giovedì 30 gennaio 2025

Firenze. Guglielmo Mossuto della Lega difende a spada tratta il patrimonio arboricolo cittadino


Firenze. Animo squisito, Guglielmo Mossuto della Lega si dispera se si abbattono gli alberi.


Dal 2019 al 2024 la Lega a Firenze ha avuto in agenda solo la distruzione dei centri sociali cittadini e la diffusione di propaganda.
Dal 2019 al 2024 la Lega a Firenze è passata da 25.923 a 8.695 voti e da sei consiglieri a uno.
L'impegno premia sempre.
Dal giugno 2024 il consigliere eletto per la Lega è Guglielmo Mossuto, in questa sede già deriso più volte per il suo abbondante ricorrere al punto esclamativo nelle comunicazioni affidate all'ufficio stampa del Comune.
Nel gennaio 2025 sono iniziati i lavori per la realizzazione di una terza linea della tramvia fiorentina. Un sistema di trasporto pubblico cui gli "occidentalisti" fiorentini riservano invettive costanti anche quando il principio di realtà consiglierebbe altrimenti. Guglielmo Mossuto si è espresso quindi con veemenza a tutela del patrimonio arboricolo cittadino, pretendendo anche di dettare l'agenda agli avversari politici, secondo un vezzo ricorrente tra gli "occidentalisti" di varia appartenenza, calibro, peso e sovrappeso.
Il suo "partito", come tutti sanno, ha inveito per decenni contro lo stato che occupa la penisola italiana e per altrettanto tempo ha detto di volerlo smembrare. Poi si è limitato a occuparvi ogni carica possibile purché ben retribuita. Nel corso degli anni si è espresso senza riserve a favore di opere pubbliche di alto impatto ambientale e a volte anche di dubbia utilità, dall'ampliamento dell'aeroporto di Peretola alla linea ad alta velocità tra Torino e Lione fino al doppione autostradale Brescia-Bergamo-Milano che per quanto è dato di sapere pare il paradigma degli affari privati fatti con i soldi pubblici. Affari riusciti neanche tanto bene a quanto sembra. Il risultato a bilancio di quella A35, che in quanto impresa privata (per modo di dire) avrebbe dovuto essere per postulato un paradigma di razionalità e di efficienza, era nel 2018 di € -37.183.065, nel 2019 di € -49.133.190, nel 2020 di € -95.758.771, nel 2021 di € -66.078.240 e nel 2022 di € -40.013.526. Nel 2025 la Lega sta impiegando grossa parte della sua forza propagandistica per imporre a Roma l'approvazione di severissime misure contro le manifestazioni di piazza e l'attivismo politico, segnatamente contro ogni iniziativa che contesti l'assennatezza di certe condotte. Difficile pensare che sia un caso.
E se c'è da saturare i media, vanno benissimo anche gli esclamativi di Guglielmo Mossuto.

mercoledì 29 gennaio 2025

Alastair Crooke - Cosa intende fare Trump, vuole arrivare ai ferri corti con la Russia oppure no?



Traduazione da Strategic Culture, 28 gennaio 2025.

