16 ottobre 2024

Alastair Crooke - Lo stato sionista fa quello che fa perché il piano è sempre stato questo



Traduzione da Strategic Culture, 14 ottobre 2024. 


 Con l'assassinio di Sayed Hassan Nasrallah e di un certo numero di alti dirigenti di Hezbollah a Beirut -espressamente eseguito senza che il Pentagono ne fosse preventivamente informato- Netanyahu ha dato il via a un implicito allargamento della guerra dello stato sionista ai tentacoli della "piovra", per dirla con il termine dello stato sionista: Hezbollah in Libano, Ansarullah nello Yemen, il governo siriano e le forze irachene di Hash'ad A-Shaabi.
Dopo l'assassinio di Ismail Haniyeh e di parte dei quadri dirigenti di Hezbollah (tra cui un alto generale iraniano), l'Iran -demonizzato come la "testa della piovra"- è entrato nel conflitto con una raffica di missili che hanno preso di mira campi di aviazione, basi militari e il quartier generale del Mossad ma che, intenzionalmente, non hanno causato morti.
Lo stato sionista ha così reso gli Stati Uniti (e la maggior parte dei paesi europei) sodali o complici di una guerra che adesso ha preso definitivamente il carattere di una iniziativa neoimperialista contro l'intero non-Occidente. I palestinesi -icone globali dell'aspirazione alla liberazione nazionale- avrebbero dovuto essere spazzati via dalla Palestina storica.
Inoltre, il bombardamento di Beirut e la risposta dell'Iran hanno posto direttamente in conflitto lo stato sionista, sostenuto e materialmente appoggiato dagli Stati Uniti, con l'Iran sostenuto e materialmente appoggiato dalla Russia. Lo stato sionista, avverte il corrispondente militare di Yedioth Ahronoth, "deve fare un colpo di testa e attaccare l'Iran - perché colpire l'Iran 'metterà fine alla guerra in corso'".
Chiaramente, questo segna la fine dei giochi raffinati, della escalation graduale un passo calcolato dopo l'altro, come se si giocasse a scacchi con un avversario che calcola allo stesso modo. Entrambi i contendenti adesso minacciano di prendere a martellate la scacchiera. "Basta con gli scacchi".
Sembra che anche Mosca abbia capito che non c'è modo di giocare a scacchi quando ci si ritrova con un avversario che non è un uomo adulto ma uno spericolato sociopatico pronto a spazzare via la scacchiera e a giocasi il tutto per tutto con una mossa che gli porti una "grande" quanto effimera vittoria.
Secondo una analisi spassionata, o lo stato sionista sta sfidando il proprio stesso esistere sovraesponendosi su sette fronti, oppure spera di invocare proprio una minaccia esistenziale per provocare l'intervento degli Stati Uniti. Come per Zelensky in Ucraina, non ci sono speranze, a meno che gli Stati Uniti non intervengano in modo decisivo con la loro potenza di fuoco. Sia Netanyahu che Zelensky ne sono convinti.
Insomma, in Asia occidentale gli Stati Uniti stanno ora sostenendo nientemeno che una guerra contro l'umanità in se stessa e contro il mondo intero. È chiaro che una cosa simile non può essere nell'interesse dell'AmeriKKKa. I suoi pantagruelici potenti si rendono conto delle possibili conseguenze di un atto di tale macroscopica immoralità contro il mondo? Netanyahu si sta giocando la casa -e con lui adesso anche l'Occidente- sull'esito della sua scommessa alla roulette.
Qualcuno nelle stanze del potere non ha la sensazione che gli Stati Uniti stiano scommettendo sul cavallo sbagliato? Sembra che qualche voce dissenziente e propensa a esprimere riserve ci sia, negli alti quadri delle forze armate statunitensi. Come in ogni gioco di guerra nel Vicino Oriente in cui gli Stati Uniti vengono sconfitti, di queste voci se ne sentono poche. La classe politica nel suo complesso grida vendetta contro l'Iran.
Il perché ci siano così poche voci contrarie a Washington è un tema che è stato affrontato e illustrato dal professor Michael Hudson. Hudson spiega che le cose non sono così semplici e che il contesto non è quello. La risposta del professor Hudson è parafrasata qui di seguito da due lunghi commenti (qui e qui):
Tutto quello che sta succedendo oggi è stato pianificato cinquant'anni fa, nel 1974 e nel 1973. Io ho lavorato allo Hudson Institute per circa cinque anni, dal 1972 al '76. Ho partecipato alle riunioni con Uzi Arad, che è diventato il principale consigliere militare di Netanyahu dopo aver diretto il Mossad. Ho lavorato a stretto contatto con Uzi... Voglio descrivere il graduale prendere forma di tutta la strategia che ha portato agli Stati Uniti di oggi. E gli Stati Uniti di oggi non vogliono la pace, ma vogliono che lo stato sionista prenda il controllo di tutto il Vicino Oriente. Una volta accompagnai il mio mentore Terrence McCarthy allo Hudson Institute per parlare della visione del mondo nell'Islam. Ogni due frasi Uzi mi interrompeva: "No, no, dobbiamo ucciderli tutti". E anche altre persone appartenenti all'Istituto parlavano continuamente di uccidere gli arabi.
Quella di servirsi dello stato sionista come di un ariete a livello regionale per raggiungere gli obiettivi (imperialisti) degli Stati Uniti fu una strategia elaborata soprattutto negli anni '60, dal senatore Henry "Scoop" Jackson. Jackson era soprannominato "il senatore della Boeing" per il suo sostegno al complesso militare-industriale. E il complesso militare-industriale favorì la sua ascesa alla presidenza del Comitato nazionale democratico. Fu anche candidato per due volte, senza successo, alla nomination democratica per le elezioni presidenziali nel 1972 e nel 1976.
Era sostenuto anche da Herman Kahn, che divenne il principale stratega dell'egemonia statunitense all'interno dello Hudson Institute.
All'inizio lo stato sionista non aveva un ruolo importante nel piano statunitense; Jackson (di origine norvegese) odiava semplicemente il comunismo, odiava i russi e aveva un vasto seguito all'interno del Partito Democratico. Solo che mentre si metteva mano a tutto il piano strategico, Herman Kahn conseguì il fondamentale risultato di convincere i responsabili dell'edificazione dell'impero statunitense che la cosa essenziale da fare per mettere le mani sul Medio Oriente era affidarsi allo stato sionista come ad una sorta di legione straniera.
Secondo Hudson questo accordo a distanza ha permesso agli Stati Uniti di recitare la parte del poliziotto buono e allo stato sionista di svolgere il suo ruolo di spietato mandatario. Ecco perché il Dipartimento di Stato ha affidato la gestione della diplomazia statunitense a sionisti militanti: per separare e distinguere il comportamento dello stato sionista dalla pretesa correttezza dell'imperialismo statunitense.
Herman Kahn espose al professor Hudson quali fossero i punti forti di Jackson agli occhi dei sionisti: non era ebreo, era un paladino del complesso militare e un forte oppositore al sistema di contenimento della spesa militare in vigore. Jackson si oppose al contenimento della spesa militare: "la guerra la dobbiamo fare". Provvide quindi a infarcire il Dipartimento di Stato e altre agenzie statunitensi di neoconservatori (Paul Wolfowitz, Richard Pearl, Douglas Fife tra gli altri) che fin dall'inizio introdussero la prospettiva di una guerra mondiale permanente. A farsi carico della linea politica da indicare al governo sono stati innanzitutto, al Senato, alcuni ex assistenti di Jackson.
L'analisi di Herman era un'analisi di sistema: prima si definisce l'obiettivo generale, poi si lavora all'indietro. "Bene, ecco la politica odierna dello stato sionista. Innanzitutto si riducono strategicamente i palestinesi a frazioni isolate. Quelle in cui è stata trasformata Gaza negli ultimi quindici anni".
"L'obiettivo è sempre stato quello di ucciderli. O per lo meno di rendergli la vita così sgradevole da costringerli a emigrare. Questo è il metodo più facile. Perché mai qualcuno dovrebbe voler rimanere a Gaza quando gli succedono cose come quelle che stanno succedendo in questo periodo? Meglio andarsene. E se non se ne andranno dovrete ucciderli. Con le bombe se possibile, perché in questo modo si riducono al minimo le perdite", osserva Hudson.
"Nessuno sembra aver notato che ciò che sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania si basa sul concetto di frazionamento strategico come fu applicato durante la guerra in Vietnam: l'idea era quella di dividere tutto il Vietnam in piccoli lotti, presidiati in ogni punto di passaggio. Quello che lo stato sionista sta facendo ai palestinesi a Gaza e nei territori è stato sperimentato ai tempi del Vietnam".
Osservandoli bene, scrive Hudson, si notava che questi neoconservatori
praticavano una sorta di religione. Ne ho incontrati molti allo Hudson Institute; alcuni di loro, o i loro padri, erano trotzkisti. E si sono impadroniti dell'idea di rivoluzione permanente di Trotsky. L'idea è quella di una rivoluzione in divenire: mentre Trotsky sosteneva che una volta iniziata nella Russia sovietica essa si sarebbe diffusa in tutto il mondo, i neoconservatori l'hanno adattata affermando "No, la Rivoluzione permanente è l'impero statunitense: si espanderà e si espanderà ancora fino a investire tutto il mondo, e niente potrà fermarci".
I neoconservatori di Scoop Jackson fin dal primo momento avrebbero puntato ad arrivare a fare esattamente quello che stanno facendo oggi. Sostenere la potenza dello stato sionista facendone un combattente per procura nella conquista dei Paesi produttori di petrolio, destinati a diventare parte di una Grande Israele.
L'obiettivo degli Stati Uniti è sempre stato il petrolio. Questo voleva dire che gli Stati Uniti dovevano mettere in sicurezza il Vicino Oriente: a questo proposito potevano contare su due eserciti per procura. Due eserciti che fino a oggi hanno combattuto insieme come alleati. Da una parte i jihadisti di Al-Qaeda, dall'altra le forze armate sioniste che li controllano.
Adesso stiamo assistendo al diffondersi del curioso convincimento per cui quello che lo stato sionista sta facendo sarebbe "tutta colpa di Netanyahu, tutta colpa della destra". Invece fin dal principio sono stati protetti e sostenuti con enormi quantità di denaro, con tutte le bombe di cui avevano bisogno, con tutti gli armamenti di cui avevano bisogno, con tutti i finanziamenti di cui avevano bisogno... Tutte cose che sono state loro elargite proprio per fare esattamente quello che stanno facendo oggi. No, non ci può essere una soluzione basata su due Stati perché Netanyahu ha detto: "Odiamo quelli di Gaza, odiamo i palestinesi, odiamo gli arabi: non ci può essere una soluzione basata su due Stati. Ecco la mia mappa”, ha detto alle Nazioni Unite, "questo è lo stato sionista: non c'è nessuno che non sia ebreo nello stato sionista. Siamo uno Stato ebraico". Lo ha detto esplicitamente.
Hudson arriva poi al fondo di tutta la questione. Ci indica la chiave di volta fondamentale, che è la difficoltà, per gli Stati Uniti, di cambiare approccio. La guerra del Vietnam aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di introdurre una leva obbligatoria da parte delle democrazie occidentali non era praticabile. Lyndon Johnson nel 1968 dovette ritirarsi dalla corsa alle elezioni proprio perché ovunque andasse ci sarebbero state manifestazioni contro la guerra.
Il fondamento ineludibile che Hudson sottolinea è la consapevolezza che le democrazie occidentali non possono più mettere in campo un esercito nazionale ricorrendo alla coscrizione. Il risultato è che lo stato sionista -i cui effettivi sono limitati- può sganciare bombe su Gaza e Hezbollah e cercare di distruggere questo o quello, ma né l'esercito dello stato sionista né un qualsiasi altro esercito sarebbero davvero in grado di invadere e di cercare di conquistare un Paese -o anche solo il Libano meridionale- come fecero gli eserciti nella seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti avevano imparato la lezione ed è per questo che sono ricorsi a qualcuno che combattesse per procura.
"Insomma, quali possibilità sono rimaste agli Stati Uniti? Beh, penso che ci sia solo una forma di guerra non atomica che le democrazie possono permettersi, ed è il terrorismo [cioè il perseguimento di un enorme numero di vittime collaterali]. E credo che si debba guardare all'Ucraina e allo stato sionista come all'alternativa terroristica alla guerra atomica", suggerisce Hudson.
Il punto cruciale, osserva Hudson, è questo: cosa può comportare il fatto che lo stato sionista continui a insistere nel voler coinvolgere gli Stati Uniti nella sua guerra regionale? Gli Stati Uniti non invieranno truppe. Non possono farlo. I quadri dirigenti hanno provato con il terrorismo e il risultato del terrorismo è stato quello di far schierare contro l'Occidente tutto il resto del mondo, inorridito dalle stragi gratuite e dalla violazione di tutte le leggi di guerra. Hudson conclude: "Tracce di ragionevolezza nel Congresso non ne intravedo. Penso che il Dipartimento di Stato, l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale e la leadership del Partito Democratico, dato il suo radicamento nel complesso militare-industriale, siano assolutamente coinvolti".
E quest'ultimo potrebbe dire: "Beh, chi vuole vivere in un mondo che non possiamo controllare? Chi vuole vivere in un mondo in cui gli altri Paesi sono indipendenti e hanno una loro politica? Chi vuole vivere in un mondo in cui non possiamo avocare a noi il loro surplus economico? Se non possiamo prendere tutto e dominare il mondo, beh, chi vuole vivere in un mondo fatto in quel modo?".
Questa è la mentalità con cui abbiamo a che fare; praticare un gioco raffinato non cambierà questo paradigma. Un fallimento invece sì.

