Traduzione da Strategic Culture, 29 ottobre 2025.
Il tentativo di Trump di mettere in piedi una scena delle sue a Budapest -ovvero un vertice Putin-Trump sul modello del precedente "accordo" in Alaska- è stato cancellato dagli stessi USA in un clima teso. Lunedi 27 ottobre era stato Putin a telefonare, una chiamata lunga due ore e mezza. Secondo quanto riferito, Putin avrebbe duramente biasimato l'impreparazione degli USA tanto sulla situazione politica in generale quanto riguardo all'Ucraina, ma soprattutto per quanto riguarda le esigenze di sicurezza avanzate dalla Russia in generale.
Insomma, la proposta che gli USA avevano annunciato per bocca di Trump ha chiamato in causa ancora una volta la dottrina di Keith Kellogg (l'inviato degli Stati Uniti in Ucraina) sul congelamento del conflitto sulla linea del fronte, intesa come prerequisito per qualsiasi negoziato.
Trump sapeva benissimo da prima che si discutesse dei colloqui di Budapest che Mosca aveva respinto più volte questa prospettiva. Perché è tornato su questa richiesta, allora? In ogni caso la telefonata preliminare concordata tra il ministro degli Esteri Sergey Lavrov e il segretario di Stato Marco Rubio non ha portato a nulla e la messinscena di Budapest è stata annullata. Lavrov ha ribadito che un cessate il fuoco come vorrebbe Kellogg non avrebbe funzionato.
Pare che l'amministrazione statunitense si aspettasse che la minaccia di fornire all'Ucraina missili Tomahawk, condita da una retorica sempre più dura sui raid in profondità in territorio russo, fosse sufficiente a convincere Putin ad accettare l'immediato congelamento del fronte, rinviando sine die ogni trattativa sui dettagli e sulla soluzione complessiva.
Secondo quanto riferito, gli analisti militari russi hanno fatto sapere a Putin che le minacce di Trump erano un bluff: anche se fossero stati forniti dei Tomahawk, il loro numero sarebbe stato esiguo e non avrebbe inflitto alcuna sconfitta tattica o strategica alla Russia.
Da come sono andate le cose è chiaro che Trump non ha in concreto capito come stiano le cose con la Russia, nonostante gli ripetano da due anni che i russi non avrebbero acconsentito a congelare il conflitto. L'altra possiblità è che i detentori di interessi economici poco chiari abbiano esercitato forti pressioni su Trump, dicendogli che a un vero processo di pace con la Russia non si doveva arrivare. Così Trump ha annullato tutta la messinscena, bofonchiando a favore dei media che un vertice a Budapest sarebbe stato "una perdita di tempo" e lasciando che la sua amministrazione -nella persona del segretario al Tesoro degli Stati Uniti Bessent- annunciasse nuove sanzioni contro le più grandi compagnie petrolifere russe, accompagnate da un appello agli alleati perché si unissero anch'essi.
Occore ricordare lo stato di cose in Russia: Putin non vorrebbe ripetere l'errore del 1918, quando la Russia firmò la umiliante pace di Brest-Litovsk sotto pressione tedesca. Putin ripete spesso che fu proprio la pressione subita per "fermarsi" nel 1918 a costare alla Russia il suo status di grande potenza e a farle perdere intere generazioni. Lo sforzo colossale di milioni di persone fu scambiato con una pace umiliante: ne seguirono il caos e il crollo.
L'obiettivo di Vladimir Putin resta quello di raggiungere un nuovo assetto per la sicurezza in Europa, anche se i capricci di Trump e i suoi invisibili legacci mettono puntualmente in discussione le nuove richieste di Putin o i vertici. Putin è furibondo perché molte "linee rosse" russe sono state superate; l'escalation è in arrivo, forse a un livello senza precedenti.