La retorica di Trump sulla Russia che avrebbe perso un milione di uomini nel conflitto ucraino non è soltanto assurda (il numero reale non raggiunge nemmeno i centomila): il fatto che abbia tirato fuori roba del genere evidenzia come la consueta giustificazione per cui Trump sarebbe solo malaccortamente disinformato sembri sempre meno plausibile.
Dopo aver parlato di un milione di morti russi, Trump asserisce che Putin sta distruggendo la Russia perché non si risolve ad accordarsi. Aggiungendo (apparentemente a margine) che Putin potrebbe aver già deciso di "non arrivare ad un accordo".
Trump poi nota, in un modo che denoterebbe una curiosa mancanza di interesse, che i negoziati dipendono interamente dal fatto che Putin ne sia interessato o meno. Scrive anche che l'economia russa è alla rovina e, soprattutto, afferma che prenderebbe in considerazione sanzioni o dazi doganali contro la Russia se Putin non accettasse di trattare. In un successivo post su Truth Social, Trump scrive: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Si tratta, siamo chiari, di una narrazione di tutt'altro ordine. Non sono più le parole del suo inviato Kellogg o di un altro membro della sua amministrazione; sono le parole di Trump stesso, in qualità di Presidente. Trump risponde alla domanda di un giornalista: "Sanzionerebbe la Russia" se Putin non venisse al tavolo dei negoziati? E la risposta è "Sembra probabile".
Potremmo chiederci quale sia la strategia di Trump. Sembra piuttosto che sia lui, a prepararsi all'eventualità che i negoziati vadano male. Del fatto che Putin ha ripetutamente dichiarato di essere interessato e disponibile a trattare deve essere a conoscenza per forza. Su questo non ci sono dubbi.
Tuttavia Trump smentisce i toni con cui ci si rivolge ai perdenti tornando a quanto pare sul discorso: "Voglio dire... è un meccanismo grande, quindi alla fine le cose si sistemeranno...".
Qui sembra dire che il "grande meccanismo" russo alla fine vincerà. La Russia sarà un vincitore, e non un perdente.
Forse Trump sta pensando semplicemente di lasciare che le dinamiche della prova di forza in atto sul piano militare arrivino al loro esito. Se il suo pensiero è questo non può esplicitarlo con chiarezza, perché le élite europee sprofonderebbero ancora di più in una spirale patologica.
Se poi Trump fosse seriamente intenzionato ad arrivare a negoziati costruttivi con Putin, non è certo un bell'esordio quello di mostrarsi profondamente irrispettoso nei confronti del popolo russo dando a intendere che i russi e il Presidente Putin altro non sarebbero che dei "perdenti" che hanno un disperato bisogno di trattare; la verità è che è stato Trump, in precedenza, a parlare di arrivare ad un accordo entro ventiquattro ore. La sua mancanza di rispetto non sarà apprezzata: non solo da Putin, ma anche dalla maggior parte dei russi.
Trattare i russi da perdenti non otterrà altro scopo che quello di irrigidire l'atteggiamento di quanti in Russia si oppongono a un compromesso sull'Ucraina.
Il livello della cosa è che la Russia, in ogni caso, rifiuta collettivamente l'idea di qualsiasi compromesso che "si riduca a congelare il conflitto lungo la linea di ingaggio, perché questo darebbe tempo per riarmare i resti dell'esercito ucraino per poi iniziare un nuovo ciclo di ostilità. A quel punto dovremmo combattere di nuovo, ma questa volta da posizioni politiche meno vantaggiose", ha osservato il professor Sergei Karaganov. Inoltre, "l'amministrazione Trump non ha motivo di negoziare con noi alle condizioni che noi [la Russia] abbiamo stabilito. La guerra è economicamente vantaggiosa per gli Stati Uniti... e [forse] anche per togliere alla Russia il suo ruolo di potente sostegno strategico del principale concorrente degli USA, che è la Cina".
Il professor Dmitri Trenin prevede allo stesso modo che
Il tentativo di Trump di arrivare in Ucraina a un cessate il fuoco lungo le linee del fronte fallirà. Il piano statunitense ignora le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e non tiene conto delle cause profonde del conflitto. Nel frattempo, le condizioni di Mosca rimarranno inaccettabili per Washington, poiché significherebbero di fatto la capitolazione di Kiev e la sconfitta strategica dell'Occidente. In risposta Trump imporrà ulteriori sanzioni a Mosca. Nonostante la forte retorica antirussa, gli aiuti statunitensi all'Ucraina diminuiranno e gran parte di quest'onere finirà spostato sui Paesi dell'Europa occidentale.
Allora perché considerare la Russia come uno spregevole perdente, a meno che questo non faccia parte della strategia di Trump per chiudere la questione ucraina? La costruzione di una narrazione in cui gli USA sono vincitori senza mezzi termini pare irrealizzabile; allora perché non invertirne i termini? A ostacolare il missione compiuta è solo l'atteggiamento da sconfitti della Russia.
Questo porta inevitabilmente a chiedersi quale sia precisamente il significato del ritorno alla Casa Bianca del "più famoso imputato penale d'AmeriKKKa" e della sua promessa di una "rivoluzione del buon senso".
"Non c'è dubbio che sia rivoluzionario", sostiene Matt Taibbi:
Trump ha galvanizzato il risentimento [che nasce dalla cattiva distribuzione del reddito], mettendo in piedi una versione politica della marcia di Sherman che ha lasciato in fiamme le istituzioni statunitensi. La grande stampa è morta. Il Partito Democratico è a rischio di scissione. Gli ambienti accademici stanno per buttar giù una dose da cavallo di pillole amare, e dopo gli ordini esecutivi firmati lunedì un sacco di responsabili dei programmi per la diversità, l'equità e l'inclusione dovranno imparare a scrivere codice" [cioè, si ritroveranno disoccupati].
 Sì, osserva Taibbi,
mi manda in bestia vedere una serqua da galera di amministratori delegati su cui ci sarebbe parecchio da ridire (in particolare Bezos, Pinchai e il ripugnante Cook) seduti di fronte a Trump, insieme ad altri pezzi grossi di Wall Street... tuttavia, se l'accordo è stato quello per cui il sostegno a Trump avrebbe loro restituito piattaforme che tornano a essere meri e ottusi strumenti di profitto, credo che rimpiangerò la banda che c'era prima. Lo Wall Street Journal è stato probabilmente il più vicino a catturare l'essenza di questa considerazione dell'evento con il titolo in prima pagina di ieri: "La nuova oligarchia è quella vecchia, ma se la passa molto meglio".
Per molti russi, tuttavia, l'impressione lasciata dal discorso in cui Trump li ha trattati da perdenti è che non cambierà nulla: l'idea di infliggere una qualche sconfitta strategica alla Russia è stata una pietra miliare della politica statunitense per così tanto tempo che ha finito per trascendere la linea politica dei partiti e viene perseguita in ogni caso, indipendentemente dall'amministrazione che occupa la Casa Bianca. Oggi avrebbe ripreso nuovo vigore: come avverte Nikolai Patrushev, Mosca si aspetta che Washington fomenti apposta i dissidi tra Russia e Cina.
Steve Bannon tuttavia, con il suo solito linguaggio forbito, spiega in qualche modo la stranezza di questo Trump rivoluzionario e della sua deludente "retorica buona per i perdenti".
Bannon avverte che l'Ucraina rischia di diventare "il Vietnam di Trump", se Trump non riuscirà a imprimere una netta svolta agli eventi e si lascerà risucchiare ancora di più dalla guerra. "È quello che è successo a Richard Nixon. Finì per impadronirsi delle operazioni e quella divenne la sua guerra, non quella di Lyndon Johnson", ha osservato Bannon.
Bannon "sostiene la necessità di porre fine agli importantissimi aiuti militari statunitensi a Kiev, ma teme che il suo vecchio capo cada nella trappola tesa da un'improbabile alleanza tra l'industria della difesa statunitense, gli europei e persino alcuni amici dello stesso Bannon, che secondo lui sarebbero adesso mal consigliati".
In una chiamata su Zoom con Alex Krainer Bannon ha trovato conferma alla premessa dei suoi ragionamenti. Trump e i suoi sarebbero passati all'offensiva fin dal primo giorno di mandato: "I giorni del tuono iniziano lunedì". Bannon non parlava però di un'offensiva di Trump contro i cinesi, gli iraniani o i russi. Trump e la sua squadra si stanno preparando ad affrontare loro.
Loro, nelle parole di Bannon, "sono le persone che controllano l'impero più potente del mondo; elezioni o non elezioni, democrazia o non democrazia, non rinunceranno spontaneamente ai loro privilegi e alle loro prerogative: si andrà allo scontro".
Sì, la guerra quella vera è quella sul piano interno, non quella contro la Russia, la Cina o l'Iran, che potrebbe magari diventare un diversivo rispetto allo scontro sostanziale.
Cercando un paragone, se l'obiettivo di Trump fosse davvero quello di arrivare a negoziare un compromesso sull'Ucraina, dobbiamo contrapporre alla sua retorica infarcita di supponenza quella del tentativo di John F. Kennedy, cinquantanove anni fa, di rompere il ciclo di antipatia reciproca che aveva congelato le relazioni tra Est e Ovest dopo il 1945. Colpito dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962, Kennedy voleva infrangere un paradigma sclerotizzato. Kennedy -come Trump- cercava di "porre fine alle guerre" e di essere ricordato dalla storia come un "costruttore di pace".
In un discorso alla American University di Washington il 10 giugno 1963, JFK i russi li elogiò. Parlò dei loro successi nelle scienze, nelle arti e nell'industria e rese omaggio ai loro sacrifici nella Seconda Guerra Mondiale, che era costata venticinque milioni di persone, un terzo del loro territorio e due terzi della loro economia.
Non fu un mero esercizio di retorica. Kennedy propose il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari, il primo degli accordi sul controllo degli armamenti degli anni Sessanta e Settanta. L'avvisaglia dell'avvio di un taglio netto -ispirato da Bannon- ci sarebbe anche, come nota Larry Johnson: "Il Pentagono avrebbe licenziato o sospeso tutto il personale direttamente responsabile della gestione dell'assistenza militare all'Ucraina. Tutti quanti dovranno affrontare un'indagine sull'uso dei fondi provenienti dal bilancio statunitense".
 Laura Cooper, vicesegretario del Pentagono per la Russia, l'Ucraina e l'Eurasia, ha già rassegnato le dimissioni segnando l'inizio di quello che alcuni vedono come una svolta strategica. Cooper era una figura chiave nella supervisione di aiuti militari all'Ucraina che assommavano a centoventisei miliardi di dollari. La sua dipartita, unita a quello che sembra essere un repulisti dello staff del Pentagono dedicato allo sforzo bellico di Kiev, mette in dubbio che l'Ucraina possa continuare a godere del flusso di armi e finanziamenti statunitensi che riceveva sotto Biden.
La ristrutturazione getta anche un'ombra sul gruppo di contatto per la difesa dell'Ucraina, che sotto Lloyd Austin era arrivato a coalizzare nell'appoggio a Kiev una cinquantina di Paesi.
 Gli Stati Uniti avrebbero ritirato tutte le richieste ai contraenti per la logistica che passa da Rzeszow, da Costanza e da Varna. Nelle basi NATO in Europa, tutte le spedizioni verso l'Ucraina sono state sospese e interrotte. Questo rientra nell'ordine esecutivo di Trump che blocca l'assistenza globale degli Stati Uniti per novanta giorni, in attesa di una verifica e di un'analisi costi-benefici.
Nel frattempo, Mosca e la Cina si stanno debitamente preparando alla prospettiva di un più intenso impegno diplomatico con l'attuale Presidente Trump. Xi e Putin hanno tenuto una videochiamata di novantacinque minuti poche ore dopo l'improvvisata conferenza stampa di Trump nello Studio Ovale. Xi ha fornito a Putin i dettagli della sua conversazione con Trump, che non era stata programmata per coincidere con l'insediamento di Trump ma era stata in origine decisa per dicembre.
Entrambi i leader sembrano inviare a Trump un messaggio condiviso: l'alleanza tra Cina e Russia non è provvisoria. I due Paesi sono uniti nella causa comune rappresentata dalla collaborazione nella tutela dei rispettivi interessi nazionali. Sono disposti a parlare con Trump e ad impegnarsi in negoziati seri. Tuttavia, rifiutano di farsi intimidire o minacciare.
Nikolai Patrushev, consigliere di Putin e membro del Consiglio di sicurezza russo, ha così ritratto il punto di vista russo su questa videochiamata tra i due leader: "Per l'amministrazione Biden, l'Ucraina era una priorità incondizionata. È chiaro che i rapporti fra tra Trump e Biden sono quelli tra due antagonisti. Pertanto, l'Ucraina non sarà tra le priorità di Trump. A lui interessa di più la Cina".
In particolare, Patrushev ha avvertito:
Penso che gli attriti fra Washington e Pechino si aggraveranno e che gli statunitensi li aggraveranno, anche di proposito. Per noi la Cina è stata e rimane il partner più importante, e alla Cina siamo legati da rapporti di cooperazione strategica privilegiata.
Per quanto riguarda la linea russa in relazione all'Ucraina, essa rimane invariata. Per noi è importante che l'Operazione Speciale assolva ai propri compiti, che sono quelli noti e che rimangono invariati. Credo che i negoziati sull'Ucraina debbano essere condotti tra Russia e Stati Uniti senza la partecipazione di altri Paesi occidentali.
Voglio sottolineare ancora una volta che il popolo ucraino ci è ancora vicino, fraterno e legato da vincoli secolari con la Russia per quanto i propagandisti di Kiev ossessionati dalla "ucrainità" sostengano il contrario. Quello che accade in Ucraina ci riguarda. È particolarmente inquietante [quindi] che la violenta imposizione dell'ideologia neonazista e una russofobia rabbiosa distruggano le città un tempo prospere dell'Ucraina tra cui Charkiv, Odessa, Nikolaev e Dnipropetrovsk.
È possibile che nel prossimo anno l'Ucraina cessi del tutto di esistere.

martedì 28 gennaio 2025

L'architetto Lucia Cardamone si scopre inclusivo



Firenze. Lucia Cardamone fa l'architetto, non il principiante di violino, il punkabbestia o l'affumicatrice di aringhe. Il motivo per cui nessuno dall'ormai lontano 2016 la vuole fra i piedi come inquilino o come vicino di casa -costringendola a chissà quale precaria sistemazione e a una continua ricerca porta a porta come i piazzisti delle barzellette- resta quindi poco comprensibile.

