18 settembre 2025

Alastair Crooke - Mantenere la supremazia e continuare con la escalation. Trump e l'influenza dei sostenitori dello stato sionista



Traduzione da Strategic Culture, 16 settembre 2025.


L'attacco contro i negoziatori di Hamas riuniti a Doha per discutere della "proposta" di Witkoff per Gaza non è un'altra "operazione" da ignorare in silenzio, come nel caso della eliminazione di quasi tutto l'esecutivo dello Yemen.
Esso segna piuttosto la fine di un'epoca, e apre per il Qatar una realtà nuova.
Si tratta di un evento storico. Per decenni il Qatar ha giocato una partita molto redditizia, sostenendo i jihadisti radicali di An Nusra in Siria per fare leva contro l'Iran e al tempo stesso ospitando basi militari statunitensi e mantenendo una partnership strategica con Washington. Doha si è presentata come mediatrice: andava a cena con gli jihadisti e intanto agevolava le cose al Mossad.
Questo tenere il piede in due scarpe è stata la cosa che ha conferito al Qatar la reputazione di eterno beneficiario delle crisi, in Medio Oriente e in Afghanistan. Anche quando lo stato sionista, l'Iran o l'Arabia Saudita erano sotto attacco, Doha ne usciva vincitrice. I qatarioti contavano con calma i profitti derivanti dal loro gas e traevano utili dal ruolo di intermediari indispensabili.
Ora questa favola è finita: non ci saranno più zone franche. La cosa più significativa è che gli Stati Uniti (secondo quanto riportato dall'emittente sionista Channel 11) avevano approvato l'azione, di cui Trump è stato informato a cose fatte. Nonostante abbia espresso delle riserve sull'attacco, Trump ha detto di plaudire a qualsiasi eliminazione di appartenenti ad Hamas.
Avremmo dovuto prevederlo. L'attacco a Doha è stato l'ennesimo attacco a sorpresa di Trump e dello stato sionista; una prassi iniziata con l'attacco a sorpresa contro la leadership di Hezbollah riunita per discutere un'iniziativa di pace degli Stati Uniti, procedura poi adottata identica per decapitare i vertici della Repubblica Islamica dell'Iran il 13 giugno, proprio mentre Trump faceva pubblicità ai colloqui per il JCPOA con i negoziatori di Witkoff, che sarebbero iniziati nei giorni successivi.
Questa volta lo stato sionista ha colpito usando come esca per riunire i leader di Hamas in un unico luogo a Doha la "proposta di pace" di Trump per Gaza. Il piano di Witkoff per Gaza sembra una burla, o forse un deliberato falso. Lo stato sionista aveva già deciso di porre fine al ruolo del Qatar.
La logica dello stato sionista è tanto semplice quanto cinica, e prescinde dal numero di basi statunitensi presenti o dall'importanza del gas per l'economia mondiale. L'uccisione di Ismail Haniyeh a Tehran, gli attacchi alla Siria e al Libano, l'operazione in Qatar sono tutti anelli di una stessa catena. Netanyahu -e la maggioranza dei cittadini dello stato sionista gli esprime in questo il proprio sostegno- dimostra con metodo che per lui in Medio Oriente non esistono territori proibiti, né legge, né Convenzione di Vienna.
Il sostegno al genocidio e alla pulizia etnica messi in atto dallo stato sionista, la mancanza di un serio impegno nella preparazione di un percorso politico per una soluzione in Ucraina, fare la guerra intanto che si invoca la pace. Ecco di cosa consiste nella sua essenza l'approccio di Trump. Esso contempla l'esercizio di una supremazia con riserva di escalation, sia in patria che all'estero.
L'intera idea del Make AmeriKKKa Great Again (MAGA) sembra basarsi sul ricorso calibrato alla bellicosità, ai dazi o alla potenza militare per mantenere nel tempo questa supremazia basata sulla prerogativa dell'escalation. Trump sembra pensare che il raggiungimento della supremazia in patria e all'estero sia l'essenza del MAGA. E che a tanto si possa arrivare attraverso un esercizio calibrato della prepotenza, rivenduto alla base MAGA asserendo che simili minacce possano portare alla "pace" o a negoziare un "cessate il fuoco".
L'enfasi su questa supremazia con riserva di escalation ha anche a che fare con l'intento, nella mentalità di Trump, di far diventare le guerre delle colossali iniziative che portino agli Stati Uniti dei vantaggi economici. L'idea di trasformare Gaza in un progetto di investimento redditizio sottolinea questo stretto legame tra guerra e guadagno. Lo stesso vale per l'Ucraina, che per gli USA è diventata un'ottima lavanderia per il denaro sporco.
Non si creda che gli Stati Uniti non torneranno a dedicarsi a una guerra in particolare, a tempo debito. Ecco perché la prospettiva di una escalation non viene mai completamente abbandonata o rimossa, poiché il suo persistere permette di ricorrervi in un qualche modo in un secondo momento (cioè in Ucraina).
Sono tutti segnali che a Mosca hanno fatto suonare un campanello d'allarme. Il viaggio di Trump ad Anchorage -dal punto di vista russo- doveva serivre a capire (se possibile) quanto fossero strette le catene che legano Trump, quale sia la sua libertà di agire in modo autonomo, cosa voglia e cosa potrebbe fare in futuro.
Per i russi, la visita ha dimostrato quali siano questi limiti.
Yuri Ushakov, principale consigliere di Putin in materia di politica estera, ha spiegato che a Tianjin, in occasione del vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ci sono state discussioni con tutti gli alleati strategici della Russia; si è capito che c'era stato un ritardo nel varo delle sanzioni contro la Russia da parte di Trump, ma che non era stato organizzato niente per continuare i negoziati. Nessuna struttura, nessun gruppo di lavoro, nessun ulteriore scambio per preparare il cosiddetto incontro a tre fra Trump, Zelensky e Putin. Nessuna preparazione per una agenda, nessuna indicazione sui termini.
Tutto questo ha messo in chiaro le intenzioni di Trump per il futuro: nessuna struttura, nessun segnale, nessun concreto impegno per la pace. Al contrario, i russi vedono un regime Trump che sta prendendo tempo per fare l'opposto, con i piani europei per il riarmo dell'Ucraina.
L'aggressione congiunta dello stato sionista e degli USA contro l'Iran -e poi l'attacco contro il Qatar- sono eventi che si inquadrano nella stessa cornice ideologica e che confermano il predominio dei sostenitori dello stato sionista e di coloro che, nell'ambiente di Trump, nutrono antichi rancori contro la Russia per ragioni religiose dello stesso tipo.
Il predominio di questa politica incentrata sullo stato sionista ha frammentato la base MAGA di Trump. Più in generale, ha compromesso in modo permanente il soft power globale e l'affidabilità diplomatica degli Stati Uniti. Eppure Trump, tenuto saldamente in questa morsa, non osa sfuggirle: farlo significherebbe rischiare l'autodistruzione.
Lo stato sionista sta portando avanti una seconda Nakba (pulizia etnica e genocidio) a Gaza e in Cisgiordania, e la società ebraica si trova in gran parte intrappolata nella repressione e nella negazione proprio come nel 1948. Il controverso documentario della regista Neta Shoshani sulla guerra del 1948 è stato vietato nello stato sionista perché ha messo in luce molte delle manchevolezze dell'etica che stava alla base della costruzione dell'identità del nascente stato.
La Shoshani ha scritto recentemente del suo film:
Improvvisamente mi sono resa conto che negli ultimi due terribili anni l'intera questione dell'etica nello stato sionista è stata completamente distrutta. Ho capito che un ethos ha un grande potere, che è quello di mantenere una società entro certi limiti. E anche se questi limiti vengono violati -e sono stati certamente violati già nel 1948- c'era ancora qualcosa nel codice morale della società che almeno le faceva provare vergogna. Per decenni questo ethos ha salvaguardato la società [dello stato sionista] e l'esercito, costringendoli a rimanere entro certi limiti. E quando questa etica viene meno, succedono cose davvero spaventose. Da questo punto di vista il film era difficile da guardare fin dall'inizio, ma dopo gli ultimi due anni è diventato insopportabile... Se il 1948 è stata una guerra di indipendenza, la guerra adesso in corso potrebbe essere quella che segnerà la fine dello stato sionista.
La Shoshani vuole mettere in guardia sul fatto che quando i limiti etici di una società vengono cancellati con un bagno di sangue (come è successo nel 1948), il loro venir meno può mettere a repentaglio la legittimità dell'intero progetto, portando all'autodistruzione uno stato che si è spinto oltre ogni umano limite.
Questa oscura intuizione, molto pertinente ai giorni nostri, potrebbe essere proprio uno dei tentacoli che legano senza riserve Trump alla sopravvivenza finale dello stato sionista, anche se probabilmente ci sono altri robusti ma non visibili laccioli.
Tutto questo avviene in un momento in cui gli Stati Uniti si stanno allontanando sempre più dalla bozza del 1992 della Defence Planning Guidance (DPG) nota come "Dottrina Wolfowitz", che invitava gli Stati Uniti a mantenere una superiorità militare indiscussa per impedire l'emergere di rivali e, se necessario, ad agire unilateralmente per proteggere i propri interessi e scoraggiare potenziali concorrenti.
L'attuale bozza della Strategia per la Difesa Nazionale sta togliendo l'occhio dalla Cina per concentrarsi sulla sicurezza del suolo patrio e dell'emisfero occidentale. Le truppe saranno richiamate, dapprincipio per rafforzare i confini. Will Schryver scrive:
A quanto sembra Elbridge Colby si è accorto del fatto puro e semplice che è troppo tardi per arrestare il dominio della Cina sul Pacifico occidentale, e sapeva già che una guerra contro la Russia era impensabile. L'unica opzione strategicamente significativa rimasta è l'Iran.
Colby forse sa anche che qualsiasi ulteriore fallimento militare degli Stati Uniti smaschererebbe fatalmente la spavalderia geostrategica di Trump, mostrandola per il bluff che è.
Potremmo quindi assistere a una nuova serie di importanti cambiamenti geopolitici, adesso che Trump sta abbandonando i suoi sforzi per cercare di passare come un pacificatore globale.
Probabilmente Trump stesso non sa cosa vuole fare. Con le tante fazioni che cercano di inserirsi nello spazio strategico vacante, probabilmente si rivolgerà a quelle tattiche di guerra dello stato sionista per le quali prova tanta ammirazione.