Gli europei hanno assistito imperterriti dalla cancellazione del vertice di Budapest e stanno promuovendo un nuovo (e vecchio) piano in dodici punti che escluderebbe concessioni territoriali e prevederebbe un cessate il fuoco lungo le attuali linee del fronte. Le élite occidentali stanno mettendo le cose in chiaro: la Russia deve essere sconfitta. L'escalation è già iniziata: l'Unione Europea ha annunciato nuove sanzioni dell'UE sulle importazioni di gas russo e sono stati lanciati attacchi notturni contro raffinerie di petrolio in Ungheria e Romania, Stati membri della NATO. Ancora una volta, il messaggio ai Paesi dell'Unione Europea è chiaro: nessun passo indietro. Il primo ministro polacco Donald Tusk ha sottolineato il punto: "Tutti gli interessi russi nella UE sono obiettivi legittimi". L'UE è chiaramente disposta a fare di tutto per dichiarare guerra da sola e imporre a tutti di adeguarsi.
Dato che Kiev ritiene inconcepibile rinunciare a qualsiasi parte del proprio territorio, mentre la Russia mantiene la preponderanza della forza militare, è difficile immaginare come possa essere possibile un negoziato in questo momento. Probabilmente la questione ucraina sarà risolta con una prova di forza. L'affanno con cui la UE sta cercando di conquistare Trump alla propria causa riflette probabilmente il suo timore per il susseguirsi sempre più frequente di vittorie militari russe.
Tutte queste schermaglie con la Russia proprioe mentre Bessent si sta recando a Kuala Lumpur per contestare la risposta della Cina all'improvviso ampliamento dei controlli sull'esportazione di prodotti tecnologici alla volta della cina, dopo che si erano tenuti invece dei negoziati commerciali apparentemente promettenti. La Cina ha risposto varando analoghi controlli sull'esportazione di terre rare, come ritorsione.
Trump è esploso infuriato, minacciando la Cina di dazi al 100%. Il mercato azionario statunitense, seguendo un copione ben collaudato, dapprincipio è crollato. Trump però ha rapidamente pubblicato un comunicato ottimistico proprio in tempo per l'apertura del mercato dei futures e gli acquirenti si sono precipitati, con le azioni che hanno raggiunto livelli record. Per gli statunitensi tutto a posto.
Tuttavia lunedì scorso il linguaggio elogiativo e positivo di Trump nei confronti della Cina ha raggiunto inaspettatamente un livello mai visto. "Penso che al termine dei nostri incontri in Corea del Sud [con Xi], la Cina e io ci ritroveremo con un accordo commerciale davvero equo e davvero ottimo", ha detto Trump. Ha espresso la speranza che la Cina riprenda gli acquisti di soia statunitense dopo che le importazioni da Pechino sono crollate a causa della impasse sui dazi. Ha anche esortato la Cina a "farla finita con il fentanil", accusando le autorità cinesi di non riuscire a frenare le esportazioni dell'oppioide sintetico e dei suoi precursori chimici.
E proprio per assicurarsi che il mercato azionario raggiungesse un nuovo record, Trump ha aggiunto che non crede che "la Cina voglia invadere Taiwan".
Tuttavia, ora che Mosca ha proprio chiuso alla sceneggiata di Budapest che era nelle intenzioni degli Stati Uniti, la domanda è: sicuri che Xi sarà dell'idea che continuare a tener dietro ai capricci di Trump vale le inevitabili seccature? L'incontro in Corea del Sud non è ancora confermato, e le seccature sembrano destinate a crescere. [L'incontro si è effettivamente tenuto il 30 ottobre 2025, n.d.t.]
Forse, tuttavia, il passaggio di Trump a un linguaggio eccessivamente positivo nei confronti della Cina riflette qualcos'altro. Forse un qualche sviluppo scioccante per Trump e per gli Stati Uniti?
Era stato da molte parti messo in conto che il nuovo primo ministro giapponese Sanae Takaishi avrebbe pronunciato un discorso di insediamento all'insegna di una veemente retorica anti-cinese, del rafforzamento dell'alleanza con gli Stati Uniti, del potenziamento militare giapponese e del contenimento di Pechino.
Invece è successo il contrario.
Nel suo primo discorso alla Nazione, la Takaishi ha affermato che non sosterrà la guerra commerciale degli Stati Uniti contro la Cina e che non diventerà uno strumento della pressione economica statunitense. Ha criticato apertamente la politica tariffaria di Trump, definendola "l'errore più pericoloso del XXI secolo".
