traduzione da Strategic Culture, 13 gennaio 2025.
Come un antico orologio fracassato -con i suoi elaborati ingranaggi, le ruote dentate e le altre parti interne che fuoriescono dall'involucro- così è il Medio Oriente, con i suoi meccanismi esposti e rotti allo stesso modo. Tutta la regione è in gioco: Siria, Libano, Qatar, Giordania, Egitto, Iran.
L'originale piano strategico di Obama per arginare e bilanciare le energie potenzialmente violente dell'Asia occidentale venne passato all'entourage di Biden alla fine del mandato di Obama, e di Obama portava ancora con chiarezza lo imprimatur, fino a quando non è collassato dopo il 7 ottobre 2023.
Netanyahu ne ha deliberatamente distrutto i meccanismi: con iniziative di sfrenata distruzione Netanyahu ha fatto piazza pulita di uno status quo che vedeva come una camicia di forza con cui gli statunitensi avrebbero impedito alla Grande Israele di arrivare alla propria "Grande Vittoria". Netanyahu mal tollerava i vincoli degli USA anche se, mandando in pezzi tutto quanto, invece di liberare la Grande Israele potrebbe aver scatenato dinamiche che si riveleranno molto più minacciose, per esempio in Siria.
La pietra angolare dell'equilibrio regionale di Obama era descritta in una lettera segreta inviata alla Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran nel 2014 e in cui -come riporta il Wall Street Journal, Obama proponeva a Khamenei di agire congiuntamente in Iraq e Siria contro lo Stato Islamico che vi controllava territori. Questa iniziativa congiunta, tuttavia, era subordinata al raggiungimento da parte dell'Iran di un accordo nucleare con gli Stati Uniti.
La lettera riconosceva esplicitamente gli interessi dell'Iran in Siria; per alleviare le preoccupazioni dell'Iran sul futuro del suo stretto alleato, il Presidente al Assad, la lettera affermava che le operazioni militari degli Stati Uniti in Siria non erano rivolte contro il Presidente Assad o contro le sue forze di sicurezza.
L'intesa tra Obama e Khamanei, va notato, si estendeva implicitamente a Hezbollah, che si era unito all'Iran per combattere lo Stato Islamico in Siria:
Tra gli altri messaggi trasmessi a Teheran, secondo i funzionari statunitensi dell'epoca, c'era anche che le operazioni militari degli Stati Uniti in Iraq e Siria non miravano a indebolire Tehran o i suoi alleati.
Ovviamente, gli impegni presi da Obama nei confronti dell'Iran erano menzogne: Obama aveva già firmato nel 2012 (o anche prima) un mandato presidenziale segreto (cioè un ordine) perché i servizi statunitensi fornissero appoggio ai ribelli siriani nel loro tentativo di spodestare il Presidente Assad.
La lettera del 2014 stabiliva che se l'Iran avesse stretto un accordo sul nucleare i suoi interessi nella regione sarebbero stati rispettati e che avrebbero potuto estendersi anche al Libano, nel contesto di un'amministrazione congiunta internazionale (come esemplificato dalla mediazione dell'inviato statunitense Hochstein sui confini marittimi tra Libano e Siria).
Lo scopo di questo progetto molto complesso era una delle ossessioni fondanti di Obama: arrivare all'instaurazione di un proto-stato palestinese, sia pure sotto la forma di protettorato amministrato e sostenuto dalla comunità internazionale piuttosto che sotto la forma di Stato nazionale sovrano.
Perché Obama ha insistito su un assetto che era un tale anatema per la destra dello stato sionista e per i sostenitori ameriKKKani dello stato sionista? Sembra che (a ragione) diffidasse di Netanyahu e conoscesse bene la determinazione di quest'ultimo a impedire che uno Stato palestinese si concretizzasse.