12 ottobre 2024

Firenze, ottobre 2024. "...No, Francesco Grazzini. La Russia non è nostra nemica."



Nel 2024 qualcuno si è separato da del denaro e per motivi tutti suoi, di cui nulla ci interessa, ha mandato in giro per la penisola italiana delle "vele" pubblicitarie in cui figurano due mani che si stringono. Una ha i colori della bandiera della Federazione Russa, l'altra quelli della bandiera dello stato che occupa la penisola italiana.
La loro comparsa a Firenze non è piaciuta a Francesco Grazzini, un ben vestito limogé in consiglio comunale come vicario del considerevolmente impopolare Matteo Renzi.
Da oltre due anni le ostilità tra Federazione Russa e Ucraina sono diventate guerra aperta. Il democratismo rappresentativo di Firenze ha scopertamente appoggiato la causa ucraina con i toni che gli sono consueti e che ha mutuato dall'"occidentalismo" dei tempi della democrazia da esportazione. Insomma, eccepire alla condotta di Kiev e alle ragioni del suo esecutivo è cosa che porta come minimo a essere ascritti d'ufficio al ruolo dei nostalgici dei gulag.
In queste pagine ha radici consolidate la prassi di reagire a prese di posizione di questo genere assumendo briosamente l'atteggiamento opposto, in modo tanto più intransigente quanto più insistono gazzette e telegazzettini.
Su quale utopia democratica fosse l'Ucraina che si è ritrovata con i russi in casa esiste una letteratura piuttosto corposa. Che da sola non basterebbe per giustificare l'astio di chi si augura senza mezzi termini di vedere un certo numero di persone educate in giro per le strade di Lisbona. Per capire la poca ricettività alle istanze dei matteirenzi occorre considerare anche il fatto che a Firenze in molti ben vestiti autonominatisi custodi del democratismo le simpatie per la causa ucraina vanno spesso di pari passo con quelle per lo stato sionista. Si potrebbe supporre che l'offensiva di Hamas del 7 ottobre 2023 sia risultata intollerabile in certi ambienti perché ha lasciato con un palmo di naso i sistemi di sorveglianza più pubblicizzati del mondo, gettando una luce indesiderata sul "modello Tel Aviv" per la sicurezza urbana e sui suoi sostenitori.
O forse sarebbe meglio dire sui suoi rappresentanti.
In terzo luogo, occupare l'agenda con le nefandezze russe è utile a mettere in secondo piano la continua, metodica, incessante erosione degli spazi di agibilità pubblica e politica; la politica e le amministrazioni "occidentali" sono da anni arrivate al punto di non sapere letteralmente più cosa sanzionare e gli unici comportamenti scevri da sospetto sono quelli di consumo e neppure tutti. Difficile ostentare una qualche superiorità etica quando la pratica politica quotidiana si compendia di un "più mercato" e "più galera" privi di qualsiasi ritegno e sul cui conto non occorre certo dilungarsi.

08 ottobre 2024

Alastair Crooke - La slealtà verso Tehran


Traduzione da Strategic Culture, 7 ottobre 2024.

