25 giugno 2025

Alastair Crooke - Le affermazioni sul nucleare militare iraniano: un casus belli nato da un algoritmo di controspionaggio del sistema Palantir



La risoluzione del Consiglio della AIEA del 12 giugno 2025 in cui si parlava di "inadempienza" ha rappresentato la prevista premessa per l'attacco "a sorpresa" dello stato sionista contro l'Iran iniziato il giorno successivo. Ma nello stato sionista si afferma che il piano di entrare in guerra con l'Iran era basato sulla "opportunità" per colpire, e non su informazioni secondo cui l'Iran stava accelerando la corsa alla bomba (cosa che era il pretesto per la guerra). L'inattesa affermazione per cui l'Iran sarebbe stato molto vicino a realizzare la bomba -che a quanto pare è spuntata dal nulla lasciando gli ameriKKKani stupiti a prendere atto di come fosse possibile ritrovarsi in mezzo a una guerra in un batter d'occhio- è stata successivamente smentita dal capo dell'AIEA Grossi alla CNN il 17 giugno.
Solo che la repentina aggressione contro l'Iran aveva già avuto luogo.
"Non avevamo alcuna prova di uno sforzo sistematico [da parte dell'Iran] per dotarsi di armi nucleari", ha confermato Grossi alla CNN.
A questa dichiarazione ha fatto seguito questa replica dell'Iran, da parte del portavoce del ministero degli Esteri Esmaeil Baqaei il 19 giugno:
"È troppo tardi, signor Grossi: lei ha oscurato questa verità nel suo rapporto assolutamente di parte, che è stato strumentalizzato da Regno Unito, Germania e Francia e dagli Stati Uniti per elaborare una risoluzione contenente infondate accuse di 'inadempienza' [da parte dell'Iran]; la stessa risoluzione è stata poi utilizzata, come pretesto finale, da un regime guerrafondaio e genocida per scatenare una guerra di aggressione contro l'Iran e lanciare un attacco illegale contro i nostri impianti per il nucleare civile. Sapete quanti iraniani innocenti sono stati uccisi o menomati a causa di questa guerra criminale? Avete trasformato la AIEA in uno strumento con cui i paesi che non hanno aderito al Trattato di Non Proliferazione possono privare i paesi che lo hanno sottoscritto dei loro diritti fondamentali ai sensi dell'articolo 4. Pensa di non avere nulla, sulla coscienza?!".
A questo il consigliere della Guida Suprema dottor Ali Larijani ha aggiunto:
"Dopo la guerra ne chiederemo conto a Rafael Grossi, direttore della AIEA".

Cosa si dice?
Dichiarazione del Ministero degli Esteri russo in relazione all’escalation del conflitto tra Repubblica Islamica dell'Iran e stato sionista.
"Sono stati proprio questi ‘simpatizzanti’ [Regno Unito, Germania e Francia] a esercitare pressioni sulla leadership dell'Agenzia [AIEA] affinché preparasse una discutibile "valutazione globale" del programma nucleare iraniano, le cui lacune sono state successivamente sfruttate per far approvare una tendenziosa risoluzione anti-iraniana dal Consiglio dei governatori dell'AIEA il 12 giugno [2025]. Questa risoluzione ha di fatto dato il via libera alle azioni di Gerusalemme Ovest, portando alla tragedia" [cioè all'attacco a sorpresa del giorno successivo, il 13 giugno].
Cosa succede dietro le quinte?
Le informazioni fondamentali per la risoluzione della AIEA del 12 giugno 2025 –che ha dato allo stato sionista il pretesto per attaccare l'Iran e che è stata elaborata per influenzare il presidente Trump affinché ignorasse gli avvertimenti del direttore della sua stessa intelligence secondo cui non c'erano prove che l'Iran stesse facendo progressi nel nucleare militare– non sarebbero state fornite dal Mossad o da altri servizi di intelligence occidentali, ma dal software della AIEA. Come sottolinea DD Geo-politics, dal 2015 la AIEA si affida alla piattaforma Mosaic di Palantir, un sistema di intelligenza artificiale da cinquanta milioni di dollari che setaccia milioni di dati –immagini satellitari, social media, tracciature del personale– per prevedere minacce nucleari:
"Le scorte [di uranio arricchito] dell'Iran erano in costante aumento da mesi, ma il discorso su una svolta imminente è venuto fuori solo dopo la censura della AIEA del 6 giugno 2025. Quella risoluzione, adottata con 19 voti contro 3, ha fornito allo stato sionista la copertura diplomatica di cui aveva bisogno. In questa svolta la piattaforma Mosaic di Palantir ha svolto un ruolo fondamentale. I suoi dati hanno dato forma al rapporto del 31 maggio, segnalando anomalie a Fordow e Lavisan-Shian e riciclando precedenti accuse circa il sito di Turquzabad, nonostante l'Iran le avesse confutate e smentite da anni... Mosaic è stato ideato originariamente per identificare le attività dei ribelli in Iraq e Afghanistan".
Il suo algoritmo cerca di identificare e dedurre "intenzioni ostili" da indicatori indiretti –metadati, modelli comportamentali, intensità negli scambi di dati interpretati come segnaletici– e non da prove oggettive. In altre parole, ipotizza ciò che i sospetti potrebbero pensare o pianificare. Il 12 giugno, l'Iran ha divulgato dei documenti che secondo quanto affermato dimostravano che il capo della AIEA Rafael Grossi aveva condiviso i risultati di Mosaic con lo stato sionista. Nel 2018, Mosaic aveva elaborato oltre 400 milioni di informazioni sottoforma di dati discreti e aveva contribuito a sollevare sospetti su oltre sessanta siti iraniani, in modo tale da giustificarvi ispezioni senza preavviso da parte della AIEA, ai sensi dell'accordo sul nucleare iraniano. Questi risultati, sebbene dipendano in gran parte da equazioni algoritmiche, sono stati incorporati nei rapporti formali di salvaguardia prodotti dalla AIEA e sono stati largamente accettati dagli Stati membri dell'ONU e dai sostenitori della non proliferazione come valutazioni credibili e basate su prove. Mosaic tuttavia non è un sistema passivo. È addestrato a dedurre intenzioni ostili dai propri algoritmi. Solo che quando viene riutilizzato per la sorveglianza nucleare, le sue equazioni rischiano di tradurre una semplice correlazione in un intento malevolo.

