28 agosto 2025

Alastair Crooke - A Mosca il "mito" di Trump lo capiscono. E lo ricambiano

Traduzione da Strategic Culture, 26 agosto 2025.


Trump sta ascendendo a una valenza mitologica, la cosa è diventata fin troppo evidente. Come ha osservato John Greer,
Sta diventando difficile anche per i razionalisti più convinti continuare a credere che la carriera politica di Trump possa essere definita nei termini prosaici del 'fare politica come sempre'.
Trump, ovviamente, non è affatto un personaggio mitico. È un anziano oligarca immobiliare statunitense con qualche piccolo problema di salute, dai gusti volgari e con un ego insolitamente robusto.
In greco antico il vocabolo mythos originariamente significava ‘storia’. Come scrisse il filosofo Sallustio, i miti sono cose che non accadono mai, ma che esistono sempre.
In seguito, il vocabolo è passato a indicare storie che fanno riferimento a un significato profondo. Questo non implica che debbano per forza avere un valore fattuale; tuttavia è proprio quest'ultima dimensione che conferisce a Trump "la sua straordinaria presa sull'immaginario collettivo del nostro tempo", suggerisce Greer. Trump riesce a riemergere, letteralmente, da tutto ciò che viene scagliato contro di lui per distruggerlo. Trump diventa quello che Carl Jung chiamava "l'Ombra". Come scrive Greer:
I razionalisti ai tempi di Hitler erano costantemente sconcertati dal modo in cui egli spazzava via gli ostacoli e seguiva la sua traiettoria fino alla fine. Jung sottolineò in Wotan, suo lungimirante saggio del 1936, che gran parte del potere di Hitler sulla mentalità collettiva dell'Europa proveniva dal regno del mito e dell'archetipo.
Nel mito, Wotan è un vagabondo che non ha pace, che crea disordini e suscita conflitti ora qui ora là, e che compie magie. Jung trovava piuttosto intrigante il fatto che un antico dio delle tempeste e delle burrasche –il Wotan tanto a lungo quiescente– potesse prendere vita nel movimento giovanile tedesco.
Cosa c'entra questo con il vertice in Alaska con il presidente Putin?
Beh, Putin sembra aver prestato la dovuta attenzione ai meccanismi psicologici alla base dell'improvvisa richiesta di un incontro da parte di Trump. I russi hanno trattato Trump in modo molto rispettoso, cortese e amichevole. Hanno implicitamente preso atto della convinzione di Trump di possedere una sorta di aura mitica interiore, una condizione che Steve Witkoff -suo amico di lunga data- ha descritto come la profonda convinzione di Trump che la sua autorevole presenza, da sola, riesca a piegare le persone al suo volere (e agli interessi degli Stati Uniti). Witkoff ha aggiunto di essere d'accordo con questa valutazione.
Solo per citare un esempio, l'incontro alla Casa Bianca con Zelensky e i suoi sostenitori europei ha prodotto alcune delle immagini a tema politico forse più straordinarie della storia. Come osserva Simplicius,
Si è mai vista una cosa simile? L'intero pantheon della classe dirigente europea ridotto a un gruppetto di bambini piagnucolosi nell'ufficio del preside. Nessuno può negare che Trump sia riuscito a "spezzare le ginocchia all'Europa". Questa è una svolta da cui non si torna indietro, non c'è possibilità di redenzione per immagini come queste. La pretesa della Unione Europea di essere una potenza geopolitica è stata smascherata come una farsa.
Meno evidente, ma psicologicamente cruciale, è il fatto che Trump sembra riconoscere in Putin un interlocutore all'altezza del suo mito. Nonostante i due siano agli antipodi dal punto di vista caratteriale, Trump sembra comunque riconoscere in lui un compagno nel pantheon dei presunti "esseri mitologici". Guardate di nuovo le scene di Anchorage: Trump tratta Putin con enorme deferenza e rispetto. Un atteggiamento molto diverso da quello sprezzante che ha riservato agli europei.