11 settembre 2025

Alastair Crooke - Dopo il vertice della OCS di Tianjin Donald Trump riuscirà a reagire? La sfida cinese è arrivata davvero in un momento qualsiasi?

 



 Traduzione da Strategic Culture, 8 settembre 2025.

Il guanto della sfida. Il vertice della Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è stato una chiara dimostrazione di uno stato di cose in cui esiste una potenza in forte ascesa e una potenza che sta visibilmente indebolendosi. La straordinaria parata militare è stata la controparte del vertice e ha parlato molto chiaro: Volete sfidarci? Noi siamo pronti.
La Cina ha lanciato la sfida con tempismo perfetto. Si potrebbe quasi pensare che ci avessero davvero pensato in anticipo. "Sono l'inchiostro cinese e l'inchiostro russo adesso a scrivere la Storia", ha osservato un commentatore russo.
I sistemi politici occidentali sono in subbuglio, assediati da un populismo che promette di tutto ma che non ha gli strumenti per risolvere nulla. Le alleanze occidentali sono lacerate dal dubbio e dall'incertezza: la stabilità politica si incrina sotto la pressione dei fallimenti delle politiche occidentali di prestito e di spesa. Anche The Economist ammette che "una nuova realtà sta prendendo piede".
La reazione di Trump allo spettacolo della OCS è stata una frecciatina sarcastica a quella che egli vede come una "cospirazione" diretta contro gli USA. Tuttavia, se in quel raduno di "amici" si sente come se avesse fatto da tappezzeria, è perché ha scelto di non andare a Tianjin. La colpa è solo sua. E se la OCS dovesse essere intesa in Occidente come antioccidentale, anche questo sarebbe in gran parte dovuto a Trump e al modo che ha scelto per inquadrare il futuro degli Stati Uniti.
Xi ha sottolineato quest'ultimo punto nel suo discorso di apertura: "L'umanità si trova ancora una volta a scegliere tra pace o guerra, dialogo o confronto, risultati vantaggiosi per tutti o giochi a somma zero".
Purtroppo, Trump è probabilmente troppo impegnato con la pretesa grandezza dell'eccezionalismo statunitense perché ci si possa aspettare da lui una risposta ponderata. Ma d'altra parte, Trump sembra spesso sfidare l'ovvio.
L'Occidente reagirà in termini psicologici con un antagonismo sulla difensiva. Gli Stati Uniti chiaramente non si sono preparati psicologicamente a considerare le potenze della OCS su un piano di parità. Secoli di superiorità colonialista hanno plasmato una cultura in cui l'unico modello ammissibile è quello di una egemonia che impone una dipendenza filooccidentale.
Riconoscere che Cina, Russia o India hanno fatto parte a sé rispetto all'"ordine basato sulle regole" e che hanno costruito una sfera separata e non occidentale implica chiaramente accettare la fine dell'egemonia globale occidentale. E significa anche accettare il fatto che sia finita l'era dell'egemonia nel suo complesso. Le classi dirigenti statunitensi ed europee non sono assolutamente dell'umore adatto a una cosa del genere. Gli strati dirigenti europei continuano convintamente a mugugnare con ostilità contro la Russia.
Gli europei si sono senz'altro accorti della scossa, ma non hanno capito cosa l'abbia causata esattamente e hanno quindi deciso di rispondere con la maleducazione. Friedrich Merz ha affermato con convinzione: "Putin è un criminale di guerra. È forse l'autore dei più gravi crimini di guerra su vasta scala della nostra epoca. Dobbiamo essere chiari su come trattare i criminali di guerra: non c'è spazio per la clemenza".
La realtà (e il poco che sappiamo) di ciò che è venuto fuori dalla parata di Piazza Tienanmen in Cina causerà senza dubbio costernazione a Washington, Bruxelles e Londra. Il presidente Xi ha dichiarato che l'ascesa della Cina è "inarrestabile", facendo vedere oltre diecimila soldati che marciano in perfetta sincronia e rivelando le nuove e impressionanti armi cinesi: un missile balistico intercontinentale nucleare con una gittata di ventimila chilometri, un sistema di intercettazione laser e giganteschi droni sottomarini.
In particolare, il presidente Xi ha messo in mostra -per la prima volta- la forza nucleare terrestre, marittima e aerea dell'Esercito Popolare di Liberazione: una triade completa e letale.
Alla parata per celebrare la vittoria Xi ha sfilato con orgoglio insieme ai suoi alleati, gli stessi che gli Stati Uniti hanno messo sotto sanzioni. Ha preso posto sul palco con Kim Jong Un alla sua sinistra e Putin alla sua destra: una formazione simbolica che in pochi avrebbero potuto prevedere. Allo stesso modo, il clima di aperta cordialità fra Putin, Xi e il primo ministro Modi era chiaramente reale e non una posa.
Anche i risultati pratici del vertice lasceranno perplessi gli occidentali. L'annuncio del gasdotto Siberia 2, osserva Bloomberg, pone effettivamente fine alle mire degli Stati Uniti in materia di predominio energetico.
Come riporta l'editoriale di Bloomberg, "la Cina potrebbe ora smettere di importare più della metà del gas naturale dall'estero; entro l'inizio degli anni '30 la quota di gas russo rispondente al fabbisogno cinese potrebbe raggiungere il 20%. Gli analisti hanno rapidamente calcolato che l'entrata in servizio del Siberia 2 equivale a un calo della domanda di circa quaranta milioni di tonnellate di gas all'anno".
"Questo significa che molti progetti di produzione di gas su cui gli Stati Uniti avevano scommesso non hanno più senso".
Quali saranno le altre conseguenze? Gli Stati Uniti e l'Europa non prenderanno alla leggera questi avvenimenti. Nella loro ostilità, la loro rabbia si concentrerà probabilmente prima di tutto sulla Russia (tramite l'Ucraina) e al tempo stesso sull'Iran, alleato strategico della Russia e della Cina.
Durante il vertice, Xi ha proposto la creazione di un nuovo ordine internazionale in materia di sicurezza ed economia, sfidando esplicitamente l'attuale sistema istituzionale guidato dagli Stati Uniti. Ha descritto l'iniziativa come un passo verso la costruzione di un mondo multipolare. E agli annunci ha immediatamente fatto seguito la prima iniziativa concreta della OCS.
Cina e Russia hanno fatto causa comune con l'Iran nel respingere l'iniziativa europea di ripristinare automaticamente le sanzioni dell'ONU contro Tehran. Una lettera firmata congiuntamente dai ministri degli Esteri di Cina, Russia e Iran e indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite ha riportato in termini inequivocabili che l'attivazione della clausola di snapback da parte dei tre negoziatori europei "contravviene chiaramente alla risoluzione e pertanto è ipso facto viziata dal punto di vista giuridico e procedurale". La linea adottata dagli europei "costituisce un abuso dell'autorità e delle funzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, oltre a distogliere i suoi membri e la comunità internazionale dalle cause profonde del fallimento dell'attuazione del JCPOA e della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU".
Si tratta di termini duri, che tuttavia potrebbero non essere sufficienti a impedire l'automatica entrata in vigore delle sanzioni entro trenta giorni dalla trasmissione della lettera dei negoziatori europei al Consiglio di Sicurezza, avvenuta il 28 agosto.
I negoziatori europei sostengono che la loro iniziativa in realtà conferisce agibilità all'Iran per negoziare un ritorno alla piena conformità al JCPOA, ma ciò è smentito dal fatto che essi subordinano il periodo di negoziazione di trenta giorni a nuove richieste relative all'inventario missilistico dell'Iran e alla sua posizione in politica estera, che vengono postulati come parte integrante di qualsiasi accordo. Essi sono perfettamente consapevoli del fatto che questi ulteriori elementi non saranno mai accettati dall'Iran.
Francia, Germania e Regno Unito stanno quindi mettendo l'Iran davanti alla prospettiva di un'azione militare, attraverso l'introduzione di condizioni irrealizzabili.
È chiaro che la dichiarazione di Cina e Russia implica che esse non rispetteranno il ripristino di alcuna sanzione che venisse imposta all'Iran.
Trump afferma periodicamente di non volere la guerra con l'Iran, ma ciononostante il 22 giugno ha già colpito gli impianti nucleari iraniani.
Il quadro del ripristino delle sanzioni, con le sue condizioni punitive, è secondo ogni apparenza inteso a provocare un fallimento diplomatico e non è nato dal nulla.
Ricordiamo che è stato Trump, nel febbraio 2025, a firmare un memorandum presidenziale nazionale -che è una ingiunzione legalmente vincolante- in cui si afferma che gli obiettivi degli Stati Uniti sono quelli di "negare all'Iran l'arma nucleare e i missili balistici intercontinentali" e che "la rete e la campagna di aggressione regionale dell'Iran vengano neutralizzate", che il Segretario al Tesoro dovrebbe esercitare la massima pressione possibile con le sanzioni e che il rappresentante degli Stati Uniti presso l'ONU dovrebbe collaborare con i principali alleati per completare il ripristino delle sanzioni e delle restrizioni a livello internazionale nei confronti dell'Iran, ritenendo l'Iran "responsabile della violazione del Trattato di non proliferazione nucleare". Queste sono alcune tra le molte disposizioni incluse nel memorandum.
Il memorandum presidenziale del febbraio 2025 ha posto le basi per un'eventuale azione militare contro l'Iran o per la sua capitolazione totale. L'idea di privare l'Iran dei suoi missili e dei suoi legami con gli alleati regionali è sempre stata destinata al fallimento. Eppure, queste richieste stanno riemergendo con le ultime richieste dei negoziatori europei. E chi c'è dietro tutto questo? Trump. E, dietro di lui, Netanyahu.
Il primo round è già stato giocato e ora le forze dietro le quinte stanno spingendo perché si passi al secondo. Esse vedono l'Iran rafforzarsi, lo stato sionista indebolirsi e il periodo adatto a cogliere l'occasione avvicinarsi alla fine. Hanno fretta.
L'altra parte della ripicca dell'Occidente a fronte dell'"insolenza" con cui la OCS si sta tenendo alla larga dalla sua supremazia, probabilmente prenderà forma in Ucraina. Gli europei e Zelensky chiederanno che si faccia più pressione sulla Russia, sia dal punto di vista militare che finanziario.
La Russia ha senza dubbio informato gli altri Paesi presenti a Tianjin che intende comunicare a Trump che continuerà con l'operazione militare speciale fino al completo raggiungimento di tutti gli obiettivi prefissati, dal momento che Washington sembra incapace di controllare gli ucraini e gli europei. Se la situazione dovesse prendere una piega diversa, la Russia è disponibile a intraprendere un percorso diplomatico per porre fine al conflitto, ma alle sue condizioni. Lo sforzo principale tuttavia sarà quello di assicurarsi la vittoria sul campo di battaglia. Se Trump dovesse reagire con una escalation, la Russia risponderà in modo adeguato.
Trump vive sotto enormi pressioni ed è soggetto a (sconosciuti) vincoli. Ma quello che abbiamo constatato più volte con Trump è che egli sfida l'ovvio. Riesce a sopravvivere alle difficoltà, a superarle e, in un certo senso, a prosperare proprio grazie ad esse. Le avversità sono la sua linfa vitale. Ha una qualche inspiegabile e indomabile caratteristica che coloro che lo conoscono bene affermano di percepire.
Trump riuscirà a reagire al dopo Tianjin? Il suo insistito pretendere che gli Stati Uniti hanno il diritto all'egemonia finanziaria porterà ora -vista la riottosità dei Paesi dell'OCS- a un indebolimento dell'AmeriKKKa? Il momento in cui la Cina ha lanciato il guanto di sfida è stato del tutto casuale o la situazione finanziaria dell'Occidente è più fragile di quanto si pensi generalmente?
Trump sarebbe in grado di arrivare a quella distensione sul nucleare che gli varrebbe la candidatura al Nobel, a dispetto delle pastoie che lo trattengono?

