mercoledì 29 gennaio 2025

Alastair Crooke - Cosa intende fare Trump, vuole arrivare ai ferri corti con la Russia oppure no?



Traduazione da Strategic Culture, 28 gennaio 2025.

La retorica di Trump sulla Russia che avrebbe perso un milione di uomini nel conflitto ucraino non è soltanto assurda (il numero reale non raggiunge nemmeno i centomila): il fatto che abbia tirato fuori roba del genere evidenzia come la consueta giustificazione per cui Trump sarebbe solo malaccortamente disinformato sembri sempre meno plausibile.
Dopo aver parlato di un milione di morti russi, Trump asserisce che Putin sta distruggendo la Russia perché non si risolve ad accordarsi. Aggiungendo (apparentemente a margine) che Putin potrebbe aver già deciso di "non arrivare ad un accordo".
Trump poi nota, in un modo che denoterebbe una curiosa mancanza di interesse, che i negoziati dipendono interamente dal fatto che Putin ne sia interessato o meno. Scrive anche che l'economia russa è alla rovina e, soprattutto, afferma che prenderebbe in considerazione sanzioni o dazi doganali contro la Russia se Putin non accettasse di trattare. In un successivo post su Truth Social, Trump scrive: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Si tratta, siamo chiari, di una narrazione di tutt'altro ordine. Non sono più le parole del suo inviato Kellogg o di un altro membro della sua amministrazione; sono le parole di Trump stesso, in qualità di Presidente. Trump risponde alla domanda di un giornalista: "Sanzionerebbe la Russia" se Putin non venisse al tavolo dei negoziati? E la risposta è "Sembra probabile".
Potremmo chiederci quale sia la strategia di Trump. Sembra piuttosto che sia lui, a prepararsi all'eventualità che i negoziati vadano male. Del fatto che Putin ha ripetutamente dichiarato di essere interessato e disponibile a trattare deve essere a conoscenza per forza. Su questo non ci sono dubbi.
Tuttavia Trump smentisce i toni con cui ci si rivolge ai perdenti tornando a quanto pare sul discorso: "Voglio dire... è un meccanismo grande, quindi alla fine le cose si sistemeranno...".
Qui sembra dire che il "grande meccanismo" russo alla fine vincerà. La Russia sarà un vincitore, e non un perdente.
Forse Trump sta pensando semplicemente di lasciare che le dinamiche della prova di forza in atto sul piano militare arrivino al loro esito. Se il suo pensiero è questo non può esplicitarlo con chiarezza, perché le élite europee sprofonderebbero ancora di più in una spirale patologica.
Se poi Trump fosse seriamente intenzionato ad arrivare a negoziati costruttivi con Putin, non è certo un bell'esordio quello di mostrarsi profondamente irrispettoso nei confronti del popolo russo dando a intendere che i russi e il Presidente Putin altro non sarebbero che dei "perdenti" che hanno un disperato bisogno di trattare; la verità è che è stato Trump, in precedenza, a parlare di arrivare ad un accordo entro ventiquattro ore. La sua mancanza di rispetto non sarà apprezzata: non solo da Putin, ma anche dalla maggior parte dei russi.
Trattare i russi da perdenti non otterrà altro scopo che quello di irrigidire l'atteggiamento di quanti in Russia si oppongono a un compromesso sull'Ucraina.
Il livello della cosa è che la Russia, in ogni caso, rifiuta collettivamente l'idea di qualsiasi compromesso che "si riduca a congelare il conflitto lungo la linea di ingaggio, perché questo darebbe tempo per riarmare i resti dell'esercito ucraino per poi iniziare un nuovo ciclo di ostilità. A quel punto dovremmo combattere di nuovo, ma questa volta da posizioni politiche meno vantaggiose", ha osservato il professor Sergei Karaganov. Inoltre, "l'amministrazione Trump non ha motivo di negoziare con noi alle condizioni che noi [la Russia] abbiamo stabilito. La guerra è economicamente vantaggiosa per gli Stati Uniti... e [forse] anche per togliere alla Russia il suo ruolo di potente sostegno strategico del principale concorrente degli USA, che è la Cina".
Il professor Dmitri Trenin prevede allo stesso modo che
Il tentativo di Trump di arrivare in Ucraina a un cessate il fuoco lungo le linee del fronte fallirà. Il piano statunitense ignora le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e non tiene conto delle cause profonde del conflitto. Nel frattempo, le condizioni di Mosca rimarranno inaccettabili per Washington, poiché significherebbero di fatto la capitolazione di Kiev e la sconfitta strategica dell'Occidente. In risposta Trump imporrà ulteriori sanzioni a Mosca. Nonostante la forte retorica antirussa, gli aiuti statunitensi all'Ucraina diminuiranno e gran parte di quest'onere finirà spostato sui Paesi dell'Europa occidentale.
