24 aprile 2025

Firenze. Sulla prospettata chiusura del consolato statunitense di Lungarno Vespucci



 A Firenze un personaggio è un individuo dalle caratteristiche comportamentali che gli consentono di attirare sulle prime un'attenzione incuriosita e non malevola, ma destinato a rivelarsi dopo non molto tempo una compagnia tra l'imbarazzante e l'ingestibile a causa di opinioni, decisioni, azioni e comportamenti avventati, scriteriati, velleitari, incompetenti o semplicemente idioti ma comunque in grado di riguardare molti terzi con le loro conseguenze. Conseguenze sempre negative, ma di difficile attribuzione causale per chi non abbia assistito da vicino ai comportamenti che ne sono stati la causa.
La tendenza dell'amministrazione statunitense a cooptare personaggi in grado di far sparire il Presidente Dwayne Camacho, Frito Pendejo e gli altri protagonisti di Idiocracy, già ben affermata da decenni, pare aver accelerato dopo l'insediamento di Donald Trump per il suo secondo mandato.
Uno di questi è lo straricco e viziato Elon Musk, cui Trump ha affidato addirittura un ministero per l'efficienza governativa nel cui stemma figura molto appropriatamente e molto giustamente un cane.


Prima di stancarsene presto, come tutti i ricchi viziati, questo Musk avrebbe tagliato spese e personale con quegli you are fired che da quelle parti ti mettono immediatamente ad arrangiarti da solo perché amici e conoscenti spariscono come per incanto. Nulla di particolarmente rivoluzionario o innovativo, visto che sono almeno quarant'anni che dicono di non aver fatto altro. Sempre che non si tratti di armi, o di agevolazioni fiscali per i ricchi. Negli ultimi tempi la weltanschauung "occidentalista" ha finalmente perso le ultime remore e può dispiegarsi senza neppure doversi preoccupare di mettere in conto opposizioni concrete neppure minime.
Insieme a un commensale che si chiama Marco Rubio, questo Musk avrebbe messo in piedi anche una "radicale riorganizzazione del Dipartimento di Stato" chiudendo sedi e licenziando gente. La sede consolare fiorentina di lungarno Vespucci sarebbe tra quelle da chiudere.
Finalmente si tolgono dai piedi, la reazione immediata di molte persone serie.
Solo che le cose non stanno propriamente in questo modo. La presenza statunitense potrebbe diventare anzi ancor più fastidiosa.
Il Corriere Fiorentino così riporta il 23 aprile 2025 considerazioni attribuite a Marco Rubio:
Così com'è, il dipartimento è ipertrofico, burocratico e incapace di svolgere la sua essenziale missione diplomatica in questa nuova era di grande competizione tra potenze. Negli ultimi quindici anni il dipartimento ha registrato una crescita senza precedenti e i costi sono aumentati vertiginosamente ma, lungi dal vedere un ritorno dell'investimento, i contribuenti hanno assistito a una diplomazia meno efficace ed efficiente.
Un ortolano che constati le cattive condizioni di una partita di banane appena consegnatagli non si esprimerebbe in termini diversi. Dietro le righe si vedono gli ultimi sviluppi tendenziali -per non dire l'ultima moda- della politica "occidentalista": dal disprezzare la diplomazia nei confronti di paesi in cui esportare la democrazia a mezzo missile da crociera è passata a disprezzare la diplomazia in quanto tale. Un disprezzo che passa dal definanziamento e anche dal rifiuto del soft power. Questo abdicare a una costellazione di pratiche che comprende anche l'influenza culturale potrebbe sembrare scriteriato, ma un certo immaginario fatto di strade della California, generali Lee, rambi allo stato brado, fonzarelli a pollici alzati e con il "Reader's Digest" per attirare gli spiriti meno ardenti non ha alcun legame con la realtà da decenni, sempre che ne abbia mai avuto uno. E forse lo spettacolo dell'idiocrazia vigente e delle sue conseguenze sulla vita quotidiana, che di legami con la realtà statunitense ne ha fin troppi, è bene tenerlo quanto possibile in secondo piano.
I due micropolitici fiorentini Francesco Casini e Francesco Grazzini invece hanno reagito come se qualcuno gli avesse spento la luce per dispetto mentre facevano i compiti con "I Quindici" sulla scrivania, rifacendosela con l'esecutivo di Roma e con la madre non sposata che vi ricopre il ruolo di Primo Ministro. Probabile che la rilevanza letteralmente garzonale della loro opinione abbia loro risparmiato conseguenze più consistenti di qualche risatina di scherno.
Il modo per ottenere un ritorno dell'investimento esiste ed è dei più ovvi, tanto più che lo stabile è di proprietà governativa statunitense dal 1949.
Per prima cosa il consolato chiude.
Fine.
Le diciannovenni che vanno a Firenze in cerca di grane e poi si presentano a chiedere aiuto in lungarno Vespucci appena qualcuno gliene procura si rivolgeranno a Roma o a Milano; non rappresentano certo una fonte di entrate.
I quattro gatti che ci lavorano si arrangino, vadano a piangere dai sindacati. Ecco come finisce chi si fida degli ameriKKKani, si potrebbe infierire; nella penisola italiana la politica liberista -di cui il "sovranismo" altro non è che uno sviluppo ulteriormente incarognito- ha sempre contato su una base elettorale sicura che per lei una ciotola di maccaruna c'a' pummarola 'n coppa ci sarebbe sempre e comunque stata e che se perdi il lavoro è colpa tua. In quelle file il principio di realtà avanza da decenni a colpi di falce fienaia, ma evidentemente ancora non basta.
Palazzo Calcagnini o Canevaro di Zoagli ha di per sé tutto quello che serve per diventare uno charming resort: stucchi dorati, scalone monumentale, archi, colonne e un intero piano nobile. L'organizzando fine dining restaurant potrebbe essere chiamato "The bicorn in Florence" a ricordo dei vecchi tempi, così come locali dalle stesse pretese hanno spesso nomi che rimandano a realtà precedenti dove si lavorava sul serio. Con i suoi trenta euro per un goccio di liquore -pardon, per il settore mixology- e duecentosettanta per un menu scoperta garantirebbe spazi, frequentazioni e atmosfere dei più adatti alle trattative d'affari attirando una clientela di livello e consentendo di arrivare al punto senza perdite di tempo e di denaro. Ripensandoci anche il personale consolare in esubero potrebbe trarre vantaggi: perché non riassumerlo per posizioni come quella di sguattero o di cameriera ai piani, con una retribuzione pari a un terzo di quella precedente?
La diplomazia non è mai rifuggita da mezzi di questo genere, anzi. Solo che con alcune notevoli eccezioni -la prima che viene in mente è Joachim von Ribbentrop- a frequentare certi ambienti e a disporre di certi mezzi sono di solito individui e compagini che della diplomazia sono per lo meno disposti ad ammettere la liceità e l'utilità.

18 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump smantella un ordine mondiale in crisi: nuove opportunità sorgono dal caos



Traduzione da Strategic Culture, 16 aprile 2025.