Ad ogni modo, ecco un nuovo riepilogo delle sue suppliche.

Nel 2016,

Gentile Proprietario sono interessata all'immobile in vendita nel suo stabile!
Se fosse il suo mi chiami:
Architetto Cardamone Lucia
3913934355

nel 2017,

Cerco Appartamento
in vendita
Anche da Ristrutturare
Mi contatti
Arch Cardamone
3913934355

Nel 2024,

Cerco una casa
in vendita
Arch. Cardamone
3913934355


Nel 2025,

Gentile proprietario/a
sono interessata al suo
immobile in vendita
mi chiami per favore
- 3913934355
Cardamone

Questa volta l'architetto Cardamone diventa inclusivo, proprio come inclusiva è la Firenze dei tramezzi in cartongesso e delle serrature a pulsantiera: toglie il titolo professionale e mette un proprietarioslasha. La certezza che chiunque prenda in mano un suo foglietto disponga di un immobile in vendita e sia ansiosissimo di concludere transazioni con lei resta invece la stessa. Anzi, si consolida persino.

lunedì 27 gennaio 2025

Su una autobiografia di Ali Khamenei, Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran


Alla fine del 2024 un piccolo editore lucchese ha pubblicato la traduzione di una autobiografia di Ali Khamenei, dal 1989 guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran.
In condizioni normali un libro del genere non avrebbe attirato l'attenzione di nessuno al di fuori di qualche centinaio di appassionati, e si tratta di una stima molto generosa. La "libera informazione" ha invece statuito che l'iniziativa travalicava i limiti della liceità democratica e l'ha stigmatizzata nella sua interezza con particolare riferimento una presentazione del libro tenuta da una minuscola associazione romana, contro la quale sarebbero stati annunciati anche picchettaggi e manifestazioni.
Il fatto che a levare i più alti lai fosse un foglietto infarcito di sionisti di complemento, di yankee di rincalzo e di "occidentalisti" di vario sovrappeso che dal 1997 fa letteralmente il liberista con i soldi pubblici ci è sembrato sufficiente ad occuparci del libro il più approfonditamente possibile come abbiamo fatto e come continueremo a fare in altri casi analoghi. Se certi signori denigrano qualcosa, la persona seria può adottare l'atteggiamento esattamente opposto fidando di avere buone probabilità di trovarsi nel giusto.
Abbiamo dunque ordinato l'autobiografia ricevendola con diversi giorni di ritardo sul preventivato; chissà che la richiesta non sia stata superiore alle attese, grazie a una pubblicità pur non desiderata.
Il libro non contiene rivelazioni sconvolgenti o dettagli inediti. A contrariare i ben vestiti del sionismo gazzettiero -ammesso e non concesso che il libro si siano degnati di leggerlo- possono essere stati la pessima considerazione che Ruhullah Musavi Khomeini aveva dello stato sionista e quella -venata tuttavia della pietà sarcastica che si riserva ai servi mediocri- che Khamenei aveva della polizia politica dello Shah, che lo stesso stato sionista supervisionava e addestrava. Comprensibilmente, chi si occupa (per lo più non gratis) dell'autonominata "unica democrazia del Medio Oriente" e dell'ancor più autonominato "esercito più etico del mondo" non apprezza troppo.
Vale la pena ricordare che l'Autore fa più volte riferimento ai Mujaheddin e-Khalq, i Mujaheddin del Popolo, ricordando l'ondata di attentati con cui nel 1981 essi avrebbero letteralmente decapitato i vertici della Repubblica Islamica già molto duramente impegnata nella Guerra Imposta dall'Iraq. Lo stesso Khamenei ne rimase vittima, uscendone gravemente invalido. A non apprezzare troppo in questo caso potrebbero essere i cantori di una "dissidenza" che si vorrebbe compendiata di giovani donne tartassate e incarcerate.
Giovani donne che persino gli agenti della repressione avrebbero ogni cura di scegliere con criteri rispettosissimi dell'appetibilità mediatica.
Simili incisi sono piuttosto utili quando si ha a che fare con le gazzette "occidentaliste" perché il loro registro linguistico utilizza in modo estremamente generoso il vocabolo terrorista, finendo normalmente con includere nel suo significato chiunque non procuri un reddito a loro o ai loro padroni. In questa sede invece non si accorda all'Occidente, e men che meno ai suoi apologeti col ristorante in nota spese, alcuna superiorità etica. E si considera un piacevole dovere schernire una "libera informazione" per cui gli scontri di piazza e peggio vanno benissimo quando sono a Tehran, e al tempo stesso plaude alla tecnologia che nelle strade di Firenze consente di sanzionare il minimo segno di dissenso senza che la gendarmeria debba neppure scomodarsi di persona.