Cosa dicono i principali commentatori nello stato sionista?
Il principale commentatore di centro destra Ben Caspit (Ma'ariv):
"La 'svolta' dell'Iran verso l'arma nucleare c'è stata davvero? Probabilmente no. La Guida [Suprema] ha davvero ordinato di realizzare un'arma nucleare? Probabilmente no. Allora perché siamo entrati in guerra? Perché non c'era scelta. Stavano promuovendo un piano di annientamento di Israele e non avevamo scelta... 7 ottobre: una doccia fredda ha svegliato un intero Paese. Tutti coloro che sono coinvolti devono capire che chiunque contempli la nostra distruzione sarà distrutto. Occhi puntati sull'obiettivo e un proiettile tra gli occhi... D'ora in poi, ogni mossa dei nostri nemici, ovunque essa si verifichi, dovrà essere seguita da un'azione. Ogni testa di serpente che si alza deve essere decapitata... E c'è dell'altro: la rara e irripetibile finestra di opportunità storica che si è improvvisamente aperta davanti a noi... Tutto questo ha reso giusta la decisione di entrare in guerra... Netanyahu oggi è euforico".
Il commentatore Nahum Barnea (Yedioth Ahoronot):
"La decisione di iniziare una guerra è stata tutta di Netanyahu. Ed eccolo qui, a prendere decisioni e ad assumersi la responsabilità: tutto il merito è suo. Trump ha dato allo stato sionista il via libera per iniziare una guerra, a condizione che non presenti l'AmeriKKKa come alleata e come responsabile. Il metodo Trump non fa distinzione tra l'Ucraina di Zelensky e l'Iran di Khamenei: una umiliazione strada facendo è garanzia di un accordo alla fine del percorso".
Il commentatore del NY Times, Ronen Bergman (Yedioth Ahoronot):
“L'idea che servisse una serie di omicidi come quella della settimana scorsa è venuta fuori per la prima volta lo scorso settembre in una riunione tra alti funzionari dell'Unità 8200, la divisione di ricerca della Direzione dell'Intelligence, il Mossad e altre branche del sistema. Il fattore scatenante è stata la sconfitta inflitta dall'IDF a Hezbollah, seguita dal successo dell'attacco all'Iran e dalla distruzione delle sue difese aeree in ottobre, cui poi è seguito il crollo del regime di Assad a Damasco con la distruzione del suo sistema di difesa aerea da parte dell'IDF. La sequenza di eventi ha portato molti alti funzionari dello stato sionista a credere che si fosse presentata un'opportunità senza precedenti, una finestra irripetibile, per attaccare l'Iran... E così il comitato per le decapitazioni, che ha deciso il destino di scienziati a migliaia di chilometri di distanza, si è riunito e ha deciso chi sarebbe stato classificato al livello A –il più importante– e chi di livello B, C o D –il più basso".
Il quadro generale?
A quanto pare, a convincere Trump sono stati Netanyahu, Ron Dermer e il generale Kurilla del CENTCOM (Politico riferisce che Kurilla è stato determinante nel persuadere Trump che la direttrice dei servizi Tulsi Gabbard aveva torto a concludere che l'Iran non avesse "la bomba"). Trump ha preso le parti dello stato sionista affermando che l'Iran era "molto vicino" ad avere una bomba e aggiungendo che "non gli importava cosa pensasse lei [Gabbard]". Trump ipotizzò ad alta voce, il giorno prima dell'attacco a sorpresa del 13 giugno, che un attacco dello stato sionista contro l'Iran "avrebbe potuto accelerare [l'arrivo ad un accordo]". Non c'è dubbio che il crollo della Repubblica Araba di Siria, improvviso e inatteso, abbia spinto i neoconservatori a immaginare di poter ripetere rapidamente l'operazione in Iran. Questo è anche il motivo per cui è posta tanta enfasi sull'assassinio della Guida Suprema. Poi l'Iran non è crollato, il sistema iraniano è ripartito in modo inaspettatamente rapido e sono iniziati i contrattacchi dell'Iran contro lo stato sionista. A quel punto, il blocco filosionista è andato nel panico e ha esercitato un'enorme pressione su Trump affinché gli Stati Uniti entrassero in guerra a fianco dello stato sionista.
Questo ha lasciato Trump di fronte a un terribile dilemma: scegliere tra Scilla e Cariddi, ovvero alienarsi la sua base di sostegno MAGA (che ha votato per lui proprio per impedire che gli Stati Uniti entrassero in un'altra guerra senza fine che porterebbe i repubblicani a una probabile sconfitta alle prossime elezioni di medio termine) o alienarsi i suoi ricchissimi donatori ebrei (come Miriam Adelson, il cui denaro domina il Congresso e le cui risorse sono sfruttate dal Deep State per perseguire interessi comuni con lo stato sionista), che si sarebbero rivoltati contro di lui.

Ombre dell'Iraq. E del ruolo di Colin Powell...

19 giugno 2025

Tel Aviv. Anzi no, Haifa. Un eroe normale, una gatta felice e una torta

 


Questa presa in giro del sionismo da gazzetta e dei temi ricorrrenti nelle produzioni degli hasbaristi mantenuti dal Dipartimento per l'Editoria è stata scritta nel 2010 da Miguel Guillermo Martinez Ball. Quindici anni dopo lo stato sionista ha aggredito la Repubblica Islamica dell'Iran. Che non è rimasta compostamente a prenderle e ha reagito lanciando missili a centinaia e bucando più volte le difese antiaeree. Con danni considerevoli, pare, e non solo sugli asili nido e sui rifugi per micetti abbandonati.
Ora, va detto che chi capitasse su iononstoconoriana.com per la prima volta potrebbe pensare che gli scritti qui pubblicati siano lievemente favorevoli alla Repubblica Islamica dell'Iran. Il che non è vero per niente, perché iononstoconoriana.com è schierato con la Repubblica Islamica dell'Iran nel modo più deciso e inequivocabile.
Chi scrive spera vivamente che la Repubblica Islamica dell'Iran sia un boccone troppo grosso per Bibi, e che Bibi ne finisca strozzato.
E pazienza per Fiamma Nait e Deborah Firenstein.

Il Giornale del Berlusconi Minore, martedì 1 giugno, 2010, sezione Esteri

Mitzi oggi è una gatta felice. Fa le fusa, inarca la schiena e si lascia accarezzare da Ari, che si riposa stanco, nella sua casa di Tel Aviv.
Dalla finestra, nella calda aria della tarda primavera, Ari guarda le scintillanti file di grattacieli che i suoi nonni hanno eretto nel deserto, in una terra senza popolo che sembrava quasi invocare un popolo senza terra. Oggi, Ari non vuole guardare verso il mare. E nemmeno verso le splendide spiagge. I bagnanti, le giovani coppie che si baciano, i bambini spensierati che giocano con le figurine del Milan (anche a Tel Aviv, c'è chi tifa per il Milan e ancora di più per il suo Presidente), non sanno che se possono continuare a godersi la vita in un mondo che li odia, è grazie ad Ari.
Perché Ari custodisce un segreto, che condivide solo con Mitzi e con noi due, e che noi confidiamo a voi.
Ieri mattina lui era in mezzo a quel mare. Non sulle calde spiagge, ma tra le onde alte. Di vedetta, Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali, tre eroi che si conoscono da sempre.
Non è ancora l'alba, quando vedono comparire una nave immensa, che inalbera la bandiera della Mezzaluna dell'Odio. Una sagoma paurosa come un iceberg, che vorrebbe affondare il piccolo, fragile vascello di Ari, Shlomo e Gilad.
Carica di cemento, dicono che sia la nave, e la parola suona terribile per orecchie come quelle di Ari, giovani ma che non dimenticano come Auschwitz e le Piramidi fossero state costruite proprio con il cemento. Carica di sedie a rotelle, dicono.
Ma Ari sa bene a cosa servono: quei vigliacchi di Chamas prendono i loro stessi figli affetti dalla sindrome di Down (tra gli arabi tale sindrome è diffusa, a causa della loro sporcizia e delle loro ripugnanti abitudini), promettono loro un paradiso pieno di caramelle, se si fanno saltare per aria.
Ari è un ragazzo sensibile, che non farebbe male a una mosca. Ma ricorda bene quello che gli ha insegnato il suo istruttore: ogni volta che spari a un bambino in carrozzella, pensa a quanti bambini continueranno a camminare normalmente grazie al tuo gesto. Per fare del bene a quegli altri bambini, devi a volte avere il coraggio di fare male a te stesso imponendoti di uccidere. E' il sacrificio più grande, che tanti israeliani fanno umilmente. Un sacrificio d'amore.
Dalla sua piccola imbarcazione, guardando attraverso il binocolo a raggi infrarossi, Ari vede i visi di decine, centinaia, migliaia di persone, che si affacciano e scrutano le acque oscure.
Hanno i nasi che fremono eccitati: anche al buio, sentono odore di ebreo. Di un piccolo ebreo, disperso e quasi solo, in mezzo alle onde. Come la terra fragile che Ari improvvisamente si trova a dover difendere, un paese che vorrebbe disperatamente vivere in pace, ma deve sempre difendersi.
Anche contro il cemento e le sedie a rotelle, anche in mezzo al mare, pieno di acqua, di squali e di antisemiti.
Ari, Shlomo e Gilad. Tre ragazzi normali. In quel momento, Ari pensa a Leah. Lei è bella, lui è timido; ma Leah non sa che Ari è anche un eroe.
Ari conosce il proprio dovere. Anche se la nave è carica di terroristi e assassini, deve dare loro una possibilità.
E' quel senso innato di altruismo che hanno tutti gli israeliani, che lo porta a dare il preavviso, anziché affondare l'imbarcazione con un semplice colpo di siluro, come avrebbe fatto chiunque altro alla vista di una nave civile in acque internazionali.
Con voce forte e chiara, grida alla nave: "You dirty son of bitch terroristim, I Israeli man I take you prison every you you tink you do Hitler in my sea I do more bad in your ship!"
Ari sa di aver fatto tutto il possibile per salvare le persone a bordo. Anche se lo odiano, lui comunque pensa prima a loro: gli israeliani sono fatti così. Anche quando sanno che gli altri ne approfitteranno.
Lanciano la fune e si issano a bordo: Ari, Shlomo e Gilad.
Hanno il fiato corto per lo sforzo.
Vedono attorno a loro una selva di visi indemoniati. Dicono di essere pacifisti, ma i ragazzi sanno cosa sono in realtà: schiere di SS e sanguinari macellai muslumaniaci.
Lo sguardo di Ari si fissa per un momento su uno di loro.
E' un ragazzo vestito, anzi mascherato, da cuoco. E' della stessa età di Ari, ma quanto è diverso! Lo sguardo strabico, il labbro contorto da anni di antisemitismo, e tra le mani regge, no, ostenta una torta. Una torta.
Ari riconosce quella torta. Morbida e cremosa. E sa cosa vuol dire.
Capisce il messaggio di odio che quel ragazzo gli sta lanciando.
Ari non dimenticherà mai la scena nel film. Il tavolo con la torta. L'ufficiale nazista, le dita ancora ricoperte di crema, che con i suoi stivali immacolati prendeva a calci una ragazza ebrea. Una ragazza che aveva le stesse lentiggini di Leah.
Fu solo allora, vedendo la torta, che Ari iniziò a sparare.