Lo shock inflitto da Trump –il suo sottrarre l'AmeriKKKa al ruolo di perno dell'ordine postbellico basato sul dollaro– ha aperto una profonda spaccatura tra coloro che hanno tratto enormi benefici dallo status quo da un lato, e la fazione del Make AmeriKKKa Great Again che era arrivata a considerare lo status quo come un nemico -se non come una minaccia esistenziale- per gli interessi degli Stati Uniti dall'altro. Le due parti sono contrapposte da un'aspra polarizzazione irta di accuse reciproche.
Uno dei dati ironici della situazione è il fatto che il Presidente Trump e i repubblicani di destra abbiano insistito nel denunciare come una dannazione la vantaggiosa posizione del dollaro come valuta di riserva, che ha deviato proprio verso gli Stati Uniti il flusso dei risparmi del mondo che ha permesso loro di godere del privilegio unico di stampare moneta senza conseguenze negative. Almeno fino ad ora. Perché a quanto pare le dimensioni dell'indebitamento iniziano a farsi sentire anche per il Leviatano.
Il vicepresidente Vance adesso paragona la valuta di riserva a un "parassita" che ha corroso la sostanza del suo "ospite" –l'economia statunitense– con l'imposizione della sopravvalutazione del dollaro.
Per essere chiari, il presidente Trump riteneva che non ci fosse scelta: o si rovesciava il paradigma esistente al prezzo di notevoli sacrifici per molti di coloro che dipendono dal sistema finanziario, oppure si lasciava che gli eventi seguissero il loro corso verso l'inevitabile collasso economico degli Stati Uniti. Anche coloro che comprendevano il dilemma degli Stati Uniti sono rimasti comunque piuttosto scioccati dallo sfacciato egoismo con cui Trump ha deciso di "imporre dazi al mondo".
Al contrario di quello che molti affermano, le iniziative di Trump non sono dei capricci o dei gesti impulsivi. Sulle tariffe doganali il suo entourage ha lavorato per anni, e la loro imposizione costituiva parte integrante di un quadro più complesso che integrava gli effetti dei dazi sulla riduzione del debito e sulle entrate con un programma volto a costringere un'industria manifatturiera ormai scomparsa a tornare negli Stati Uniti.
Quella di Trump è una scommessa; potrebbe riuscire oppure no. Rischia una crisi finanziaria ancora più grave, dato che i mercati finanziari sono sovraindebitati e fragili. Ma ciò che è chiaro è che alle sue rozze minacce e al suo umiliare i leader mondiali seguirà una perdita di centralità degli USA che finirà per provocare una reazione nociva sia nelle relazioni con gli altri Paesi sia nella loro disponibilità a continuare ad avere a che fare con attività statunitensi, come i titoli del Tesoro. La sfida della Cina a Trump conferirà all'atmosfera un tono cui si adeguerà anche chi non ha il peso della Cina.
Perché allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere? Perché, dietro le azioni audaci di Trump, osserva Simplicius, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA devono affrontare:
Rimane indiscutibile che la forza lavoro statunitense è stata devastata dalla tripla minaccia dell'immigrazione di massa, dall'anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dall'alienazione di massa e dalla privazione dei diritti civili degli uomini di orientamento conservatore. Questi sono stati fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di fiducia nella capacità dell'industria manifatturiera statunitense di tornare ai fasti del passato, indipendentemente dall'entità dei tagli che Trump deciderà di infliggere a un "ordine mondiale" ormai in crisi.
Trump sta scatenando una rivoluzione per ribaltare questa realtà. La sua speranza è che ponendo fine all'anomia riporterà l'industria negli Stati Uniti.
Esiste una corrente nell'opinione pubblica occidentale –"non limitata affatto agli intellettuali", né ai soli statunitensi– che dispera della "mancanza di volontà" del proprio Paese, o della sua incapacità di fare ciò che è necessario, della sua inettitudine e della sua "crisi di competenza". Questa gente desidera ardentemente una leadership a suo giudizio più dura e più determinata, bramosa di potere illimitato e spietato.
Un sostenitore di Trump di alto rango esprime il concetto in modo piuttosto brutale: "Siamo ora a un punto di svolta molto importante. Se vogliamo affrontare di brutto la Cina non possiamo tollerare incrinature sul fronte interno... È ora di diventare cattivi, brutalmente, duramente cattivi. Le delicatezze sensibili devono essere spazzate via come piume in un uragano".
Non sorprende che in un Occidente dominato da un generico nichilismo possa prendere piede una mentalità che ammira il potere e soluzioni tecnocratiche animate da una quasi compiaciuta spietatezza.
Prendete nota: ci aspetta un futuro turbolento.
A complicare ancora di più il quadro del disfacimento economico dell'Occidente arriva la contraddittorietà delle dichiarazioni di Trump. Potrebbero anche essere parte del suo repertorio, ma la loro casualità fa pensare che nulla sia affidabile e nulla sia costante.
Secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, Trump avrebbe perso ogni inibizione quando si tratta di agire con audacia: "È all'apice del non fregarsene più di niente", ha dichiarato al Washington Post un funzionario della Casa Bianca che conosce bene il modo di pensare di Trump:
Cattive notizie? Non gliene frega un cazzo. Farà quello che deve fare. Farà quello che ha promesso durante la campagna elettorale.
Quando una parte della popolazione di un Paese deplora la "mancanza di volontà" o l'incapacità del proprio Paese di "fare quello che va fatto", sostiene lo Aurelien, essa inizia di tanto in tanto a identificarsi emotivamente con "un altro Paese", ritenuto più forte e più deciso. In questo particolare momento, "il manto" che toccherebbe a "una sorta di supereroe nietzscheano al di là di considerazioni sul bene e sul male"... "è caduto sullo stato sionista" - almeno per una rilevante quota di politici statunitensi ed europei. Aurelien continua:
Nello stato sionista troviamo una società apparentemente occidentale insieme a una linea comportamentale spregiudicata, spietata e improntata a un totale disprezzo per il diritto internazionale e per la vita umana; molti lo trovavano esaltante ed è diventato un modello da emulare. Il sostegno occidentale allo stato sionista su Gaza acquista molto più senso quando ci si rende conto che i politici occidentali e parte della classe intellettuale provano una segreta ammirazione per la spietatezza e la brutalità dello stato sionista in guerra.
La "svolta" imposta dagli Stati Uniti, nonostante i costosi sconvolgimenti che impone, rappresenta anche un'enorme opportunità: quella di passare a un paradigma sociale alternativo che vada oltre il dominio della sfera finanziaria imposta dal neoliberismo. Questa prospettiva, fino ad oggi, è stata negata dall'insistenza con cui le élite hanno ripetuto che "non ci sono alternative". Adesso si è aperto uno spiraglio.
Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione pubblicato circa ottant'anni fa sosteneva che le enormi trasformazioni economiche e sociali a cui aveva assistito durante la sua vita –la fine del secolo di "pace relativa" in Europa dal 1815 al 1914 e la successiva caduta nel caos economico, nel fascismo e nella guerra, ancora in corso al momento della pubblicazione del libro– avevano un'unica causa generale.
Prima del XIX secolo, sosteneva Polanyi, nel "modo di essere" dell'uomo l'economia era una componente organica della società e di essa era sempre stata "parte integrante", subordinata alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali, ovvero subordinata a una cultura civilizzatrice. La vita non era considerata una cosa separata, non era ridotta a particolari distinti, ma era vista come parte di un tutto organico che era la Vita stessa.
Il nichilismo postmoderno è sfociato nel neoliberismo sfrenato degli anni '80 e ha capovolto questa logica. In quanto tale, ha costituito una rottura ontologica con gran parte della storia. Non solo ha separato artificialmente l'"economico" dal "modo di essere" politico ed etico, ma l'economia aperta e liberista (nella sua formulazione di Adam Smith) ha richiesto la subordinazione della società alla logica astratta di un mercato in grado di autoregolarsi. Per Polanyi, questo "significava nientemeno che il funzionamento della comunità come appendice del mercato" e come nient'altro.
La sua proposta –chiaramente– era quella di riportare la società al ruolo dominante in una comunità squisitamente umana, ovvero darle un senso attraverso una cultura viva. In questo senso, Polanyi sottolineava anche il carattere territoriale della sovranità: lo Stato-nazione come condizione sovrana per l'esercizio della politica democratica.
Polanyi avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla Vita stessa come perno centrale della politica, una reazione violenta sarebbe stata inevitabile. È forse questa la reazione cui stiamo assistendo oggi?
In una conferenza davanti a un pubblico di industriali e di imprenditori russi il 18 marzo 2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa per la Russia, quella della "economia nazionale". Putin ha sottolineato sia l'assedio che è stato imposto allo Stato russo sia la risposta russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.
Si tratta di un modo di concepire l'economia già praticato dalla Cina, che aveva giocato d'anticipo sull'offensiva tariffaria di Trump.
Il discorso di Putin –in senso metaforico– costituisce la controparte finanziaria del discorso che tenne al Forum sulla sicurezza di Monaco del 2007, in cui aveva accettato la sfida militare lanciata dalla "NATO collettiva". Il mese scorso tuttavia Putin è andato oltre, affermando chiaramente che la Russia aveva accettato la sfida lanciata dall'ordine finanziario anglosassone dell'"economia aperta".
Il discorso di Putin non conteneva elementi nuovi in senso stretto: sanciva il passaggio dal modello della "economia aperta" a quello della "economia nazionale". La "scuola dell'economia nazionale" (del XIX secolo) sosteneva che l'analisi di Adam Smith, fortemente incentrata sull'individualismo e il cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.
Il risultato di un libero scambio generale non sarebbe stato l'approdo a una repubblica universale, ma al contrario la sottomissione universale delle nazioni meno avanzate alle potenze manifatturiere e commerciali predominanti. I sostenitori di un'economia nazionale contrastarono l'idea dell'economia aperta di Smith sostenendo invece un'economia chiusa che consentisse alle industrie nascenti di crescere e di diventare competitive sulla scena globale.
"Non fatevi illusioni: non esiste nulla al di fuori di questa realtà". Questo l'ammonimento di Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le illusioni", ha detto ai delegati:
Le sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme alla una nuova spirale di rivalità economiche già scatenatasi.
Le sanzioni non sono misure temporanee né mirate, ma costituiscono un meccanismo di pressione sistematica e strategica contro la nostra nazione. Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine internazionale, i nostri concorrenti cercheranno in permanenza di impastoiare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche.
Non dovete sperare in una completa libertà di commercio, di transazioni e di trasferimenti di capitali. Non dovete contare sui meccanismi occidentali per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori... Non sto parlando di sistemi giuridici: semplicemente, essi non esistono! Esistono solo per se stessi! Questo è il trucco. Capite?!
Noi [russi] dobbiamo affrontare le nostre sfide, certamente -ha detto Putin- ma anche gli occidentali devono affrontarne numerose. Il dominio occidentale sta svanendo. Nuovi centri di crescita globale stanno prendendo il centro della scena.
Queste sfide non sono il problema; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin:
daremo priorità alla produzione interna e allo sviluppo delle industrie tecnologiche. Il vecchio modello è finito. La produzione di petrolio e gas sarà semplicemente il complemento di un'economia reale in gran parte interna e autosufficiente, in cui l'energia non sarà più il motore. Siamo aperti agli investimenti occidentali, ma solo alle nostre condizioni, e il piccolo settore "aperto" della nostra economia reale, altrimenti chiusa e autosufficiente, continuerà naturalmente a commerciare con i nostri partner dei BRICS.
La Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere Putin. "In questo modo potremo resistere alle sanzioni e ai dazi". "La Russia è anche in grado di reggere gli incentivi, essendo autosufficiente in termini di energia e materie prime", ha affermato Putin. Un chiaro paradigma economico alternativo, davanti a un ordine mondiale in disgregazione.

