e propria trasformazione che deradicalizzi sia i palestinesi sia la regione in generale. Una deradicalizzazione che renderà "sicuro" lo stato sionista. Questo è stato il sacro scopo dei sionisti sin dalla fondazione dello stato. Oggi, il termine in codice per indicare questa chimera è "Accordi di Abramo".
Anna Barsky scrive su Ma'ariv (in ebraico) il 24 agosto che Ron Dermer -ministro per gli affari strategici di Netanyahu, ex ambasciatore a Washington e importante "consigliere" di Trump- "vede la realtà con freddo occhio politico. È convinto che un vero accordo [su Gaza] non sarà mai concluso con Hamas, ma [solo] con gli Stati Uniti. Ciò che serve, dice Dermer, è che gli ameriKKKani facciano propria la linea politica dello stato sionista, gli stessi cinque punti approvati dal Consiglio dei Ministri: disarmo di Hamas, ritorno di tutti gli ostaggi, completa smilitarizzazione di Gaza, controllo della sicurezza nella Striscia in mano allo stato sionista e un governo civile alternativo che non sia né di Hamas né dell'Autorità Palestinese".
Dal punto di vista di Dermer, un accordo parziale per il rilascio degli ostaggi –che Hamas ha accettato– sarebbe un disastro politico. Al contrario, se Washington dovesse approvare la linea di Dermer facendone un proprio piano, secondo la Barsky Dermer concluderebbe che "avremmo una situazione vantaggiosa per tutti". Inoltre, secondo la logica di Dermer, "la mera apertura di un accordo parziale darebbe a Hamas due o tre mesi di respiro, durante i quali potrebbe rafforzarsi e persino cercare di arrivare a uno scenario conclusivo diverso da quello degli statunitensi, uno che gli si adatti meglio [ad Hamas]". "Questo, secondo Dermer, è lo scenario veramente pericoloso", scrive la Barsky.
Dermer ha insistito per anni sul fatto che lo stato sionista non può arrivare alla pace senza prima arrivare a una trasformazione deradicalizzante di tutti i palestinesi. "Se lo facciamo nel modo giusto", dice Ron Dermer, "lo stato sionista ne uscirà più forte -e anche gli Stati Uniti!".
Alcuni anni prima, quando fu chiesto a Dermer quale fosse secondo lui la soluzione al conflitto palestinese, egli rispose che sia la Cisgiordania che Gaza dovevano essere completamente disarmate. Tuttavia, più importante del disarmo era l'assoluta necessità che tutti i palestinesi fossero parimenti "deradicalizzati". Quando gli fu chiesto di spiegarsi meglio, Dermer fece riferimento con aria di approvazione all'esito della Seconda Guerra Mondiale: i tedeschi furono sì sconfitti, ma la cosa ancor più significativa fu che i giapponesi furono completamente "deradicalizzati" e resi imbelli dalla fine delle ostilità:
In Giappone le truppe statunitensi sono rimaste per settantacinque anni. In Germania le truppe statunitensi sono rimaste per settantacinque anni. Se qualcuno pensa che fossero questi gli accordi iniziali, si sta prendendo in giro. Dapprima si è trattato di un'imposizione. Poi hanno capito che per loro era un bene. E col tempo c'è stato un interesse reciproco a mantenere questo stato di cose.
Trump è a conoscenza della tesi di Dermer, ma a quanto pare è Netanyahu a esitare istintivamente. La Barsky scrive poi:
Un accordo parziale [con Hamas] porterà quasi certamente alle dimissioni di Smotrich e di Ben Gvir [dal governo]... Il governo andrà in pezzi... Un accordo parziale significa la fine del governo di destra... Netanyahu lo sa bene, ed è per questo che esita con difficoltà. Eppure si può tirare la corda fino a un certo punto.
Trump sembra accettare la tesi di Dermer: "Penso che vogliano morire, ed è molto, molto grave", ha detto Trump di Hamas prima di partire per il suo recente viaggio in Scozia in agosto. "Si è arrivati al punto in cui siete voi [cioè lo stato sionista] che dovrete portare a termine il lavoro".
Ma l'idea di Dermer di infliggere agli avversari una sconfitta tale da bruciare loro la coscienza non ha mai riguardato solo Hamas. Essa riguardava tutti i palestinesi, tutta la regione nel suo complesso e, naturalmente, l'Iran in particolare.