16 giugno 2025

I tesori archeologici di Gaza in mostra allo Institut du Monde Arabe di Parigi




I danni deliberati che lo Stato Islamico ha causato al patrimonio archeologico siriano sono stati oggetto di diffusa e giustificata esecrazione. Quelli altrettanto deliberati che lo stato sionista ha causato e causa a tutt'oggi al patrimonio archeologico palestinese sono stati al più trattati a margine.
Trésors Sauvés de Gaza - 5000 Ans d'Histoire, allestita presso l'Institut du Monde Arabe di Parigi dal 3 aprile al 2 novembre 2025, aveva tra i suoi obiettivi quello di mettere a disposizione del pubblico reperti e informazioni sul patrimonio archeologico di Gaza. Quelle che seguono sono le traduzioni dal francese della presentazione della mostra e delle descrizioni dei cinque siti più rilevanti.


Introduzione

Fin dalla sua delimitazione nel 1949 il territorio della Striscia di Gaza -365 chilometri quadrati- è stato caratterizzato tanto da un sostanziale isolamento quanto da una estrema densità demografica e edilizia. La sua storia contemporanea è costellata da guerre e crisi umanitarie; il suo glorioso passato di vasto porto mediterraneo ricco grazie ai traffici con l'Arabia ne è stato messo in ombra. Dopo l'attacco terroristico e la presa degli ostaggi da parte di Hamas il 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza ha subito una devastazione fuori dall'ordinario; a causa della guerra e dei bombardamenti ad opera dello stato sionista si è avuto un numero vertiginoso di vittime civili e di sfollati.
I tragici eventi del XX e del XXI secolo fino alla guerra attualmente in corso hanno spazzato via la storia di questa antica oasi, luogo di passaggio e di scambi aperto al mondo: chi mai ricorda che fin dall'età del bronzo Gaza -nata laddove le sabbie e il mare si incontrano- ha avuto un passato dal prestigio ininterrotto?
Le circa cento opere qui presentate consentono uno sguardo attraverso le civiltà cananea, egizia, filistea, neo-assira, babilonese, persiana, ellenistica, romana, bizantina e araba in questa stretta fascia costiera. La ricchezza di questa oasi, un tempo lodata per la sua prosperità e per la piacevolezza delle sue condizioni di vita, ambita per la sua posizione strategica, terra promessa dei commercianti carovanieri e porto delle merci preziose provenienti dall'Arabia, dall'Africa e dal Mediterraneo, è oggi in grave pericolo.
Oggi che il patrimonio di Gaza subisce attacchi senza precedenti e folli speculazioni sul suo futuro minacciano di spazzare via cinquemila anni anni di esistenza, più che mai è necessario conoscere la sua storia.


Un patrimonio in esilio

Nell'autunno 2006 un centinaio di casse contenenti 529 reperti archeologici provenienti da Gaza sono arrivate a Ginevra per la mostra "Gaza, crocevia tra civiltà" (2007). La mostra presentava i reperti arrivati in Francia nel 2000 e 260 opere provenienti dalla collezione privata di Jawdat Khoudary, successivamente donata all'Autorità Nazionale Palestinese. Per diciassette anni le opere che avrebbero dovuto costituire il futuro museo archeologico di Gaza sono rimaste imballate a Ginevra, pronte a partire. Ma non è stato possibile garantire le condizioni per un ritorno in sicurezza nel loro paese d'origine. Mentre il patrimonio culturale palestinese è vittima di distruzioni senza precedenti, le 123 opere presentate oggi rispecchiano la ricca e lunga storia di Gaza, salvaguardata grazie al Musée d'art et d'histoire di Ginevra che conserva la collezione.


1994-2000: le eccezionali scoperte della campagna di scavi franco-palestinesi

Nell'autunno del 2000, l'Institut du Monde Arabe inaugurò la mostra "Gaza mediterranea", che presentava i risultati degli scavi archeologici intrapresi a partire dal 1994. L'iniziativa nasceva dall'accordo di cooperazione franco-palestinese che permise -per la prima volta dopo il ritiro dello stato sionista dalla enclave- al personale della École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), del Centre National de la Recherche Scientifique e del Servizio delle Antichità dell'Autorità Palestinese di indagare quattro siti di grande importanza. I ritrovamenti più rimarchevoli sono stati quelli dell'antico porto di Anthedon, dei mosaici bizantini di Mukheitim (Jabalya) e dell'eccezionale monastero di Sant'Ilarione (Nussayrat), nonché del prestigioso Tali al-Sakan. Gli eccezionali reperti di questa collezione sono stati sotto la responsabilità dell'Institut du Monde Arabe fino al loro arrivo a Ginevra nel 2007.


I - Gaza, cinquemila anni di storia

La tragedia oggi in atto ha contribuito alla cancellazione della plurimillenaria storia di questa prospera oasi ambita da tutti gli imperi della regione. Gaza si trova ai limiti del deserto, affacciata sul mare e sulla lingua di dune costiere che la separa da esso. Punto di confine naturale tra l'Egitto e l'Asia, la zona dello uadi di Gaza (Wadi Ghazza) è l'ultimo luogo sereno prima del deserto inospitale. Gaza e la sua regione sono un'oasi dalla ricca storia commerciale e politica e sono quindi una posta in gioco importante nella rivalità tra chi si trova al potere nella valle del Nilo e chi vi si trova in Mesopotamia. Porto mediterraneo, punto di convergenza delle rotte carovaniere dell'Africa, dell'Arabia e dell'India, la sua posizione strategica secondo Strabone rese l'antica Gaza "la più grande città della Siria", levando volta per volta le brame degli egizi, degli assiri, dei babilonesi, dei persiani, dei greci, dei romani e infine dei mamelucchi e degli ottomani...