16 aprile 2025

Firenze: chi ha messo coperte termiche sulle porte della chiesa della Santissima Annunziata e della scuola Giovanni Villani ha fatto bene



Il 25 marzo 2025 l'arcivescovo di Firenze ha espresso apprezzamento per l'installazione artistica di Giovanni de Gara, che ha chiuso le porte della chiesa fiorentina della Santissima Annunziata usando alcune coperte termiche del tipo usato nei casi di emergenza. E tra i casi di emergenza rientrano anche quei salvataggi in mare su cui gli "occidentalisti" dei partiti che governano a Roma hanno capitalizzato voti per decenni. Ai loro esponenti fiorentini il gesto non è piaciuto; hanno il senso estetico squisito e oltremodo sensibile di chi vagheggia i tempi in cui Firenze era un verziere olezzante di lavanda, e una sensibilità ancora più squisita per qualsiasi cosa accenni al tema, per loro inconcepibile, della giustizia sociale. Il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi e il ben vestito Giovanni Gandolfo si sono recati con premura all'ufficio stampa del Comune deplorando la deriva immigrazionista della sinistra fiorentina -coincidente quindi con la locale gerarchia ecclesiastica, pare di capire- e auspicando una installazione artistica fatta di fogli di via.
E lontana dal centro, ci mancherebbe.
Contestare perentoriamente il cattolicesimo fiorentino, che in materia di giustizia sociale ha -diciamo- una certa consuetudine, non deve essere agevole. Difficile rimetterlo al suo posto statuendo che i preti dovrebbero fare i preti, secondo il costume dei liberisti da gazzetta e del sovranismo con l'aperitivo. Quella è roba che va bene per edificare i buoni a nulla delle reti sociali, che con la realtà e con la competenza hanno un rapporto per lo meno discutibile sempre che ce l'abbiano; a Firenze c'è il serio rischio che a denigrare roba del genere l'unico risultato sia quello di additarla a un certo numero di volenterosi imitatori, dando il via alla sua propagazione.
E difatti pochi giorni dopo qualcosa di simile arriva sulle porte di una scuola elementare nel quartiere di Gavinana. Stavolta l'arcivescovo non c'entra, per cui Draghi e Gandolfo devono ricorrere all'altro caposaldo della roba che passano al gazzettificio, che è la deplorazione della propaganda ideologica. Laddove con ideologico, sempre nel linguaggio "occidentalista", si intende qualsiasi cosa non corrisponda alla linea che si intenderebbe imporre. Tant'è che una installazione artistica fatta di fogli di via anziché di coperte termiche avrebbe riscosso l'approvazione preventiva di questi adusi al ristorante.
Tutta la questione non avrebbe molta rilevanza in sé. Le gazzette grondano roba del genere. Il fatto che qualche metallina -il nome corrente tra i professionisti del soccorso e tra le persone che fanno volontariato sul serio, altro che le risentite esortazioni dei gandolfo- sia stata sufficiente a infastidire una volta di più gente che merita di essere per lo meno infastidita (e derisa) ci ha però convinto a dare un po' di visibilità all'iniziativa, per quanto ci è possibile con un blog e con un sito.




13 aprile 2025

Firenze: chi manifesta contro i'ddegràdo ai bottegoni Esselunga merita di essere deriso


Firenze, aprile 2025. La propaganda del governo di Roma circa quarant'anni fa magnificava risultati economici da quinta potenza economica mondiale. Oggi magnifica la costruzione di campi di concentramento. Nonostante l'impegno la situazione deve essere davvero invivibile se un gruppo di ultracinquantenni si schioda dalla televisione per invocare ancora più repressione.