08 settembre 2025

Alastair Crooke - Da Tel Aviv il "nuovo e violento sionismo" prodromo di una geopolitica imperiale fatta di sottomissione e di obbedienza

Traduzione da Strategic Culture, 1 settembre 2025.

 La strategia dello stato sionista degli ultimi decenni continua a basarsi sulla speranza di arrivare a una vera e propria trasformazione che deradicalizzi sia i palestinesi sia la regione in generale. Una deradicalizzazione che renderà "sicuro" lo stato sionista. Questo è stato il sacro scopo dei sionisti sin dalla fondazione dello stato. Oggi, il termine in codice per indicare questa chimera è "Accordi di Abramo".
Anna Barsky scrive su Ma'ariv (in ebraico) il 24 agosto che Ron Dermer -ministro per gli affari strategici di Netanyahu, ex ambasciatore a Washington e importante "consigliere" di Trump- "vede la realtà con freddo occhio politico. È convinto che un vero accordo [su Gaza] non sarà mai concluso con Hamas, ma [solo] con gli Stati Uniti. Ciò che serve, dice Dermer, è che gli ameriKKKani facciano propria la linea politica dello stato sionista, gli stessi cinque punti approvati dal Consiglio dei Ministri: disarmo di Hamas, ritorno di tutti gli ostaggi, completa smilitarizzazione di Gaza, controllo della sicurezza nella Striscia in mano allo stato sionista e un governo civile alternativo che non sia né di Hamas né dell'Autorità Palestinese".
Dal punto di vista di Dermer, un accordo parziale per il rilascio degli ostaggi –che Hamas ha accettato– sarebbe un disastro politico. Al contrario, se Washington dovesse approvare la linea di Dermer facendone un proprio piano, secondo la Barsky Dermer concluderebbe che "avremmo una situazione vantaggiosa per tutti". Inoltre, secondo la logica di Dermer, "la mera apertura di un accordo parziale darebbe a Hamas due o tre mesi di respiro, durante i quali potrebbe rafforzarsi e persino cercare di arrivare a uno scenario conclusivo diverso da quello degli statunitensi, uno che gli si adatti meglio [ad Hamas]". "Questo, secondo Dermer, è lo scenario veramente pericoloso", scrive la Barsky.
Dermer ha insistito per anni sul fatto che lo stato sionista non può arrivare alla pace senza prima arrivare a una trasformazione deradicalizzante di tutti i palestinesi. "Se lo facciamo nel modo giusto", dice Ron Dermer, "lo stato sionista ne uscirà più forte -e anche gli Stati Uniti!".
Alcuni anni prima, quando fu chiesto a Dermer quale fosse secondo lui la soluzione al conflitto palestinese, egli rispose che sia la Cisgiordania che Gaza dovevano essere completamente disarmate. Tuttavia, più importante del disarmo era l'assoluta necessità che tutti i palestinesi fossero parimenti "deradicalizzati". Quando gli fu chiesto di spiegarsi meglio, Dermer fece riferimento con aria di approvazione all'esito della Seconda Guerra Mondiale: i tedeschi furono sì sconfitti, ma la cosa ancor più significativa fu che i giapponesi furono completamente "deradicalizzati" e resi imbelli dalla fine delle ostilità:
In Giappone le truppe statunitensi sono rimaste per settantacinque anni. In Germania le truppe statunitensi sono rimaste per settantacinque anni. Se qualcuno pensa che fossero questi gli accordi iniziali, si sta prendendo in giro. Dapprima si è trattato di un'imposizione. Poi hanno capito che per loro era un bene. E col tempo c'è stato un interesse reciproco a mantenere questo stato di cose.
Trump è a conoscenza della tesi di Dermer, ma a quanto pare è Netanyahu a esitare istintivamente. La Barsky scrive poi:
Un accordo parziale [con Hamas] porterà quasi certamente alle dimissioni di Smotrich e di Ben Gvir [dal governo]... Il governo andrà in pezzi... Un accordo parziale significa la fine del governo di destra... Netanyahu lo sa bene, ed è per questo che esita con difficoltà. Eppure si può tirare la corda fino a un certo punto.
Trump sembra accettare la tesi di Dermer: "Penso che vogliano morire, ed è molto, molto grave", ha detto Trump di Hamas prima di partire per il suo recente viaggio in Scozia in agosto. "Si è arrivati al punto in cui siete voi [cioè lo stato sionista] che dovrete portare a termine il lavoro".
Ma l'idea di Dermer di infliggere agli avversari una sconfitta tale da bruciare loro la coscienza non ha mai riguardato solo Hamas. Essa riguardava tutti i palestinesi, tutta la regione nel suo complesso e, naturalmente, l'Iran in particolare.
Gideon Levy scrive che dobbiamo essere grati all'ex capo dell'intelligence militare Aharon Haliva, che su Channel 12 ha ammesso che
"Abbiamo bisogno di un genocidio ogni pochi anni; il massacro del popolo palestinese è un atto legittimo, persino fondamentale". Ecco come parla un generale moderato dell'IDF... uccidere cinquantamila persone è "necessario".
Questa "necessità" non ha più un fondamento razionale. Si è trasformata in sete di sangue. Benny Barbash, drammaturgo cittadino dello stato sionista, scrive che molti concittadini che incontra -anche alle manifestazioni a favore di uno scambio tra ostaggi e prigionieri- ammettono francamente:
"Senti, mi dispiace davvero dirtelo, ma dei bambini che muoiono a Gaza non mi importa nulla. Né della fame che c'è o non c'è. Davvero non mi interessa. Te lo dico chiaramente: per quanto mi riguarda, da quelle parti possono anche morire tutti".
"Il genocidio come prerogativa dell'IDF, per il bene delle generazioni future"; "Per ogni [cittadino dello stato sionista] del 7 ottobre, devono morire cinquanta palestinesi. Dei bambini adesso non importa. Non parlo per vendetta, ma per lanciare un messaggio alle generazioni future. Non c'è niente da fare, hanno bisogno di una Nakba ogni tanto e poi di provarne il peso", cita Gideon Levy le sobrie considerazioni del generale Haliva (sottolineatura aggiunta).
Occorre interpretare tutto questo come indice di un profondo mutamento nel nucleo del pensiero sionista, che passa da Ben Gurion a Kahane. Yossi Klein scrive (in ebraico su Haaretz) che
Siamo davvero arrivati alla barbarie, ma questa non è la fine del sionismo... [Questa barbarie] non ha ucciso il sionismo. Al contrario, gli ha conferito rilevanza. Il sionismo ha avuto varie versioni, ma nessuna assomigliava a questa nuova, aggiornata e violenta variante rappresentata dal sionismo di Smotrich e di Ben Gvir...
Il vecchio sionismo non aveva più rilevanza. Esso ha fondato uno Stato e fatto rinascere la sua lingua. Non ha più obiettivi... Se oggi chiedeste a un sionista che cos'è il suo sionismo, non saprebbe come rispondere. "Sionismo" era diventata una parola vuota... Fino all'arrivo di Meir Kahane. Egli è stato foriero di un sionismo aggiornato i cui obiettivi sono chiari: espellere gli arabi e insediare gli ebrei. Questo è un sionismo che non si nasconde dietro belle parole. Sentir parlare di "evacuazione volontaria" lo fa ridere. Il "trasferimento" lo incanta. Lo apartheid lo inorgoglisce... Essere sionisti oggi significa essere Ben Gvir. Non essere sionisti significa essere antisemiti. Un antisemita [oggi] è qualcuno che legge Haaretz...
Smotrich ha dichiarato a fine agosto che il popolo ebraico sta vivendo fisicamente "il processo di redenzione e il ritorno della presenza divina a Sion, mentre è impegnato nella 'conquista della terra'".
È questo filone di pensiero apocalittico che sta influenzando l'amministrazione Trump in vari modi: sta trasformando la linea etica dell'amministrazione in una posizione del tipo "la guerra è guerra e deve essere totale". Qualunque cosa in meno deve essere vista come un mero scrupolo morale. Questa è l'interpretazione talmudica che deriva dalla storia dello sterminio degli Amalekiti; si veda Jonathan Muskat in Times of Israel.
Ecco quindi il nuovo asservimento di Washington verso la decapitazione delle leadership intransigenti (Yemen, Siria e Iran); il sostegno alla neutralizzazione politica di Hezbollah e degli sciiti in Libano, l'assassinio dei capi di Stato riottosi -come è stato discusso per l'Imam Kamenei- come operazioni di ordinaria amministrazione e la sovversione delle strutture statali (come previsto per l'Iran il 13 giugno).
La conversione dello stato sionista a questo sionismo revisionista –e la sua influenza sulle fazioni chiave della linea statunitense– è proprio il motivo per cui la guerra tra Iran e stato sionista è ormai percepita come inevitabile.
La Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran ha espresso chiaramente il proprioo comprenderne le implicazioni in un discorso pubblico all'inizio di questa settimana:
Questa ostilità [statunitense] è la stessa da quarantacinque anni ed è passata attraverso amministrazioni, partiti e presidenti statunitensi diversi. Sempre la stessa ostilità, le stesse sanzioni e le stesse minacce contro la Repubblica Islamica e il popolo iraniano. La domanda è: perché? In passato, hanno nascosto la vera ragione dietro etichette come terrorismo, diritti umani, diritti delle donne o democrazia. Se la dichiaravano, la formulavano in modo più educato, dicendo: "Vogliamo che l'Iran cambi comportamento".
Ma l'uomo oggi al potere in AmeriKKKa è stato finalmente chiaro e ha svelato il vero obiettivo: "Il nostro conflitto con l'Iran, con il popolo iraniano, è dovuto al fatto che l'Iran deve obbedire all'AmeriKKKa". Questo è ciò che noi, la nazione iraniana, dobbiamo capire chiaramente. In altre parole: una potenza mondiale si aspetta che l'Iran, con tutta la sua storia, la sua dignità e la sua eredità di grande nazione, se ne stia semplicemente sottomesso. Questo è il vero motivo di tutta quella ostilità.
Quelli che dicono "Perché non negoziate direttamente con l'AmeriKKKa per risolvere le vostre questioni?" guardano solo alla superficie. Non è questo il vero problema. Il vero problema è che gli Stati Uniti vogliono che l'Iran obbedisca ai loro ordini. Il popolo iraniano è profondamente offeso da un insulto così grave e si opporrà con tutte le sue forze a chiunque nutra false aspettative nei suoi confronti... Il vero obiettivo degli Stati Uniti è la sottomissione dell'Iran. Gli iraniani non accetteranno mai questo grave insulto.
Nella tesi di Dermer, deradicalizzare significa "instaurare un dispotismo leviatanico che riduca la regione a una totale impotenza, anche a livello spirituale, intellettuale e morale. Il Leviatano totale è un potere unico, assoluto e illimitato, spirituale e temporale, sugli altri esseri umani", come ha osservato il dottor Henri Hude, ex capo del Dipartimento di Etica e Diritto della prestigiosa Accademia Militare di Saint-Cyr in Francia.
Anche l'ex difensore civico dell'IDF, il maggiore generale (in pensione) Itzhak Brik, ha avvertito che la leadership politica israeliana sta "giocando con l'esistenza stessa dello stato sionista":
Vogliono ottenere tutto attraverso la pressione militare, ma alla fine non otterranno nulla. Hanno messo lo stato sionista sull'orlo di due situazioni insostenibili: lo scoppio di una guerra su vasta scala in Medio Oriente [e, o, in secondo luogo] il proseguimento della guerra di logoramento. In entrambe le situazioni lo stato sionista non sarà in grado di sopravvivere a lungo.
Così, mentre il sionismo si trasforma in quella che Yossi Klein ha definito "barbarie all'ultimo stadio", sorge la domanda: questa guerra senza limiti potrebbe funzionare, nonostante il profondo scetticismo di Hude e Brik? Il terrorizzante operato dello stato sionista potrebbe imporre al Medio Oriente una resa incondizionata "che gli consentirebbe di cambiare profondamente, militarmente, politicamente e culturalmente, e di trasformarsi in un satellite dello stato sionista all'interno di una Pax AmeriKKKana globale"?
La risposta chiara che il dottor Hude dà nel suo libro Philosophie de la Guerre è che la guerra senza limiti non può essere la soluzione, perché non può garantire una "deterrenza" duratura o una deradicalizzazione:
Al contrario, essa è la causa più certa della guerra. Cessando di essere razionale, disprezzando avversari che sono più razionali di lui, suscitando avversari ancora meno razionali di lui, il Leviatano cadrà; e anche prima della sua caduta, nessuna sicurezza è garantita.
Hude indica anche come questa estrema ”volontà di potenza" senza limiti contenga inevitabilmente al suo interno la psiche dell'autodistruzione.
Per funzionare, un Leviatano deve rimanere razionale e potente. Cessando di essere razionale, disprezzando gli avversari più razionali e suscitando l'ira degli avversari meno razionali di lui, il Leviatano finisce per cadere. E cadrà.
Questo è precisamente il motivo per cui l'Iran, già adesso, sa che deve prepararsi alla Grande Guerra mentre il Leviatano si leva. E così deve fare anche la Russia, perché si tratta di una guerra unica, che verrà condotta contro i recalcitranti al nuovo ordine ameriKKKano.