mercoledì 22 gennaio 2025

Alastair Crooke - La crisi della competenza che sta dilagando in Occidente



L'esperto di studi strategici e saggista francese Aurelien ha scritto un articolo intitolato La strana sconfitta. La stranezza sarebbe data dalla curiosa incapacità dell'Europa di capire come stiano le cose in Ucraina o le sue dinamiche militari. Aurelien sottolinea la strana mancanza di realismo con cui l'Occidente ha affrontato la crisi
...e la dissociazione quasi patologica dal mondo reale che traspare da parole e iniziative. Eppure, anche se la situazione non fa che peggiorare e le forze russe avanzano ovunque, non c'è alcun segno che l'Occidente abbia incrementato il suo ricorso al principio di realtà nel farsi un concetto della questione; è molto probabile che continuerà a vivere nella sua realtà alternativa finché non dovrà per forza farne a meno.
Lo scrittore prosegue con alcuni dettagli (qui omessi) per spiegare perché la NATO non ha una strategia per l'Ucraina e non ha un vero piano operativo:
Ha intrapreso solo una serie di iniziative ad hoc, collegate da vaghe aspirazioni che non hanno alcun legame con la vita reale e dalla speranza che 'succeda qualcosa [di positivo]. I nostri leader politici nell'Occidente di oggi non hanno mai dovuto sviluppare competenze del genere. Ma in realtà è anche peggio: non avendo sviluppato di queste competenze e non avendo consiglieri che ci abbiano pensato al posto loro, non possono davvero capire cosa fanno i russi, come e perché lo fanno. I leader occidentali sono come spettatori che non conoscano le regole degli scacchi o del go, e cerchino di capire chi sta vincendo. Qual era esattamente il loro obiettivo? Ora non sono più ammesse risposte come "mandare un messaggio a Putin", "complicare la logistica russa" o "migliorare il morale in patria". Quello che voglio sapere è cosa ci si aspetta in termini concreti. Quali sono stati i risultati concreti della loro messaggistica? Possono garantire che i messaggi saranno compresi? Avranno previsto le possibili reazioni dei russi? Che faranno a quel punto?
Il problema essenziale, conclude Aurelien, è che
La classe politica e i suoi manutengoli non hanno idea di come affrontare queste crisi, e nemmeno di come fare a capirle. La guerra in Ucraina coinvolge forze il cui ordine di grandezza è superiore a quello che una qualsiasi nazione occidentale abbia schierato in operazioni dal 1945... Invece di veri obiettivi strategici, hanno solo slogan e proposte velleitarie.
In parole povere, l'autore spiega che per complesse ragioni legate alla natura della modernità occidentale le élite liberali non sono competenti o professionali in materia di sicurezza, semplicemente. E non comprendono la natura della questione.
Il critico culturale statunitense Walter Kirn fa affermazioni simili riguardo ad un contesto molto diverso e tuttavia correlato in California Fires and America's Competency Crisis, Gli incendi in California e la crisi di competenza dell'AmeriKKKa.
Los Angeles è in fiamme, eppure i leader californiani sembrano impotenti; questo rivela che per una generazione sono stati fatti investimenti pubblici in servizi non essenziali [lasciando le autorità in difficoltà di fronte al verificarsi degli incendi, che era comunque qualcosa di previsto].
All'inizio del mese, in un podcast di Joe Rogan, un vigile del fuoco ha detto: "Col vento giusto un incendio che inizierà nel posto giusto divamperà attraverso Los Angeles fino all'oceano, e noialtri su questo non possiamo farci un accidente".
Kirn osserva:
Questo non è il primo incendio o la prima serie di incendi a Malibu. Anche pochi anni fa ci sono stati grandi incendi. Ce ne sono sempre stati. Sono inevitabili. Ma visto che è stata costruita questa città gigantesca in luoghi tanto vulnerabili, provvedimenti che possono essere adottati per contenere e prevenire il peggio esistono.
Dare la colpa al cambiamento climatico, come ho detto, va benissimo se c'è da farsi una ragione di quello che succede. Ma niente di tutto questo è cominciato ieri. Io rilevo soltanto una cosa; è stato fatto tutto il possibile per prepararsi a una situazione inevitabile, che non è possibile scongiurare e che rispetto ai casi analoghi in passato è diversa forse per la portata, ma non certo nel tipo? I responsabili sono all'altezza del loro compito? Non sono molti i segnali a loro favore. Non sono stati in grado di affrontare problemi come i senzatetto, anche quando incendi non ce n'erano. Chiedersi quindi se si è pensato a tutto, se si è fatto tutto bene, se agli idranti arrivava abbastanza acqua, se gli idranti funzionavano proprio, cose del genere, se i vigili del fuoco erano adeguatamente addestrati o dotati di personale adeguato, sono tutte domande che verranno fuori.
Per quanto riguarda la questione della competenza, penso che ci sarà molto materiale per arrivare a concludere come l'accaduto sia stato aggravato dall'incompetenza. La California è uno Stato noto per aver speso un sacco di soldi in cose che non funzionano, in linee ferroviarie ad alta velocità che poi non vengono mai costruite, in progetti di costruzioni e di infrastrutture di ogni genere che poi non vengono mai realizzati. E in questo contesto, penso che l'accaduto sarà devastante per l'architettura del potere in California.
In un senso più ampio, però, quanto successo ricorderà alla gente che una politica che da anni si basa sul linguaggio e su costrutti filosofici come l'inclusività e così via, sarà percepita come fallimentare in uno dei suoi compiti essenziali, quello di proteggere le persone. E il fatto che queste persone siano potenti, influenti e privilegiate farà sì che questo avvenga più rapidamente e in modo più rimarchevole.
Al che il suo collega, il giornalista Matt Taibbi, risponde:
Tornando a termini generali, abbiamo una crisi di competenza in questo Paese. Una crisi che ha avuto un impatto enorme sulla politica ameriKKKana.
E Kirn:
Penso che i cittadini si preoccuperanno meno delle questioni filosofiche e/o politiche di ampia portata, dell'inclusività e così via, e che si aspetteranno invece che i disastri naturali vengano affrontati con un minimo di competenza. In altre parole, questo è un momento in cui le priorità stanno cambiando e credo che sia in arrivo un grande cambiamento, un grande, grande cambiamento, perché sembra che abbiamo affrontato questioni voluttuarie, e certamente abbiamo affrontato i problemi di altri Paesi, l'Ucraina o chiunque altro, stanziando finanziamenti massicci. In questo momento ci sono persone in North Carolina che stanno ancora riparando i danni di un'alluvione e stanno vivendo un momento molto difficile con l'arrivo dell'inverno. E l'inverno a Los Angeles non è proprio lo stesso, o comunque non diventa parimenti rigido, credo.
Quindi, guardando al futuro, non è una questione di colpe, ma di cosa vorrà la gente, di cosa apprezzerà, di cosa considererà meglio. Le priorità cambieranno? Penso che cambieranno parecchio. Los Angeles sarà una pietra di paragone per rapportarsi in un modo diverso alla questione della cosa pubblica.
Insomma, possiamo toccare con mano questo scollegamento dalla realtà e una conseguente crisi di competenza sia in California che in Ucraina o in Europa. Dove affondano le radici di questo malessere? Lo scrittore statunitense David Samuels ritiene che la risposta sia questa:
Nei suoi ultimi giorni di mandato... il presidente Barack Obama ha preso la decisione di imporre un nuovo corso al Paese. Il 23 dicembre 2016 ha firmato il Countering Foreign Propaganda and Disinformation Act, che usava l'armamentario linguistico della difesa della patria in nome di una guerra dell'informazione offensiva e a tempo indeterminato. Una guerra che fondeva le infrastrutture della sicurezza con le piattaforme dei social media, laddove si supponeva si combattesse questa guerra.
Tuttavia, il crollo della piramide mediatica del XX secolo e la sua rapida sostituzione con dei social media che sono delle piattaforme monopolistiche hanno reso possibile alla Casa Bianca di Obama vendere la propria politica -e riconfigurare gli atteggiamenti e i pregiudizi sociali- secondo modalità completamente nuove.
Durante gli anni di Trump, Obama ha usato gli strumenti dell'era digitale per crearsi un centro di potere del tutto nuovo. Un centro di potere fondato sulla sua posizione unica di capo del Partito Democratico, anche se non è mai stato nominato per tale carica. Un Partito Democratico che è riuscito a rimodellare a sua immagine e somiglianza, scrive Samuels.
La macchina dell'avallo sociale che Barack Obama e David Axelrod (un consulente politico di Chicago molto affermato) hanno costruito per sostituire il Partito Democratico era, nella sua essenza, un dispositivo per indurre le persone ad agire contro le loro stesse convinzioni facendogliele sostituire con altre, nuove e "migliori", tramite l'applicazione controllata dall'alto verso il basso della pressione sociale. Trasformando di fatto il costrutto di Axelrod in una "macchina per pensare onnipotente". Suggerisce Samuels:
L'espressione "camere a eco" descrive il processo con cui la Casa Bianca e la suo più ampio sottobosco di think tank e ONG hanno deliberatamente creato una classe completamente nuova di esperti che si accreditano reciprocamente sui social media per promuovere affermazioni che in precedenza sarebbero state considerate marginali o non credibili.
L'obiettivo era che un battaglione di assistenti, armati di computer portatili o di smartphone, facesse una bandiera dell'ultimo meme ispirato al partito, gli facesse eco immediatamente e lo ripetesse sulle piattaforme mediatiche dando l'impressione che una marea schiacciante di consenso stesse colmando. In questo modo le persone avevano l'impressione che esistesse l'avallo sociale e quindi un ampio consenso pubblico verso istanze che in precedenza non avrebbero mai sostenuto.
Il punto in cui questa analisi ha fallito è proprio lo stesso in cui il gruppo di lavoro di Obama ha fallito l'analisi del fenomeno Trump: i maghi della macchina per l'avallo sociale sono diventati prigionieri della stessa macchina che hanno costruito. Il risultato è stato un mondo di specchi in rapido movimento, in grado di generare la velocità necessaria per cambiare l'aspetto di "ciò che la gente crede" letteralmente da un giorno all'altro. La variante digitale dell'"opinione pubblica", appena fabbricata, veniva radicata negli algoritmi che determinano la diffusione delle mode sui social media, in cui la massa moltiplicata per la velocità equivale al momento, laddove la velocità è la variabile chiave. Nei quattro anni successivi è stato come se si stesse diffondendo una febbre da cui nessuno era immune. Coniugi, figli, colleghi e superiori al lavoro iniziavano a scandire con la convinzione di veri credenti slogan che avevano imparato solo una settimana prima. Era l'insieme di questo apparato, non solo la capacità di creare tweet intelligenti o d'impatto, a costituire la nuova forma di potere del partito. Alla fine, però, il giocattolo si è rotto.
E la credibilità delle élite è implosa.
Il resoconto di Samuels è un crudo avvertimento sui pericoli che sorgono dal divario tra la realtà vera e propria e una realtà inventata che però potrebbe essere trasmessa e gestita con successo dalla Casa Bianca. "Questa possibilità ha aperto le porte alla possibilità di un nuovo disastro su larga scala, tipo la guerra in Iraq", suggerisce Samuels. Che non cita specificamente l'Ucraina, anche se la cosa è implicita in tutto il suo argomentare. Sia la storia di Obama raccontata da David Samuels che quella sugli incendi in California raccontata da Walter Kirn rafforzano quanto Aurelien sostiene a proposito dell'Ucraina, sull'incompetenza militare europea e sulla mancanza di professionalità sul campo; si sta permettendo la formazione di un divario tra una narrazione artefatta e la realtà. "Il che", avverte Samuels, "significa che avendo abbastanza denaro a disposizione gli operatori potrebbero creare e rendere operative reti di 'attivisti' e di 'esperti' che si rafforzano a vicenda nel presentare come valido un arco di messaggi che manderebbe in cortocircuito i metodi tradizionali di verifica e di analisi, e che indurrebbe attori inconsapevoli e membri del pubblico a credere che cose cui non avevano mai creduto o di cui non avevano mai sentito parlare prima siano in realtà non solo plausibili, ma già ampiamente accettate all'interno dei loro specifici gruppi di pari".
È la strada verso il disastro. Disastro che nel caso del conflitto in Ucraina significa il rischio di una catastrofe nucleare.
Una "crisi delle competenze" che si estende su terreni tanto vari finirà per innescare un ripensamento del tipo su cui insiste Walter Kirn, che è uno scrittore esperto di mutamenti culturali?

mercoledì 15 gennaio 2025

Alastair Crooke - Trump, l'Iran e il piano strategico di Obama


traduzione da Strategic Culture, 13 gennaio 2025.