Allora perché considerare la Russia come uno spregevole perdente, a meno che questo non faccia parte della strategia di Trump per chiudere la questione ucraina? La costruzione di una narrazione in cui gli USA sono vincitori senza mezzi termini pare irrealizzabile; allora perché non invertirne i termini? A ostacolare il missione compiuta è solo l'atteggiamento da sconfitti della Russia.
Questo porta inevitabilmente a chiedersi quale sia precisamente il significato del ritorno alla Casa Bianca del "più famoso imputato penale d'AmeriKKKa" e della sua promessa di una "rivoluzione del buon senso".
"Non c'è dubbio che sia rivoluzionario", sostiene Matt Taibbi:
Trump ha galvanizzato il risentimento [che nasce dalla cattiva distribuzione del reddito], mettendo in piedi una versione politica della marcia di Sherman che ha lasciato in fiamme le istituzioni statunitensi. La grande stampa è morta. Il Partito Democratico è a rischio di scissione. Gli ambienti accademici stanno per buttar giù una dose da cavallo di pillole amare, e dopo gli ordini esecutivi firmati lunedì un sacco di responsabili dei programmi per la diversità, l'equità e l'inclusione dovranno imparare a scrivere codice" [cioè, si ritroveranno disoccupati].
 Sì, osserva Taibbi,
mi manda in bestia vedere una serqua da galera di amministratori delegati su cui ci sarebbe parecchio da ridire (in particolare Bezos, Pinchai e il ripugnante Cook) seduti di fronte a Trump, insieme ad altri pezzi grossi di Wall Street... tuttavia, se l'accordo è stato quello per cui il sostegno a Trump avrebbe loro restituito piattaforme che tornano a essere meri e ottusi strumenti di profitto, credo che rimpiangerò la banda che c'era prima. Lo Wall Street Journal è stato probabilmente il più vicino a catturare l'essenza di questa considerazione dell'evento con il titolo in prima pagina di ieri: "La nuova oligarchia è quella vecchia, ma se la passa molto meglio".
Per molti russi, tuttavia, l'impressione lasciata dal discorso in cui Trump li ha trattati da perdenti è che non cambierà nulla: l'idea di infliggere una qualche sconfitta strategica alla Russia è stata una pietra miliare della politica statunitense per così tanto tempo che ha finito per trascendere la linea politica dei partiti e viene perseguita in ogni caso, indipendentemente dall'amministrazione che occupa la Casa Bianca. Oggi avrebbe ripreso nuovo vigore: come avverte Nikolai Patrushev, Mosca si aspetta che Washington fomenti apposta i dissidi tra Russia e Cina.
Steve Bannon tuttavia, con il suo solito linguaggio forbito, spiega in qualche modo la stranezza di questo Trump rivoluzionario e della sua deludente "retorica buona per i perdenti".
Bannon avverte che l'Ucraina rischia di diventare "il Vietnam di Trump", se Trump non riuscirà a imprimere una netta svolta agli eventi e si lascerà risucchiare ancora di più dalla guerra. "È quello che è successo a Richard Nixon. Finì per impadronirsi delle operazioni e quella divenne la sua guerra, non quella di Lyndon Johnson", ha osservato Bannon.
Bannon "sostiene la necessità di porre fine agli importantissimi aiuti militari statunitensi a Kiev, ma teme che il suo vecchio capo cada nella trappola tesa da un'improbabile alleanza tra l'industria della difesa statunitense, gli europei e persino alcuni amici dello stesso Bannon, che secondo lui sarebbero adesso mal consigliati".
In una chiamata su Zoom con Alex Krainer Bannon ha trovato conferma alla premessa dei suoi ragionamenti. Trump e i suoi sarebbero passati all'offensiva fin dal primo giorno di mandato: "I giorni del tuono iniziano lunedì". Bannon non parlava però di un'offensiva di Trump contro i cinesi, gli iraniani o i russi. Trump e la sua squadra si stanno preparando ad affrontare loro.
Loro, nelle parole di Bannon, "sono le persone che controllano l'impero più potente del mondo; elezioni o non elezioni, democrazia o non democrazia, non rinunceranno spontaneamente ai loro privilegi e alle loro prerogative: si andrà allo scontro".
Sì, la guerra quella vera è quella sul piano interno, non quella contro la Russia, la Cina o l'Iran, che potrebbe magari diventare un diversivo rispetto allo scontro sostanziale.
Cercando un paragone, se l'obiettivo di Trump fosse davvero quello di arrivare a negoziare un compromesso sull'Ucraina, dobbiamo contrapporre alla sua retorica infarcita di supponenza quella del tentativo di John F. Kennedy, cinquantanove anni fa, di rompere il ciclo di antipatia reciproca che aveva congelato le relazioni tra Est e Ovest dopo il 1945. Colpito dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962, Kennedy voleva infrangere un paradigma sclerotizzato. Kennedy -come Trump- cercava di "porre fine alle guerre" e di essere ricordato dalla storia come un "costruttore di pace".