28 agosto 2025

Alastair Crooke - A Mosca il "mito" di Trump lo capiscono. E lo ricambiano

Traduzione da Strategic Culture, 26 agosto 2025.


Trump sta ascendendo a una valenza mitologica, la cosa è diventata fin troppo evidente. Come ha osservato John Greer,
Sta diventando difficile anche per i razionalisti più convinti continuare a credere che la carriera politica di Trump possa essere definita nei termini prosaici del 'fare politica come sempre'.
Trump, ovviamente, non è affatto un personaggio mitico. È un anziano oligarca immobiliare statunitense con qualche piccolo problema di salute, dai gusti volgari e con un ego insolitamente robusto.
In greco antico il vocabolo mythos originariamente significava ‘storia’. Come scrisse il filosofo Sallustio, i miti sono cose che non accadono mai, ma che esistono sempre.
In seguito, il vocabolo è passato a indicare storie che fanno riferimento a un significato profondo. Questo non implica che debbano per forza avere un valore fattuale; tuttavia è proprio quest'ultima dimensione che conferisce a Trump "la sua straordinaria presa sull'immaginario collettivo del nostro tempo", suggerisce Greer. Trump riesce a riemergere, letteralmente, da tutto ciò che viene scagliato contro di lui per distruggerlo. Trump diventa quello che Carl Jung chiamava "l'Ombra". Come scrive Greer:
I razionalisti ai tempi di Hitler erano costantemente sconcertati dal modo in cui egli spazzava via gli ostacoli e seguiva la sua traiettoria fino alla fine. Jung sottolineò in Wotan, suo lungimirante saggio del 1936, che gran parte del potere di Hitler sulla mentalità collettiva dell'Europa proveniva dal regno del mito e dell'archetipo.
Nel mito, Wotan è un vagabondo che non ha pace, che crea disordini e suscita conflitti ora qui ora là, e che compie magie. Jung trovava piuttosto intrigante il fatto che un antico dio delle tempeste e delle burrasche –il Wotan tanto a lungo quiescente– potesse prendere vita nel movimento giovanile tedesco.
Cosa c'entra questo con il vertice in Alaska con il presidente Putin?
Beh, Putin sembra aver prestato la dovuta attenzione ai meccanismi psicologici alla base dell'improvvisa richiesta di un incontro da parte di Trump. I russi hanno trattato Trump in modo molto rispettoso, cortese e amichevole. Hanno implicitamente preso atto della convinzione di Trump di possedere una sorta di aura mitica interiore, una condizione che Steve Witkoff -suo amico di lunga data- ha descritto come la profonda convinzione di Trump che la sua autorevole presenza, da sola, riesca a piegare le persone al suo volere (e agli interessi degli Stati Uniti). Witkoff ha aggiunto di essere d'accordo con questa valutazione.
Solo per citare un esempio, l'incontro alla Casa Bianca con Zelensky e i suoi sostenitori europei ha prodotto alcune delle immagini a tema politico forse più straordinarie della storia. Come osserva Simplicius,
Si è mai vista una cosa simile? L'intero pantheon della classe dirigente europea ridotto a un gruppetto di bambini piagnucolosi nell'ufficio del preside. Nessuno può negare che Trump sia riuscito a "spezzare le ginocchia all'Europa". Questa è una svolta da cui non si torna indietro, non c'è possibilità di redenzione per immagini come queste. La pretesa della Unione Europea di essere una potenza geopolitica è stata smascherata come una farsa.
Meno evidente, ma psicologicamente cruciale, è il fatto che Trump sembra riconoscere in Putin un interlocutore all'altezza del suo mito. Nonostante i due siano agli antipodi dal punto di vista caratteriale, Trump sembra comunque riconoscere in lui un compagno nel pantheon dei presunti "esseri mitologici". Guardate di nuovo le scene di Anchorage: Trump tratta Putin con enorme deferenza e rispetto. Un atteggiamento molto diverso da quello sprezzante che ha riservato agli europei.
Ad Anchorage comunque è stato Putin a mostrare un comportamento calmo, composto e dominante.
Resta tuttavia evidente che il comportamento rispettoso di Trump nei confronti di Putin ha fatto saltare la radicale demonizzazione della Russia da parte dell'Occidente e il cordone sanitario eretto contro tutto ciò che è russo. Un altro momento di svolta da cui non si può tornare indietro: "non c'è possibilità di redenzione per immagini come queste". La Russia è stata trattata come una potenza globale alla pari.
Di cosa si è trattato? Si è trattato di una svolta: il paradigma di Kellogg per il congelamento del conflitto non è più sul tavolo; adesso c'è il piano di pace a lungo termine di Putin. E di dazi non si parla da nessuna parte.
Ciò che è chiaro è che Trump ha deciso, dopo qualche esitazione, che deve occuparsi dell'Ucraina.
La dura realtà è che Trump deve affrontare enormi pressioni: il caso Epstein si rifiuta ostinatamente di sparire. È destinato a riproporsi dopo il Labor Day negli Stati Uniti.
La narrativa securitaria occidentale per cui "stiamo vicendo noi", o almeno "stanno perdendo loro", è stata così forte –e così universalmente accettata per così tanto tempo– che, di per sé, è sufficiente a creare una dinamica potente che avrebbe spinto Trump a ostinarsi con la guerra in Ucraina. La realtà dei fatti viene regolarmente distorta perché si adatti a questa narrativa, e questa dinamica non è stata ancora interrotta.
E Trump è intrappolato anche nel sostegno al macello messo in piedi dallo stato sionista, con le immagini di donne e bambini massacrati e affamati che negli Stati Uniti fanno rivolgare lo stomaco all'elettorato più giovane, quello sotto i trentacinque anni.
Queste dinamiche, insieme al contraccolpo economico dei dazi d'assalto in stile "Shock and Awe" destinato a frammentare i BRICS, nel loro insieme sono la minaccia più diretta alla base MAGA di Trump. Sta diventando una minaccia alla sua stessa esistenza. Epstein, il massacro di Gaza, la minaccia di "un'altra guerra" e la preoccupazione per il lavoro stanno sconvolgendo non solo la base MAGA, ma più in generale i giovani elettori ameriKKKani. Si chiedono se Trump sia ancora "uno di loro" o se sia sempre stato con "quegli altri".
Senza la base alle sue spalle, Trump rischia di perdere le elezioni di medio termine per il Congresso. I donatori straricchi possono anche pagare, ma non possono sostituire quella base.
Ciò che è emerso da Anchorage è quindi uno stato di cose che dal punto di vista intellettuale è piuttosto scarso. Trump ha deciso come minimo di non ostacolare più la Russia e il suo imporre una soluzione in Ucraina. Soluzione che è, in ogni caso, l'unica possibile.
Questo stato di cose non segna l'inizio di un percorso verso una sistemazione definitiva del problema. Sarebbe stato quindi un pio desiderio, come sottolinea Aurelien, aspettarsi che Trump e Putin avrebbero "negoziato" la fine della guerra in Ucraina, "come se Putin avesse tirato fuori un appunto dalla tasca e i due ne avessero poi discusso". Trump comunque non si muove bene quando si tratta di dettagli ed è solito divagare in modo discorsivo e inconcludente.