 Come un antico orologio fracassato -con i suoi elaborati ingranaggi, le ruote dentate e le altre parti interne che fuoriescono dall'involucro- così è il Medio Oriente, con i suoi meccanismi esposti e rotti allo stesso modo. Tutta la regione è in gioco: Siria, Libano, Qatar, Giordania, Egitto, Iran.
L'originale piano strategico di Obama per arginare e bilanciare le energie potenzialmente violente dell'Asia occidentale venne passato all'entourage di Biden alla fine del mandato di Obama, e di Obama portava ancora con chiarezza lo imprimatur, fino a quando non è collassato dopo il 7 ottobre 2023.
Netanyahu ne ha deliberatamente distrutto i meccanismi: con iniziative di sfrenata distruzione Netanyahu ha fatto piazza pulita di uno status quo che vedeva come una camicia di forza con cui gli statunitensi avrebbero impedito alla Grande Israele di arrivare alla propria "Grande Vittoria". Netanyahu mal tollerava i vincoli degli USA anche se, mandando in pezzi tutto quanto, invece di liberare la Grande Israele potrebbe aver scatenato dinamiche che si riveleranno molto più minacciose, per esempio in Siria.
La pietra angolare dell'equilibrio regionale di Obama era descritta in una lettera segreta inviata alla Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran nel 2014 e in cui -come riporta il Wall Street Journal, Obama proponeva a Khamenei di agire congiuntamente in Iraq e Siria contro lo Stato Islamico che vi controllava territori. Questa iniziativa congiunta, tuttavia, era subordinata al raggiungimento da parte dell'Iran di un accordo nucleare con gli Stati Uniti.
La lettera riconosceva esplicitamente gli interessi dell'Iran in Siria; per alleviare le preoccupazioni dell'Iran sul futuro del suo stretto alleato, il Presidente al Assad, la lettera affermava che le operazioni militari degli Stati Uniti in Siria non erano rivolte contro il Presidente Assad o contro le sue forze di sicurezza.
L'intesa tra Obama e Khamanei, va notato, si estendeva implicitamente a Hezbollah, che si era unito all'Iran per combattere lo Stato Islamico in Siria:
Tra gli altri messaggi trasmessi a Teheran, secondo i funzionari statunitensi dell'epoca, c'era anche che le operazioni militari degli Stati Uniti in Iraq e Siria non miravano a indebolire Tehran o i suoi alleati.
Ovviamente, gli impegni presi da Obama nei confronti dell'Iran erano menzogne: Obama aveva già firmato nel 2012 (o anche prima) un mandato presidenziale segreto (cioè un ordine) perché i servizi statunitensi fornissero appoggio ai ribelli siriani nel loro tentativo di spodestare il Presidente Assad.
La lettera del 2014 stabiliva che se l'Iran avesse stretto un accordo sul nucleare i suoi interessi nella regione sarebbero stati rispettati e che avrebbero potuto estendersi anche al Libano, nel contesto di un'amministrazione congiunta internazionale (come esemplificato dalla mediazione dell'inviato statunitense Hochstein sui confini marittimi tra Libano e Siria).
Lo scopo di questo progetto molto complesso era una delle ossessioni fondanti di Obama: arrivare all'instaurazione di un proto-stato palestinese, sia pure sotto la forma di protettorato amministrato e sostenuto dalla comunità internazionale piuttosto che sotto la forma di Stato nazionale sovrano.
Perché Obama ha insistito su un assetto che era un tale anatema per la destra dello stato sionista e per i sostenitori ameriKKKani dello stato sionista? Sembra che (a ragione) diffidasse di Netanyahu e conoscesse bene la determinazione di quest'ultimo a impedire che uno Stato palestinese si concretizzasse.
Con questa iniziativa all'insegna dell'equilibrio tra potenze, Obama aveva cercato indirettamente di legare l'Iran e i suoi alleati al concetto di "Stato" palestinese come egli lo intendeva. Il tutto aveva lo scopo di porre sotto crescente pressione lo stato sionista, affinché acconsentisse alla sua instaurazione. Senza una intensa pressione sullo stato sionista era chiaro a Obama che uno Stato palestinese sarebbe rimasto lettera morta.
Netanyahu aveva già messo anche troppo in chiaro già negli anni Settanta che la sua intenzione era quella di assistere al completo svuotamento della presenza palestinese in Cisgiordania. La cosa era evidente nell'intervista che Netanyahu rilasciò allo scrittore Max Hastings, che stava scrivendo un libro su suo fratello.
Netanyahu non amava Obama, e ne diffidava tanto quanto Obama diffidava di lui.
Dopo il 7 ottobre 2023, con l'anello di fuoco rappresentato da sette fronti di guerra che si stringeva attorno allo stato sionista, Netanyahu ha deciso di rompere i vincoli della camicia di forza. E ci è riuscito.
Tuttavia, non è certo che la struttura finemente elaborata da Obama avrebbe mai funzionato. In ogni caso Netanyahu -sfidando apertamente la Casa Bianca- ha deciso di sbarazzarsi delle remore di Obama e di Biden e di distruggere l'intero progetto di Obama incentrato sull'Iran.
La logica della serie di devastazioni che lo stato sionista ha operato nella regione ha fatto pensare a Netanyahu, così come a molti nello stato sionista e tra gli statunitensi che fanno i sionisti di complemento, che l'Iran sia adesso "incredibilmente vulnerabile" -per dirla con il generale Jack Keane- a causa della perdita della Siria, che era lo snodo centrale dell'Asse della Resistenza.
Axios scrive:
Visti i recenti progressi dell'Iran in campo nucleare, il presidente eletto Trump dovrà prendere una decisione cruciale nei primi mesi del mandato: neutralizzare la minaccia [nucleare iraniana] attraverso negoziati e pressioni [crescenti], oppure ordinare un attacco militare. Diversi consiglieri di Trump ammettono in privato che il programma iraniano è ormai così avanzato che questa strategia [iniziale] potrebbe non essere più efficace. Ciò rende l'opzione militare una possibilità reale”. Il ministro sionista per gli Affari strategici Ron Dermer ha incontrato Trump a Mar-a-Lago in novembre. Dermer ha pensato che ci fossero grandi probabilità che Trump appoggiasse un attacco militare sionista contro le strutture nucleari iraniane -cosa che nello stato sionista stanno prendendo in seria considerazione- o che addirittura ordinasse un attacco statunitense. Nelle ultime settimane, alcuni consiglieri del Presidente Biden hanno sostenuto in privato la necessità di colpire i siti nucleari iraniani prima che Trump entri in carica, dato che l'Iran e i suoi alleati sono così gravemente indeboliti.
Solo che tutto questo potrebbe rivelarsi un pio desiderio. Il 7 gennaio 2025 Trump ha ripubblicato un video sulla piattaforma Truth Social in cui, con la partecipazione del professore della Columbia University Jeffrey Sachs, si parla degli sforzi con cui la CIA si sarebbe segretamente impegnata per destabilizzare il governo siriano e rovesciare Assad, dell'influenza di Netanyahu, del ruolo della lobby sionista nello spingere gli Stati Uniti verso la guerra in Iraq e dei continui tentativi di Netanyahu di coinvolgere gli stessi Stati Uniti in un potenziale conflitto con l'Iran. Sachs ha spiegato che le guerre in Iraq e in Siria sono state fabbricate da Netanyahu e che non hanno nulla a che fare con la "democrazia".
"Netanyahu sta ancora cercando di farci combattere contro l'Iran. È un autentico figlio di puttana, perché ci ha fatto cacciare in guerre senza fine", ha detto il professor Sachs nell'intervista ripubblicata.
Tuttavia, come osserva Barak Ravid, "nell'ambiente di Trump c'è anche chi pensa che cercherà di arrivare a un accordo prima di prendere in considerazione un attacco". A novembre, a chi gli chiedeva se c'era la possibilità di una guerra con l'Iran, Trump ha risposto: "Tutto può succedere, è una situazione molto volatile".
Cosa significa questo per l'Iran?
Essenzialmente, l'Iran ha due opzioni: In primo luogo, segnalare agli Stati Uniti la propria disponibilità a stipulare una sorta di nuovo accordo nucleare con l'esecutivo di Trump -un segnale che il suo Ministro degli Esteri ha peraltro già inviato- e poi attendere un successivo incontro Trump-Putin per rifondare una architettura di sicurezza globale postbellica e che sia coronato da successo. A partire da questo accordo globale a grandi linee, Tehran potrebbe sperare di negoziare un proprio accordo separato con gli Stati Uniti.
Naturalmente, questo sarebbe l'esito migliore.
Tuttavia, l'ambasciatore Chas Freeman ha affermato che, sebbene una pace equilibrata tra Stati Uniti e Russia sia (teoricamente) possibile, sarà "molto difficile" arrivarci. Ray McGovern ha aggiunto più volte che Trump è "abbastanza intelligente" da sapere di non avere grandi carte da giocare con la Russia nello spazio eurasiatico e che, da bravo realista, ha altri e più grandi obiettivi.
È per questo che Trump e Musk stanno rimestando in modo tanto rimarcato nel calderone della geopolitica: Canada, Groenlandia e Panama come parte degli Stati Uniti? Saranno anche chiacchiere da Trump, ma la Groenlandia e Canada insieme potrebbero cambiare l'equilibrio con la Russia: forse che Trump è intenzionato ad esercitare maggiore pressione sull'Artico, per minacciare i confini settentrionali della Russia? Dall'Artico, per dei missili diretti contro di essa, il volo sarebbe più breve.
Dall'altra parte, Musk ha scatenato un fuoco di fila in Europa con i suoi tweet e il suo invito a un livestream con Alice Weidel dell'AfD. La Germania è il cuore della NATO e dell'UE. Se la Germania si allontanasse dalla prospettiva di una guerra con la Russia andandosi a unire ad altri Paesi europei che hanno già cambiato orientamento, Trump potrebbe plausibilmente porre fine al considerevole onere economico che grava sull'economia statunitense rappresentato dal dispiegamento di truppe nell'UE. Come dice il colonnello Doug Macgregor, quante volte dobbiamo dire alla gente che "gli ameriKKKani non vivono in Europa: noi viviamo nell'emisfero occidentale!".
Musk ha effettivamente lanciato una bomba in favore della libertà di parola contro l'egemonia mediatica europea che controlla strettamente il discorso in tutto il continente e che obbedisce al deep state anglosassone.
Questo porterà all'accordo con la Russia e con la massa continentale asiatica che Trump sta cercando? Staremo a vedere.
L'opzione alternativa per l'Iran è più rischiosa, e dipende dalla valutazione dei servizi segreti iraniani sulla probabilità che lo stato sionista tenti un attacco preventivo: l'Iran ha cioè l'opzione di un'ulteriore "Operazione Vera Promessa" in cui però lo scopo non è più quello di fare deterrenza, come nelle versioni precedenti, ma -come spiega Shivan Mahendrarajah- quello di mettere in chiaro che una vittoria sionista è improbabile e dimostrare che un conflitto avrebbe costi inaccettabili, smontando così l'illusoria narrazione di uno stato sionista destinato immancabilmente a trionfare.
Nel 2003, come ha notato Mahendrarajah, l'Iran aveva proposto agli Stati Uniti un "grande accordo". L'amministrazione Bush lo rifiutò. Sarebbe possibile richiamarlo in vita non attraverso colloqui sul nucleare, in cui adesso l'Iran ha la mano più debole, ma con l'uso calibrato della forza. Sarebbe una scommessa audace e di vasta portata.