Nella penisola italiana sono almeno trent'anni che in agenda politica trovano posto solo degrado e insicurezza.
Sempre da trent'anni, le persone serie e la politica di base sfuggita all'annientamento fanno presente ogni giorno con tranquillità e costanza che l'unico ruolo accordato dal potere ai sudditi sarebbe stato quello di consumatori. E nemmeno sempre.
Il centro commerciale si è evoluto splendidamente; nato come bottegone, è diventato agorà, cattedrale, tempio. Per gli stessi trent'anni è stato visto di buon occhio dal democratismo rappresentativo perché secondo l'opinione prevalente -cioè l'unica, essendo qualsiasi dubbio pubblicamente derubricato a nostalgia del gulag- avrebbe potuto e dovuto sostituire ogni altra sede fisica di socializzazione togliendo motivo di esistere a un sacco di posti che si avrebbe avuto l'agio di definanziare, denigrare, trascurare e infine chiudere con la prima scusa buona. Per poi metterne a reddito gli spazi.
Anzi, per "restituirli alla città", come dicono loro.
A Firenze una delle più recenti e riuscite restituzioni è consistita nel trasformare una scuola privata in un posto dove per dormire si possono spendere diecimila euro a notte, ma dove per mangiare possono bastarne un centinaio. Quelli che fanno cuocere roba e vorrebbero venderla a quel prezzo hanno chiamato la rivendita "La gamella"; il giro dovrebbe essere quello delle osterie da cinquanta euro a bicchiere e degli empori da trecento euro a calzino. Persino sulla gazzetta che pubblicava la roba di Oriana Fallaci hanno fatto del sarcasmo.
Comunque: per queste restituzioni si procede innanzitutto mondando edifici e dintorni di quella insicurezza e di quel degrado che si combattono facilmente e semplicemente colpendo le condotte e le persone che non piacciono -a prescindere dal loro spessore criminale- perché percepite come d'intralcio per la messa a reddito su accennata.
Il problema è che ancora mancano, malauguratamente, vere politiche di deportazione e di sterminio sistematico. Per cui si ostinano a rimanere in vita persone e gruppi che intralciano la messa a reddito. E che non vivono al di sopra della legge, come affermano i soliti ben vestiti col ristorante in nota spese e la faccia da vicepreside che ti ha beccato a fumare in bagno.
Vivono al di sotto.
Nel senso che hanno una quotidianità talmente infima -redditi ridicoli, solvibilità sotto i piedi, domicilio precario sempre che ce ne sia uno e così via- che le sanzioni li lasciano spesso indifferenti. Anche le più ingegnose, pare. E di questa quotidianità i bottegoni promossi ad agorà e cattedrali sono una delle scene più importanti, visto che ad agorà e a cattedrali si sono voluti promuovere e che sarebbe poco realistico pretendere che qualcuno non li tratti come piazze. A dire il vero anche questa realtà comincia a perdere seriamente attrattiva, sotto i colpi del commercio per via telematica e della generale e inarrestabile contrazione dei redditi.
Insomma, pare che attorno a certi bottegoni graviti una piccola ma consistente umanità che sfida la fantasia sanzionatoria del legislatore e che fornisce un mucchio di materiale a quella "libera informazione" che ogni giorno presenta qualche bagatellfall come se fosse il sacco di Alarico. Le vendite delle gazzette vanno a rotta di collo comunque, chissà che non ci sia un motivo.
I bottegoni non sono luoghi pubblici. Sono luoghi privati, tanto per fare un esempio, dove qualche padrone cui non piace avere in giro troppi ragazzini dal ridotto potere d'acquisto avrebbe anche fatto installare luci che mettono in evidenza acne e altri problemi della pelle in modo da metterli in imbarazzo; si cerchino un altro agorà, un'altra cattedrale. Quale, non è affar suo.
Accedere ai bottegoni significa tollerare di essere videoripresi in ogni movimento, scansionati, parametrati, censiti, valutati, osservati, campionati e sottoposti a una specie di forca caudina se appena si osa uscirne senza aver acquistato niente. Occorrerebbe dimostrare di essersi separati da del denaro anche per andare in bagno[*]. Sullo shelf marketing e sulle molte pratiche che servono a drenare fondi dalla clientela per riversarli nelle tasche del padrone vengono scritti ogni anno scaffali di volumi, per cui è inutile indugiarvi qui.
Il padrone dei bottegoni Esselunga non si peritava certo di presentare la propria libertà di intraprendere e di guadagnare come se fosse la libertà di tutti. Il padrone dei bottegoni Esselunga faceva un grosso vanto del proprio rigore antisindacale; negli anni successivi al "trentennio glorioso" la cosa gli è riuscita bene, i sudditi che stavano cedendo armi politiche e sindacali pagate col sangue in cambio di qualche fettina di salmone potevano anche essere indotti a credere che per loro una ciotola di maccheroni ci sarebbe sempre e comunque stata. Più recentemente i bottegoni Esselunga a Firenze sono incappati in qualche incidente non proprio di percorso. Nel clima sociale inscalfibile in cui esercitare una coscienza politica da scarafaggi è da tanti anni persino motivo di vanto, non stupisce che siano comunque riusciti ad attirare qualche manifestazioncina contro i'ddegràdo e l'insihurézza. La miserabile difesa dei bottegoni come massima espressione dell'impegno civile merita senz'altro di essere accolta con una risata di scherno.



[*] Al bottegone fiorentino di via del Gignoro sono state automatizzate le porte dei bagni, adesso obbedienti solo a un lecito scontrino. Il fantasma del signor Caprotti, che molti ricordano (e deridono) come protagonista di una ridicola battaglia a colpi di gazzetta in cui accusava la concorrenza di filocomunismo, non si scomoda certo per apparire ai dannati della poliuria per dirgli che il bottegone è suo e che quindi fa come gli pare; c'è invece un cartellino con le istruzioni, che accampa scuse su decoro e sicurezza.

11 aprile 2025

Su "Un mare di porti lontani". Le ONG nel Mediterraneo in un documentario di Marco Daffra


Firenze conta molte persone serie che ritengono un piacevole dovere confutare, contrastare, disconfermare e deridere per mezzo di pensieri, parole, opere e omissioni la propaganda "occidentalista" diffusa dall'esecutivo di Roma e dai gazzettifici ad esso contigui. Quando la confutazione, il contrasto, la disconferma e la derisione non sono sufficienti qualcuno ricorre anche ad altri sistemi
In questa lodevole attività la città non cessa di produrre molti esempi documentati, coerenti e di briosa dedizione.
Una sera di aprile abbiamo assistito a un documentario sull'operato delle organizzazioni non governative che collaborano al soccorso di quanti cercano di attraversare il Mediterraneo con imbarcazioni inadeguate. Sulla denigrazione di queste organizzazioni e di quello che fanno molti protagonisti del democratismo rappresentativo hanno costruito solide e lunghissime carriere; al regista Marco Daffra è bastata poco meno di un'ora di interviste e di filmati per ritrarre una realtà ovviamente e pacificamente opposta a quella descritta dalla "libera informazione".
Un mare di porti lontani è uscito nei primi mesi del 2024, il materiale è stato raccolto nel 2023 e i porti lontani sono un riferimento a una delle mille ingegnose trovate con cui l'esecutivo di Roma ha messo legalissimi bastoni tra le ruote a gruppi che all'epoca sarebbero stati secondo Daffra protagonisti di circa il 7% delle operazioni di salvataggio, con gendarmeria, guardia costiera e attori istituzionali in genere ad occuparsi dell'enorme rimanente.
In un anno circa Marco Daffra avrebbe presentato il documentario in oltre cento iniziative nella penisola italiana e nello Stato e Cantone Ticino, trovando un pubblico molto ricettivo soprattutto nelle scuole. La presentazione e la successiva discussione avrebbero spesso riguardato la demolizione della rappresentazione sociale veicolata da una propaganda che per anni ha cercato di ritrarre le organizzazioni non governative e il loro personale nel peggior modo possibile. L'idea che la serietà e la rispettabilità stiano nella giacca e nella cravatta dell'amministratore di condominio buono a nulla o nel pezzo di metallo che segna le ore al polso del consulente finanziario che sparirà col tuo denaro è a tutt'oggi dominante; il fatto che sulla Ocean Viking o sulla Open Arms fossero imbarcati nedici, ufficiali e marinai in maglietta e capelli lunghi presentava al gazzettificio materiale praticamente già pronto; il risultato del "lavoro" dei gazzettieri avrebbe dapprincipio influenzato lo stesso regista.
Io ho la passione per il vin santo e ho preso l'abitudine di produrmelo da solo. Al momento di imbarcarmi per le riprese ho pensato che andavo fra gente con dread, canne e tutto il resto e che un po' di vino avrebbe fatto senz'altro piacere; quindi ne ho portata con me una bottiglia. Come mi hanno accolto? "No, Marco. Grazie, ma alcolici non ne imbarchiamo".