Man mano che ci avviciniamo alla fase finale, le iniziative importanti si svolgono altrove e gran parte di esse saranno nascoste alla vista del pubblico. Le linee generali dell'esito militare della crisi ucraina sono visibili da tempo, anche se i dettagli potrebbero ancora cambiare. Al contrario, la fase finale sotto il profilo politico, estremamente complessa, è appena iniziata. I giocatori non sono sicuri delle regole, nessuno sa con certezza quanti giocatori ci siano e il risultato è al momento poco chiaro,
sostiene Aurelien.
Allora perché Trump ha improvvisamente cambiato rotta? Beh, non è stato perché è incappato in una specie di fulminazione sulla via di Damasco. Trump rimane un convinto sostenitore di una politica che mette in tutto e per tutto al primo posto lo stato sionista; in secondo luogo, non può rinunciare alla sua ricerca dell'egemonia del dollaro perché anche questo obiettivo sta diventando problematico, dato che la bolla economica statunitense sta cominciando a sgonfiarsi, e i giovani sotto i trent'anni cominciano ad agitarsi, laggiù nelle cantine dei loro genitori.
È vantaggioso per Trump (per ora) lasciare che la Russia "porti" con la forza la UE e Zelensky verso una "pace negoziata". Negli Stati Uniti i fautori dell'intransigenza contro la Repubblica Popolare Cinese stanno mettendo su l'opinione pubblica in modo sempre più determinato, sostenendo che la Cina sia vicina a un decollo esponenziale -sia dal punto di vista economico che tecnologico- dopo il quale gli Stati Uniti perderanno la loro capacità di contenerne la supremazia globale. Probabilmente, va detto, è già troppo tardi per fermare questo processo.
Anche Putin sta correndo un grosso rischio nell'offrire a Trump una via d'uscita, accettando di lavorare per un rapporto stabile a lungo termine con gli Stati Uniti. Non si tratta della Finlandia del 1944, dove fu l'esercito sovietico a imporre un armistizio.
In Europa, le élite ritengono che la mano tesa di Trump verso Putin non porterà ad alcun risultato. Il loro piano è quello di assicurarsi che Trump fallisca assecondandolo e garantendo al contempo, tramite le loro condizioni, che tale accordo non si concretizzi. In questo modo dimostreranno a Trump che "Putin non è seriamente intenzionato a porre fine alla guerra". Spingendo così gli Stati Uniti a un'escalation.
La parte dell'accordo con Putin che Trump è chiamato a svolgere è chiaramente quella di farsi carico della gestione delle classi dirigenti europee (soprattutto inondando il mondo dell'informazione con dicerie contraddittorie) e di mettere la sordina ai falchi statunitensi (fingendo di corteggiare la Russia per allontanarla dalla Cina). Davvero? Sì, davvero.
Anche Putin deve affrontare pressioni interne, da parte di russi convinti che alla fine sarà costretto ad accettare una sorta di accordo provvisorio tipo Minsk 3 -una serie di cessate il fuoco limitati che non farebbero altro che esacerbare il conflitto- piuttosto che arrivare a una vittoria totale. Alcuni russi temono che il sangue versato finora possa rivelarsi solo l'anticipo di quanto ne dovranno versare nei prossimi anni, quando l'Occidente si sarà riarmato.
Putin deve anche affrontare l'ostacolo rappresentato dallo stesso Trump, che vede il suo rapporto con lui attraverso la ottusa ottica del mercato immobiliare newyorkese. Trump sembra ancora non capire che la questione chiave non è tanto quella dei territori ucraini, quanto quella della sicurezza geostrategica. Trump è entusiasta davanti alla prospettiva di un vertice trilaterale, e il suo entusiasmo sembra che si fondi sull'immagine di due magnati dell'immobiliare che giocano a Monopoli e si scambiano proprietà. Ma le cose non stanno così.
Sembra tuttavia che Putin sia effettivamente riuscito a trovare una via d'uscita dal cordone sanitario impostogli dall'Occidente. La Russia è nuovamente riconosciuta una grande potenza e la questione dell'Ucraina sarà risolta sul campo di battaglia. Le due grandi potenze nucleari stanno dialogando. Questo è importante di per sé. Trump riuscirà a offrire alla sua base elettorale le garanzie che essa richiede? La fine della partita in Ucraina, se mai ci si dovesse arrivare, sarà sufficiente per i MAGA? La furia genocida di Netanyahu a Gaza farà saltare la copertura che i MAGA forniscono a Trump? Molto probabilmente sì.

20 agosto 2025

Solidarietà a Leonardo Pistoia di Viareggio

Le gazzette amano presentarsi come espressioni di "libera informazione" e puntello della democrazia. Questo, a sentire chi ci scrive. In concreto, e da anni, sono invece alle prese con tirature da ridimensionare, vendite a rotta di collo, bilanci tenuti in piedi dal Dipartimento dell'Editoria (sempre che basti), e linee editoriali surreali dove la gara a chi ospita le opinioni e gli intenti più sporchi anche dal punto di vista morale pare non avere seri limiti.
A tutto questo nel mese di agosto si aggiunge anche una costante scarsità di argomenti.
Nel 2025 i foglietti della costa toscana hanno chiuso i numeri dedicando spazio a Leonardo Pistoia. Che sarebbe un ventunenne di Viareggio cui piace quella politica che si regge su ideali e principi anche se molto rara. O almeno così garantisce la sua autoschedatura sul Libro dei Ceffi (qui su Archive).
Gli ideali e i principi che apprezza gli hanno fatto guadagnare qualche ora di relativa notorietà come organizzatore di passeggiate serali antidegrado, come fanno da svariati anni i minicandidati "occidentalisti" a qualche consultazione elettorale.

🚶Non mi fermo. Dopo Ferragosto torneremo in strada per la Camminata per la Sicurezza.
📍Viareggio – Torre del Lago
La data precisa verrà comunicata a breve, ma una cosa è certa: questa volta dobbiamo essere ancora di più.
La sicurezza non è un privilegio, è un diritto. E per difenderlo dobbiamo esserci tutti, uniti, determinati e visibili.
Porta amici, familiari, colleghi: ogni persona conta, ogni passo è importante.
💪Insieme possiamo fare la differenza.
#CamminataPerLaSicurezza #Viareggio #TorreDelLago #UnitiperlaSicurezza #NonMiFermo

 Da questo punto di vista Viareggio è un po' vivace: si vede che vi esistono ambienti sociali favorevoli ai guitti dell'"occidentalismo" più abietto. A testimonianza della serietà dell'intento anche l'esistenza di una pagina personale su Wikipedia, presente in Google ma precipitosamente cancellata da qualcuno, probabilmente convinto che il giovane Pistoia per adesso non abbia fatto nulla che gli valga l'inclusione tra le grandi figure di interesse enciclopedico come Albert Einstein o Alvaro Vitali.
L'impegno gli sarebbe costato anche un'aggressione, denunciata con toni da sceneggiatura.