(Questa è la seconda parte dello scritto “Può Trump salvare l'America da se stessa?”. La prima parte può essere letta qui).

martedì 14 gennaio 2025

Alastair Crooke - Riuscirà Trump a difendere l'AmeriKKKa da se stessa (parte 1)?



Traduzione da Strategic Culture, 10 gennaio 2025.

La scorsa settimana [la prima del gennaio 2025, n.d.t.] il Ministro della Difesa russo Lavrov ha respinto come insoddisfacenti le proposte di pace per l'Ucraina avanzate dall'entourage di Trump. In sostanza i russi sono convinti che chiedere di congelare il conflitto non colga l'essenza della situazione. Dal punto di vista russo simili idee -conflitti congelati, cessate il fuoco e forze di pace- non sono attinenti al "quadro generale" basato su un trattato che i russi sostengono dal 2021.
Senza una conclusione netta e permanente del conflitto, i russi preferiranno lasciare che sia il campo di battaglia a decidere, anche a rischio di un diniego da parte degli USA che porti a una continua escalation anche nucleare.
La domanda è piuttosto questa: è possibile una pace duratura tra Stati Uniti e Russia? La morte dell'ex presidente Jimmy Carter ci ricorda la turbolenta "rivoluzione" della linea politica degli anni Settanta cristallizzata negli scritti del consigliere per la sicurezza nazionale di Carter Zbig Brzezinski, una rivoluzione che da allora ha reso tormentose le relazioni tra Stati Uniti e Russia.
Ai tempi di Carter si è verificato un rimarchevole punto di inflessione con l'invenzione da parte di Brzezinski del conflitto identitario armato, e l'amplissimo impiego da parte sua degli stessi strumenti identitari al fine di portare le società occidentali sotto il controllo di una élite tecnocratica "[che pratica] una sorveglianza continua su ogni cittadino ... [insieme alla] manipolazione del comportamento e del funzionamento intellettuale di tutte le persone...".
Nei suoi fondamentali scritti, Brzezinski sosteneva in poche parole l'edificazione e il controllo di una sfera identitaria cosmopolita che avrebbe sostituito le culture comunitarie, ovvero i valori nazionali. È nella reazione ostile a questa visione tecnocratica del "controllo" che possiamo identificare le radici dei problemi che oggi deflagrano ovunque e su ogni fronte a livello mondiale.
In parole povere, gli eventi attuali sono per molti versi una replica dei turbolenti anni Settanta. La marcia odierna verso norme antidemocratiche è iniziata con il The Crisis of Democracy (1975) della Commissione Trilaterale, che è stata il precursore del Forum Economico Mondiale di Davos e del Gruppo Bilderberg, con le banche internazionali e le multinazionali incoronate (per dirla con Brzezinski) come la principale forza creativa al posto dello "Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell'uomo".
Che la Russia facesse venire l'orticaria a solo nominarla non era una novità introdotta da Brzezinski. Risale piuttosto allo Hudson Institute degli anni '70 e al senatore Henry "Scoop" Jackson, due volte candidato alla nomination democratica per le elezioni presidenziali del 1972 e del 1976. Jackson (di origine norvegese) odiava il comunismo, odiava i russi e aveva un grande sostegno all'interno del Partito Democratico. Brzezinski, di origine polacca, condivideva la russofobia di Scoop Jackson. Convinse il presidente Carter (nel 1979) a sostenere in Afghanistan una cultura identitaria radicalizzata e jihadista per contrastare la cultura laica e socialista di Kabul sostenuta da Mosca. L'esito della guerra in Afghanistan è stato poi presentato come una grande vittoria ameriKKKana, ma non lo è stata.
Eppure -e questo è il punto- la rivendicazione della vittoria ha comunque rafforzato l'idea che una insurrezione islamica potesse costituire il lubrificatore ideale per i piani indirizzati al rovesciamento degli esecutivi invisi; un'idea tuttora forte, come testimoniano le vicende nella Siria di oggi.
Ma Brzezinski aveva anche altri consigli da dare al Presidente Carter. Nel suo La grande scacchiera (1997), Brzezinski sosteneva che gli USA e Kiev avrebbero all'occorrenza potuto far leva su antiche e complesse questioni culturali e linguistiche (come era stato fatto in Afghanistan) per farne il perno di un'iniziativa diretta contro il cuore del potere continentale e sottrarre alla Russia il controllo dell'Ucraina: "Senza l'Ucraina la Russia non sarebbe mai diventata una potenza continentale; controllando l'Ucraina invece la Russia può e vuole esserlo", puntualizzava. La sua idea era che si dovesse fare i modo che la Russia finisse invischiata in un pantano identitario e culturale analogo anche in Ucraina.
Perché questa decisione politica si è rivelata tanto dannosa per le prospettive di una pace definitiva tra Stati Uniti e Russia? Perché Kiev, incoraggiata dalla CIA, ha promosso l'affermazione identitaria del tutto falsa secondo cui "l'Europa finisce con l'Ucraina" e che al di là di essa si trovino "gli Slavi".
Questa manipolazione, da sola, ha permesso a Kiev di trasformarsi in un'icona della guerra culturale e identitaria totale contro la Russia, nonostante il fatto che la lingua ucraina (correttamente nota come ruteno) non sia certo una lingua germanica. E nonostante il fatto che non sia reperibile alcun DNA vichingo (germanico) tra gli ucraini occidentali di oggi.
Nel suo desiderio di sostenere Kiev e di compiacere Biden, l'UE si è buttata a pesce sul revisionismo strategico ucraino per cui l'Ucraina verrebbe concepita come un baluardo dei "valori europei" contro quelli russi, ovvero asiatici. Si trattava di un perno, sia pure fallace, attorno al quale si poteva forgiare l'unità europea in un momento in cui il dato reale segnava invece un venire meno della coesione dell'Unione Europea. È dunque possibile una "pace sostenibile" con la Russia? Se si cerca di arrivare a costruire una nuova Ucraina intesa come istmo bellicoso dell'Europa e dei suoi "valori" contrapposto alla "retrograda sfera slava" la pace non è possibile. La sua premessa sarebbe del tutto falsa e porterebbe sicuramente a nuovi conflitti in futuro. Mosca rifiuterebbe quasi certamente un accordo su basi del genere.
Eppure nell'opinione pubblica statunitense cresce l'inquietudine per il fatto che la guerra in Ucraina sembra destinata a un'escalation senza fine, e il concreto timore dell'opinione pubblica è che Biden e i falchi del Congresso stiano portando gli Stati Uniti verso un olocausto nucleare.
Noi -l'umanità- continueremo a pencolare sul ciglio dell'annientamento se un "accordo" proposto da Trump e limitato all'Ucraina verrà rifiutato da Mosca? L'urgenza di arrestare questo scivolare verso l'escalation è evidente; tuttavia lo spazio di manovra politica si riduce continuamente, poiché la stringente pretesa dei falchi di Washington e di Bruxelles perché venga sferrato un attacco fatale contro la Russia non si indebolisce. Inoltre, visto dalla prospettiva degli uomini di Trump, il compito di negoziare con Putin è tutt'altro che semplice. L'opinione pubblica occidentale non è mai stata psicologicamente preparata a considerare con realismo l'idea che potesse affermarsi una Russia più forte. Al contrario, ha dovuto sopportare gli "esperti" occidentali che dileggiavano le forze armate russe e denigravano come incompetente una leadership russa che le televisioni occidentali presentavano come animata da pura malvagità.
Tenendo presente il prolifico contributo di Brzezinski sulla democrazia e il suo successivo fissarsi sul concetto di una "sfera identitaria" controllata da una élite di tecnocrati, non è difficile capire come mai un Paese frammentato come gli USA si trovi in difficoltà mentre il mondo sta scivolando verso una realtà multipolare definita da criteri culturali.
Certo, non è del tutto vero che gli USA non abbiano una cultura comune, nonostante l'ampia varietà delle culture immigrate negli Stati Uniti; è vero invece che quella che viene considerata la loro cultura tradizionale si trova sotto assedio. Questo, dopo tutto, è stato il tema fondamentale delle recenti elezioni presidenziali; e lo è stato anche nelle contese elettorali di molti altri Paesi.
L'idea che gli inviati di Trump si recheranno dapprima a Mosca e ne torneranno a mani vuote, e che a quel punto Trump si precipiterà a concludere un accordo con l'Ucraina, non riflette quello che Mosca ha sempre sottolineato. Serve un accordo basato su un trattato che definisca l'architettura di sicurezza, e i limiti precisi tra gli interessi in materia della massa continentale e di quella oceanica.
Un accordo del genere sarà visto da molti statunitensi come un cedimento, come una rinuncia alla supremazia e alla "grandezza" degli Stati Uniti? Senza dubbio sarà inteso in questo modo, perché Trump sancirebbe di fatto la sconfitta dell'AmeriKKKa e riposizionerebbe gli Stati Uniti come uno Stato tra pari in un nuovo consesso di potenze, ovvero in un mondo multipolare.
Si tratta di un grande interrogativo. Riuscirà Trump a intraprendere questa strada e a mettere da parte l'orgoglio statunitense? Un buon modo di procedere comporterebbe il tornare al nodo gordiano originale e scioglierlo: cioè risolvere il problema dato dalla mancanza di un trattato scritto del secondo dopoguerra che ponesse dei limiti all'avanzata della NATO e, così facendo, porre fine alla pretesa che l'avanzamento della NATO ovunque si verifichi non sia affare di nessuno se non suo.
Purtroppo un altro modo per controbilanciare quella che sembra proprio una sconfitta statunitense e della NATO in Ucraina potrebbe essere la distruzione della Repubblica Islamica dell'Iran. I consiglieri falchi di Trump potrebbero prenderla in considerazione per dare un segnale di virilità.
I negoziati, in ultima analisi, riguardano gli interessi e la capacità di risolvere l'enigma di due parti che percepiscono il modo in cui "l'altro" si vede percepito, se come debolezza o come forza. Trump, se si trovasse in una impasse letterale in Ucraina, potrebbe limitarsi ad alzare i toni sul piano metafisico per ribadire che lui solo ha la visione che serve a salvare l'AmeriKKKa dalla terza guerra mondiale. Per salvare l'AmeriKKKa da se stessa.