John Kerry ha detto con chiarezza la scorsa settimana al World Economic Forum come stanno le cose: "Per quanto riguarda la nostra facoltà di far sparire [la disinformazione] il nostro Primo Emendamento rappresenta un ostacolo importante".
Tradotto: governare è tutta questione di controllo della narrazione. Kerry formula in questo modo la soluzione che l'"Ordine internazionale" sarebbe intenzionato ad applicare al fenomeno sgradito di un populismo incontrollato e di un potenziale leader che parla con la voce del popolo; insomma, la "libertà di parola" è inaccettabile per le prescrizioni con cui concorda una inter-agenzia che altro non è che il distillato istituzionalizzato dell'"ordine internazionale".
Eric Weinstein chiama questa situazione l'indebolimento: Il primo emendamento, il genere, il merito, la sovranità, la privacy, l'etica, il giornalismo investigativo, i confini, la libertà... la Costituzione? Tutto da buttar via?
La narrazione della realtà di oggi sarebbe che il lancio da parte dell'Iran il 1 ottobre 2024 di duecento missili balistici -centoottantuno dei quali hanno raggiunto lo stato sionista- sarebbe stato arginato dai sistemi di difesa missilistica sionisti Iron Dome e Arrow, tant'è che l'attacco non ha fatto vittime. È stato "sconfitto e senza conseguenze", ha dichiarato Biden.
Will Schryver, ingegnere tecnico ed editorialista in materia di sicurezza, scrive: "Non capisco come chiunque abbia visto i numerosi video degli attacchi missilistici iraniani contro lo stato sionista non possa riconoscere che si è trattato di una dimostrazione sbalorditiva delle capacità iraniane. I missili balistici iraniani hanno bucato le difese aeree statunitensi e dello stato sionista e varie testate di elevata potenza sono andate a segno contro obiettivi militari dello stato sionista".
Effetto e concretezza stanno quindi nella capacità dimostrata, che è poi la capacità di identificare altri obiettivi, la capacità di fare anche di più. Si è trattato infatti di un esercizio dimostrativo dalla portata limitata, non di un attacco vero e proprio.
Il messaggio era questo, ed è stato fatto sparire.
Come mai l'amministrazione statunitense si rifiuta di guardare in faccia la realtà e di prendere atto di quello che è successo e preferisce invece chiedere al mondo intero -che i video dei missili che impattavano nello stato sionista li ha visti- di "andare avanti" come consigliano le autorità, fingendo che non ci fosse "nulla di importante da vedere"? Questa "faccenda" era solo un fastidio per la governance del sistema e per il consenso, proprio come Kerry ha accusato di esserlo la libertà di parola? Sembrerebbe di sì.
Il problema strutturale, scrive il saggista Aurelien, non è solo nel fatto che la classe dei professionisti occidentali si attiene a un'ideologia che è l'opposto di come la gente comune vive il mondo. Questo è certamente un aspetto. Ma il problema più grande risiede piuttosto in una concezione tecnocratica della politica, politica che non "riguarda" nulla. Non è affatto una politica vera e propria (come disse una volta Tony Blair), ma è un qualche cosa di nichilista e di privo di considerazioni morali.
Non avendo una vera e propria cultura, la classe dei professionisti dell'ordine mondiale occidentale considera la religione obsoleta, e considera la storia pericolosa, perché contiene elementi che possono essere usati in modo improprio dagli "estremisti".
La storia, preferisce quindi non conoscerla proprio.
Questo è quello che produce la miscela di autoattribuita superiorità, ma anche di profonda insicurezza, che caratterizza la leadership occidentale. Da una parte l'ignoranza, dall'altra la paura di eventi e idee che non rientrano nei confini del suo rigido Zeitgeist e che sono percepiti quasi invariabilmente come in postulato contrasto con i suoi interessi. E piuttosto che cercare di discutere e comprendere ciò che è al di fuori della sua portata, la leadership occidentale ricorre alla denigrazione e all'assassinio di chi se ne fa portatore per eliminare questa fastidiosa esperienza.
Deve essere chiaro a tutti che l'Iran rientra in tutte le categorie che più alimentano l'insicurezza occidentale. L'Iran è l'apice di tutto ciò che è inquietante: ha una cultura consolidata e un retaggio intellettuale che si pone in modo esplicitamente diverso -anche se non in contrasto- rispetto alla tradizione occidentale. Si tratta di caratteristiche che tuttavia condannano l'Iran a essere collocato -senza riflettere- tra gli elementi che contrastano con la gestione dell'"ordine internazionale"; non perché sia una minaccia, ma perché risulta disturbante per il quieto passaggio delle consegne.
Ha importanza, questo?
Sì, perché rende molto problematico all'Iran interagire efficacemente con l'allineamento ideologico all'"ordine internazionale".
L'Occidente si è impegnato e ha fatto pressioni perché l'Iran reagisse in maniera contenuta, la prima volta dopo che lo stato sionista ad aprile aveva assassinato un generale iraniano e alcuni suoi colleghi al consolato iraniano di Damasco.
E l'Iran si è adeguato. Il 13 aprile ha lanciato droni e missili verso lo stato sionista in modo tale da inviare un breve messaggio concordato, ovvero preallertato, in merito alle sue capacità. Senza arrivare a un vero e proprio scontro, come richiesto dall'Occidente.
Dopo l'assassinio da parte dello stato sionista di Ismail Haniyeh che era ospite di Teheran per partecipare all'insediamento del nuovo Presidente, i Paesi occidentali hanno nuovamente pregato l'Iran di astenersi da qualsiasi ritorsione militare contro lo stato sionista.
Il nuovo Presidente ha dichiarato pubblicamente che funzionari europei e statunitensi avevano offerto all'Iran la caduta delle principali sanzioni in vigore contro la Repubblica Islamica dell'Iran e la garanzia di un cessate il fuoco a Gaza alle condizioni di Hamas in cambio dell'impegno a non attaccare lo stato sionista.
L'Iran ha tenuto duro, accettando di apparire debole agli occhi del mondo esterno. Cosa per la quale è stato aspramente criticato. Tuttavia, il comportamento occidentale ha scioccato l'inesperto nuovo Presidente Pezeshkian: "Loro (gli Stati occidentali) hanno mentito", ha detto. Nessuna delle promesse è stata mantenuta.
A dire il vero, con il nuovo Presidente riformista l'Iran si è trovato di fronte a un vero dilemma. Da una parte, sperava di perseguire una politica di contenimento per evitare una guerra distruttiva. Dall'altra, temeva che questa prova di moderazione potrebbe essere mal interpretata -forse in malafede- e usata come pretesto per una escalation. Insomma, il rovescio della medaglia è che "la guerra stava arrivando in Iran, che lo si volesse o no".
Poi c'è stato l'attacco tramite i cercapersone, quindi la decapitazione di Hezbollah. Compresa la figura iconica rappresentata dal suo leader Seyed Hassan Nasrallah. Con un numero enorme di vittime collaterali. L'amministrazione statunitense (il presidente Biden) ha detto semplicemente che "era stata fatta giustizia".
E ancora una volta l'Occidente ha implorato e minacciato l'Iran perché non intraprendesse ritorsioni nei confronti dello stato sionista. Stavolta invece l'Iran ha lanciato un attacco con missili balistici più concreto, anche se ha deliberatamente omesso di colpire le infrastrutture economiche e industriali dello stato sionista o la popolazione civile, concentrandosi invece su importanti siti militari e dei servizi segreti. Si è trattato, in breve, di un segnale dimostrativo, anche se in una certa misura ci sono stati danni alle basi aeree e ai siti militari e dei servizi. Ancora una volta si è trattato di una risposta limitata.
E per cosa?
Perché l'Occidente reagisse con aperto dileggio. L'Iran sarebbe stato troppo scoraggiato / troppo spaventato / troppo diviso per reagire davvero. In realtà gli Stati Uniti -sapendo bene che Netanyahu sta cercando il pretesto per una guerra con l'Iran- hanno offerto allo stato sionista il loro pieno sostegno una ritorsione in grande stile contro l'Iran: “Ci saranno gravi conseguenze per questo attacco e collaboreremo con lo stato sionista perché sia così", ha dichiarato Jake Sullivan. “Non commettete errori: gli Stati Uniti sono pienamente, pienamente, pienamente a fianco dello stato sionista", ha detto Biden.
La morale della storia è chiara: il Presidente Pezeshkian è stato messo nel sacco dall'Occidente. Un po' come il deliberato "inganno di Minsk" perpetrato dall'Occidente nei confronti del Presidente Putin, un po' come la coltellata alle spalle dell'Accordo di Istanbul II. Qualsiasi condotta improntata alla moderazione, su cui pure insiste tanto l'"ordine internazionale", viene invariabilmente fatta considerare come una manifestazione di debolezza. Il deep state occidentale, la cosiddetta "classe invariabile dei professionisti", rifugge da qualsiasi principio morale. Fa del suo nichilismo una virtù. Forse l'ultimo leader capace di vera diplomazia che mi viene in mente è stato JFK durante la crisi dei missili di Cuba e nei suoi successivi rapporti con i leader sovietici. E cosa gli è successo? È finito ucciso dal sistema.
Naturalmente c'è molta rabbia in Iran. Ci si chiede se la proiezione di potenza del paese non sia stata tanto debole da contribuire in qualche modo ad avallare la propensione dello stato sionista a colpire il Libano in modo così spietato e sfrenato, come a Gaza. Resoconti recenti fanno pensare che gli Stati Uniti dispongano di nuove informazioni tecnologiche su cui lo stato sionista non può ancora contare, che hanno consentito di indivudare la posizione di Sayyed Nasrallah e di passarne i dati allo stato sionista, cosa che avrebbe portato al suo assassinio.
Se l'Occidente dovesse ostinarsi a trattare con sufficienza la condotta moderata perseguita dall'Iran e a confondere la moderazione con l'impotenza, ci sarà da chiedersi se il "partito unico" dell'ordine mondiale europeo e statunitense sarà mai capace di freddo realismo. È in grado di valutare bene le conseguenze di un'eventuale guerra dello stato sionista contro l'Iran? Netanyahu ha chiarito che questo è l'obiettivo del governo dello stato sionista: la guerra all'Iran.
L'errata valutazione dell'avversario e dei suoi punti di forza sconosciuti è spesso il prodromo di una guerra più ampia, come nel caso del primo conflitto mondiale. E lo stato sionista è in preda a un vero furor bellicus per imporre il proprio "nuovo ordine" in Medio Oriente.
L'Amministrazione Biden è "più che disposta" a mettere "la pistola sul tavolo" perché sia Netanyahu a prenderla e a sparare mentre Washington finge di rimanere in disparte. L'obiettivo finale di Washington è ovviamente la Russia.
Che in diplomazia non ci si possa fidare dell'Occidente è chiaro. La morale di questa vicenda tuttavia ha implicazioni più ampie. Se lo stato di cose è questo, in che modo la Russia può pensare di porre fine al conflitto in Ucraina? Sembra che molte altre persone moriranno inutilmente, semplicemente a causa della rigidità del partito unico e della sua incapacità di agire con vera e propria diplomazia.
E molti ucraini sono morti, da quando il processo di Istanbul II è diventato carta straccia.
L'Occidente in questo momento si trova davanti alla prospettiva di almeno una sconfitta schiacciante, se non di due. Viene spontaneo chiedersi se la cosa sarà di qualche insegnamento. Chissà se i professionisti dell'ordine mondiale vorranno almeno prendere atto che ci sono degli insegnamenti da recepire.