L'età del bronzo e del ferro

Sulla strada di Horus, la via che collegava l'Egitto alla Palestina, il passaggio dello uadi a Wadi Ghazza era un luogo strategico. Nelle vicinanze si trovano due importanti siti dell'età del bronzo, Tali al-Sakan (circa 3500-2350 a.C.) e Tali al-'Ajul (circa 1900-1200 a.C.). Già nella prima metà del IV millennio esistevano stabili legami con l'Egitto, prima che esso conquistasse la Palestina meridionale nella prima età del bronzo e dell'organizzazione della provincia egiziana di Canaan nella tarda età del bronzo. Questo periodo corrisponde anche al comparire della città di Gaza nella storia. Fondata probabilmente nella prima metà del III millennio, la città figura per la prima volta nei testi egizi del regno di Thutmose III (1504-1450 a.C.). Qui viene chiamata "Hazattu", da cui deriva l'attuale nome arabo "Ghazza". Qui risiedeva un funzionario reale egiziano incaricato di sorvegliare la regione, ma la città rimaneva un regno il cui re giurava fedeltà al faraone.


Gaza, città filistea nel periodo assiro, persiano ed ellenistico

All'inizio del XII secolo a.C. dei gruppi provenienti probabilmente dal mondo egeo fondarono dei centri commerciali nelle pianure costiere della regione; Gaza divenne così una delle più importanti città-stato della Filistea. Rimase filistea fino all'VIII secolo quando fu conquistata dagli degli Assiri nel 734 a.C. Il re di Gaza iniziò allora a prestare giuramento di fedeltà, riconoscendosi vassallo di Ninive. Con il nuovo impero di Nabucodonosor II Gaza divenne l'avamposto di Babilonia al confine occidentale dell'impero. Nel 539 a.C. il persiano Ciro conquistò Babilonia e fondò l'impero achemenide. Nel corso dei due secoli del periodo persiano Gaza fu la perla del Mediterraneo. Nel corso della conquista della Siria Alessandro Magno impose un crudele assedio alla città, nel 332. Massacri, saccheggi e distruzioni ebbero carattere sistematico e il disastro portò alla ricostruzione di Gaza sotto l'influenza dominante della cultura ellenistica. La città conservò la sua fama e la sua importanza commerciale sotto i successori di Alessandro, i Lagidi e i Seleucidi, che se ne contesero il controllo.


Il periodo romano e bizantino

Nel 97 a.C. Gaza fu conquistata e distrutta dal regno ebraico degli Asmonei e quindi abbandonata: Gaza deserta. Pompeo la conquistò nel 61 a.C. e nella città furono ripristinate le leggi greche. Venne ricostruita una nuova Gaza, dotata di un teatro, di un ippodromo e sicuramente di una palestra e di uno stadio. Nel corso del IV secolo Gaza vede l'insediamento di marinai cristiani provenienti dall'Egitto, in particolare a Maiouma, il porto della città. La città di Gaza e la sua aristocrazia romanizzata rimasero fedeli a Zeus Marnas fino al V secolo, epoca della conversione forzata alla fede cristiana. Una basilica bizantina, l'Eudoxia, fu quindi eretta sulle rovine del Marneion distrutto nel 402. La città ospitava una comunità ebraica di agricoltori, in particolare a Maiouma dove sono stati ritrovati i resti di una sinagoga del V secolo. Il monachesimo si sviluppò nella regione sotto l'impulso di Ilarione (291-371 circa), originario di Gaza. La città divenne un centro attivo della vita cristiana e intellettuale con la famosa scuola di retorica di Procopio di Gaza. Furono costruiti nuovi edifici come il palazzo vescovile, il mercato coperto, le terme e una scuola di mosaicisti di talento che operavano sia in città che nei centri vicini.


Il periodo musulmano

Nel 637 la città fu conquistata dalle armate musulmane. La popolazione era allora in maggioranza cristiana e lo status delle piccole comunità ebraica e samaritana venne rispettato. Così, fino alle crociate, queste comunità continuarono a prosperare in una città che si islamizzava progressivamente. Gaza era ancora una grande città ricca di attività artigianali, di giardini e di vigneti. Diventò un prospero centro di pellegrinaggio perché si diceva che vi fosse sepolto il nonno dell'Inviato. Le crociate aprirono un nuovo periodo di violenze. Gaza venne occupata dai crociati dal 1149 al 1187 e la sua architettura si trasformò. I crociati vi costruirono una grande chiesa romanica, che in seguito divenne la grande moschea al-'Umari. Dopo la conquista da parte dei Mamelucchi (1260-1277) tornò la pace e vennero costruite moschee e edifici commerciali. Nel 1516 Gaza divenne ottomana e la città iniziò a declinare perché le vie commerciali -specie quelle marittime- cambiarono corso.


Gaza fra il 1905 e il 1922, un patrimonio e paesaggi scomparsi

All'inizio del XX secolo il viaggiatore scopriva a Gaza il fascino di altri tempi dell'abitato circondato da piccoli giardini, il pittoresco palmeto tra le dune e il porto da pesca. Le fotografie inedite della collezione della École Biblique et Archéologique Française de Jérusalem (EBAF) sono testimonianze uniche di questi paesaggi scomparsi. Il XX secolo avrebbe infatti portato a Gaza grandi sconvolgimenti. La prima guerra mondiale non risparmiò questo lembo di terra e i bombardamenti inglesi del 1917 costarono a Gaza gran parte del suo patrimonio architettonico. Dopo l'arrivo di sfollati a partire dal 1947 e la fondazione dello stato sionista, Gaza e i suoi dintorni videro un massiccio afflusso di rifugiati a seguito della guerra del 1948-1949. In questo modo quasi duecentomila "naufraghi della storia" sono andati ad aggiungersi agli ottantamila abitanti di questa fascia costiera. Le conseguenze di quella guerra delimitarono i contorni della "Striscia di Gaza", un territorio enclave di 365 chilometri quadrati. La città portuale di Gaza si trova oggi tagliata fuori dal suo entroterra e dalle strade che in passato ne erano state la ricchezza.


II - Un patrimonio in pericolo

Con oltre 2.150.000 abitanti, di cui settecentomila nella città di Gaza (gennaio 2022), la Striscia di Gaza presenta una densità di popolazione tra le più alte della regione. Da oltre venti anni questa zona è sottoposta a un intenso consumo di suolo, associato a una incessante crisi sociale e umanitaria. Gli interventi urbanistici indispensabili e un'urbanizzazione tanto rapida non potevano essere realizzati senza ripercussioni sul patrimonio archeologico, che abbonda in tutta la regione. A fronte della moltitudine di cantieri, dei rischi di distruzione dei siti e delle scoperte casuali, è stata avviata un'archeologia di emergenza e di conservazione. Il progetto Intiqal (Trasmissione) avviato nel 2017 dall'ONG Première Urgence Internationale in collaborazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestina e con l'EBAF, ha collaborato al salvataggio di diversi siti e ha contribuito alla formazione di oltre un centinaio di studenti laureati in archeologia e architettura. Dall'inizio della guerra sono i palestinesi che intervengono per salvare i siti e le collezioni archeologiche minacciati o in grave pericolo e che un domani documenteranno gli effetti del conflitto sul loro patrimonio.