domenica 12 gennaio 2025

Firenze. Alessandro Draghi e Antonella Bundu nei peggiori bar di Caracas!

 

Antonella Bundu è una signora nessuno libera di comportarsi come meglio crede.
Anche di recarsi a Caracas nella Repubblica Bolivariana del Venezuela per un "Festival mundial internacional antifascista por un nuevo mundo" che difficilmente avrà un impatto apprezzabile sullo stato di cose presente. E di cui, soprattutto, ignoravamo l'esistenza.
E avremmo continuato a ignorarne l'esistenza se la cosa non avesse infastidito il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi, che a Firenze fa il consigliere comunale e che deve essere venuto a conoscenza della cosa con un'occhiata al Libro dei Ceffi.
Gli "occidentalisti" hanno un'agenda politica di ferrea pochezza e non tollerano che avversari veri o presunti se ne discostino, quale che sia il motivo; nel caso specifico Alessandro Draghi avrebbe preteso prese di distanza, disconferme e abiure.
Si è dovuto accontentare di una risata in faccia, che il consigliere Dmitrij Palagi da lui chiamato in causa gli ha fatto recapitare a stretto giro. Rincarando anche la dose.
E cui va ad aggiungersi questo scritto, per il poco che può servire, in cui si approva l'iniziativa di Antonella Bundu in modo esplicito e convinto.

Al di là del registro linguistico adottato correntemente -in cui gli "occidentalisti" definiscono ideologico qualsiasi elemento anche lievemente difforme rispetto alla loro agenda e in cui viene indicato come dittatore qualsiasi Primo Ministro o Presidente non gradito- il comunicato di Alessandro Draghi tocca anche l'argomento dei rifugiati politici, che come tutti sanno sono le prime vittime del Male, a Caracas come a Tehran.
O anche a Pula o a Zadar.
Tutti posti dove qualcuno si alza una mattina e non avendo nulla di più costruttivo da fare comincia a tartassare questa o quella categoria provocandone il lacrimato esodo. E chi non ci crede è un terrorista nostalgico dei gulag.
La prassi è talmente abituale che temiamo fortemente di aver molto annoiato i nostri lettori, da tanti che sono stati i casi in cui la abbiamo indicata e derisa.
Nel caso specifico esiste però una corposa letteratura che attesta come molti postulati fuggitivi sfuggiti a postulate vessazioni si fossero trovati per decenni dalla parte di una borghesia compradora dai demeriti evidenti, nonostante quelli dei successivi esecutivi bolivariani e a prescindere da essi.
Anche nel ricordo di chi scrive, per remote vicende familiari, è rimasta l'immagine di una Caracas dove negli anni Settanta si importava da Miami persino il pane. La scrittrice cilena Isabel Allende, che è vissuta in Venezuela dal 1975 al 1988, avrebbe descritto i comportamenti esibiti dai privilegiati di quegli anni prendendo come esempio "una festa di compleanno, con tanto di orchestra e champagne, organizzata per il viziato cagnolino di una qualche signora dell'alta società... Il denaro sembrava crescere sugli alberi".
Poi il boom petrolifero è finito e verso il 1990 i "morte ai ricchi" iniziarono a risuonare per le strade e durante le manifestazioni; è comprensibile che i diretti interessati non abbiano apprezzato.
Questo non obbliga le persone serie ad accordare loro la palma del martirio.

giovedì 2 gennaio 2025

Alastair Crooke - Siria: l'arroganza imperiale e le sue conseguenze



Traduzione da Strategic Culture, 1 gennaio 2025.