Ad Anchorage comunque è stato Putin a mostrare un comportamento calmo, composto e dominante.
Resta tuttavia evidente che il comportamento rispettoso di Trump nei confronti di Putin ha fatto saltare la radicale demonizzazione della Russia da parte dell'Occidente e il cordone sanitario eretto contro tutto ciò che è russo. Un altro momento di svolta da cui non si può tornare indietro: "non c'è possibilità di redenzione per immagini come queste". La Russia è stata trattata come una potenza globale alla pari.
Di cosa si è trattato? Si è trattato di una svolta: il paradigma di Kellogg per il congelamento del conflitto non è più sul tavolo; adesso c'è il piano di pace a lungo termine di Putin. E di dazi non si parla da nessuna parte.
Ciò che è chiaro è che Trump ha deciso, dopo qualche esitazione, che deve occuparsi dell'Ucraina.
La dura realtà è che Trump deve affrontare enormi pressioni: il caso Epstein si rifiuta ostinatamente di sparire. È destinato a riproporsi dopo il Labor Day negli Stati Uniti.
La narrativa securitaria occidentale per cui "stiamo vicendo noi", o almeno "stanno perdendo loro", è stata così forte –e così universalmente accettata per così tanto tempo– che, di per sé, è sufficiente a creare una dinamica potente che avrebbe spinto Trump a ostinarsi con la guerra in Ucraina. La realtà dei fatti viene regolarmente distorta perché si adatti a questa narrativa, e questa dinamica non è stata ancora interrotta.
E Trump è intrappolato anche nel sostegno al macello messo in piedi dallo stato sionista, con le immagini di donne e bambini massacrati e affamati che negli Stati Uniti fanno rivolgare lo stomaco all'elettorato più giovane, quello sotto i trentacinque anni.
Queste dinamiche, insieme al contraccolpo economico dei dazi d'assalto in stile "Shock and Awe" destinato a frammentare i BRICS, nel loro insieme sono la minaccia più diretta alla base MAGA di Trump. Sta diventando una minaccia alla sua stessa esistenza. Epstein, il massacro di Gaza, la minaccia di "un'altra guerra" e la preoccupazione per il lavoro stanno sconvolgendo non solo la base MAGA, ma più in generale i giovani elettori ameriKKKani. Si chiedono se Trump sia ancora "uno di loro" o se sia sempre stato con "quegli altri".
Senza la base alle sue spalle, Trump rischia di perdere le elezioni di medio termine per il Congresso. I donatori straricchi possono anche pagare, ma non possono sostituire quella base.
Ciò che è emerso da Anchorage è quindi uno stato di cose che dal punto di vista intellettuale è piuttosto scarso. Trump ha deciso come minimo di non ostacolare più la Russia e il suo imporre una soluzione in Ucraina. Soluzione che è, in ogni caso, l'unica possibile.
Questo stato di cose non segna l'inizio di un percorso verso una sistemazione definitiva del problema. Sarebbe stato quindi un pio desiderio, come sottolinea Aurelien, aspettarsi che Trump e Putin avrebbero "negoziato" la fine della guerra in Ucraina, "come se Putin avesse tirato fuori un appunto dalla tasca e i due ne avessero poi discusso". Trump comunque non si muove bene quando si tratta di dettagli ed è solito divagare in modo discorsivo e inconcludente.
Man mano che ci avviciniamo alla fase finale, le iniziative importanti si svolgono altrove e gran parte di esse saranno nascoste alla vista del pubblico. Le linee generali dell'esito militare della crisi ucraina sono visibili da tempo, anche se i dettagli potrebbero ancora cambiare. Al contrario, la fase finale sotto il profilo politico, estremamente complessa, è appena iniziata. I giocatori non sono sicuri delle regole, nessuno sa con certezza quanti giocatori ci siano e il risultato è al momento poco chiaro,
sostiene Aurelien.