10 aprile 2025

Le buone pratiche nella vita quotidiana sono il fondamento della convivenza civile

 


Firenze, una metà pomeriggio di primavera in un discount fra i più piccoli.
Ci sono diverse casse, ma ne funziona sempre una soltanto e il più delle volte a intermittenza; l'impressione è che il personale sia decisamente sotto organico e che inoltre tra cassieri, magazzinieri e addetti al rifornimento degli scaffali non ci sia troppa distinzione di mansioni. In sostanza la ragazza di turno deve lasciare sguarnita la postazione per aiutare gli altri e fare in pratica il lavoro di due addetti. Questo può causare la formazione di una piccola coda anche nelle ore di minore affluenza.
La clientela è austera e composta ma dato il target dell'attività è difficile confonderla con quella di Hermes. Da qualche tempo a ravvivare un ambiente altrimenti plumbeo provvede di quando in quando un individuo piuttosto disturbato che irrompe ecolalico dalle porte automatiche, ecolalico percorre i corridoi, ecolalico se ne esce così come è entrato per sparire nel nulla fino alla volta successiva.
In questa metà pomeriggio spicca tra i clienti anche una di quelle donne di mezza età che grondano disprezzo e denaro non proprio.
Il non aver trovato pronta accoglienza alla cassa la contraria all'istante.
La cassiera, pur intenta a someggiare un ingombrante carico di scatolame, si affretta in postazione.
Con l'unico risultato di dare la stura al livore della cliente che pareva non aspettasse altro.
La minutissima ragazza viene sommersa da un lago di considerazioni sprezzanti, tipiche delle licenze che certi individui ad alto reddito amano prendersi nei confronti di chi considerano inferiore.
La cassiera incassa. Probabile non sia nemmeno la prima volta.
La clientela -cinque o sei persone- si divide: chi fa finta di non aver sentito, chi fa qualche sorrisetto conciliante o di circostanza.
Ritirato lo scontrino con degnazione dopo aver impartito una lezione di comportamento di classe a edificazione della servitù, la donna esce.
Chi scrive lascia da parte il carrello e la segue nel parcheggio.
Parandosi davanti al portellone del SUV -presumibilmente non intestato a lei- cui la fallaciana cliente si stava avvicinando.
"Allora. Tu davanti a me non tratti così nessuno. Se tu ti prendi la licenza di trattare in questo modo una che lavora, io mi prendo la licenza di ricordarti che nelle foibe c'è ancora tanto posto. Bene così?"
Un ingranaggio che funziona male. Deve essere un'eventualità rara, perché la cliente resta imbarazzata e inebetita.
Davanti a uno che oltre ad avere una decina buona di anni in meno pare anche essere una ventina di chili più pesante forse è bene non ostentare troppa indignazione.
"Siamo d'accordo, allora? Bene. E attenta a come mi guardi".
Ritornati sui propri passi con la tranquilla maestà di chi è nel giusto, si racconta quanto successo alla cassiera. I sorrisi di gratitudine fanno sempre piacere.

08 aprile 2025

Donald Trump e l'arte della trattativa

 


Alastair Crooke sostiene da anni che il Presidente degli USA Donald Trump abbia introdotto ai massimi livelli della politica statunitense la stessa modalità relazionale orientata al risultato che lo ha portato a un indiscutibile successo nel settore immobiliare. Donald Trump, insieme a quel debordantemente ricco e quasi altrettanto capriccioso Elon Musk che al momento in cui scriviamo è uno dei suoi più ascoltati consulenti, gode da tempo della massima stima di alcuni dei più involuti "occidentalisti" del panorama gazzettiero.
Nel 1981 Stephen King e Peter Straub pubblicarono Il talismano, lungo romanzo di un genere definito dark fantasy, qualsiasi cosa voglia dire.
Tra i protagonisti figura proprio un imprenditore immobiliare di nome Morgan Sloat: l'estratto che segue ne descrive la condotta abituale.
...L'acquisto di quello stabile era stato particolarmente esaltante proprio per l'inclinazione di Sloat a fare tutto da sé.
Dopo aver negoziato con Sawyer l'acquisto del fabbricato con un mutuo a breve e successivamente (dopo uno scontro a fuoco in sede legale) con un mutuo a lungo termine, avevano fissato i loro canoni a un tanto al metro quadro, apportato le necessarie modifiche e offerto i locali a nuovi inquilini. L'unico inquilino che avevano ereditato era il ristorante cinese del pianterreno, che aveva conservato un canone d'affitto pari a un terzo circa di quello che valeva lo spazio che occupava. Sloat aveva tentato di avviare trattative ragionevoli con i cinesi, ma questi, appena ebbero capito che aveva intenzione di aumentare loro l'affitto, avevano improvvisamente perso la capacità di parlare e comprendere la lingua inglese. I tentativi di Sloat si erano faticosamente protratti per alcuni giorni, finché aveva notato un garzone di cucina uscire con un secchio di grasso dalla porta sul retro. Sentendosi già meglio, Sloat l'aveva seguito nell'angusto e buio cul-de-sac e lo aveva visto versare il grasso in un bidone per le immondizie. Non aveva avuto bisogno d'altro. Il giorno seguente, una recinzione di catenelle metalliche separava il cul-de-sac dal ristorante; un giorno dopo ancora un ispettore del Dipartimento di Sanità aveva consegnato ai cinesi un reclamo e una convocazione ufficiale. Ora il garzone doveva trasportare tutti i rifiuti, grasso incluso, prima attraverso la zona pranzo e poi fuori, per uno stretto passaggio delimitato da fil di ferro che Sloat aveva fatto costruire accanto al ristorante. Gli affari si erano messi ad andar male: ai clienti giungevano olezzi strani e sgradevoli dalla vicina spazzatura. I proprietari avevano riscoperto l'uso della lingua inglese e avevano offerto di raddoppiare il loro canone mensile. Sloat aveva risposto con un discorso che traboccava gratitudine e non diceva niente. E quella notte, dopo essersi caricato di tre abbondanti Martini, Sloat era uscito di casa sua e si era recato al ristorante munito di una mazza da baseball con la quale aveva fracassato la lunga vetrata che in precedenza aveva offerto una bella vista sulla via e che ormai dava su un corridoio di reticolato che finiva in un ammasso di bidoni per le immondizie.
Aveva fatto tutte queste cose... ma quando le aveva fatte non era proprio Sloat.
Il mattino seguente i cinesi lo avevano invitato per un nuovo incontro e questa volta gli avevano offerto di quadruplicare la somma. «Ora sì che parliamo da uomini», aveva esclamato Sloat, congratulandosi con i cinesi che lo guardavano con una faccia di pietra. «E vi dirò di più! Per dimostrarvi che siamo tutti amici e collaboratori, copriremo metà del costo della vetrata nuova.»
Nel giro di nove mesi dall'entrata in possesso dello stabile da parte della Sawyer & Sloat, tutti gli affitti erano sostanzialmente cresciuti e le iniziali proiezioni di costi e profitti già apparivano oltremodo pessimistiche. Ormai questo edificio rappresentava uno degli affari più modesti della Sawyer & Sloat, ma Morgan Sloat ne andava orgoglioso non meno che dei possenti nuovi fabbricati costruiti in centro. Gli bastava passare là dove aveva fatto erigere il recinto quando veniva a lavorare ogni mattina per ricordare a se stesso, quotidianamente, fino a che punto aveva contribuito al benessere della Sawyer & Sloat e quanto ragionevoli erano le sue richieste!