29 settembre 2024

28 settembre 2024. Comunicato di Hezbollah sulla morte di Sayyed Hassan Nasrallah

Nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso.

Combattano dunque sul sentiero di Allah, coloro che barattano la vita terrena con l’altra. A chi combatte per la causa di Allah, sia ucciso o vittorioso, daremo presto ricompensa immensa. (An-Nisa 74)

Dio Onnipotente ha detto il vero.

Sua Eminenza il Capo della Resistenza, il giusto servitore, se n'è andato da grande martire per unirsi al suo Signore e al Suo compiacimento; un leader eroico, audace, coraggioso, saggio, perspicace e fedele che si è unito al corteggio dei martiri dell'eterna e luminosa Karbala nel divino percorso di fede sulle orme dei profeti e degli imam martiri.
Sua Eminenza Sayyed Hassan Nasrallah, Segretario Generale di Hezbollah, si è unito ai suoi grandi e immortali compagni nel martirio di cui ha guidato il cammino per quasi trent'anni, durante i quali li ha condotti di vittoria in vittoria succedendo al Capo dei martiri della Resistenza islamica nel 1992 fino alla liberazione del Libano nel 2000, alla gloriosa vittoria divina nel 2006 e a tutte le battaglie condotte nel segno dell'onore e del sacrificio fino alla eroica battaglia in sostegno della Palestina, di Gaza e del popolo palestinese oppresso.
Porgiamo le nostre condoglianze alla Guida in ogni tempo (che Dio affretti la sua ricomparsa), alla Guida dei musulmani l'Imam Sayyed Ali Khamenei, che la sua ombra perduri, alle grandi autorità, ai mujahidin, ai credenti, alla nazione della resistenza, al nostro dolente e combattivo popolo libanese, all'intera nazione islamica, a tutti i popoli liberi e oppressi del mondo, e alla sua onorata e dolente famiglia. Ci congratuliamo con Sua Eminenza il Segretario Generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, che Dio si compiaccia di lui, per aver ricevuto il più alto riconoscimento divino, quello dello Imam Hussein -che la pace sia con lui- realizzando i suoi più preziosi intenti e il più alto gradi della fede e del puro credo come martire sul cammino di Gerusalemme e della Palestina. Offriamo le nostre condoglianze e congratulazioni ai suoi compagni martiri che si sono uniti alla sua pura e santa schiera dopo l'infido raid sionista a sud di Beirut.
Gli alti gradi di Hezbollah promettono al martire più insigne, più sacro e più prezioso del nostro percorso costellato di sacrifici e di martiri che continueranno il suo jihad nel confronto con il nemico, a sostegno di Gaza e della Palestina, e in difesa del Libano e del suo saldo e onorevole popolo.
Agli onorevoli mujahidin e agli eroi vittoriosi e trionfanti della Resistenza islamica: in voi è riposta la fiducia dell'amato martire Sayyid. Siete suoi fratelli, siete stati il suo scudo inespugnabile e il gioiello nella corona del suo eroico sacrificio. Il nostro leader, Sua Eminenza Sayyed, è ancora tra noi con il suo pensiero, il suo spirito e la sua sacra guida. A voi mantenere la promessa di lealtà e l'impegno nella resistenza e nel sacrificio fino alla vittoria.

25 settembre 2024

Alastair Crooke - Lo stato sionista sarà così scriteriato da cogliere l'occasione? "Siamo davvero alla guerra totale?"




   Traduzione da
Strategic Culture, 23 settembre 2024.