Allora perché Trump ha improvvisamente cambiato rotta? Beh, non è stato perché è incappato in una specie di fulminazione sulla via di Damasco. Trump rimane un convinto sostenitore di una politica che mette in tutto e per tutto al primo posto lo stato sionista; in secondo luogo, non può rinunciare alla sua ricerca dell'egemonia del dollaro perché anche questo obiettivo sta diventando problematico, dato che la bolla economica statunitense sta cominciando a sgonfiarsi, e i giovani sotto i trent'anni cominciano ad agitarsi, laggiù nelle cantine dei loro genitori.
È vantaggioso per Trump (per ora) lasciare che la Russia "porti" con la forza la UE e Zelensky verso una "pace negoziata". Negli Stati Uniti i fautori dell'intransigenza contro la Repubblica Popolare Cinese stanno mettendo su l'opinione pubblica in modo sempre più determinato, sostenendo che la Cina sia vicina a un decollo esponenziale -sia dal punto di vista economico che tecnologico- dopo il quale gli Stati Uniti perderanno la loro capacità di contenerne la supremazia globale. Probabilmente, va detto, è già troppo tardi per fermare questo processo.
Anche Putin sta correndo un grosso rischio nell'offrire a Trump una via d'uscita, accettando di lavorare per un rapporto stabile a lungo termine con gli Stati Uniti. Non si tratta della Finlandia del 1944, dove fu l'esercito sovietico a imporre un armistizio.
In Europa, le élite ritengono che la mano tesa di Trump verso Putin non porterà ad alcun risultato. Il loro piano è quello di assicurarsi che Trump fallisca assecondandolo e garantendo al contempo, tramite le loro condizioni, che tale accordo non si concretizzi. In questo modo dimostreranno a Trump che "Putin non è seriamente intenzionato a porre fine alla guerra". Spingendo così gli Stati Uniti a un'escalation.
La parte dell'accordo con Putin che Trump è chiamato a svolgere è chiaramente quella di farsi carico della gestione delle classi dirigenti europee (soprattutto inondando il mondo dell'informazione con dicerie contraddittorie) e di mettere la sordina ai falchi statunitensi (fingendo di corteggiare la Russia per allontanarla dalla Cina). Davvero? Sì, davvero.
Anche Putin deve affrontare pressioni interne, da parte di russi convinti che alla fine sarà costretto ad accettare una sorta di accordo provvisorio tipo Minsk 3 -una serie di cessate il fuoco limitati che non farebbero altro che esacerbare il conflitto- piuttosto che arrivare a una vittoria totale. Alcuni russi temono che il sangue versato finora possa rivelarsi solo l'anticipo di quanto ne dovranno versare nei prossimi anni, quando l'Occidente si sarà riarmato.
Putin deve anche affrontare l'ostacolo rappresentato dallo stesso Trump, che vede il suo rapporto con lui attraverso la ottusa ottica del mercato immobiliare newyorkese. Trump sembra ancora non capire che la questione chiave non è tanto quella dei territori ucraini, quanto quella della sicurezza geostrategica. Trump è entusiasta davanti alla prospettiva di un vertice trilaterale, e il suo entusiasmo sembra che si fondi sull'immagine di due magnati dell'immobiliare che giocano a Monopoli e si scambiano proprietà. Ma le cose non stanno così.
Sembra tuttavia che Putin sia effettivamente riuscito a trovare una via d'uscita dal cordone sanitario impostogli dall'Occidente. La Russia è nuovamente riconosciuta una grande potenza e la questione dell'Ucraina sarà risolta sul campo di battaglia. Le due grandi potenze nucleari stanno dialogando. Questo è importante di per sé. Trump riuscirà a offrire alla sua base elettorale le garanzie che essa richiede? La fine della partita in Ucraina, se mai ci si dovesse arrivare, sarà sufficiente per i MAGA? La furia genocida di Netanyahu a Gaza farà saltare la copertura che i MAGA forniscono a Trump? Molto probabilmente sì.

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