In un discorso alla American University di Washington il 10 giugno 1963, JFK i russi li elogiò. Parlò dei loro successi nelle scienze, nelle arti e nell'industria e rese omaggio ai loro sacrifici nella Seconda Guerra Mondiale, che era costata venticinque milioni di persone, un terzo del loro territorio e due terzi della loro economia.
Non fu un mero esercizio di retorica. Kennedy propose il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari, il primo degli accordi sul controllo degli armamenti degli anni Sessanta e Settanta. L'avvisaglia dell'avvio di un taglio netto -ispirato da Bannon- ci sarebbe anche, come nota Larry Johnson: "Il Pentagono avrebbe licenziato o sospeso tutto il personale direttamente responsabile della gestione dell'assistenza militare all'Ucraina. Tutti quanti dovranno affrontare un'indagine sull'uso dei fondi provenienti dal bilancio statunitense".
 Laura Cooper, vicesegretario del Pentagono per la Russia, l'Ucraina e l'Eurasia, ha già rassegnato le dimissioni segnando l'inizio di quello che alcuni vedono come una svolta strategica. Cooper era una figura chiave nella supervisione di aiuti militari all'Ucraina che assommavano a centoventisei miliardi di dollari. La sua dipartita, unita a quello che sembra essere un repulisti dello staff del Pentagono dedicato allo sforzo bellico di Kiev, mette in dubbio che l'Ucraina possa continuare a godere del flusso di armi e finanziamenti statunitensi che riceveva sotto Biden.
La ristrutturazione getta anche un'ombra sul gruppo di contatto per la difesa dell'Ucraina, che sotto Lloyd Austin era arrivato a coalizzare nell'appoggio a Kiev una cinquantina di Paesi.
 Gli Stati Uniti avrebbero ritirato tutte le richieste ai contraenti per la logistica che passa da Rzeszow, da Costanza e da Varna. Nelle basi NATO in Europa, tutte le spedizioni verso l'Ucraina sono state sospese e interrotte. Questo rientra nell'ordine esecutivo di Trump che blocca l'assistenza globale degli Stati Uniti per novanta giorni, in attesa di una verifica e di un'analisi costi-benefici.
Nel frattempo, Mosca e la Cina si stanno debitamente preparando alla prospettiva di un più intenso impegno diplomatico con l'attuale Presidente Trump. Xi e Putin hanno tenuto una videochiamata di novantacinque minuti poche ore dopo l'improvvisata conferenza stampa di Trump nello Studio Ovale. Xi ha fornito a Putin i dettagli della sua conversazione con Trump, che non era stata programmata per coincidere con l'insediamento di Trump ma era stata in origine decisa per dicembre.
Entrambi i leader sembrano inviare a Trump un messaggio condiviso: l'alleanza tra Cina e Russia non è provvisoria. I due Paesi sono uniti nella causa comune rappresentata dalla collaborazione nella tutela dei rispettivi interessi nazionali. Sono disposti a parlare con Trump e ad impegnarsi in negoziati seri. Tuttavia, rifiutano di farsi intimidire o minacciare.
Nikolai Patrushev, consigliere di Putin e membro del Consiglio di sicurezza russo, ha così ritratto il punto di vista russo su questa videochiamata tra i due leader: "Per l'amministrazione Biden, l'Ucraina era una priorità incondizionata. È chiaro che i rapporti fra tra Trump e Biden sono quelli tra due antagonisti. Pertanto, l'Ucraina non sarà tra le priorità di Trump. A lui interessa di più la Cina".
In particolare, Patrushev ha avvertito:
Penso che gli attriti fra Washington e Pechino si aggraveranno e che gli statunitensi li aggraveranno, anche di proposito. Per noi la Cina è stata e rimane il partner più importante, e alla Cina siamo legati da rapporti di cooperazione strategica privilegiata.
Per quanto riguarda la linea russa in relazione all'Ucraina, essa rimane invariata. Per noi è importante che l'Operazione Speciale assolva ai propri compiti, che sono quelli noti e che rimangono invariati. Credo che i negoziati sull'Ucraina debbano essere condotti tra Russia e Stati Uniti senza la partecipazione di altri Paesi occidentali.
Voglio sottolineare ancora una volta che il popolo ucraino ci è ancora vicino, fraterno e legato da vincoli secolari con la Russia per quanto i propagandisti di Kiev ossessionati dalla "ucrainità" sostengano il contrario. Quello che accade in Ucraina ci riguarda. È particolarmente inquietante [quindi] che la violenta imposizione dell'ideologia neonazista e una russofobia rabbiosa distruggano le città un tempo prospere dell'Ucraina tra cui Charkiv, Odessa, Nikolaev e Dnipropetrovsk.
È possibile che nel prossimo anno l'Ucraina cessi del tutto di esistere.

Nessun commento:

Posta un commento