"Da oggi [dal giorno delle esplosioni simultanee dei cercapersone] di accordi e soluzioni non è più il caso di parlare", scrive Ibrahim Amine redattore di Al-Akhbar noto per i suoi stretti contatti con la leadership di Hezbollah: "In un solo minuto il nemico è riuscito a sferrare un colpo durissimo al corpo della Resistenza islamica... [Inoltre] con l'operazione di ieri, il nemico ha confermato di non voler rispettare le regole di ingaggio. Si sono dunque aperte le porte di una guerra senza limiti, tetti e confini? Da oggi in poi il nemico sionista non farà più distinzione tra un combattente che opera al fronte e un individuo che lavora in un ufficio lontano", ha osservato Amine.
Nel corso dell'ultimo anno sia lo stato sionista che Hezbollah hanno evitato una escalation grave osservando regole di ingaggio non scritte o taciti accordi tra le parti, come quello di non prendere di mira i civili. Ora tutto questo non esiste più.
Nel suo primo discorso dopo le esplosioni di martedì e mercoledì il leader di Hezbollah Sayed Nasrallah ha ammesso che il suo gruppo ha "subito un duro e crudele colpo". Ha accusato lo stato sionista di aver violato "tutte le convenzioni e le leggi" e ha detto che "dovrà affrontare una giusta punizione e un'amara resa dei conti". Ma non ha descritto come Hezbollah potrebbe vendicarsi, "né ha accennato al momento, al modo o al luogo" in cui ciò avverrà.
Nasrallah ha avvertito:
“Il nemico dichiara come suo obiettivo ufficiale il ritorno dei coloni al Nord. Noi accettiamo la sfida: al nord non tornerete. Anzi, faremo fuggire altri sionisti dalle loro case. Speriamo che lo stato sionista entri in Libano, stiamo aspettando giorno e notte i suoi carri armati per dar loro il benvenuto".
Queste considerazioni hanno un senso. Fin dall'inizio, Hezbollah si è configurato militarmente più per una guerra totale con lo stato sionista che per una guerra calibrata e limitata, che non ha mai corrisposto al meglio con i punti di forza di Hezbollah.
È chiaro che la guerra è entrata in una nuova fase; per sottolineare questo punto giovedì sera dopo il discorso di Nasrallah Hezbollah ha dato il via a uno dei suoi più pesanti attacchi contro lo stato sionista. Il Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin avrebbe informato i leader del Congresso la sera stessa del timore di un'imminente offensiva israeliana in Libano.
La valutazione di Nasrallah sul fatto che una guerra sia imminente è pienamente condivisa da almeno alcuni alti comandanti militari sionisti, anche se non da tutti. Molti sono convinti che la guerra con Hezbollah potrebbe ingrandirsi fino a diventare una guerra regionale e portare al collasso dello stato sionista.
Insomma, "Non si fa una cosa del genere, non si colpiscono migliaia di persone pensando che la guerra non ci sarà", ha detto il brigadiere generale a riposo Amir Avivi, che guida lo Israel Defence and Security Forum, un gruppo di ex comandanti militari falchi. "Perché non lo abbiamo fatto per undici mesi? Perché non eravamo ancora disposti a entrare in guerra. E adesso? Adesso lo stato sionista è pronto alla guerra". "C'è molta pressione da parte della società per andare in guerra e vincerla", ha detto Avivi. "A meno che Hezbollah domani mattina non dica: 'D'accordo, messaggio ricevuto. Ci ritiriamo dal sud del Libano' la guerra è imminente".
Un sondaggio condotto a fine agosto dallo Israel Democracy Institute, un think tank di Gerusalemme, ha rilevato che il 67% degli intervistati ebrei ritiene che lo stato sionista debba reagire con più forza nei confronti di Hezbollah. Tra questi, il 46% ritiene che lo stato sionista debba lanciare un'offensiva in profondità colpendo le infrastrutture libanesi, mentre il 21% vuole una dura risposta diretta soltanto contro le infrastrutture di Hezbollah.
Le osservazioni del generale Avivi riflettono probabilmente una realtà di fondo che è diventata fin troppo chiara: Amos Hochstein, l'inviato statunitense, non è riuscito a ottenere alcun progresso "diplomatico" per quanto riguarda il ritiro di Hezbollah dal sud del Libano. Al tempo stesso i funzionari statunitensi (secondo il WSJ) ammettono ora che un cessate il fuoco a Gaza, per Biden, è "fuori portata" e che allo stesso modo il logorante confronto militare dello stato sionista al confine meridionale del Libano che ha portato allo sfollamento dell'80% dei suoi abitanti non ha ottenuto alcun risultato. Anche i residenti nel nord dello stato sionista rimangono degli sfollati.
Sembra quindi che lo stato sionista si sia avviato verso un conflitto di più ampia portata. Un anticipo lo si è già avuto: Il 17 settembre gli Houthi hanno lanciato un missile contro un obiettivo vicino all'aeroporto Ben Gurion. Il missile ha percorso 1300 miglia in meno di 12 minuti, ovvero ha volato a velocità ipersonica avvicinandosi a Mach 9 -irraggiungibile per le difese antiaeree- e ha colpito il suo obiettivo.
È probabile che vedremo volare altri missili ipersonici di questo tipo -immuni alle difese antiaeree- se la guerra dovesse aggravarsi e se l'Iran dovesse intervenire.
Come spesso succede nei conflitti, la cosa paradossale è che l'operazione dei cercapersone esplosivi è stata apparentemente del tutto fortuita per quanto riguarda i tempi. Non è stata pianificata specificamente per portare lo stato sionista in una nuova fase del conflitto libanese:
Fonti altolocate di alcuni servizi di intelligence regionali hanno riferito ad Al-Monitor che la decisione di effettuare l'operazione è stata 'imposta' allo stato sionista da un errore dei suoi stessi servizi... Il piano originale dell'esercito sionista era di far esplodere gli ordigni nel caso di una guerra totale con Hezbollah per conseguire un vantaggio strategico, non quello di farli esplodere martedì", hanno aggiunto le fonti. Tuttavia, i sospetti di almeno due membri di Hezbollah hanno indotto gli ambienti dei servizi sionisti ad accettare che il piano scattasse in anticipo. Dopo che diversi giorni fa un membro di Hezbollah in Libano ha sospettato che ci fosse qualcosa che non andava con i cercapersone - ed è stato ucciso, hanno riferito le fonti... [ il piano è stato] infine fatto scattare. La successiva decisione di far esplodere le ricetrasmittenti sarebbe stata dettata dal fatto che ci si aspettava che dopo le esplosioni dei cercapersone Hezbollah avrebbe diffidato delle radio.
Tra poche settimane le condizioni meteorologiche sarebbero cambiate, limitando -o addirittura bloccando- le operazioni aeree. Lo stato sionista si è trovato a dover scegliere tra due strade alternative: dare il via a un'operazione entro poco tempo, o aspettare la prossima primavera per aumentare la pressione su Hezbollah affinché cambi le proprie allocazioni. Nello stato sionista tuttavia la situazione politica si preannuncia estremamente incerta: a dicembre riprenderanno per Netanyahu le udienze in tribunale.
Il fatto che un appartenente a Hezbollah inziasse a sospettare dei cercapersone non era previsto e ha cambiato le carte in tavola, facendo alzare il livello dello scontro.
Non sorprende che nello stato sionista si pensi che l'operazione dei cercapersone abbia inferto un duro colpo al sistema di comunicazione di Hezbollah, tale da paralizzare le capacità militari del movimento e da offrire allo stato sionista l'intervallo di tempo necessario a invadere via terra il sud del Libano per stabilirvi una "zona cuscinetto" che potrebbe facilitare il ritorno degli abitanti nel nord dello stato sionista. Nasrallah promette il contrario: dalle loro case nel nord dello stato sionista dovranno sfollare altri abitanti ancora.
L'idea che le comunicazioni di Hezbollah siano rimaste paralizzate è velleitaria e non riesce a distinguere tra quella che può essere definita la società civile di Hezbollah e il suo braccio militare.
Hezbollah è un movimento civile, oltre che una potenza militare. Esso rappresenta l'autorità per un settore significativo della popolazione di Beirut e del Paese, e questo costituisce una responsabilità che impone al Movimento di garantire l'ordine civile e la sicurezza. I cercapersone e le radio erano in dotazione principalmente dalle sue forze di sicurezza civile -di fatto una polizia civile che gestisce la sicurezza e l'ordine nelle zone del Libano controllate da Hezbollah- oltre che dai suoi reparti logistici e di supporto. Dal momento che questo personale non è costituito da forze combattenti, non si riteneva che avesse bisogno di sistemi di comunicazione davvero sicuri.
Già prima della guerra del 2006 Hezbollah aveva eliminato tutte le comunicazioni via cellulare e via linea fissa, usando invece un proprio sistema dedicato a fibra ottica e una rete di portaordini destinati ai quadri militari. In breve, le comunicazioni di Hezbollah a livello civile hanno subito un duro colpo, ma questo non avrà un impatto eccessivo sulle sue forze militari. Per anni il Movimento ha operato secondo il criterio per cui le sue unità avrebbero potuto continuare a combattere anche in caso di interruzione completa delle comunicazioni ottiche o di perdita di un quartier generale.
Cosa succederà adesso? Ci sono diversi scenari possibili. In sostanza, Netanyahu adesso si sente più tranquillo. Al discorso degli ostaggi è stata messa la sordina e i piani per l'espulsione calibrata e senza chiasso della popolazione palestinese stanno andando avanti sotto la supervisione dei ministri Ben Gvir, Smotrich e altri della destra. Il Ministro della Difesa Gallant ha persino dichiarato la "vittoria" militare a Gaza.
Sembra anche che lo stesso Gallant si sia piegato all'inevitabile. Netanyahu, a quanto pare, l'ha avuta vinta per quanto riguarda l'escalation contro Hezbollah aggirando le obiezioni di Gallant e degli alti ufficiali delle forze armate senza dover licenziare il popolare Gallant da ministro della Difesa e senza dover accogliere nel suo governo il problematico Gideon Saar.
Il ministro della Difesa Gallant, il capo delle forze armate Halevi e altri funzionari militari hanno rilasciato mercoledì sera delle dichiarazioni che sembravano suggerire che si stesse preparando una guerra totale contro Hezbollah, poche ore dopo l'ondata di esplosioni dei dispositivi di comunicazione in tutto il Libano.
Dal punto di vista di Netanyahu, gli Stati Uniti -per quanto a malincuore- sono impegnati a sostenere stato sionista in questa guerra e anche in un conflitto di più ampia portata nel caso l'Iran dovesse entrare nella mischia. Gli Stati Uniti hanno fatto capire che il loro sostegno non è a tempo indeterminato, ma Netanyahu probabilmente conta sul fatto che il loro impegno si intensificherà ineluttabilmente con l'evolversi degli eventi lasciandoli ulteriormente incastrati. In ogni caso gli ambienti vicini al potere che sostengono lo stato sionista non accetterebbero mai la prospettiva di lasciarlo a se stesso mentre si trova in pericolo. A giudicare dalle dichiarazioni dello stato sionista l'idea prevalente è che Hezbollah si vendicherà, ma che lo farà in modo diverso da come ha risposto fino a oggi. Si accontenterà di reagire in modo limitato? Questo non è chiaro. Ma qualsiasi cosa faccia potrebbe portare a uno scambio di bordate che a sua volta farà precipitare la situazione verso una guerra vera e propria.
Alti funzionari delle forze armate sioniste e di altri settori negli ambienti della sicurezza si esprimono deplorando apertamente "le mosse sconsiderate che il loro governo è intenzionato a compiere a nord". Da un lato, queste mosse comportano il molto concreto rischio molto di far deflagrare un conflitto generale non solo al confine con il Libano, ma nell'intera regione; dall'altro, non promettono una soluzione che permetta agli abitanti del nord di tornare alle loro case, né la liberazione degli ostaggi a Gaza.

17 settembre 2024

Alastair Crooke - La nave Occidente chiude i boccaporti prima che i rovesci provochino il naufragio



 Traduzione da Strategic Culture, 16 settembre 2024.