La Reuters ha riferito che un simile atteggiamento è apparso del tutto inatteso a Washington, dove ha rappresentato un grosso shock. È emerso che fin dal suo insediamento il nuovo Primo Ministro ha tenuto una serie di incontri con le più grandi aziende giapponesi, che gli avevano fatto avere un messaggio univoco, urgente e anche semplice: l'economia giapponese non sarebbe sopravvissuta a un'altra guerra commerciale.
Una settimana dopo l'insediamento il Primo Ministro ha così espresso apertamente il proprio sostegno alla Cina, attuando la più grande virata in politica estera dalla seconda guerra mondiale in poi. La Cina non era più il nemico.
È iniziata una nuova era in Asia. Trump è rimasto di sasso e ha accusato la Takaishi di aver tradito i principi del libero scambio. La CNN ha definito l'accaduto "una pugnalata alle spalle" da parte di un alleato stretto.
Ma il peggio doveva ancora arrivare: i sondaggi hanno mostrato che il Primo Ministro godeva di un sostegno pari all 60% per la sua posizione sull'indipendenza economica giapponese e oltre il 50% degli interpellati sosteneva anche la sua posizione sulla Cina.
Bloomberg ha lanciato un'altra bomba. La Takaishi ha avviato, in collaborazione con la Cina e la Corea del Sud, una ricalibrazione strategica dell'architettura monetaria asiatica in risposta al crescente ricorso al potere economico come leva da parte di Washington. Cina, Giappone e Corea del Sud stanno costruendo un'area monetaria comune. Lo swap trilaterale proposto consentirebbe ai tre paesi di regolare gli scambi commerciali, estendere la liquidità e gestire le crisi attraverso le proprie valute, secondo modalità completamente indipendenti dall'Occidente.
Se questi progetti dovessero arrivare a compimento minerebbero il primato del dollaro, dalla cui sfera sottrarrebbero il 15% del commercio globale; probabilmente vedrebbero crollare l'intero equilibrio di potere filooccidentale esistente in Asia.
Ma c'è di più: la visione della Takaishi sarebbe compatibile con lo sviluppo del sistema di compensazione digitale SCO/BRICS in tutta l'Asia centrale. Tuttavia, Trump vuole smantellare i BRICS, insieme a qualsiasi altra minaccia all'egemonia del dollaro statunitense. C'è da aspettarsi una escalation, con ulteriori minacce di dazi.
Se la Cina non dovesse rispondere con sufficiente entusiasmo alle incalzanti blandizie di Trump, è probabile che la situazione sia destinata ad aggravarsi di pari passo con l'escalation nei confronti della Russia, del Venezuela e forse dell'Iran. Trump ha già minacciato il Giappone di sanzioni, anche se questo atteggiamento sembra soltanto avvicinare ulteriormente il Giappone alla Cina, che è oggi la sede prevalente degli interessi commerciali giapponesi. Ci aspetta un periodo di instabilità, probabilmente caratterizzato da violente oscillazioni dei mercati finanziari.
Russia e Cina rimangono strettamente allineate sulle questioni geopolitiche ed entrambe potrebbero avere altri motivi per continuare a dialogare con Trump, se non altro per evitare di innescare inavvertitamente una crisi finanziaria in Occidente -di cui sarebbero ritenute responsabili- o per allentare la tensione militare. Sembra che in questo contesto le tattiche di leva di Trump stiano sortendo l'effetto contrario, mentre la crisi del debito e del credito negli Stati Uniti si fa sempre più acuta.
L'aria potrebbe arroventarsi nel corso di uno qualunque di questi vertici geopolitici. Ucraina e Russia, Venezuela, Iran, Siria, Libano, Pakistan e India e, naturalmente, Gaza e Cisgiordania, sono solo alcuni dei punti caldi. La situazione è delicata; Trump è Trump, al di là di ogni analisi strategica; gli europei mancano di una vera leadership e al loro interno c'è la psicosi della guerra.
Come recita un vecchio detto viennese, "A Vienna la situazione è disperata, ma non seria". Non c'è da aspettarsi che qualcuno in Occidente reagisca con un minimo di compostezza.

 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
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