Con questa iniziativa all'insegna dell'equilibrio tra potenze, Obama aveva cercato indirettamente di legare l'Iran e i suoi alleati al concetto di "Stato" palestinese come egli lo intendeva. Il tutto aveva lo scopo di porre sotto crescente pressione lo stato sionista, affinché acconsentisse alla sua instaurazione. Senza una intensa pressione sullo stato sionista era chiaro a Obama che uno Stato palestinese sarebbe rimasto lettera morta.
Netanyahu aveva già messo anche troppo in chiaro già negli anni Settanta che la sua intenzione era quella di assistere al completo svuotamento della presenza palestinese in Cisgiordania. La cosa era evidente nell'intervista che Netanyahu rilasciò allo scrittore Max Hastings, che stava scrivendo un libro su suo fratello.
Netanyahu non amava Obama, e ne diffidava tanto quanto Obama diffidava di lui.
Dopo il 7 ottobre 2023, con l'anello di fuoco rappresentato da sette fronti di guerra che si stringeva attorno allo stato sionista, Netanyahu ha deciso di rompere i vincoli della camicia di forza. E ci è riuscito.
Tuttavia, non è certo che la struttura finemente elaborata da Obama avrebbe mai funzionato. In ogni caso Netanyahu -sfidando apertamente la Casa Bianca- ha deciso di sbarazzarsi delle remore di Obama e di Biden e di distruggere l'intero progetto di Obama incentrato sull'Iran.
La logica della serie di devastazioni che lo stato sionista ha operato nella regione ha fatto pensare a Netanyahu, così come a molti nello stato sionista e tra gli statunitensi che fanno i sionisti di complemento, che l'Iran sia adesso "incredibilmente vulnerabile" -per dirla con il generale Jack Keane- a causa della perdita della Siria, che era lo snodo centrale dell'Asse della Resistenza.
Axios scrive:
Visti i recenti progressi dell'Iran in campo nucleare, il presidente eletto Trump dovrà prendere una decisione cruciale nei primi mesi del mandato: neutralizzare la minaccia [nucleare iraniana] attraverso negoziati e pressioni [crescenti], oppure ordinare un attacco militare. Diversi consiglieri di Trump ammettono in privato che il programma iraniano è ormai così avanzato che questa strategia [iniziale] potrebbe non essere più efficace. Ciò rende l'opzione militare una possibilità reale”. Il ministro sionista per gli Affari strategici Ron Dermer ha incontrato Trump a Mar-a-Lago in novembre. Dermer ha pensato che ci fossero grandi probabilità che Trump appoggiasse un attacco militare sionista contro le strutture nucleari iraniane -cosa che nello stato sionista stanno prendendo in seria considerazione- o che addirittura ordinasse un attacco statunitense. Nelle ultime settimane, alcuni consiglieri del Presidente Biden hanno sostenuto in privato la necessità di colpire i siti nucleari iraniani prima che Trump entri in carica, dato che l'Iran e i suoi alleati sono così gravemente indeboliti.
Solo che tutto questo potrebbe rivelarsi un pio desiderio. Il 7 gennaio 2025 Trump ha ripubblicato un video sulla piattaforma Truth Social in cui, con la partecipazione del professore della Columbia University Jeffrey Sachs, si parla degli sforzi con cui la CIA si sarebbe segretamente impegnata per destabilizzare il governo siriano e rovesciare Assad, dell'influenza di Netanyahu, del ruolo della lobby sionista nello spingere gli Stati Uniti verso la guerra in Iraq e dei continui tentativi di Netanyahu di coinvolgere gli stessi Stati Uniti in un potenziale conflitto con l'Iran. Sachs ha spiegato che le guerre in Iraq e in Siria sono state fabbricate da Netanyahu e che non hanno nulla a che fare con la "democrazia".
"Netanyahu sta ancora cercando di farci combattere contro l'Iran. È un autentico figlio di puttana, perché ci ha fatto cacciare in guerre senza fine", ha detto il professor Sachs nell'intervista ripubblicata.
Tuttavia, come osserva Barak Ravid, "nell'ambiente di Trump c'è anche chi pensa che cercherà di arrivare a un accordo prima di prendere in considerazione un attacco". A novembre, a chi gli chiedeva se c'era la possibilità di una guerra con l'Iran, Trump ha risposto: "Tutto può succedere, è una situazione molto volatile".