Il progetto Intiqal è sostenuto dal Consolato Generale di Francia a Gerusalemme, dal British Council, dall'UNESCO, dalla Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine e dall'Agence Française de Développement. Al progetto collaborano anche altri partner istituzionali come il Louvre e l'Institut National du Patrimoine.


Dalla crisi umanitaria alla guerra, la creazione di una nuova archeologia

Sulla base di immagini satellitari aggiornate al 17 febbraio 2025 l'UNESCO ha osservato che dall'inizio della guerra nell'ottobre 2023 nella Striscia di Gaza ci sono stati danni a settantasei siti di interesse culturale. Considerate le minacce che gravano su questo patrimonio, l'UNESCO aveva fatto ricorso alla procedura d'urgenza prevista dalla Convenzione sul patrimonio mondiale. Il 26 luglio 2024 il Monastero di Sant'Ilarione è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale in pericolo. Oltre a questo complesso riconosciuto per il suo valore universale, sono oggi censiti dall'UNESCO circa 345 siti, edifici storici e resti di antiche città, ripartiti tra la città di Gaza, Khan Yunis, Dayr el-Balah, Rafah, Beit Hanoun, otto campi profughi e numerosi villaggi.


Agire in tempo di guerra: documentare, spostare, stabilizzare, salvare

Dall'inizio della guerra operatori palestinesi stanno lavorando per documentare, difendere e salvare i beni culturali minacciati nella Striscia di Gaza. Queste iniziative possono essere portate avanti grazie al sostegno di attori locali e internazionali. La Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine, attiva a Gaza dal 2020, sostiene fin dall'inizio del conflitto progetti di emergenza che hanno permesso di mettere al sicuro collezioni museali o private, di documentare e stabilizzare siti e monumenti e di formare professionisti palestinesi per gli interventi di salvataggio.

Queste operazioni, avviate nel momento in cui più intensi erano i bombardamenti, sono andate sviluppandosi durante la fragile tregua. Adesso gli operatori si trovano ad affrontare nuove sfide. Valutare l'impatto del conflitto sul patrimonio e attuarne il salvataggio e la conservazione nella situazione umanitaria e materiale prevalente a Gaza solleva sfide senza precedenti: la gestione delle macerie in zone dove due terzi degli edifici sono distrutti e le infrastrutture essenziali sono scomparse; la messa in sicurezza dell'accesso ai siti vicini alle zone di combattimento sminando aree in cui quasi il 30% delle bombe e degli esplosivi è rimasto sepolto e inesploso saranno sfide colossali e fondamentali per il futuro di Gaza, per la conservazione del suo patrimonio e della sua storia.

I progetti sostenuti dalla Alliance Internationale pour la Protection du Patrimoine a Gaza vengono portati avanti dal Museo Palestinese, dall'organizzazione Riwaq, da Première Urgence Internationale, dal Center far Cultural Heritage Préservation, dalla Mayasem Association for Arts and Culture, dal Centro Iwan e dal Museo di Rafah, in collaborazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestinese.



Antico porto di Anthedon

Scoperto nel 1995 entro la città di Gaza, vicino al campo profughi di Shatteh.
Cittadella neoassira dell'inizio dell'ottavo secolo a.C. e poi città greca nel sesto secolo.
Sito gravemente danneggiato dai bombardamenti. Estensione dei danni ancora da valutare.
Anthedon è il nome greco di una città costiera vicina alla collocazione della Gaza antica. Il sito ha conosciuto il succedersi di diverse civiltà: neoassira, babilonesek persiana, greca e romana, prima di essere improvvisamente abbandonato attorno al 300 d.C. Prima della guerra del 2023 Il sito presentava le rovine di un bastione romano, un muro di mattoni crudi lungo sessantacinque metri, dei quartieri artigiani romani e una serie di ville ellenistiche. Nell'area sono stati scoperti anche pavimenti a mosaico, magazzini, un cimitero romano e strutture fortificate.



Complesso funerario di Mukheitim

Scoperto nel 1996 a Jabalya.
Dalla seconda metà del quinto secolo fino all'ottavo.
Il sito si trova in una zona di combattimento; la struttura che proteggeva i ritrovamenti è crollata in seguito alla distruzione dell'ospedale adiacente lasciando i resti senza protezione.
Tre corpi di fabbrica contigui per circa seciento metri quadri complessivi. Una chiesa bizantina a tre navate, una cappella delle offerte e un complesso battesimale costituito da quattro ambienti. Al centro un fonte cruciforme. Il sito è rilevante per le sue diciassette iscrizioni in greco e i cinquecentocinquanta metri quadrati di mosaici di ispirazione agreste che raffigurano molti personaggi e molti animali.



Monastero di Sant'Ilarione a Nussayrat

Scoperto agli inizi degli anni Novanta sul tell Umm al-'Amr a Nussayrat e indagato dal 1997.
Dal quarto al settimo secolo.
Il 26 luglio del 2024 il sito è entrato a far parte del patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO ed è nella lista dei siti minacciati.
Fondato da Ilarione, quello di Nussayrat è uno dei complessi monastici noti più antichi e più importanti del Medio Oriente. Gli ottomilatrecento metri quadri del sito sono suddivisi in un complesso ecclesiastico di quattomilaseicentocinquanta metri quadri con al centro un santuario, e in una foresteria dotata di bagni, per altri tremilaseicento metri quadri circa. Tra gli ambienti ecclesiastici si trovano una chiesa, una cripta, un atrio, dei battisteri, una cappella, le celle, il refettorio e altri locali di servizio.



Villa-museo di Jawdat Khoudary

Gaza città, quartiere di Sheikh Radwan.
Dopo l'inizio della guerra nell'ottobre 2023 l'edificio e il suo giardino sono stati occupati dall'esercito dello stato sionista che li usa come centro di comando. I giardini sono stati interamente spianati per farne un parcheggio per mezzi blindati. Più di quattromila reperti, tra i quali un colonnato bizantino con relativi capitelli sono al momento dispersi o gravemente danneggiati.
A partire dal 1996, per contrastare la vendita e il trafugamento di reperti archeologici da Gaza, Jawdat Khoudary aveva iniziato a raccoglierne fino metterne insieme oltre quattromila. Nel 2006 ne ha inviati oltre duecento in prestito a Ginevra, a sostegno della realizzazione di un grande museo archeologico a Gaza. Con l'arrivo al potere di Hamas il progetto è stato abbandonato e non ci sono più state le condizioni perché i reperti prestati potessero rientrare in sicurezza, sia a causa del blocco imposto dallo stato sionista sia delle guerre che si sono susseguite nella enclave.



Tall al Sakan

Scoperto per caso nel 1998.
Età del bronzo antica, verso il 3400-3000 a.C.
Sito molto danneggiato nel 2017 con la costruzione di un complesso immobiliare. Lavori interrrotti per le pressioni del Ministero del Turismo e delle Antichità dell'Autorità Palestinese e di professionisti del settore archeologico. Nel novembre 2023 si sono avuti altri gravi danni in seguito all'invasione sionista. A tutt'oggi non si hanno notizie sulle condizioni del sito.
Situato a cinque chilometri da Gaza città, rappresenta uno dei primi aggolmerati fortificati noti della regione e uno dei primi insediamenti amministrativi egiziani della zona sudoccidentale della Palestina. Il tell -finito ricoperto da una duna- presenta i resti di un abitato occupato da popolazioni prima egiziane, poi cananee e quindi abbandonato.




05 giugno 2025

Casaggì Firenze. Non per scelta ma per destino



Terra e Appartenenza, Discendenza e Popolo.
Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori, dicono.