Lo stato sionista sta entrando nella fase successiva della sua guerra contro la Palestina con il completamento del controllo sulla Striscia di Gaza dal confine settentrionale fino al corridoio di Netzarim. È probabile che l'intenzione sia quella di rendere quest'area gradualmente disponibile per l'insediamento ebraico e l'annessione allo stato sionista.
In un articolo intitolato "Annessione, espulsione e insediamenti sionisti: Netanyahu si prepara alla prossima fase della guerra di Gaza" il direttore di Haaretz Aluf Benn scrive che se l'annessione dovesse procedere, "i residenti palestinesi che rimangono nel nord di Gaza saranno espulsi, come suggerito dal Maggiore Generale della riserva Giora Eiland, sotto la minaccia di morire di fame e con la scusa che è 'per il loro bene'". Netanyahu e i suoi sostenitori, sostiene Benn, considereranno questa iniziativa come il raggiungimento dello scopo della loro vita: espandere ancora una volta il territorio dello stato sionista, dopo cinquant'anni di ritiri. Sarà questa la "risposta sionista" della destra al 7 ottobre.
Questo straordinario cambiamento è stato reso possibile non solo dalle operazioni militari, ma da un tratto di penna: la nomina del Colonnello Elad Goren a capo del settore umanitario-civile a Gaza, cosa che di fatto lo rende "Governatore di Gaza" per i prossimi anni.
I media mainstream occidentali posto meno enfasi su una dura realtà. Nel corso dei venti mesi in cui l'attuale governo sionista è stato al potere, Ben Gvir ha armato un movimento di vigilantes formato da diecimila coloni che ha terrorizzato i palestinesi in Cisgiordania. La polizia nei territori occupati risponde già all'autorità di Ben Gvir.
Questa valutazione trascura un altro dato di fatto. Mentre Ben Gvir ha messo insieme questo "nuovo esercito dello Stato di Giudea", il Ministro delle Finanze Smotrich che dirige l'Amministrazione dei Territori ha rivoluzionato la situazione dei coloni ebrei e dei palestinesi in Cisgiordania. L'autorità in Cisgiordania è stata affidata a un movimento messianico chiuso e di destra, che risponde solo a Smotrich stesso. Smotrich è diventato il governatore della Cisgiordania in tutto e per tutto.
In quella che Nahum Barnea descrive come una manovra a tenaglia messa furtivamente in atto da Smotrich, un braccio del potere è costituito dalla sua autorità di ministro delle Finanze; il secondo consiste nel potere che gli è stato delegato in qualità di secondo al comando al Ministero della Difesa. L'obiettivo di Smotrich e del governo sionista era stato esposto dallo stesso Smotrich nel Decisive Plan del 2017 e non è cambiato: indurre il collasso dell'Autorità palestinese, impedire la creazione di uno Stato palestinese e dare ai sette milioni di palestinesi che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo la possibilità di scegliere tra morire combattendo, emigrare altrove o vivere in condizioni di perenne subalternità in un grande Stato sionista.
Senza dubbio, il Decisive Plan contro i palestinesi è ben avviato: si terrorizzano gli abitanti della Cisgiordania affinché abbandonino la loro terra, si distruggono le infrastrutture sociali in Cisgiordania come a Gaza e, come a Gaza, si applica una dura pressione finanziaria sulla società palestinese.
I termini indefiniti di Netanyahu sul probabile futuro di Gaza non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni. I palestinesi del nord di Gaza subiranno il destino degli armeni del Nagorno Karabakh: Un anno fa l'Azerbaigian li ha sbrigativamente espulsi dalla regione da un giorno all'altro. Il mondo se n'è accorto e ha semplicemente "voltato pagina" come previsto nella concezione della storia prevalente nello stato sionista. Netanyahu ha preferito mantenersi ai livelli di una "piccola bugia" sul futuro di Gaza, piuttosto che dire chiara e forte una grande verità.
Con la dichiarazione rilasciata alla Fox News statunitense per cui "nessun accordo per il rilascio degli ostaggi da Gaza è in via di definizione, né è prossimo ad essere siglato" e la relativa aggiunta che qualsiasi sensazione ottimista (per lo più proveniente da Washington) altro non era che una narrativa fallace, Netanyahu ha effettivamente lanciato la prossima fase della guerra dello stato sionista: l'azione militare nel nord, volta a creare le condizioni per il ritorno dei residenti sfollati. Questi tre elementi -nord di Gaza, Cisgiordania e Libano- sono collegati tra loro. Anzi, sono interconnessi.
In assenza di un accordo diplomatico che preveda che Hezbollah si allontani dalla regione di confine e non vi rientri più, lo stato sionista per forza di logica ha solo due opzioni: un cessate il fuoco a Gaza che potrebbe pacificare il confine settentrionale, o un'escalation deliberata nel nord, con tutte le sue potenziali conseguenze.
L'idea di poter convincere Hezbollah ad allontanarsi dai confini libanesi è sempre stata un'utopia. Le prospettive di un accordo su Gaza, dicono ora i mediatori, sono "prossime allo zero". Ecco che l'attenzione dello stato sionista si è rivolta a nord.
Il generale Gantz, presidente del partito di opposizione National Unity, ha presenziato a Washington al summit Middle East America Dialogue (MEAD). Da critico nei confronti del governo di Netanyahu, è sembrato comunque rassegnato all'inevitabile: "Hamas è roba vecchia", ha detto. "Il vero problema sono l'Iran, i suoi agenti di prossimità in tutto il Medio Oriente e quello che stanno cercando di fare... I militari dovrebbero spostare la loro attenzione da Gaza al Libano". "Su questo siamo in ritardo", ha aggiunto. "È arrivato il momento di passare all'azione a nord".
Il generale Kurilla, comandante delle forze statunitensi nella regione, è arrivato a metà settembre nello stato sionista per la sua seconda visita in una settimana, allo scopo di completare "il coordinamento con le forze armate dello stato sionista in previsione di qualsiasi possibile attacco di rappresaglia iraniano e di Hezbollah".
Washington, sebbene impegnata a sostenere lo stato sionista in qualsiasi conflitto con l'Iran o con Hezbollah, è comunque preoccupata. Nei giorni scorsi alti funzionari statunitensi hanno espresso il timore che una guerra su larga scala contro Hezbollah possa causare ingenti danni al fronte interno dello stato sionista, soprattutto se l'Iran e altri membri dell'Asse della Resistenza dovessero intervenire.
L'acquisizione da parte dell'Iran di armamenti russi di tipo avanzato ha complicato notevolmente il quadro per gli Stati Uniti: potrebbe rivelarsi una svolta, se si considera anche la scorta di missili progrediti di cui il paese dispone. C'è stata una rivoluzione, nella guerra contemporanea. Il dominio aereo occidentale è stato messo sotto scacco. Gli Stati Uniti si sono -incautamente- impegnati in qualsiasi conflitto che si estenda al Libano e all'Iran. Questo, di per sé, potrebbe minacciare le prospettive elettorali di Kamala Harris mentre monta la rabbia tra gli elettori musulmani nei principali Stati degli USA.
A Washington la sensazione che Netanyahu vorrebbe danneggiare Biden-Harris e far vincere le elezioni a Trump è qualcosa di più di un sospetto.
Il piano di Grande Vittoria di Netanyahu per liberare la Grande Israele dai palestinesi sta diventando realtà, ma schiacciare Hezbollah resta un obiettivo fuori portata. Tutte queste "vittorie" sono un qualcosa di realizzabile, anche alla lontana? No. Rischiano piuttosto di far collassare lo stato sionista, come hanno chiarito autorevoli commentatori come il Maggiore Generale Brick. È tuttavia possibile che Netanyahu cerchi di arrivarci. Lo spirito kahanista continua a vivere ed è oggi quello prevalente nello stato sionista.
Questa prospettiva getta la cupa ombra di un enorme uccello del malaugurio, volteggiante nei cieli mediorientali per i mesi che mancano alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Anche la guerra in Ucraina è foriera di sgradevoli e inattese sorprese in attesa di rivelarsi.
Questa settimana il Presidente Putin, in occasione del Forum Economico Orientale di Vladivostok, ha suggerito che anche la guerra in Ucraina si trovi ad un punto di svolta proprio come quella in Medio Oriente. La Russia ha cambiato le carte in tavola con gli Stati Uniti grazie alla sua reazione contro l'incursione di Kursk.
Le forze russe hanno capito quanto fosse folle da parte degli ucraini schierare le loro brigate e i loro preziosi mezzi corazzati occidentali in un cul-de-sac boscoso e poco popolato e si sono accontentate di dedicarsi a un rilassante tiro al tacchino.
Mosca non ha abboccato all'amo e non ha ridotto le riserve russe sul fronte del Donbass per schierarle a Kursk. Putin ha chiarito con tranquilla sicurezza a Vladivostok che Zelensky "non ha ottenuto nulla dall'offensiva di Kursk. Le forze russe hanno stabilizzato la situazione a Kursk e hanno iniziato a respingere il nemico dai territori di confine, mentre l'offensiva nel Donbass ha ottenuto impressionanti guadagni territoriali".
Per l'esattezza Putin ha dichiarato che il nemico sta subendo perdite molto pesanti, sia in termini di uomini che di materiali. Questa situazione, ha sottolineato, potrebbe portare al collasso del fronte nelle aree più critiche e alla totale perdita della capacità operativa di tutte le sue forze armate.
Putin può anche continuare a dire, come sempre, che è aperto al dialogo; ma le ultime parole della frase sono state inequivocabili. Il crollo è "ciò a cui miravamo"; l'obiettivo era la completa perdita delle capacità offensive delle forze armate ucraine. Queste sono le parole fondamentali.
Se ne può dedurre che dal completo collasso delle capacità operative si produrrebbe quasi sicuramente lo sfascio di un edificio politico che si regge esclusivamente sulle predette capacità militari, e non su una qualche legittimità politica.
Ciò che Mosca non può prevedere è come, o in quale forma, tale sfascio possa verificarsi.
Le strutture politiche di Kiev continueranno probabilmente a trascinarsi come zombie, anche se private della loro ragion d'essere, finché l'amministrazione Biden riuscirà a gestirne l'esistenza pur di salvare la faccia fino alle elezioni.
Il Presidente Putin può anche parlare di mediazioni, ma Mosca sa bene che l'apparato del potere a Kiev è stato messo in piedi dal bacino degli antislavi razzisti, proprio per bloccare qualsiasi accordo con Mosca. Qualsiasi mediazione è destinata a fallire; questo era fin dall'inizio lo scopo di Washington, quando ha dato potere al blocco ispirato da Stepan Bandera.
Se le strutture politiche di Kiev venissero meno, verrebbe probabilmente meno anche la necessità di un qualsiasi potenziale mediatore.
In parole povere una nuova amministrazione debitamente ripulita a Kiev concluderebbe con ogni probabilità che sul fronte militare non ha altra scelta che la capitolazione, in cui offrire una neutralità formale e dei limiti alla futura ricostruzione delle proprie forze armate. E Mosca è in grado di discuterne con gli ucraini senza ricorrere a mediatori esterni.
Naturalmente si leverà un intero coro a ricordare che gli Stati Uniti non potranno permettere il completo collasso delle capacità militari dell'Ucraina. In considerazione delle elezioni di novembre, detto retoricamente, è abbastanza vero. Ecco perché Putin non abbandona la narrativa sulla mediazione.
C'è il vertice dei BRICS in Russia a fine ottobre da gestire. L'Occidente insisterà fino all'ultimo sulla mediazione, per tenere in vita il più a lungo possibile l'attuale regime russofobico di Kiev e per far sì che alcuni partecipanti ai BRICS considerino innanzitutto l'idea di un congelamento del conflitto. Solo che la proposta di congelare il conflitto è una trappola che servirebbe a gettare le basi di una futura piattaforma per esercitare pressioni sulla Russia.
I capi dei servizi segreti statunitensi e britannici possono anche baloccarsi con l'idea di colpire in profondità la Russia con gli ATACMS, ma il ricorso a misure esplicitamente tese a terrorizzare la popolazione civile russa e a minare la popolarità di Putin serve più che altro a sottolineare il fallimento strategico occidentale. Ancora una volta l'Occidente non è riuscito a mettere in piedi una forza militare credibile al punto di colpire con efficacia il suo obiettivo, anche se lo ritraeva a tinte demoniache.
La guerra è persa, e l'impegno profuso per fare finta che non sia così mostra segni di logoramento lasciando intendere a tutti come stanno davvero le cose.