Cosa significa questo per l'Iran?
Essenzialmente, l'Iran ha due opzioni: In primo luogo, segnalare agli Stati Uniti la propria disponibilità a stipulare una sorta di nuovo accordo nucleare con l'esecutivo di Trump -un segnale che il suo Ministro degli Esteri ha peraltro già inviato- e poi attendere un successivo incontro Trump-Putin per rifondare una architettura di sicurezza globale postbellica e che sia coronato da successo. A partire da questo accordo globale a grandi linee, Tehran potrebbe sperare di negoziare un proprio accordo separato con gli Stati Uniti.
Naturalmente, questo sarebbe l'esito migliore.
Tuttavia, l'ambasciatore Chas Freeman ha affermato che, sebbene una pace equilibrata tra Stati Uniti e Russia sia (teoricamente) possibile, sarà "molto difficile" arrivarci. Ray McGovern ha aggiunto più volte che Trump è "abbastanza intelligente" da sapere di non avere grandi carte da giocare con la Russia nello spazio eurasiatico e che, da bravo realista, ha altri e più grandi obiettivi.
È per questo che Trump e Musk stanno rimestando in modo tanto rimarcato nel calderone della geopolitica: Canada, Groenlandia e Panama come parte degli Stati Uniti? Saranno anche chiacchiere da Trump, ma la Groenlandia e Canada insieme potrebbero cambiare l'equilibrio con la Russia: forse che Trump è intenzionato ad esercitare maggiore pressione sull'Artico, per minacciare i confini settentrionali della Russia? Dall'Artico, per dei missili diretti contro di essa, il volo sarebbe più breve.
Dall'altra parte, Musk ha scatenato un fuoco di fila in Europa con i suoi tweet e il suo invito a un livestream con Alice Weidel dell'AfD. La Germania è il cuore della NATO e dell'UE. Se la Germania si allontanasse dalla prospettiva di una guerra con la Russia andandosi a unire ad altri Paesi europei che hanno già cambiato orientamento, Trump potrebbe plausibilmente porre fine al considerevole onere economico che grava sull'economia statunitense rappresentato dal dispiegamento di truppe nell'UE. Come dice il colonnello Doug Macgregor, quante volte dobbiamo dire alla gente che "gli ameriKKKani non vivono in Europa: noi viviamo nell'emisfero occidentale!".
Musk ha effettivamente lanciato una bomba in favore della libertà di parola contro l'egemonia mediatica europea che controlla strettamente il discorso in tutto il continente e che obbedisce al deep state anglosassone.
Questo porterà all'accordo con la Russia e con la massa continentale asiatica che Trump sta cercando? Staremo a vedere.
L'opzione alternativa per l'Iran è più rischiosa, e dipende dalla valutazione dei servizi segreti iraniani sulla probabilità che lo stato sionista tenti un attacco preventivo: l'Iran ha cioè l'opzione di un'ulteriore "Operazione Vera Promessa" in cui però lo scopo non è più quello di fare deterrenza, come nelle versioni precedenti, ma -come spiega Shivan Mahendrarajah- quello di mettere in chiaro che una vittoria sionista è improbabile e dimostrare che un conflitto avrebbe costi inaccettabili, smontando così l'illusoria narrazione di uno stato sionista destinato immancabilmente a trionfare.
Nel 2003, come ha notato Mahendrarajah, l'Iran aveva proposto agli Stati Uniti un "grande accordo". L'amministrazione Bush lo rifiutò. Sarebbe possibile richiamarlo in vita non attraverso colloqui sul nucleare, in cui adesso l'Iran ha la mano più debole, ma con l'uso calibrato della forza. Sarebbe una scommessa audace e di vasta portata.
(Questa è la seconda parte dello scritto “Può Trump salvare l'America da se stessa?”. La prima parte può essere letta qui).
Nessun commento:
Posta un commento