Alfonsos, babis, badini, badolla, blatte, breshkagji, broccoli, broscari, cabibi, carcamanos, cifarielli, dagos, digici, digók, espaguetis, garlics, ginos, greaseballs, guidos, guineas, itaka, italiaantje, italianots, italiohn, italiot, katzener, katzelmacher, lianta de gnole, macaroni, maiaramina, makaronarji, makaroniarz, mão de vaca, marinielli, minghiaweisch, mozzarellaniggers, paštari, pepinos, pigne, pizzagang, pizzaman, pizzavreter, pepperoni, polpettos, ritals, scafuri, schinkebròtli, sentas, shitalians, spaghettivreter, spaghettis, spaghettifresser, tanos, tschinggali, tulios, vallish, verräter, wops, zabari.


03 giugno 2025

Alastair Crooke - In una tranquilla mattinata pechinese, il dollaro perde la corona



Traduzione da Strategic Culture, 2 giugno 2025.

Credo che per comprendere la rivoluzione di Trump dobbiamo partire dall'idea che sono le sconfitte a portare alle rivoluzioni.
L'esperienza in corso negli Stati Uniti, anche se non sappiamo esattamente quali ne saranno gli esiti, è una rivoluzione. È una rivoluzione in senso stretto? È una controrivoluzione?
Così ha detto lo storico e filosofo francese Emmanuel Todd nel corso della conferenza tenuta ad aprile a Mosca e intitolata Dalla Russia con amore.
Questa [rivoluzione di Trump] è, a mio avviso, legata a una sconfitta. Diverse persone mi hanno riferito di conversazioni tra membri dell'amministrazione Trump, e quello che colpisce è il fatto che sono consapevoli della sconfitta. Persone come il vicepresidente J.D. Vance e molte altre hanno capito che gli USA hanno perso questa guerra.
Questa consapevolezza della sconfitta, tuttavia, contrasta nettamente con la sorprendente mancanza di consapevolezza degli europei. O meglio, con il loro rifiuto della sconfitta.
Per gli Stati Uniti si tratta fondamentalmente di una sconfitta economica. La politica delle sanzioni ha dimostrato che il potere finanziario dell'Occidente non è onnipotente. Agli statunitensi è stata ricordata la fragilità della loro industria militare. Al Pentagono sanno bene che uno dei limiti alla loro libertà di azione è rappresentato dalla capacità limitata del complesso militare-industriale degli USA". "Che l'AmeriKKKa sia nel mezzo di un serio rivolgimento rivoluzionario, paragonabile alla fine dell'URSS, è una cosa di cui sono in pochi ad avere consapevolezza; sono i nostri preconcetti politici e intellettuali, il più delle volte, a impedirci di vedere la realtà e di interiorizzarne l'importanza.
Todd, sia detto a suo merito, ammette senza indugi questa difficoltà:
Devo ammettere che quando il sistema sovietico è crollato davvero non ero in grado di prevedere la portata dello sconvolgimento e il livello delle sofferenze che questo avrebbe causato alla Russia. La mia esperienza mi ha insegnato una cosa importante: il crollo di un sistema è tanto mentale quanto economico... Non capivo che il comunismo non era solo un'organizzazione economica, ma anche un sistema di credenze, una quasi religione, che strutturava la vita sociale sovietica e russa. Lo sconvolgimento delle credenze avrebbe portato a un disordine psicologico la cui portata andava ben oltre il disordine economico. Oggi in Occidente stiamo arrivando a una situazione dello stesso genere.
Lo sconvolgimento psicologico causato dalla "sconfitta" può spiegare (ma non giustificare) la "strana" incapacità dell'Occidente di comprendere gli eventi mondiali, la dissociazione quasi patologica dal mondo reale che esso manifesta nelle sue parole e nelle sue iniziative, la sua cecità -ad esempio- nei confronti dell'esperienza storica russa e della lunga storia che sta dietro la ribellione sciita in Iran. Eppure, anche se la situazione politica si deteriora... non c'è alcun segno che l'Occidente stia diventando più realista ed è molto probabile che continuerà a vivere nella realtà alternativa che si è costruito fino a quando non ne sarà cacciato bruscamente.
Yanis Varoufakis ha sottolineato che la concreta prospettiva che gli USA subissero una sconfitta economica è stata chiaramente indicata da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, quando ha affermato che ciò che tiene insieme l'intero sistema globalizzato è stato il massiccio flusso di capitali dall'estero –pari a oltre due miliardi di dollari ogni giorno lavorativo– che ha sostenuto l'agiato stile di vita e la bassa inflazione degli USA.
Oggi, con gli Stati Uniti che si trovano in un'epoca di deficit strutturali insostenibili, Trump si è concentrato sul cuore finanziario del Paese: il mercato dei titoli del Tesoro che è la linfa vitale dell'AmeriKKKa, e il mercato azionario che è il suo portafoglio. Entrambi sono fragili. E qualsiasi pressione esterna potrebbe innescare una reazione a catena.
"In breve, gli USA non hanno più fiducia nel proprio baluardo finanziario. E la Cina non sta più giocando secondo le vecchie regole. Non si tratta solo di una guerra commerciale, ma di una guerra per il futuro della finanza globale", afferma Varoufakis. Ecco perché Trump minaccia di dichiarare guerra a chiunque cerchi di soppiantare o aggirare il monopolio del dollaro statunitense.
I "dazi reciproci" di Trump non hanno mai avuto lo scopo di equilibrare i traffici commerciali. Si tratta piuttosto di un tentativo di ristrutturare gli impegni verso i creditori. "È quello che si fa in caso di fallimento", osserva ironicamente un commentatore. La richiesta di maggiori contributi da parte degli Stati membri della NATO sono proprio un modo per esigere entrate dai creditori, come lo è stato il viaggio di Trump nel Golfo.
L'obiettivo della Nuova Guerra Fredda è innanzitutto quello di soffocare l'ascesa della Cina. Questo obiettivo rappresenta di fatto un terreno comune tra tutte le fazioni dell'establishment: proteggere il sistema del dollaro dal collasso.
L'idea che gli Stati Uniti possano tornare a rivestire l'antica posizione di centro manifatturiero di rilevanza mondiale è in gran parte una narrazione diversiva creata per scopi interni. Nel 1950, la forza lavoro statunitense impegnata nel settore rappresentava il 33,7% dell'economia nazionale, una cifra che oggi è scesa a meno dell'8,4%. Per tornare indietro ci vorrebbe almeno una generazione.
Quindi, consenso sulla Cina a parte, la classe dirigente è divisa: da un lato JD Vance e il team economico di Stephen Miran e Russel Vought, più preoccupati dal rischio che l'eccessiva espansione degli Stati Uniti possa minare la supremazia del dollaro; dall'altro i falchi che sostengono il rafforzamento dell'egemonia del dollaro per mezzo di esplicite dimostrazioni di forza militare.
La ristrutturazione degli impegni verso i creditori spiega anche la fretta di Trump di concludere un "accordo" con la Russia, che potrebbe portare rapide opportunità commerciali e flussi di capitale positivi (e garanzie collaterali) sul conto capitale degli Stati Uniti. Un accordo con l'Iran potrebbe persino portare all'apoteosi del dominio energetico degli Stati Uniti, con nuovi afflussi di entrate che rafforzerebbero la fiducia nel dollaro.
In breve, l'agenda di Trump non contempla una strategia di lungo termine. Essa contempla invece un convogliamento a breve termine della domanda aggregata di dollari come unica valuta richiesta, anche se chi si serve del dollaro non vuole acquistare nulla dal Paese che lo produce.
Il difetto fondamentale è che il rozzo do ut des di Trump sta distruggendo la sua credibilità come attore geopolitico serio e, di conseguenza, sta costringendo gli altri a proteggersi dal dollaro.
In breve, il crollo di credibilità causato dal disprezzo di Trump per la lettura e per i briefing dell'intelligence, nonché dalla sua dipendenza dall'ultima persona che gli ha sussurrato all'orecchio, porta a continui cambiamenti di rotta e a tutti quanti gli altri fa venire voglia di allontanarsi il più possibile dalla imprevedibile Trumplandia.
Emmanuel Todd avverte che la reazione più tipica al crollo del sistema di credenze e dell'atteggiamento che ha animato il paradigma economico "è l'ansia, piuttosto che uno stato di libertà e benessere. Le credenze che hanno accompagnato il trionfalismo occidentale stanno crollando. Ma come in ogni processo rivoluzionario, non sappiamo ancora quale nuova credenza sia la più importante, quale credenza uscirà vittoriosa da questo sfaldarsi".
Sebbene le rivoluzioni siano generalmente distruttive, il loro obiettivo è quello di sfruttare le energie sufficienti per sradicare le istituzioni troppo rigide per adeguarsi alla richiesta di cambiamento che è stata il primo motore della rivoluzione stessa.
In questo contesto, la ricerca di una nuova guerra fredda contro la Cina verte proprio sull'ansia degli Stati Uniti (come sostiene Todd), e in modo particolare sul timore che la costruzione da parte della Cina di una "super autostrada" digitale per il denaro si riveli molto più avanzata della sgangherata carrareccia che è la strada del dollaro statunitense.
Oggi quella super autostrada potrebbe non essere molto trafficata. Questo è vero adesso. Ma già sono iniziati i passaggi dalla vecchia strada alla super autostrada cinese, come Varoufakis fa notare ai cinesi.
Lo establishment statunitense considera la super autostrada cinese un pericolo "chiaro e concreto" alla propria egemonia. L'ansia non riguarda tanto la proprietà intellettuale cinese o il "furto di proprietà intellettuale". È il timore che gli Stati Uniti non riescano a stare al passo con i nuovi ecosistemi finanziari costruiti dalla Cina o con la sofisticatezza dello yuan digitale.
Questa ansia è aggravata, non da ultimo, dal fatto che i signori della Fintech della Silicon Valley sono ai ferri corti con le grandi banche di compensazione di Wall Street (che vogliono preservare i loro sistemi antiquati). La Cina ha un vantaggio in questo senso, poiché il suo settore finanziario e il suo settore tecnologico sono fusi in un unico insieme.
I motivi di tanto timore sono chiari: se la Cina dovesse avere successo, gli Stati Uniti perderebbero l'arma miracolosa del loro dominio monetario.
"Ed ecco la rivoluzione: niente fuochi d'artificio, niente titoli sui giornali occidentali. Solo, in una tranquilla mattinata pechinese il dollaro perde la corona. Le tubature finanziarie del mondo hanno appena subito un cambio di tracciato, e adesso percorrono la [super autostrada] cinese.
Per la prima volta in assoluto il CIPS (Cross-Border Interbank Payment System) cinese ha superato lo SWIFT in termini di volume di transazioni giornaliere. Un banner rosso è apparso sulla sede della Bank of China alle 1:30 del mattino del 16 aprile 2025.
Il CIPS [come riferisce Zerohedge] ha elaborato l'incredibile cifra di 12,8 trilioni di yuan in un solo giorno, pari a circa 1,76 trilioni di dollari USA. Se confermato, tale volume supera il sistema SWIFT, dominato dal dollaro, in termini di volume giornaliero di transazioni transfrontaliere.