📣 DENUNCIA PRESENTATA 📣
A chi ancora parla, insinua o mette in dubbio: ecco la risposta.
Ho sporto denuncia ufficiale per lesioni personali aggravate e all’interno c’è riportato nero su bianco anche l’avvertimento che mi è stato dato da chi mi ha aggredito.
Non mi farò intimidire, non mi fermerò e non mi piegherò davanti a chi vuole screditarmi o fermare questa battaglia.
La verità è scritta negli atti ufficiali, e chi continua a diffamare dovrà assumersene la responsabilità.
Questa non è solo una mia lotta: è la lotta di tutti noi per una città sicura, libera dalla paura e dal controllo dei criminali.
Io non mollo. Anzi, vado avanti con ancora più forza.💪🔥
#Verità #Giustizia #IoNonMollo #TorreDelLago #Sicurezza
Una cosa che avrebbe rafforzato la sua determinazione e che gli ha attirato qualche attestazione di solidarietà (qui su Archive).
Invece dopo Ferragosto Leonardo Pistoia -che secondo le gazzette non svolgerebbe alcuna attività lavorativa- è stato arrestato come un indesiderabile qualsiasi, e non certo per aver organizzato un colpo di Stato.
Sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, lesioni personali. Il gazzettaio riferisce anche delle dichiarazioni della sua vittima, sottoposta da mesi a continue violenze psicologiche, minacce, danneggiamenti, percosse e a un'aggressione fisica sotto la minaccia di un coltello e di un manganello effettivamente reperiti dalla gendarmeria.
Al momento in cui scriviamo è verosimile che ad attendere Leonardo Pistoia sia un futuro piuttosto difficile, e non è nel nostro stile spingerci oltre con l'infierire sui motivi che lo hanno fatto associare alla casa circondariale di competenza. Motivi che probabilmente non sono nemmeno estranei alla sua familiarità con l'ambiente di Torre del Lago, una località che ha il pregio di attirare frequentatori le cui propensioni hanno senz'altro il merito del non prestarsi a equivoci.
Tanto basti per adoperarsi nei modestissimi limiti del possibile a far sì che Leonardo Pistoia abbia qualche difficoltà ad avvalersi del diritto all'oblio per i prossimi cinque, dieci, venti o trent'anni. Internet ha una memoria più che discreta, cosa che chi apprezza la politica che si regge su ideali e principi anche se molto rara tiene senz'altro in buona considerazione. 


Oltre che su Blogspot, questo scritto viene pubblicato anche su Poliverso/Friendica e su iononstoconoriana.com



17 agosto 2025

Alastair Crooke - La Russia intende avere piena comprensione dei vincoli cui Trump è soggetto




Traduzione da Strategic Culture, 15 agosto 2025.

Un altro giro di negoziati tra l'inviato di Trump Steve Witkoff e la leadership russa? Un incontro tra Witkoff e il presidente Putin è ormai imminente. Intanto il generale Keith Kellogg si è recato a Kiev. Questo avviene mentre il cosiddetto ultimatum di Trump sta per scadere, anche se lo stesso Trump mette in dubbio che le sanzioni che potrebbero seguire possano davvero recare qualche fastidio a Putin.
È cambiato qualcosa, al di là del fatto che la Russia sta avanzando sempre più rapidamente lungo tutta la linea del fronte?
Da un certo punto di vista in effetti non è cambiato nulla. La posizione russa rimane quella espressa dal presidente Putin il 14 giugno 2024. È la posizione degli Stati Uniti è cambiata? Neppure.
All'inizio di questo mese il generale Kellogg -suggeritore di Trump- ha per l'appunto suggerito che gli Stati Uniti schierassero tutti i loro sottomarini dotati di missili balistici per vedere se Putin stesse bluffando. Il punto è proprio questo: Kellogg continua a credere che Putin stia bluffando. Sembra che il generale e coloro che nella squadra di governo stanno dalla sua parte non riescano a capire o a interiorizzare quello che Putin va dicendo loro dal giugno 2024: "sono le cause profonde che contano".
Per Kellogg e compagni, a un cessate il fuoco secondo i criteri fissati dallo stesso Kellogg si potrà arrivare solo facendo pressione su Putin.
Il presidente della Commissione per gli affari internazionali della Federazione Russa Grigory Karasin è anch'egli impegnato nei negoziati. E ha esposto molto chiaramente la situazione: "Tutti i contenuti emotivi che dominano attualmente lo spazio mediatico, con tutte queste dichiarazioni e tutti questi riferimenti a grandi nomi come quello di Trump, dovrebbero essere presi con calma", ha detto Karasin alla Izvestia:
Ci saranno contatti con lui [Witkoff] che riveleranno ciò che gli Stati Uniti pensano realmente -non la versione buona per l'opinione pubblica- sul ruolo assolutamente distruttivo attualmente svolto dai paesi dell'Unione Europea che controllano strettamente il regime di Zelensky. Si discuterà di tutto questo. Credo che almeno, dopo questi contatti, saremo a conoscenza di tutti gli aspetti sostanziali. Pertanto dobbiamo rimanere pazienti, composti e resistere alla tentazione di reagire in modo emotivo.
Sembra che, dal punto di vista russo, lo scopo sia quello di conoscere bene quali siano i limiti entro cui Trump può muoversi.
Ed è nel contesto di questi limiti che vanno interpretate le dichiarazioni di Trump sull'invio di due sottomarini nucleari della classe Ohio a “pattugliare le coste” della Russia. Le dichiarazioni di Trump e del suo stretto consigliere Kellogg sui sottomarini riflettono un'errata interpretazione del ruolo dei sottomarini di seconda linea, che devono rimanere silenti e invisibili sul fondo dell'oceano e non devono assolutamente essere messi in mostra.
Trump dunque ha fatto una considerazione sciocca, forse pensata più che altro a pro del fronte interno. Trump è sottoposto a molteplici pressioni. Si trova all'angholo a causa delle sempre più gravi accuse mosse contro Epstein, sul cui conto sarebbero in arrivo altre rivelazioni. E come molti altri presidenti degli Stati Uniti deve guardarsi sia dallo stato sionista -a causa della rete di donatori e di grandi interessi economici- sia, come Clinton, da minacce di livello ben più basso e ben più pericolose.
La vecchia guardia repubblicana guidata da Mitch McConnell e dal senatore Graham ha capito che è in un momento di debolezza e ha intravisto un'occasione per indebolire la fazione MAGA e per togliere il GOP dalla sua sbandata populista e reincanalarlo verso una leadership unipartitica tradizionale in stile country club.
Una potente commissione del Senato ha votato, con un forte sostegno sia dei democratici che dei repubblicani alleati di Trump, perché venga sottoposta al voto dell'intero Senato una proposta di spesa che include un miliardo di dollari di aiuti all'Ucraina, nonostante l'amministrazione avesse chiesto al Congresso di eliminare questi fondi dalla richieste di bilancio per la difesa.
Il senatore repubblicano Murkowski e la democratica Shaheen, entrambi membri della Commissione Bilancio, hanno presentato ciascuno per proprio conto un disegno di legge che prevede 54,6 miliardi di dollari in aiuti all'Ucraina nei prossimi due anni. Per diventare legge, la proposta Murkowski-Shaheen dovrà affrontare una dura battaglia.
Trump ovviamente aveva basato la campagna elettorale sulla promessa, fatta all'elettorato MAGA, di non stanziare ulteriori fondi per la guerra in Ucraina. Se il provvedimento da un miliardo di dollari dovesse essere approvato i suoi sostenitori MAGA, già infuriati per quello che ritengono essere un insabbiamento del caso Epstein, si sentirebbero traditi una volta di più.
Farsi vedere col Congresso che gli mette i piedi in testa è una cosa che nessun Presidente può permettersi, tanto meno su una promessa elettorale fondamentale. Un presidente deve cercare di dominare il Congresso e di non diventare il suo burattino, soprattutto perché la perentorietà del Senato sulla questione delle sanzioni mira a bloccare la strada di Trump verso una normalizzazione strategica con la Russia.
È possibile quindi che la dichiarazione di Trump sul dispiegamento dei sommergibili sia stata fatta più che altro per mandarla a dire al Congresso, per mettere in primo piano un approccio intransigente nei confronti della Russia e per far capire che ha altri strumenti a disposizione, oltre alle sanzioni su cui è scettico.
I grattacapi per Trump tuttavia non finiscono con l'impasse per l'Ucraina. Nello stato sionista lo establishment della "Giudea" (i coloni messianici) ha respinto i tentativi di Witkoff di fermare il genocidio e la messa alla fame degli abitanti di Gaza. Le immagini della carestia stanno danneggiando Trump; secondo il quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth -che cita fonti vicine a Netanyahu- egli avrebbe dato il via libera a una massiccia operazione militare a condizione che i negoziati giungano a un punto morto. "La situazione sta andando verso la completa occupazione della Striscia. Se al capo dello Stato Maggiore la cosa non piace, che si dimetta", è il consiglio senza mezzi termini che viene dall'entourage di Netanyahu.
La guerra di Gaza sta influenzando il sentire politico statunitense, soprattutto tra i giovani. E ne ha anche sui giovani europei. Trump recentemente ha avvertito un donatore ebreo che la sua base sta arrivando "a odiare lo stato sionista". La base di Trump si sta disperdendo.
Dopo una reazione negativa di vaste proporzioni alla decisione dell'amministrazione Trump di tagliare i fondi federali di emergenza alle città e agli Stati che boicottano lo stato sionista, agli Interni sono stati costretti a mettere in programma la rimozione del divieto di boicottaggio. La disposizione adesso si applica solo alle violazioni delle disposizioni su diversità, equità e inclusione e su quelle per l'immigrazione. La base MAGA vede sempre più le politiche all'insegna del "prima lo stato sionista" come un tradimento del "prima l'AmeriKKKa" delle promesse elettorali.
Quindi, secondo l'analisi di Grigory Karasin, "i contatti con Steve Witkoff dovrebbero rivelare la vera posizione degli Stati Uniti [i suoi vincoli e limiti], in contrasto con le dichiarazioni ad alta voce che arrivano dalla Casa Bianca alla vigilia della scadenza dei termini dell'ultimatum sul conflitto in Ucraina e l'introduzione di nuove sanzioni anti-russe".
Witkoff, d'altra parte, sta probabilmente cercando di sondare l'esistenza di un qualsiasi margine di agibilità nella posizione dichiarata dalla Russia, e di esplorare la possibilità di imporre una qualche scadenza per il raggiungimento di accordi con Kiev. Mosca si è detta disponibile a un quarto incontro per dei colloqui a Istanbul. Il clamore mediatico e la vicenda dei sottomarini missilistici fanno parte delle tipiche tattiche che Trump mette in atto in vista di qualche negoziato.
La realtà che il clamore nasconde, tuttavia, è che Trump ha poche carte da giocare per aumentare la pressione sulla Russia. Gli arsenali sono vuoti e ricorrere a missili a più lungo raggio susciterebbe le ire dei sostenitori di MAGA, che accuserebbero Trump di portare l'AmeriKKKa verso la terza guerra mondiale.
A servire davvero a Trump sarebbe un qualche cosa che lo metta al sicuro dalle pressioni del Senato che minacciano di legarlo mani e piedi a sanzioni infinite e all'escalation dei finanziamenti all'Ucraina. Qualcosa che faccia almenoi presagire la fine del conflitto entro un lasso di tempo ragionevole. È possibile? C'è da dubitarne. Kiev sembra aver imboccato una strada che porta lentamente all'autodistruzione. È troppo presto per capire chi potrebbe emergere dal caos.
Paradossalmente, la provocazione di Trump con quel "navigare lungo le coste russe" con sottomarini della classe Ohio, per quanto assurda, ha fornito a Mosca il pretesto per proporre qualcosa che era da tempo nel cassetto del presidente Putin. La Russia ha annunciato ufficialmente il ritiro dalle restrizioni che si era autoimposta nell'ambito della moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio (Trattato INF) e ha giustificato questa decisione con le iniziative degli Stati Uniti, che da tempo hanno dispiegato sistemi simili in Europa e nella regione dell'Asia-Pacifico, violando così lo status quo. Per la prima volta la Russia sottolinea ufficialmente che la minaccia dei missili a medio e corto raggio statunitensi non proviene solo dall'Europa, ma anche dalla regione dell'Asia-Pacifico.
A livello di logica formale la revoca della moratoria sul dispiegamento di questi missili da parte di Mosca non è altro che una risposta simmetrica alla precedente escalation di Washington. Ma a un livello più profondo, la Russia non sta solo rispondendo: sta creando una nuova architettura strategica senza che in questo intervengano limiti imposti a livello internazionale. E tra le altre cose la Russia dispone della produzione in serie del missile Oreshnik, oltre ad avere nella regione dell'Asia-Pacifico uno stretto alleato come la Corea del Nord.
Questo cambiamento di paradigma intende avere effetti strategici. Se in passato Mosca si affidava ai trattati e al gioco pulito, oggi punta sull'imprevedibilità, sui fronti interconnessi e sul reagire alle minacce.