09 settembre 2024

Alastair Crooke - "Abbiamo detto allo stato sionista: 'Sentite, se proprio lo dovete fare, noi saremo con voi fino in fondo'"




Traduzione da Strategic Culture, 30 agosto 2024.

"Il successo con cui l'attacco di Hezbollah di domenica [25 agosto 2024] è stato sventato è un simbolo del vantaggio operativo e di intelligence dello stato sionista": Secondo il portavoce delle forze armate sioniste l'attacco di Hezbollah è stato in massima parte sventato grazie a cento aerei dell'aeronautica sionista che hanno operato ininterrottamente per sferrare attacchi preventivi che hanno distrutto "migliaia di lanciatori di missili".
"Il gruppo [Hezbollah] è riuscito a lanciare centinaia di razzi contro il nord dello stato sionista, ma i danni causati sono stati piuttosto limitati", hanno asserito sdegnosamente i portavoce dello stato sionista, in cui vige -all'insegna della censura completa- la totale inibizione alla pubblicazione di qualsiasi notizia sui danni causati alle infrastrutture strategiche o a siti militari. In effetti si è trattato di una sorta di recita da parte di entrambe le parti: limitando l'attacco a una ventina di minuti e a un raggio di cinque chilometri dal confine e con Hezbollah che è rimasto entro i limiti dell'iniziativa equilibrata, entrambe le parti hanno segnalato chiaramente l'una all'altra di non essere intenzionate ad arrivare alla guerra senza quartiere.
Che lo stato sionista avrebbe ostentato una narrativa vittoriosa era prevedibile, dato l'imperante clima di guerra psicologica. Ma la cosa ha un costo. Amos Harel su Haaretz suggerisce che "nello stato sionista si tende [di conseguenza] a considerare il successo nello sventare l'attacco di domenica come una ulteriore riprova del consolidamento della deterrenza regionale e della supremazia strategica occidentale. Ma una tale valutazione", ammette, "sembra essere tutt'altro che accurata".
In effetti, tutt'altro che accurata lo è di sicuro. La recita di domenica si è conclusa senza alcun cambiamento della situazione strategica nel nord dello stato sionista: il logoramento quotidiano continua da oltre la frontiera con il Libano fino al nuovo limite di quaranta chilometri che definisce l'estensione della perdita di territorio da parte dello stato sionista a favore della zona interdetta di Hezbollah.
Dal punto di vista strategico la cosa importante non è nel fatto che questa narrativa vittoriosa sul contrasto alle iniziative di Hezbollah sia molto fuorviante. Il fatto è che essa crea aspettative di successo, sul piano militare, da cui si trarranno conclusioni sbagliate. È già successo e non è finita bene.
Seymour Hersh, decano del giornalismo investigativo statunitense, questa settimana ha ripubblicato un articolo che scrisse nell'agosto 2006 su quello che si pensava negli Stati Uniti della guerra dello stato sionista contro Hezbollah e sul suo preventivato ruolo di prodromo per un successivo attacco statunitense contro l'Iran.
Quello che Hersh scrisse allora rappresenta un sorprendente déjà vu della situazione odierna ed è ancora attinente la questione, perché il pensiero neoconservatore statunitense si evolve raramente e presenta sempre gli stessi punti fermi.
"Il grande interrogativo per la nostra aeronautica militare", ha osservato Hersh nel 2006, "riguardava il come colpire con successo una serie di obiettivi difficili in Iran", ha detto un ex alto funzionario dei servizi. "Chi è l'alleato più vicino all'aeronautica statunitense nella pianificazione di questo attacco? Non è il Congo, è lo stato sionista". Il funzionario ha proseguito: "Tutti sanno che gli ingegneri iraniani hanno fornito consulenza a Hezbollah per i tunnel e le postazioni missilistiche sotterranee. E così l'USAF è andata dai sionisti presentando alcune nuove tattiche e dicendo loro: 'Concentriamoci sui bombardamenti e condividiamo quello che noi sappiamo sull'Iran e quello che voi sapete sul Libano'".
"I sionisti ci hanno detto [che quella contro Hezbollah] sarebbe stata una guerra a basso costo e dai molti vantaggi", ha detto un consulente del governo statunitense che ha stretti legami con lo stato sionista: "Perché opporsi? Saremo in grado di scovare e bombardare missili, tunnel e bunker dall'aria. Per l'Iran sarebbe una dimostrazione".
"Quel consulente mi ha detto che i sionisti hanno ripetutamente indicato la guerra in Kosovo come esempio di ciò che lo stato sionista avrebbe cercato di ottenere. "Le forze della NATO... bombardarono e bombardarono metodicamente non solo obiettivi militari, ma anche tunnel, ponti e strade, in Kosovo e altrove in Serbia, per settantotto giorni... lo stato sionista studiò la guerra del Kosovo come se fosse un modello... I sionisti dissero a Condi Rice: Voi l'avete fatto in circa settanta giorni, ma a noi ne servono la metà -trentacinque giorni- per finirla con Hezbollah"".
"La Casa Bianca della presidenza Bush", ha detto un consulente del Pentagono, "si sta dando da fare da tempo per trovare un motivo per attaccare preventivamente Hezbollah"; ha aggiunto che: "Era nostra intenzione indebolire Hezbollah, e ora lo sta facendo qualcun altro... Secondo un esperto di Medio Oriente che conosce l'attuale orientamento del governo sionista e di quello statunitense, lo stato sionista aveva elaborato un piano per attaccare Hezbollah e lo aveva condiviso con i funzionari dell'Amministrazione Bush ben prima dei rapimenti del 12 luglio [2006]: "Non che lo stato sionista avesse preparato una trappola e che Hezbollah vi sia caduto", ha detto, "ma alla Casa Bianca si aveva la forte sensazione che prima o poi i sionisti avrebbero attaccato", ha scritto Hersh.
"La Casa Bianca era in prevalenza concentrata sul privare Hezbollah dei suoi missili, perché se si fosse deciso di procedere militarmente contro le strutture nucleari iraniane si dovevano innanzitutto togliere di mezzo le armi che Hezbollah avrebbe potuto usare in una potenziale rappresaglia contro stato sionista. Bush voleva entrambe le cose", fu riferito a Hersh.
"L'amministrazione Bush era strettamente coinvolta nella pianificazione degli attacchi di rappresaglia dello stato sionista. Il presidente Bush e il vicepresidente Dick Cheney erano convinti... che un'efficace campagna di bombardamenti dell'aviazione sionista contro i complessi sotterranei di missili e di comando e controllo di Hezbollah in Libano -che erano pesantemente fortificati- avrebbe potuto alleviare le preoccupazioni dello stato sionista in materia di sicurezza e fungere da preludio a un potenziale attacco preventivo ameriKKKano per distruggere le installazioni nucleari iraniane, alcune delle quali sono anch'esse realizzate in profondità".
Un ex ufficiale dell'intelligence ha dichiarato: "Abbiamo detto allo stato sionista: 'Sentite, se proprio lo dovete fare, noi saremo con voi fino in fondo'".
"Nonostante questo alcuni funzionari in servizio presso gli Stati Maggiori Riuniti erano profondamente preoccupati che l'Amministrazione avesse una valutazione della campagna aerea molto più positiva del dovuto", ha dichiarato l'ex alto funzionario dei servizi. "Non c'è modo che Rumsfeld e Cheney traggano conclusioni corrette", ha detto. "Quando il fumo si diraderà, diranno che è stato un successo e concluderanno che si tratta di un incentivo per il loro piano di attacco contro l'Iran".