02 aprile 2025

Giovanni Donzelli, Giacomo Salvini e i fratelli di chat


Giovanni Donzelli è un diplomato fiorentino di cui ci siamo occupati molte volte fin dal 2008 e non proprio per farne dei panegirici.
Un presenzialismo mediatico alacre e non esente da piccole disavventure, i meccanismi del promoveatur ut amoveatur e qualche tocco di quella diligente disumanità che è un prerequisito importante per ogni politico "occidentalista" gli hanno consentito una buona carriera in vari e sempre più importanti organi elettivi. Va briosamente sottolineato che le sue iniziative non hanno lasciato tracce rilevanti in nessuno di essi, facendo del suo curriculum l'esatto opposto di quello cui dovrebbe ispirarsi chiunque abbia minime pretese di serietà.
A fine marzo 2025 il (quasi sempre) ben vestito Giovanni Donzelli ha fatto l'ennesimo giro di gazzette per aver accolto con un po' di insofferenza un certo Stefano Salvini. Stefano Salvini avrebbe scritto un libro sul partito in cui Donzelli ricopre ruoli dirigenziali e parlamentari, il che potrebbe anche giustificare certe reazioni poco diplomatiche. Solo che in tutte le sue trecentotrentasei pagine non si trova nulla che consenta di aggiungere qualcosa a ritratti personali e organizzativi già più che eloquenti; diciamo pure che si tratta di una lettura che non aggiunge niente e che quindi niente dovrebbe dare da temere. Occorre comunque specificare che il non indispensabile Fratelli di chat ha contribuito in modo evidente -e per il solo fatto di esistere- a irritare individui e ambienti che meritano di essere irritati, il che è un motivo sufficiente perché le persone serie che ne hanno la possibilità pensino di dedicare qualche ora alla sua lettura.

25 marzo 2025

Alastair Crooke - Trump e Putin cominciano a togliere di mezzo un po' di macerie geostrategiche... intanto che Trump manda un ultimatum all'Iran

 


Traduzione da Strategic Culture, 24 marzo 2025.