12 agosto 2025

Dodici agosto


"...proseguendo poi la sua corsa per centoquarantaquattro metri".

Catanzaro, 12 agosto 2009, ore 23.45 circa.

07 agosto 2025

Alastair Crooke - Un altro attacco statunitense contro l'Iran sarebbe un inutile gesto teatrale

 


Traduzione da Strategic Culture, 4 agosto 2025.

Il presidente degli Stati Uniti, angustiato da una vicenda Epstein che non vuole saperne di passare in secondo piano e messo sotto pressione dai falchi a causa del sensibile collasso dell'Ucraina, sta sparando una raffica di minacce geopolitiche su tutti i fronti. Innanzitutto e soprattutto contro la Russia, ma in secondo luogo contro l'Iran.
"L'Iran è proprio malvagio. Le dichiarazioni degli iraniani sono intrise di malvagità. Sono stati colpiti. Non possiamo permettere loro di avere armi nucleari. Stanno ancora parlando di arricchimento dell'uranio. Chi è che parla così? È proprio stupido. Non lo permetteremo".
Una escalation di qualche genere con la Russia è chiaramente all'ordine del giorno, ma Trump ha minacciato anche di attaccare nuovamente i siti nucleari iraniani. Se lo facesse si tratterebbe di un gesto dimostrativo completamente scollegato dalla realtà delle cose sulla situazione in Iran.
Un altrio attacco, direbbero, significherebbe un'ulteriore regressione -o proprio la parola fine- per la capacità dell'Iran di mettere insieme un'arma nucleare.
E questa sarebbe una bugia.
Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e sicurezza internazionale al MIT, viene considerato il massimo esperto statunitense in materia di armi nucleari e loro sistemi di lancio. Postol esprime alcune osservazioni tecniche controintuitive che questo articolo ha l'intenzione di tradurre in termini politici e che indicano con chiarezza come un ulteriore attacco ai tre siti nucleari colpiti dagli Stati Uniti il 22 giugno sarebbe inutile.
Sarebbe inutile per quanto riguarda l'obiettivo ostentato da Trump, ma un attacco potrebbe comunque esserci, sia pure solo come messinscena volta a facilitare altri e differenti obiettivi come il tentativo di rovesciare la Repubblica Islamica e favorire le ambizioni egemoniche dello stato sionista nella regione.
In parole povere la convincente argomentazione del professor Postol è che l'Iran non ha bisogno di ricostruire il suo precedente programma nucleare per costruire una bomba. Quell'epoca è finita. Sia gli Stati Uniti che lo stato sionista credono -e con ragione, afferma Postol- che la maggior parte delle scorte di uranio altamente arricchito dell'Iran siano sopravvissute all'attacco e siano disponibili.
"I tunnel di Esfahan sono profondi. Sono tanto profondi che gli Stati Uniti non hanno nemmeno provato a farli crollare con le bombe bunker buster. Supponendo che il materiale non sia stato spostato, ora si trova intatto nei tunnel. Dopo una settimana dall'attacco l'Iran aveva già sbloccato l'ingresso di un tunnel".
Insomma, l'attacco statunitense non ha ritardato di anni il programma iraniano. È altamente probabile che la maggior parte dell'uranio altamente arricchito iraniano sia sopravvissuto agli attacchi, pensa Postol.
L'AIEA afferma che al momento dell'attacco l'Iran possedeva 408 kg di uranio arricchito al 60%. Probabilmente gli iraniani lo hanno spostato prima dell'attacco di Trump; secondo Postol lo si sarebbe potuto portare facilmente altrove usando il cassone di un pick up ("o anche un carro trainato da un asino!"). Ma il punto è che nessuno sa dove si trovi quell'uranio arricchito. E quasi certamente è disponibile.
L'argomento essenziale del professor Postol -che evita di accennare a implicazioni politiche- è il paradosso per cui più l'uranio è arricchito, più facile diventa arricchirlo ulteriormente. Di conseguenza l'Iran potrebbe accontentarsi di un impianto di centrifugazione molto più piccolo. Esattamente: molto, molto più piccolo degli impianti su scala industriale di Fordow o di Natanz, progettati per ospitare rispettivamente migliaia e decine di migliaia di centrifughe.
Postol ha elaborato lo schema tecnico di una cascata di 174 centrifughe con cui l'Iran potrebbe arrivare in solo quattro o cinque settimane ad avere l'uranio arricchito -sotto forma di gas esafluoruro- sufficiente a realizzare un ordigno. Nel 2023 l'AIEA aveva trovato particelle di uranio arricchito all'83,7%: un livello militare. Probabilmente si è trattato di un esperimento con cui gli iraniani avrebbero dimostrato a se stessi che erano in grado di farlo quando e come volevano, suggerisce il professor Postol.
Lo schema della cascata di centrifughe di Postol aveva lo scopo di sottolineare il fatto che avendo a disposizione dell'uranio arricchito al 60% occorrono pochi o punti sforzi per proseguire l'arricchimento fino all'83,7%. Eccola qui, la storia dell'arricchimento in segreto.
La cosa che potrebbe risultare ancora più scioccante ad occhi inesperti è che Postol ha ulteriormente dimostrato che una cascata di 174 centrifughe potrebbe essere installata in uno spazio di soli sessanta metri quadrati -la superficie di un modesto appartamento cittadino- e consumerebbe solo poche decine di kilowatt.
Insomma, qualche impianto di arricchimento di dimensioni del genere si potrebbe nascondere ovunque in un paese vasto come l'Iran; aghi in un pagliaio. Anche la conversione dell'uranio in uranio metallico 235 comporterebbe il ricorso a impianti di piccole dimensioni; la si potrebbe eseguire in una struttura di centoventi, massimo centocinquanta metri quadrati.
Sempre a proposito di alcuni dei luoghi comuni che circondano la realtà iraniana, la costruzione di una bomba atomica sferica richiede non più di quattordici chilogrammi di uranio metallico 235 circondato da un riflettore. "Non si tratta di alta tecnologia, è roba da capanno degli attrezzi". Basta assemblare i pezzi e non servono test. Postol afferma che "Little Boy è stato sganciato su Hiroshima senza molti test; è sbagliato pensare che servano test". Ecco sfatato l'altro luogo comune per cui "sapremmo se l'Iran fosse arrivato ad avere capacità nucleari militari perché potremmo rilevare sismicamente il test di una qualsiasi arma".
Una piccola bomba atomica di questo tipo peserebbe solo centocinquanta chili. Le testate di alcuni missili iraniani lanciati contro lo stato sionista durante la guerra dei dodici giorni, sia detto per confronto, ne pesavano tra i quattrocentosessanta e i cinquecento.
Ted Postol è attento a non azzardare valutazioni sulle implicazioni politiche. Eppure sono assolutamente chiare: non ha senso un altro bombardamento su Fordow, Natanz e Isfahan. La stalla è aperta e i buoi sono scappati.
Il professor Postol, come massimo esperto tecnico in materia nucleare, fornisce informazioni al Pentagono e al Congresso. Conosce il direttore dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard, e secondo quanto riferito l'ha messa al corrente della situazione prima dell'attacco di Trump contro Fordow il 22 giugno sostenendo che gli Stati Uniti probabilmente non sarebbero stati in grado di distruggere la sala delle centrifughe, che a Fordow è molto profonda. Altri funzionari del Pentagono, pare, non sarebbero stati della stessa opinione.
Sappiamo che gli Stati Uniti non hanno nemmeno provato a far crollare i tunnel sotto Isfahan con le bombe bunker buster e che si sono accontentati di cercare di bloccare i vari ingressi dei tunnel verso il sito di Isfahan ricorrendo ad armi convenzionali, come i vecchi missili Tomahawk lanciati da sottomarini.
Ripetere l'esercitazione del 22 giugno sarebbe un mero gesto teatrale completamente privo di obiettivi concreti e realistici. Allora perché mai Trump ci starebbe ancora pensando? Durante la sua recente visita in Scozia, ha dichiarato ai giornalisti che l'Iran sta inviando "segnali negativi" e che qualsiasi tentativo di riavviare il suo programma nucleare verrebbe immediatamente represso:
"Abbiamo spazzato via il loro potenziale nucleare. Possono ricominciare. Se lo faranno, lo spazzeremo via più velocemente di quanto vi ci voglia per muovere un dito".
Ci sono diverse possibilità: Trump potrebbe sperare che un ulteriore attacco possa finalmente –secondo lui e altri– provocare la caduta del governo iraniano. Potrebbe anche provare l'istinto di rifuggire da un'escalation contro la Russia, per il pericolo di arrivare a un punto in cui il conflitto potrebbe diventare incontrollabile. E alla fine potrebbe concludere che sarebbe più facile presentare un attacco all'Iran come una dimostrazione della "forza" degli Stati Uniti da presentare poi con un'ulteriore dichiarazione del tipo "colpito e affondato", indipendentemente dai risultati concreti.
Infine, potrebbe pensare di attaccare nella convinzione che lo stato sionista voglia questo attacco, e che anzi ne abbia un disperato bisogno.
La motivazione più probabile potrebbe essere proprio questa. Solo che nell'attuale epoca della geostrategia gli impressionanti miglioramenti nell'accuratezza degli armamenti balistici e ipersonici russi e iraniani -che possono distruggere con precisione un obiettivo con danni collaterali trascurabili e che l'Occidente non è praticamente in grado di intercettare- hanno cambiato le regole del gioco.
E hanno fatto cambiare anche tutto il calcolo geostrategico, specialmente per lo stato sionista. Un ulteriore attacco all'Iran, lungi dal rivelarsi vantaggioso, potrebbe scatenare contro lo stato sionista una risposta devastante a mezzo missili.
Del resto tutte le narrazioni di Trump sono un po' un teatrino. Un teatrino in cui si ostenta sostegno allo stato sionista mentre il vero obiettivo è quello di far crollare e di balcanizzare l'Iran e di indebolire la Russia.
Postol riferisce che un colonnello dell'esercito sionista avrebbe detto a Netanyahu che attaccando l'Iran "probabilmente ce la prenderemmo con uno Stato dotato di armi nucleari". È probabile che Tulsi Gabbard abbia detto lo stesso a Trump.
Il professor Postol è d'accordo. L'Iran deve essere considerato una potenza nucleare non dichiarata, anche se la sua situazione effettiva viene accuratamente celata.