E questa è la situazione in cui ci troviamo oggi: quando il fumo dell'"esemplare attacco preventivo in Libano" di domenica si diraderà, Netanyahu lo userà a Washington per rinforzare il suo proposito di coinvolgere gli Stati Uniti in un attacco all'Iran.
"Dal punto di vista militare il concetto di bombardamento strategico è fallimentare da novant'anni, eppure le forze aeree di tutto il mondo continuano a praticarlo", ha detto a [Hersh] John Arquilla, analista della difesa presso la Naval Postgraduate School... Anche Rumsfeld [condivideva la poco entusiasta opinione di questo esperto]: "Il potenziale aereo e l'uso di alcune forze speciali avevano funzionato in Afghanistan, e lui [Rumsfeld] aveva cercato di fare la stessa cosa in Iraq. L'idea era la stessa, ma in Iraq non aveva funzionato. Rumsfeld pensava che Hezbollah fosse troppo trincerato e che il piano d'attacco dello stato sionista non avrebbe funzionato; l'ultima cosa che voleva era un'altra guerra, che avrebbe messo le forze statunitensi in Iraq in ancora maggiori pericoli proprio durante il suo mandato".
"Il piano sionista del 2006, secondo l'ex alto funzionario dei servizi, era 'l'immagine speculare di ciò che gli Stati Uniti avevano pianificato per l'Iran'". I preliminari dell'aeronautica statunitense per un attacco aereo volto a distruggere la capacità nucleare iraniana comprendevano l'opzione di un intenso bombardamento di obiettivi infrastrutturali civili all'interno del paese: incontrarono il diniego dei vertici dell'esercito, della marina e del corpo dei Marines, secondo quanto riferito da funzionari in carica e non. Essi sostengono che il piano proposto dall'aeronautica non funzionerà e che porterà inevitabilmente -come nella guerra dello stato sionista contro Hezbollah- a dover schierare truppe sul terreno.
David Siegel, l'allora portavoce dello stato sionista, ha dichiarato che all'inizio di agosto 2006 i vertici del suo Paese erano convinti che le operazioni aeree avessero avuto successo e avessero distrutto più del settanta per cento del potenziale missilistico a medio e lungo raggio di Hezbollah.
Invece lo stato sionista nel 2006 non aveva distrutto il settanta per cento degli armamenti missilistici di Hezbollah. Esso venne ingannato dall'operazione di depistaggio messa in atto dai servizi di Hezbollah: l'aviazione sionista bombardò a vuoto.
Oggi ci ritroviamo con il contrammiraglio Hagari delle forze armate sioniste che si produce nelle stesse narrative esultanti ostentando il successo degli attacchi di domenica.
Probabilmente c'è qualcuno, nello stato sionista e negli Stati Uniti, profondamente preoccupato che l'amministrazione di Biden possa indulgere a una valutazione della campagna aerea sionista molto più positiva del dovuto.
Molti commentatori in Occidente stanno commettendo lo stesso errore. Come ha notato il corrispondente militare di Haaretz a proposito degli attacchi aerei di domenica, "Esiste nello stato sionista la tendenza a considerare il fatto che l'attacco di domenica è stato sventato con successo come una nuova prova del consolidamento della deterrenza regionale e della supremazia strategica".
In altre parole, l'Iran sarebbe stato dissuaso da onorare l'impegno di una rappresaglia per l'assassinio di Ismail Haniyah a Tehran dalla somma del potenziale di fuoco satunitense presente nelle acque del Mediterraneo e del Golfo Persico, e dal timore che questo potenziale possa rivelarsi schiacciante.
Chiunque abbia dato un'occhiata ai video sulle "città missilistiche" automatizzate e costruite in profondità che l'Iran ha dislocato in tutto il suo territorio -e che per un momento ha fatto balenare alla vista- dovrebbe capire che un bombardamento a tappeto sulle infrastrutture civili iraniane non intaccherà la capacità iraniana di rispondere in modo letale. L'Iran potrebbe scatenare nientemeno che un Armageddon regionale.
Quindi, per essere chiari: chi è che davvero ha desistito e si sta tirando indietro, l'Iran o Washington?
Eppure, "se è vero che la campagna dello stato sionista si basa sull'approccio statunitense in Kosovo, allora ha proprio mancato il segno", ha detto a Hersh il generale Wesley Clark, all'epoca comandante statunitense dell'operazione. L'obiettivo non era quello di uccidere civili: "Nella mia esperienza le campagne aeree devono essere sostenute, in ultima analisi, dalla volontà e dalla capacità di finire il lavoro sul terreno".
Fare una cosa del genere in Iran è semplicemente fuori questione, per gli Stati Uniti.
"Siamo di fronte a un dilemma", ha detto un funzionario sionista a Hersh nel 2006; "in effetti dobbiamo decidere se optare per una risposta locale (che è inefficace) o per una risposta globale, per affrontare davvero Hezbollah [e l'Iran] una volta per tutte".
Mutatis mutandis il dilemma è rimasto lo stesso. Lo stato sionista, in compenso, è cambiato radicalmente. La maggioranza dello stato sionista oggi sostiene con piglio messianico i seguaci di Jabotinsky affinché facciano quello che avevano sempre voluto e promesso di fare: cacciare i palestinesi dalla Terra d'Israele.
Molti a Washington sanno che i sionisti revisionisti (che forse rappresentano circa due milioni di cittadini dello stato sionista) intendono cinicamente imporre la loro volontà agli "anglosassoni", facendo precipitare gli Stati Uniti in una vera e propria guerra regionale se appena la Casa Bianca cercasse di indebolire il loro progetto di una nuova Nakba, con l'espulsione forzata dei palestinesi.
Benjamin Netanyahu ha provocato l'Iran una volta, con l'assassinio nel consolato di Damasco di un alto generale dei Guardiani della Rivoluzione Islamica; una seconda volta con l'uccisione di Haniyeh a Teheran; una possibile terza provocazione potrebbe essere il lancio di un attacco cosiddetto "preventivo" contro l'Iran, nella convinzione che gli Stati Uniti sarebbero legati mani e piedi e politicamente incapaci di rimanersene in disparte mentre l'Iran scatena la propria ritorsione contro lo stato sionista.
Tuttavia, se gli Stati Uniti dovessero porre il veto a un attacco contro l'Iran prima delle elezioni presidenziali, e se l'Iran non si vendicasse della morte di Haniyeh prima di allora, il progetto di una nuova Naqba potrebbe essere portato avanti estendendo l'attuale offensiva militare di Gaza alla Cisgiordania, o mettendo in atto una grave provocazione sullo Haram al-Sharif, il Monte del Tempio. Per esempio, con un incendio alla Moschea di al-Aqsa.
I sionisti revisionisti sono stati chiari negli ultimi anni sul fatto che sarebbe stata necessaria una crisi, o la confusione di una guerra, per attuare pienamente il loro progetto di una nuova Naqba.
L'AmeriKKKa è intrappolata nel suo "ferreo" e incondizionato sostegno militare allo stato sionista, cosa che offre a Netanyahu ampi spazi di manovra.
Spazi di manovra che portano verso un conflitto, unica via di fuga per un Netanyahu costretto a puntare sempre più in alto, perché la morsa del logoramento si sta stringendo attorno allo stato sionista. L'Iran e Hezbollah sembrano aver scelto, per ora, proprio di consevare le proprie prerogative di escalation attraverso un ritorno a una studiata strategia di logoramento.
Gli Stati Uniti non saranno in grado di mantenere a lungo un tale dispiegamento di navi nella regione. Allo stesso modo Netanyahu non potrà tergiversare politicamente a lungo, nemmeno in patria.