Il 18 marzo c'è stata la prevista telefonata tra i presidenti Trump e Putin. È stata un successo, nel senso che è andata in modo tale che entrambe le parti possono definirne gli esiti come "positivi". E non ha portato a una rottura perché Putin ha concesso proprio il minimo, una tregua negli attacchi alle infrastrutture energetiche. Sarebbe stato facile arrivare allo scontro, ovvero a una impasse in cui Trump avrebbe attaccato Putin come ha fatto con Zelensky, dato che in Occidente si stanno nutrendo fantasiose e irrealistiche aspettative per cui si sarebbe trattato di un incontro decisivo per giungere a una spartizione definitiva dell'Ucraina.
Potrebbe anche essere stata un successo nel senso che è servita a mettere le basi per il grosso del lavoro, che adesso è in mano a due squadre di personalità esperte nella meccanica dettagliata del cessate il fuoco. Continua a rimanere misterioso il motivo per cui non ci avesse pensato in precedenza la delegazione statunitense a Riyadh; forse per mancanza di esperienza? In effetti il cessate il fuoco è stato trattato come se fosse un qualche cosa che viene fuori dal nulla in virtù di una firma statunitense; le aspettative occidentali si sono impennate, nella convinzione che i dettagli non contassero; tutto ciò che restava da fare -in questa zoppicante stima- era "dividersi la torta".
Data la dinamica di un cessate il fuoco -che deve essere totale, dato che i cessate il fuoco sono quasi sempre condannati al fallimento- nella telefonata di martedi c'era poco da discutere su questo argomento. Secondo quanto riferito e come prevedibile, la discussione sembrava essersi spostata su altre questioni; innanzitutto su temi economici, e poi sull'Iran. Rilevando ancora una volta che il processo di negoziazione tra Stati Uniti e Russia non si riduce alla sola Ucraina.
Quindi, come arrivare a mettere in pratica il cessate il fuoco? Semplice. Cominciando a districare il groviglio di impedimenti che impediscono di avere normali relazioni. Putin, prendendo in esame un solo aspetto di questo problema, ha osservato che
Le sanzioni [da sole] non sono né temporanee né mirate. Costituiscono [piuttosto] un meccanismo di pressione sistemica e strategica contro la nostra nazione. I nostri concorrenti cercano continuamente di limitare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche... sfornano questi pacchetti incessantemente.
Si devono quindi affrontare e sistemare molti mucchi di macerie geostrategiche risalenti a molti anni fa, prima che una normalizzazione del quadro generale possa iniziare sul serio.
Quello che balza agli occhi è che mentre Trump sembra avere una fretta disperata, Putin non pare proprio nelle stesse condizioni. E non andrà di fretta. Il suo stesso elettorato non accetterà che con gli Stati Uniti si arrivi a un accordo raffazzonato e tendenzioso destinato a implodere in mezzo a recriminazioni che gridano all'inganno e di come Mosca sia stata nuovamente ingannata dall'Occidente. Questo processo di normalizzazione strategica i russi lo stanno pagando con il sangue. Deve per forza funzionare.
Cosa c'è dietro l'evidente fretta di Trump? È il bisogno di procedere a velocità vertiginosa sul fronte interno per andare avanti, prima che l'insieme delle forze dell'opposizione negli Stati Uniti -più le loro consimili in Europa- abbia il tempo di riorganizzarsi e di silurare la normalizzazione con la Russia?
Oppure Trump teme che un lungo intervallo prima dell'attuazione di un cessate il fuoco consentirà alle forze di opposizione di fare pressione perché riprendano le forniture di armi e la condivisione delle informazioni, intanto che il rullo compressore militare russo continua la sua avanzata? O forse Trump teme -come ha detto Steve Bannon- che riarmando l'Ucraina metterebbe il cappello sulla guerra e si assumerebbe la colpa di una grave sconfitta dell'Occidente e della NATO?
Ancora, Trump forse prevede che Kiev potrebbe collassare all'improvviso come è successo al governo Karzai in Afghanistan. Trump è profondamente consapevole del disastro politico che sono state per Biden le immagini degli afghani aggrappati ai carrelli degli aerei da trasporto statunitensi che decollavano, mentre gli Stati Uniti evacuavano il paese in una scena da Vietnam.
Eppure, ancora una volta, potrebbe essere qualcosa di diverso. Ho imparato a tempo debito, come facilitatore dei cessate il fuoco tra Palestina e stato sionista, che non è possibile instaurare un cessate il fuoco in una località (ad esempio a Betlemme), mentre le forze militari dello stato sionista in quel momento mettevano a ferro e fuoco Nablus o Jenin. Il contagio emotivo e la rabbia legati a un conflitto non possono essere sottoposti a restrizioni in una località soltanto; si riverserebbero in un'altra. È un fenomeno noto. E ha rovinato le intenzioni implicitamente sincere che c'erano dietro il cessate il fuoco.
Forse Trump ha fretta soprattutto perché sospetta che il suo sostegno incondizionato allo stato sionista finirà per coinvolgerlo in un conflitto mediorientale di vaste proporzioni? Il mondo di oggi, grazie a Internet, è molto più piccolo di prima: è possibile fare il pacificatore e il guerrafondaio allo stesso tempo, e pretendere di essere presi sul serio come campioni della pace?
Tump e i politici statunitensi controllati dalla lobby vicina allo stato sionista sanno che Netanyahu e gli altri vogliono che gli Stati Uniti contribuiscano a togliere di mezzo quell'Iran che è il rivale regionale dello stato sionista. Trump non può ridimensionare la sfera di influenza degli USA nell'emisfero occidentale e al tempo stesso continuare a far valere il peso degli Stati Uniti come egemone mondiale; manderebbe in fallimento il governo statunitense. Trump riuscirà a ridurre gli Stati Uniti a una fortezza o i problemi all'estero -ad esempio l'instabilità dello stato sionista- porteranno alla guerra e faranno deragliare la sua amministrazione, dato che si tratta di questioni intrecciate l'una all'altra?
Qual è la visione di Trump per il Medio Oriente? Di certo ne ha una, che è radicata nella sua inscalfibile fedeltà agli interessi dello stato sionista. Il piano è quello di distruggere finanziariamente l'Iran o di decapitarlo, per rafforzare una Grande Israele. La lettera di Trump alla Guida Suprema Ali Khamenei specificava una scadenza di due mesi per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare.
Il giorno dopo la sua missiva, Trump ha detto che gli Stati Uniti con l'Iran sono arrivati alle ultime battute.
"Non possiamo permettere che abbiano un'arma nucleare. Succederà qualcosa molto presto. Preferirei concludere un accordo pacifico piuttosto che ricorrere all'altra scelta, ma l'altra scelta risolverà il problema".
Il giornalista statunitense Ken Klippenstein ha notato che il 28 febbraio due bombardieri B-52 in volo dal Qatar hanno sganciato bombe su una "località segreta" in Iraq. Questi bombardieri con capacità nucleare recavano un messaggio il cui destinatario "era chiaro come il sole: la Repubblica Islamica dell'Iran". Perché dei B-52 e non degli F-35, anch'essi in grado di trasportare bombe? Forse perché le bombe bunker buster sono troppo pesanti per gli F-35? Lo stato sionista ha degli F-35, ma non i bombardieri pesanti B-52.
Poi il 9 marzo, scrive Klippenstein, è stata fatta una seconda dimostrazione: un B-52 ha volato in una missione a lungo raggio a fianco di caccia dello stato sionista, esercitandosi in operazioni di rifornimento aereo. La stampa dello stato sionista ha riferito correttamente il vero scopo dell'operazione: "preparare le forze sioniste a un potenziale attacco congiunto con gli Stati Uniti contro l'Iran".
Poi, il 17 marzo il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz si è vantato del fatto che i molteplici attacchi aerei anglo-statunitensi hanno "eliminato" i massimi funzionari Houthi, rendendo molto chiaro che tutto questo riguarda l'Iran:
"Questa è stata una risposta schiacciante che ha effettivamente preso di mira vari leader Houthi e li ha eliminati. E la differenza qui è: primo, reprimere la leadership Houthi; secondo, ritenere l'Iran responsabile".
Marco Rubio ha spiegato alla CBS: "Stiamo facendo un favore al mondo intero, sbarazzandoci di questi tizi".
Trump ha poi proseguito con lo stesso tema:
"Ogni colpo sparato dagli Houthi sarà considerato da questo momento in poi come un colpo sparato dalle armi e dalla leadership dell'IRAN, l'IRAN sarà ritenuto responsabile, ne subirà le conseguenze, e quelle conseguenze saranno terribili!"
In un altro articolo, Klippenstein scrive:
"Fra le opzioni a disposizione di Trump per trattare con Tehran adesso ne figura una che durante il suo primo mandato non aveva a disposizione: la guerra a tutto campo, armi nucleari comprese (i missili Trident II a bassa potenza). I documenti del Pentagono e della società sotto contratto che sono riuscito a ottenere descrivono l'impegno nella pianificazione cui è intenta la squadra operativa congiunta sia a Washington che in Medio Oriente, per perfezionare le future operazioni inerenti "un grande conflitto regionale" con l'Iran. I piani sono il risultato di una rivalutazione delle capacità militari dell'Iran, nonché di un cambiamento sostanziale nella linea di condotta delle ostilità da parte degli USA."
La novità è che la componente “multilaterale” include per la prima volta uno stato sionista che opera all'unisono con i partner arabi del Golfo, sia direttamente che indirettamente. Il piano include anche diverse contingenze e livelli di ostilità, secondo i documenti citati da Klippenstein; dalla "azione di crisi" (ovvero la risposta a eventi e attacchi) alla pianificazione "deliberata" (che si riferisce a scenari prestabiliti che derivano da crisi che sfuggono al controllo). Un documento avverte della "possibilità concreta" che la guerra "si intensifichi oltre le intenzioni del governo degli Stati Uniti" e abbia un impatto sul resto della regione, richiedendo un approccio multiforme.
I preparativi delle ostilità contro l'Iran sono così strettamente secretati che persino alle società appaltatrici coinvolte nella pianificazione bellica è vietato menzionare anche quelli non coperte da segreto, osserva Klippenstein:
"Anche se ai presidenti viene spesso fornita una serie di opzioni militari e il Pentagono cerca di indirizzare il Presidente verso quella che esso preferisce, Trump ha già dimostrato la sua propensione a scegliere l'opzione più provocatoria.
Allo stesso modo, il via libera di Trump agli attacchi aerei dello stato sionista contro Gaza, che hanno ucciso centinaia di persone [lo scorso] lunedì ma che a quanto pare avevano come obiettivo la leadership di Hamas, può essere visto come in linea con la scelta delle maniere forti".
Dopo essere riuscito ad assassinare il generale iraniano Qassem Suleimani nel 2020, Trump sembra essersi convinto che l'azione aggressiva è relativamente a costo zero, osserva Klippenstein.
Come ha notato Waltz nella sua intervista alla stampa:
"La differenza è che questi [attacchi in Yemen] non erano punture di spillo del tipo mordi e fuggi e che alla fine si rivelano inutili. Questa è stata una risposta schiacciante che ha effettivamente preso di mira vari leader Houthi e li ha eliminati".
Klippenstein avverte che "il 2024 potrebbe essere alle nostre spalle, ma le sue lezioni non lo sono. L'assassinio da parte dello stato sionista di alti funzionari di Hezbollah in Libano è stato ampiamente percepito da Washington come un successo clamoroso e con pochi aspetti negativi. Trump probabilmente ha fatto proprio questo assunto quando ha fatto sferrare l'attacco contro la leadership Houthi questa settimana".
Se gli osservatori occidentali considerano tutto ciò che sta accadendo come una ripetizione della politica del contrappasso di Biden o come attacchi limitati da parte dello stato sionista ai sistemi di allarme e di difesa aerea iraniani, potrebbero fraintendere ciò che sta accadendo dietro le quinte. Ciò che Trump potrebbe fare ora, che è proprio quello che sta scritto nel copione sionista, sarebbe attaccare i centri di comando e di controllo dell'Iran, compresa la leadership iraniana.
Questo –molto probabilmente– avrebbe un profondo effetto sulle relazioni di Trump con la Russia e con la Cina. A Mosca e a Pechino scomparirebbe persino l'idea che Trump sia capace di una qualche trattativa. Quale sarebbe il prezzo del suo ripristino del "quadro generale" da "pacificatore" se, sulla scia delle guerre in Libano, Siria e Yemen, iniziasse una guerra con l'Iran? Trump vede l'Iran attraverso una prospettiva tanto difettosa da fargli pensare che distruggendolo arriverebbe alla pace per mezzo della forza?