05 agosto 2025

Di Gazzette e di ristoranti. O di ristoranti e di gazzette

Per i gazzettieri agosto è un mese molto parco di argomenti. O meglio, di argomenti ce ne sarebbero quanti se ne vogliono, ma per chi fa giornata riempiendo gli spazi tra una pubblicità e l'altra e sperando che il Dipartimento per l'Editoria non perda in generosità è meglio annàcce cor bemollo, come avrebbe scritto il Belli, e non pestare troppi calli.
La divorante e deliberata deindustrializzazione della penisola italiana ha avuto d'altronde diverse conseguenze. Soprattutto al di fuori del palinsesto dei mass media e dell'agenda delle gazzette, che con la realtà hanno un rapporto che si potrebbe definire piuttosto libero. Ha finalmente tappato la bocca ai sindacati -che hanno roinàho l'ihàglia, lo sanno tutti- e messo a disposizione dei padroni una quantità impressionante di mano d'opera a costi ridicoli; di contro ha contribuito a instradare molte persone verso una piccola imprenditoria di esercizi commerciali che durano lo spazio di un mattino, di startup -che è il nome socialmente decoroso di quanti fanno il giro delle banche col cappello in mano- di "servizi" opinabili se non peggio, e soprattutto di posti dove si cuoce roba, o per lo meno la si taglia in piccole parti prima di metterla nei piatti. Si cuoce roba, o per lo meno la si taglia in piccole parti prima di metterla nei piatti, e si cerca di venderla a un prezzo che va dalle sette alle venti volte quello che vale. Un'esperienza che dipende da location, premium, valore aggiunto e altre cose irritanti che contribuiscono in ogni caso a concretizzare tentativi -per lo più ridicoli- di drenare ulteriore denaro. Una cosa che infastidisce ancora di più quando si rifà al ricordo di antiche spartanità elegiache e vite avventurose mai viste nemmeno in foto: osterie domenicane, locande del viandante, covi di bucanieri e via cianciando.
 Di quello che sono stati capaci di fare (e magari di pretendere) col succo di frutta fermentato abbiamo già scritto.
Ad accomunare tutto l'aggregato, la convinzione maturata chissà dove, chissà come e chissà perché che il bacino di potenziali clienti disposti a spendere centinaia di euro per qualcosa che in capo a qualche ora finisce nella fossa biologica sia inesauribile.
Sul piano gazzettiero la cosa è stata ben accolta, con interi numeri dedicati al lifestyle e al gusto. Solo che le vendite delle gazzette vanno a rotta di collo, cartaceo o digitale che sia, e sarebbe interessante valutare quanta influenza vi abbia la decisione di trattare temi del genere con una cadenza che rasenta la monografia; chissà perché qualcuno dovrebbe separarsi da del denaro per leggere di qualche milanese che vorrebbe imporre con autorevolezza il valore aggiunto della location premium con cui è decisissimo a vendere pasta scondita a trenta euro la porzione. E a separarsi da altro denaro dopo qualche tempo, per compartecipare allo scoramento dello stesso milanese che frigna perché non ci è riuscito. L'insofferenza velenosa che tanti ben vestiti nutrono nei confronti di chiunque non si affretti a corrispondergli cifre ragguardevoli per succo di frutta fermentato e roba cotta fa capire che si tratta di esborsi dovuti, di patenti per l'accesso alla società civile ancora prive di imposizione formale e delle relative sanzioni solo per un malaugurato accidente burocratico.
Insomma, bene che vada il rischio d'impresa è tutta colpa tua.
Ah, e dei sindacati.
E dei giovani che non vogliono lavorare (e ci sarebbe da stupirsi del contrario).
E dei comunisti.
Ovviamente per documentarsi sulla pratica che c'è dietro a tante teorie -pardon, theorie- non occorre essere esperti di marketing. Non occorre nemmeno comprare le gazzette.
Chi scrive ha un aneddoto da aggiungere in proprio, che a differenza della roba delle gazzette il rapporto con la realtà lo ha piuttosto stretto e che rappresenta solo uno dei motivi per cui ritiene i ristoranti dei luoghi da frequentare il meno possibile.
Anni fa ci recammo a cena in un locale sulle colline del Chianti fiorentino.
Un tale che diceva di essere un amico -e finché lo dice soltanto va anche bene- aveva rilevato da tempo una bottega di alimentari e ne aveva fatto un ristorante piuttosto rinomato; turisti nordeuropei molto presenti nella clientela, ottime recensioni, locale curato eccetera.
A notte, al momento del conto, gli dicemmo che ci aspettavamo di fare una buona dormita; avremmo avuto, l'indomani, una giornata piuttosto impegnativa.
Ne avemmo in cambio un'occhiata di sufficienza e l'asserzione che non si capiva da cosa ci si dovesse riposare, visto che non facevamo una sega tutto il giorno.
Parole testuali.
Gli mettemmo in mano il centinaio e più euro che gli stakhanov della cucina si erano duramente sudati maneggiando un'affettatrice e un coltello da formaggi (lui stava in sala, in cucina neanche ci aveva messo piede e la cena era stata per lo più a base di assaggi di salumi e pecorini), salutammo e ce ne andammo.
Poi vennero il 2020 e la pandemia, che costrinse la vita sociale a limiti molto rigidi.
Gli si saranno seccati i cespiti?
L'impresa avrà barcollato?
Moglie, figli ("Sta' diritto", "A me mi non si dice" e "Questa casa non è un albergo". Pare quasi di sentirlo, povero brambilla) e tutto il resto si saranno rivelate declinazioni di un unico concetto, quello di soldi in uscita?
Non riusciamo davvero a impietosirci.