21 maggio 2025

Alastair Crooke - La transizione che sta portando a un nuovo ordine mondiale è per lo più incomprensibile per l'Occidente

Negli Stati Uniti, a dire la verità, che ci sia bisogno di cambiare il quadro generale è una cosa di cui hanno preso atto appena adesso.
La leadership europea e coloro che hanno tratto ogni vantaggio dalla finanziarizzazione adesso si lamentano con alterigia della "tempesta" scatenata da Trump sul mondo, e ridicolizzano i fondamenti delle sue iniziative economiche come se fossero qualcosa di astruso e di completamente fuori dalla realtà.
Il che è assolutamente falso.
Come sottolinea l'economista greco Yanis Varoufakis, di come stessero realmente le cose in Occidente e di come fosse necessario un cambiamento generale aveva già parlato con chiarezza l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker addirittura nel 2005.
La dura realtà del paradigma economico liberale globalizzato era evidente già allora:
Ciò che tiene insieme il sistema globalizzato è un massiccio e crescente flusso di capitali dall'estero, che supera i 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo e continua a crescere. Questo non ci provoca alcuna sensazione di tensione. Come nazione, non siamo consapevoli del fatto che stiamo prendendo denaro in prestito, né del fatto che stiamo mendicando. Non offriamo nemmeno tassi di interesse attraenti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori una protezione contro il rischio che il dollaro scenda.
Per noi è tutto molto comodo. Riempiamo i nostri negozi e i nostri garage con merci provenienti dall'estero, e questa concorrenza è servita da forte calmiere per i prezzi del mercato interno. Questo ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante i nostro risparmi diminuiscano e la crescita sia rapida.
Tutto questo ha fatto comodo anche ai nostri partner commerciali e a chi fornisce capitali. Alcuni, come la Cina [e l'Europa, in particolare la Germania], sono diventati pesantemente dipendenti dall'espansione del nostro mercato interno. E le banche centrali dei paesi emergenti si sono dimostrate per lo più disposte a tenere sempre più dollari. E il dollaro dopotutto è la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale che esista al mondo.
Il problema è che questo stato di cose apparentemente comodo non può andare avanti all'infinito.
Appunto. E Trump sta facendo saltare in aria il sistema del commercio per ricominciare da zero. Quei liberali occidentali che oggi digrignano i denti e lamentano l'avvento della "economia trumpiana" semplicemente negano che Trump abbia per lo meno preso atto dell'aspetto più importante che questo stato di cose ha per gli Stati Uniti, vale a dire che esso non può andare avanti all'infinito che che i tempi del consumismo basato sul debito ormai sono finiti già da un pezzo.
È bene ricordare che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale in vita loro non hanno conosciuto altro che il confortevole mondo descritto da Volcker. Non c'è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare a qualcosa che esuli dal loro orticello. Questo non vuol dire, ovviamente, che la soluzione di Trump funzionerà. È possibile che la peculiare forma di riequilibrio strutturale promossa da Trump possa in concreto peggiorare le cose.
Ciononostante, una qualche forma di cambiamento sostanziale non è più rimandabile. Altrimenti la scelta sarà tra un lento scivolare verso la bancarotta e un precipitarvi a rotta di collo.
Il sistema globalizzato e basato sul dollaro ha funzionato bene all'inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità produttiva del dopoguerra in un'Europa dollarizzata da pochissimo, che consumava il surplus. Anche l'Europa ha goduto dei vantaggi di un contesto macroeconomico favorevole; i suoi modelli basati sulle esportazioni e garantiti dal mercato statunitense.
La crisi oggi in atto è tuttavia inziata quando il paradigma si è invertito, quando gli Stati Uniti sono entrati in un'era di deficit strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire una piramide rovesciata di "attività" derivate, fondate su un minuscolo perno di attività reali.
La crisi dovuta a questo squilibrio strutturale è una cosa già grave di per sé. Ma la crisi geostrategica occidentale va ben oltre la semplice contraddizione strutturale tra i flussi di capitali che si riversano in entrata e un dollaro "forte" che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Essa è infatti strettamente legata al concomitante crollo delle ideologie di base che fanno da sostegno alla globalizzazione liberale.
È proprio questa profonda devozione occidentale all'ideologia -oltre alla bambagia di cui è stato generoso il sistema descritto da Volker- ad aver scatenato un tale fiume di rabbia e di scherno nei confronti dei piani di "riequilibrio" di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha qualcosa di positivo da dire a riguardo, ma nessuno nemmeno propone alcuna alternativa praticabile. La loro animosità nei confronti di Trump non fa che sottolineare il fatto che anche la teoria economica occidentale è andata in bancarotta.
Il che significa che a un livello più profondo la crisi geostrategica dell'Occidente implica il crollo di una ideologia archetipica e al tempo stesso quello di un assetto elitario sclerotizzato.
Per trent'anni Wall Street ha venduto castelli in aria in cui il debito non contava. Un'illusione che è appena andata in frantumi.
Qualcuno che capisce che il paradigma economico occidentale e il consumismo iperfinanziarizzato e basato sul debito hanno fatto il loro tempo, e che cambiare è inevitabile, effettivamente c'è. Ma l'Occidente ha investito così tanto nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti ne sono irretiti. La parola d'ordine è sempre la stessa, vale a dire che "non ci sono alternative".
Il fondamento ideologico del modello economico statunitense si trova innanzitutto nell'opera di Friedrich von Hayek intitolata Verso la schiavitù: qualsiasi intervento governativo nella gestione dell'economia sarebbe una violazione della "libertà" e sarebbe la stessa cosa che il socialismo. Il fondamento archetipico dell'ideologia sarebbe poi nato dall'unione del pensiero di von Hayeck con la Scuola Monetarista di Chicago rappresentata dalla persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto la versione statunitense di Verso la schiavitù. E che -ironicamente- sarebbe stata intitolata Capitalismo e libertà.