In Siria il presidente Assad è caduto e i tecnocrati salafiti hanno preso il potere.
Solo che la situazione non è così semplice.
A un certo livello il crollo era prevedibile. È noto che da alcuni anni Assad era sotto l'influenza egiziana e dagli Emirati Arabi Uniti, che facevano pressione perché rompesse con l'Iran e la Russia e passasse all'Occidente. Per tre o quattro anni Assad ha preso atto della situazione e si è gradatamente mosso in questo senso. L'Iran in particolare si è trovato a dover affrontare ostacoli sempre più consistenti riguardo ai contesti operativi in cui collaborava con le forze siriane. Il mutato atteggiamento di Assad per gli iraniani era un messaggio chiaro.
La situazione finanziaria della Siria era catastrofica. Dopo anni di sanzioni imposte dai Cesari degli USA, cui si è aggiunta la perdita di tutti i proventi dall'agricoltura e dalle fonti energetiche che gli USA hanno sequestrato nel nord est del Paese da loro occupato, l'economia siriana era semplicemente inesistente.
Senza dubbio, quella di avvicinarsi allo stato sionista e a Washington è stata presentata ad Assad come l'unica soluzione pratica al suo dilemma. Con tono di implorazione, gli è stato fatto capire che la "normalizzazione" avrebbe potuto portare all'abolizione delle sanzioni. Secondo gli ambienti a lui vicini Assad, fino all'ultimo minuto prima della "invasione" da parte dello HTS, era apparso convinto del fatto che gli Stati arabi vicini a Washington avrebbero preferito che fosse lui a rimanere alla guida del Paese piuttosto che vedere la Siria cadere preda dei fanatici salafiti.
Per essere chiari, Mosca e Tehran avevano avvertito Assad che il suo esercito (nel suo complesso) era troppo fragile, troppo sottopagato, troppo infiltrato e troppo corrotto dai servizi segreti stranieri, perché ci si potesse aspettare che difendesse efficacemente la Repubblica Araba di Siria. Assad è stato anche ripetutamente avvertito della minaccia rappresentata dagli jihadisti di Idlib che stavano preparandosi a conquistare Aleppo. Il Presidente non solo ha ignorato gli avvertimenti, ma li ha confutati.
Non una ma due volte gli è stato offerto l'aiuto di ragguardevoli contingenti esteri. Anche negli ultimi giorni del suo governo, intanto che le milizie di Jolani avanzavano. E Assad ha rifiutato. "Siamo forti", ha detto a un interlocutore in occasione della prima offerta. "Il mio esercito sta fuggendo", ha dovuto ammettere nella seconda.
Assad non è stato abbandonato dai suoi alleati. Solo che era ormai troppo tardi. Aveva fatto un salto mortale di troppo. Due dei principali attori (Russia e Iran) sono dovuti rimanere inerti e non potevano passare all'azione senza il suo consenso.
Un conoscente siriano della famiglia Assad che aveva parlato a lungo con il Presidente poco prima dell'invasione di Aleppo lo aveva trovato sorprendentemente saldo e sicuro di sé; si era detto sicuro del fatto che i duemilacinquecento uomini di stanza ad Alepppo fossero abbastanza per affrontare le minacce di Jolani, e aveva fatto cenno al fatto che anche il presidente egiziano al Sissi sarebbe stato pronto a intervenire con aiuti per la Siria. L'Egitto temeva ovviamente che gli islamisti dei Fratelli Musulmani prendessero il potere, in quello che era uno Stato laico baathista.
Ibrahim Al-Amine, redattore di Al-Akhbar, ha riportato sensazioni simili su Assad:
Assad sembrava essere diventato più fiducioso sul fatto che Abu Dhabi fosse in grado di risolvere i sui problemi con gli statunitensi e con alcuni Paesi europei, e aveva sentito molte volte fare cenno a miglioramenti economici se avesse adottato una strategia che avesse come obiettivo l'uscita dall'alleanza con le forze della Resistenza. Uno dei collaboratori di Assad, che è rimasto con lui fino alle ultime ore prima che lasciasse Damasco, dice che Assad sperava sempre che accadesse qualcosa di grosso che fermasse l'attacco delle fazioni armate. Credeva che "la comunità araba e la comunità internazionale" avrebbero preferito che lui rimanesse al potere, piuttosto che gli islamisti prendessero in mano il governo della Siria.
Tuttavia, anche mentre le forze di Jolani percorrevano l'autostrada M5 dirette a Damasco la famiglia Assad in generale e i vertici dell'esecutivo non stavano facendo alcuno sforzo per prepararsi a partire o per avvertire gli amici più stretti di pensare a un'eventualità del genere, ha riferito l'interlocutore. Anche mentre Assad si dirigeva a Hmeimin per dirigersi poi a Mosca non è stato inviato agli amici alcun consiglio di espatriare.
Questi ultimi hanno affermato di non sapere, dopo la silenziosa partenza di Assad verso Mosca, chi esattamente abbia ordinato -e quando- all'esercito siriano di ritirarsi e di prepararsi alla transizione.
Assad ha compiuto una breve visita a Mosca il 28 novembre, il giorno successivo agli attacchi dello HTS nella provincia di Aleppo e all'inizio della sua rapida avanzata verso sud (nonché giorno successivo al cessate il fuoco in Libano). Le autorità russe non hanno detto nulla sugli incontri avuti da Assad a Mosca e la sua famiglia ha dichiarato che il Presidente è tornato dalla Russia mantenendo il massimo riserbo.
Successivamente, Assad è partito definitivamente per Mosca (il 7 dicembre, dopo aver fatto compiere svariati voli verso Dubai a un aereo privato, oppure l'8 dicembre). Anche in questo caso non ha detto a quasi nessuno dei suoi parenti più stretti che stava andandosene definitivamente.
Cosa ha spinto Assad a comportamenti così poco in linea con la sua condotta abituale? Nessuno lo sa, ma i membri della famiglia hanno ipotizzato che Bashar Al-Assad sia rimasto emotivamente sconvolto dalla grave malattia della moglie Asma, a cui è molto legato.
In tutta franchezza, mentre i tre attori principali avevano ben chiara la piega che gli eventi stavano prendendo (la fragilità dello Stato non era una sorpresa), l'ostinazione con cui Assad ha negato l'evidenza e la conseguente rapidità dell'epilogo militare sono state una sorpresa. Una sorpresa che è diventata un disastro imprevisto.
Cosa è stato a scatenare gli eventi? Erdogan ha chiesto per diversi anni ad Assad di aprire innanzitutto trattative con la "legittima opposizione siriana", in secondo luogo di riscrivere la Costituzione e infine di incontrarsi faccia a faccia, cosa che Assad si è sempre rifiutato di fare. Tutte e tre le potenze in gioco hanno fatto pressione su Assad affinché negoziasse con la "opposizione", ma Assad non ha voluto e non ha voluto incontrare Erdogan, tantopiù che i due si detestano. Uno stato di cose che ha causato molta frustrazione.
Erdogan adesso ha senz'altro messo le mani sulla ex Siria. Il sentimento irredentista ottomano è alle stelle, e sitibondo di revanscismo turco. Altri -gli abitanti delle città più laiche della Turchia- accolgono invece con meno entusiasmo questa esibizione del nazionalismo religioso turco.
Erdogan, tuttavia, potrebbe già trovarsi -o trovarcisi di qui a non molto- a rimpiangere l'acquisto. Sì, la Turchia in Siria è il nuovo padrone di casa. Solo che questo implica il fatto che è lui Erdogan, adesso, il responsabile morale di ciò che accadrà. Che lo HTS abbia combattuto per procura al posto dei turchi non è un mistero per nessuno. Le minoranze vengono colpite a morte, sta aumentando la frequenza di certe brutali esecuzioni settarie e lo stesso settarismo sta diventando più estremo. La ripartenza dell'economia non si vede, non esistono entrate per o Stato e non esiste materia prima per le raffinerie di carburanti perché il greggio in precedenza arrivava dall'Iran.
La pensata di Erdogan, quella di una AlQaeda col nome cambiato e con una riverniciatura filooccidentale, ha sempre rischiato di rivelarsi inconsistente come le uccisioni settarie stanno crudelmente dimostrando. Riuscirà Jolani a imporre la sua AlQaeda in giacca e cravatta ai suoi seguaci eterodossi? Abu Ali al-Anbari, che verso il 2012-2013 era il principale assistente di al-Baghdadi, ha dato di Jolani questo sprezzante giudizio:
È un individuo egoriferito e di una doppiezza astuta. Non si preoccupa dei suoi soldati, è disposto a sacrificare il loro sangue per farsi un nome nei media; gli brillano gli occhi quando si sente nominare sui canali satellitari.
In ogni caso, un risultato indubbio è che la manovra di Erdogan ha riacceso il settarismo sunnita, un tempo (e per lo più) quiescente, oltre che l'imperialismo ottomano. Le conseguenze saranno molteplici e si ripercuoteranno in tutta la regione. L'Egitto è già in ansia, così come il re Abdullah in Giordania.
Nello stato sionista in molti hanno accolto la fine della Repubblica Araba di Siria come una vittoria, dal momento che la linea di rifornimento dell'Asse della Resistenza è stata troncata proprio al centro. Il capo della sicurezza dello stato sionista Ronan Bar è stato probabilmente informato da Ibrahim Kalin, capo dell'intelligence turca, in occasione di un incontro a Istanbul il 19 novembre della prevista invasione da Idlib in tempo perché lo stato sionista potesse istituire il cessate il fuoco in Libano e ostacolare il passaggio delle forze di Hezbollah in Siria. Lo stato sionista ha immediatamente bombardato tutti i valichi di frontiera tra Libano e Siria.
Tuttavia, nello stato sionista potrebbero trovarsi a constatare che il riaccendersi dello zelo salafita non è loro amico e che in ultima analisi non andrà nemmeno a loro vantaggio.
Il 17 gennaio 2025 l'Iran firmerà con la Russia il tanto atteso accordo in materia di difesa.
La Russia si concentrerà sulla guerra in Ucraina e si terrà lontana dal pantano mediorientale. Si focalizzerà sulla lenta ristrutturazione globale in atto e sul tentativo di far sì che Trump, a tempo debito, riconosca gli interessi di sicurezza dello Heartland asiatico e dei BRICS e si arrivi a concordare una qualche frontiera della sfera di sicurezza del Rimland (atlantista), in modo da accordarsi su come collaborare sulle questioni di stabilità strategica globale e di sicurezza europea.