Gideon Levy scrive che dobbiamo essere grati all'ex capo dell'intelligence militare Aharon Haliva, che su Channel 12 ha ammesso che
"Abbiamo bisogno di un genocidio ogni pochi anni; il massacro del popolo palestinese è un atto legittimo, persino fondamentale". Ecco come parla un generale moderato dell'IDF... uccidere cinquantamila persone è "necessario".
Questa "necessità" non ha più un fondamento razionale. Si è trasformata in sete di sangue. Benny Barbash, drammaturgo cittadino dello stato sionista, scrive che molti concittadini che incontra -anche alle manifestazioni a favore di uno scambio tra ostaggi e prigionieri- ammettono francamente:
"Senti, mi dispiace davvero dirtelo, ma dei bambini che muoiono a Gaza non mi importa nulla. Né della fame che c'è o non c'è. Davvero non mi interessa. Te lo dico chiaramente: per quanto mi riguarda, da quelle parti possono anche morire tutti".
"Il genocidio come prerogativa dell'IDF, per il bene delle generazioni future"; "Per ogni [cittadino dello stato sionista] del 7 ottobre, devono morire cinquanta palestinesi. Dei bambini adesso non importa. Non parlo per vendetta, ma per lanciare un messaggio alle generazioni future. Non c'è niente da fare, hanno bisogno di una Nakba ogni tanto e poi di provarne il peso", cita Gideon Levy le sobrie considerazioni del generale Haliva (sottolineatura aggiunta).
Occorre interpretare tutto questo come indice di un profondo mutamento nel nucleo del pensiero sionista, che passa da Ben Gurion a Kahane. Yossi Klein scrive (in ebraico su Haaretz) che
Siamo davvero arrivati alla barbarie, ma questa non è la fine del sionismo... [Questa barbarie] non ha ucciso il sionismo. Al contrario, gli ha conferito rilevanza. Il sionismo ha avuto varie versioni, ma nessuna assomigliava a questa nuova, aggiornata e violenta variante rappresentata dal sionismo di Smotrich e di Ben Gvir...
Il vecchio sionismo non aveva più rilevanza. Esso ha fondato uno Stato e fatto rinascere la sua lingua. Non ha più obiettivi... Se oggi chiedeste a un sionista che cos'è il suo sionismo, non saprebbe come rispondere. "Sionismo" era diventata una parola vuota... Fino all'arrivo di Meir Kahane. Egli è stato foriero di un sionismo aggiornato i cui obiettivi sono chiari: espellere gli arabi e insediare gli ebrei. Questo è un sionismo che non si nasconde dietro belle parole. Sentir parlare di "evacuazione volontaria" lo fa ridere. Il "trasferimento" lo incanta. Lo apartheid lo inorgoglisce... Essere sionisti oggi significa essere Ben Gvir. Non essere sionisti significa essere antisemiti. Un antisemita [oggi] è qualcuno che legge Haaretz...
Smotrich ha dichiarato a fine agosto che il popolo ebraico sta vivendo fisicamente "il processo di redenzione e il ritorno della presenza divina a Sion, mentre è impegnato nella 'conquista della terra'".
È questo filone di pensiero apocalittico che sta influenzando l'amministrazione Trump in vari modi: sta trasformando la linea etica dell'amministrazione in una posizione del tipo "la guerra è guerra e deve essere totale". Qualunque cosa in meno deve essere vista come un mero scrupolo morale. Questa è l'interpretazione talmudica che deriva dalla storia dello sterminio degli Amalekiti; si veda Jonathan Muskat in Times of Israel.
Ecco quindi il nuovo asservimento di Washington verso la decapitazione delle leadership intransigenti (Yemen, Siria e Iran); il sostegno alla neutralizzazione politica di Hezbollah e degli sciiti in Libano, l'assassinio dei capi di Stato riottosi -come è stato discusso per l'Imam Kamenei- come operazioni di ordinaria amministrazione e la sovversione delle strutture statali (come previsto per l'Iran il 13 giugno).
La conversione dello stato sionista a questo sionismo revisionista –e la sua influenza sulle fazioni chiave della linea statunitense– è proprio il motivo per cui la guerra tra Iran e stato sionista è ormai percepita come inevitabile.
La Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran ha espresso chiaramente il proprioo comprenderne le implicazioni in un discorso pubblico all'inizio di questa settimana:
Questa ostilità [statunitense] è la stessa da quarantacinque anni ed è passata attraverso amministrazioni, partiti e presidenti statunitensi diversi. Sempre la stessa ostilità, le stesse sanzioni e le stesse minacce contro la Repubblica Islamica e il popolo iraniano. La domanda è: perché? In passato, hanno nascosto la vera ragione dietro etichette come terrorismo, diritti umani, diritti delle donne o democrazia. Se la dichiaravano, la formulavano in modo più educato, dicendo: "Vogliamo che l'Iran cambi comportamento".
Ma l'uomo oggi al potere in AmeriKKKa è stato finalmente chiaro e ha svelato il vero obiettivo: "Il nostro conflitto con l'Iran, con il popolo iraniano, è dovuto al fatto che l'Iran deve obbedire all'AmeriKKKa". Questo è ciò che noi, la nazione iraniana, dobbiamo capire chiaramente. In altre parole: una potenza mondiale si aspetta che l'Iran, con tutta la sua storia, la sua dignità e la sua eredità di grande nazione, se ne stia semplicemente sottomesso. Questo è il vero motivo di tutta quella ostilità.
Quelli che dicono "Perché non negoziate direttamente con l'AmeriKKKa per risolvere le vostre questioni?" guardano solo alla superficie. Non è questo il vero problema. Il vero problema è che gli Stati Uniti vogliono che l'Iran obbedisca ai loro ordini. Il popolo iraniano è profondamente offeso da un insulto così grave e si opporrà con tutte le sue forze a chiunque nutra false aspettative nei suoi confronti... Il vero obiettivo degli Stati Uniti è la sottomissione dell'Iran. Gli iraniani non accetteranno mai questo grave insulto.
Nella tesi di Dermer, deradicalizzare significa "instaurare un dispotismo leviatanico che riduca la regione a una totale impotenza, anche a livello spirituale, intellettuale e morale. Il Leviatano totale è un potere unico, assoluto e illimitato, spirituale e temporale, sugli altri esseri umani", come ha osservato il dottor Henri Hude, ex capo del Dipartimento di Etica e Diritto della prestigiosa Accademia Militare di Saint-Cyr in Francia.
Anche l'ex difensore civico dell'IDF, il maggiore generale (in pensione) Itzhak Brik, ha avvertito che la leadership politica israeliana sta "giocando con l'esistenza stessa dello stato sionista":
Vogliono ottenere tutto attraverso la pressione militare, ma alla fine non otterranno nulla. Hanno messo lo stato sionista sull'orlo di due situazioni insostenibili: lo scoppio di una guerra su vasta scala in Medio Oriente [e, o, in secondo luogo] il proseguimento della guerra di logoramento. In entrambe le situazioni lo stato sionista non sarà in grado di sopravvivere a lungo.
Così, mentre il sionismo si trasforma in quella che Yossi Klein ha definito "barbarie all'ultimo stadio", sorge la domanda: questa guerra senza limiti potrebbe funzionare, nonostante il profondo scetticismo di Hude e Brik? Il terrorizzante operato dello stato sionista potrebbe imporre al Medio Oriente una resa incondizionata "che gli consentirebbe di cambiare profondamente, militarmente, politicamente e culturalmente, e di trasformarsi in un satellite dello stato sionista all'interno di una Pax AmeriKKKana globale"?
La risposta chiara che il dottor Hude dà nel suo libro Philosophie de la Guerre è che la guerra senza limiti non può essere la soluzione, perché non può garantire una "deterrenza" duratura o una deradicalizzazione:
Al contrario, essa è la causa più certa della guerra. Cessando di essere razionale, disprezzando avversari che sono più razionali di lui, suscitando avversari ancora meno razionali di lui, il Leviatano cadrà; e anche prima della sua caduta, nessuna sicurezza è garantita.
Hude indica anche come questa estrema ”volontà di potenza" senza limiti contenga inevitabilmente al suo interno la psiche dell'autodistruzione.
Per funzionare, un Leviatano deve rimanere razionale e potente. Cessando di essere razionale, disprezzando gli avversari più razionali e suscitando l'ira degli avversari meno razionali di lui, il Leviatano finisce per cadere. E cadrà.
Questo è precisamente il motivo per cui l'Iran, già adesso, sa che deve prepararsi alla Grande Guerra mentre il Leviatano si leva. E così deve fare anche la Russia, perché si tratta di una guerra unica, che verrà condotta contro i recalcitranti al nuovo ordine ameriKKKano.