L'economista Philip Pilkington scrive che l'illusione di Hayek per cui mercati e "libertà" sarebbero la stessa cosa, in sintonia con la corrente libertaria profondamente radicata negli Stati Uniti, "si è diffusa al punto da saturare completamente il discorso pubblico":
Tra persone ben educate e in pubblico, si può certamente essere di sinistra o di destra, ma si sarà sempre neoliberisti per un verso o per l'altro; altrimenti, semplicemente, non ci sarà consentito partecipare al dibattito. Ogni paese può avere le sue peculiarità... ma in linea di massima seguono tutti un modello simile: il neoliberismo basato sul debito è innanzitutto una teoria su come riorganizzare lo Stato per garantire il successo dei mercati e del loro attore principale, che sono le moderne società per azioni.
Ecco quindi il punto fondamentale: la crisi della globalizzazione liberale non può comportare il mero riequilibrio di una struttura fallimentare. Lo squilibrio è comunque inevitabile quando tutte le economie perseguono allo stesso modo, tutte insieme e tutte contemporaneamente, il modello anglosassone "aperto" basato sulle esportazioni.
No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico per cui quando gli individui (e gli oligarchi) perseguono ciascuno il massimo del proprio utile individuale -grazie alla magia della mano invisibile del mercato- i loro sforzi combinati finiscono nel loro insieme per andare a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).
In effetti l'ideologia a cui l'Occidente si aggrappa con tanta tenacia, secondo cui la motivazione umana è utilitaristica e solo utilitaristica, è un'illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell'utilità esclude a priori la presa in considerazione del mondo reale, cosa che rende la teoria non verificabile.
Il fatto paradossale è che Trump è comunque il primo di tutti i massimizzatori utilitaristi! È quindi il profeta di un ritorno all'era dei magnati statunitensi del XIX secolo, o è il sostenitore di un ripensamento ancora più radicale?
Insomma, l'Occidente non può passare a una struttura economica diversa -come potrebbe essere un modello "chiuso" a circolazione interna- proprio perché dal punto di vista ideologico ha investito oltremodo nei fondamenti filosofici di quella attuale, tanto che metterli in discussione sembra essere la stessa cosa che tradire i valori europei e i valori libertari che negli Stati Uniti hanno un valore fondante. E che derivano dalla Rivoluzione francese.
Il fatto è che oggi come oggi in Occidente il concetto dei "valori" ateniesi che esso rivendica è screditato quanto la sua teoria economica ha perso credito tanto nel resto del mondo, quanto presso una parte significativa di una popolazione irritata e disillusa.
In buona sostanza, non si vada a cercare presso le élite europee una visione coerente del nuovo ordine mondiale che si sta affermando. Esse sono in piena crisi e sono troppo occupate a cercare di salvarsi dal crollo della sfera occidentale e dalla temuta punizione da parte dei loro elettori.
La nuova era segna anche la fine della vecchia politica: le dicotomie dei "rossi contro i blu" e della "destra contro sinistra" stanno perdendo di significato. E si stanno già formando nuove identità politiche e nuove aggregazioni, anche se la loro definizione è ancora incerta.

16 maggio 2025

Spaghetti, pallone e campi di concentramento



Verso la fine degli anni Ottanta la propaganda politica illustrava e vantava i successi dell'economia. Lo stato che occupa la penisola italiana era (dicevano) la sesta o quinta potenza economica mondiale. L'agenda "occidentalista" era patrimonio di qualche vecchio ringhioso e un ricco milanese che di lì a qualche anno avrebbe fondato un partito per non finire in galera faceva ancora il ricco milanese che poteva evitare di finire in galera senza andare a decidere il destino di tantissime persone che non desideravano affatto il suo interessamento.
Nel 2025 lo stato che occupa la penisola italiana è sparito da certe classifiche -o meglio, vi figura eccome ma è bene non farle vedere troppo in giro- e il ricco milanese che aveva fondato un partito per non finire in galera è morto. Prima di morire però ha passato una trentina d'anni a dare visibilità, cariche e agibilità politica ai migliori alfieri dell'agenda "occidentalista" oggi comunemente condivisa. Alfieri che aveva personalmente tirato fuori dalle fogne. I risultati sono stati eccezionali: dopo tanti anni e tantissimo logorante e assiduo impegno la propaganda politica non illustra e non vanta i successi dell'economia. Illustra e vanta i campi di concentramento.
Uno di questi campi di concentramento si trova nella Repubblica d'Albania ed è stato argomento di molti telegazzettini. Anita Likmeta è nata a Durrës e potrebbe essere tacciata di filocomunismo solo dai gazzettieri più ligi e dai più repellenti tra i buoni a nulla che usano le "reti sociali" per sporcare ovunque. In "L'aquila nera, una storia rimossa del fascismo in Albania" si esprime sull'argomento in termini che difficilmente troveranno posto in televisione.
Oggi l'Albania non combatte più per l'Europa. Oggi l'Albania è la sua discarica. Nell'estate del 2024, il governo italiano ha reso ufficiale ciò che per anni si è cercato di mascherare dietro la retorica della cooperazione internazionale: il primo sbarco di migranti sulle coste albanesi non è stato un atto di accoglienza, ma di espulsione. Il 16 ottobre, sedici uomini provenienti dal Bangladesh e dall'Egitto, intercettati nel Mediterraneo, sono stati trasferiti a Shëngjin sotto sorveglianza militare. Non più vite in fuga, non più persone in cerca di futuro, ma un problema logistico da dislocare altrove, lontano dagli occhi, dal cuore e dalla coscienza collettiva. L'accordo prevede fino a 36.000 trasferimenti all'anno: un flusso continuo di esseri umani trattati come scarti, destinati a essere ammassati in centri di detenzione oltre il confine europeo, in un limbo amministrativo senza volto né voce. L'Albania di oggi è l'angolo dimenticato dove si scaricano gli affari sporchi, gli accordi mai dichiarati, i progetti senza futuro. La terra che nessuno difende e tutti vogliono controllare. Siamo rimasti una frontiera, ma non una che si protegge: una che si sfrutta, che si vende al miglior offerente.