24 marzo 2025

Breve considerazione sul succo di frutta fermentato

Succo di frutta fermentato.
Ci si mettono mucchi e mucchi di tannini, affinamenti, decanter, barbatelle, strutture, buchette, vitigni, barrique, terroir, bacche, sentori, note, persistenze, legni.
Lo si lardella di crinali, manieri, poderi, palagi, barbacani, castelli, tenute, conventi, torri, rocche, cantine e ripostigli vari.
Si rifinisce con lauree, diplomi, attestati, associazioni.
Si completa di cappe, gualdrappe, cravatte, agenzie, iniziative, consorzi.
Così un po' di succo di frutta fermentato costa una cifra che per moltissime persone equivale ad almeno due giorni di lavoro.
Quello ammantato di una coltre di sciocchezze particolarmente fitta -che ci giurano ottenuto e conservato in condizioni che parecchi esseri umani invidierebbero- costa l'equivalente di anni, di lavoro.
Poi qualcuno schiocca le dita ai funzionari di dogana.
E tutto il baraccone trema.

21 marzo 2025

Alastair Crooke - Il Regno di Giudea contro lo stato sionista




Traduzione da Strategic Culture, 17 marzo 2025.

Lo stato sionista è profondamente diviso. La spaccatura è aspra e dolorosa perché entrambe le parti credono di trovarsi a combattere per l'esistenza stessa dello stato sionista. Il linguaggio corrente è diventato talmente velenoso (in particolare nei canali riservati in ebraico) che vi sono tutt'altro che rare le invocazioni al colpo di stato e alla guerra civile.
Lo stato sionista si sta avvicinando al baratro e le divergenze apparentemente inconciliabili potrebbero presto sfociare in scontro aperto: come scrive Uri Misgav questa settimana, una sua "primavera" è alle porte.
Il fatto è che lo stile del Presidente Trump -utilitaristico e decisamente orientato alla trattativa commerciale- può risultare efficace nell'emisfero occidentale laico; con lo stato sionista (o con l'Iran) Trump invece potrebbe fare poca o nessuna presa in un ambiente caratterizzato da una weltanschauung alternativa e che si basa su un concetto sostanzialmente diverso della moralità, della filosofia e della epistemologia rispetto al classico paradigma della deterrenza occidentale e della mera materialità del suo bastone e della sua carota.
Anzi, il solo tentativo di imporsi incutendo timore e minacciando di scatenare l'inferno se i suoi ordini non vengono rispettati potrebbe portare all'opposto del risultato cercato, ovvero a scatenare nuovi conflitti e nuove guerre.
Nello stato sionista esiste una composito fronte di arrabbiati -guidato per adesso da Netanyahu- che ha messo le mani sul potere dopo una lunga marcia attraverso le istituzioni, e che adesso si sta dedicando allo smantellamento dello "Stato profondo" all'interno della macchina statale. Di pari passo si è sviluppata una furibonda reazione a quella che viene percepita come una totale presa della scena.
Ad esacerbare questa frattura nella società concorrono due sue caratteristiche: quella di essere etnico-culturale e quella di essere ideologica. In terzo luogo, la frattura è anche escatologica e questo è il suo aspetto più esplosivo.
Nelle ultime elezioni nazionali nello stato sionista la "classe subalterna" ha finalmente infranto il tetto di cristallo, ha vinto le consultazioni ed è arrivata al potere. I mizrahi -gli ebrei provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa- erano stati per lungo tempo trattati come la classe più povera e meno importante della società.
Gli ashkenaziti -ebrei europei, in gran parte liberali e laici- costituiscono la gran parte dei professionisti che vivono nei centri urbani e fino a poco tempo fa costituivano anche il grosso della classe dirigente. Una élite che alle ultime elezioni è stata spodestata dalla coalizione dei nazionalisti religiosi e del movimento dei coloni.
L'inizio dell'attuale fase di quella che è stata una lunga lotta per il potere può forse essere collocato nel 2015. Come ha scritto Gadi Taub,
Fu allora che i giudici della Corte Suprema dello stato sionista tolsero l'essenza della sovranità -cioè il potere di decisione finale su quanto attiene il diritto e la politica- agli organi elettivi del governo e lo avocaronoo a se stessi. Il potere è ufficialmente in mano a un organo governativo non soggetto ad elezioni, che non è soggetto né a controlli né a contrappesi ad opera di nessun altro.
Nell'ottica della destra questa prerogativa di revisione giudiziaria che essa si è autoattribuita ha messo in mano alla Corte Suprema, scrive Taub, il potere di
stabilire le regole del gioco in politica, e non solo i suoi esiti concreti. Il potere esecutivo è quindi diventato l'enorme braccio investigativo della stampa. Come nel caso della bufala del Russiagate, in cui la polizia e il procuratore di Stato, più che raccogliere prove per un processo penale, si erano messi a produrre spazzatura politica da servire poi alla stampa.
Lo Stato profondo, nello stato sionista, è la bestia nera che sta consumando Netanyahu e il suo governo: in un discorso alla Knesset questo mese, per esempio, Netanyahu ha attaccato i media accusando le agenzie di stampa di "collaborare senza riserve con lo Stato profondo" e di creare "scandali". "La collaborazione tra la burocrazia dello Stato profondo e i media non ha funzionato negli Stati Uniti e non funzionerà nemmeno qui", ha detto.
Va specificato che al momento delle ultime elezioni politiche la Corte Suprema era formata da quindici giudici, tutti ashkenaziti tranne uno mizrahi.
Tuttavia sarebbe sbagliato vedere gli scontri fra i due schieramenti rivali come una oscura disputa sull'usurpazione del potere esecutivo e sulla fine della separazione tra i poteri dello Stato.
Il motivo sostanziale della contesa è invece una radicale disputa ideologica sul futuro e sul carattere dello stato sionista. Dovrà essere uno Stato messianico fondato sulla Halacha', in ossequio alla Rivelazione? O sarà invece uno Stato democratico, liberale e sostanzialmente laico? Ecco su cosa lo stato sionista sta andando in pezzi.
Dal punto di vista culturale i Mizrahim (intesi nell'accezione più ampia) e la destra considerano la sfera liberale dalle radici europee come se fosse a malapena ebraica sul serio. Da qui la loro intransigenza: la Terra di Israele deve essere intrisa per intero di ebraismo.
Sono stati gli eventi del 7 ottobre a cristallizzare in modo assoluto questa contesa, il cui carattere ideologico rappresenta il secondo fattore rilevante che rispecchia in gran parte la spaccatura generale.
La concezione classica della sicurezza, nello stato sionista, risaliva ai tempi di Ben Gurion e doveva fornire una risposta a un dilemma sempiterno: lo stato sionista non poteva imporre la fine del conflitto ai suoi nemici, e allo stesso tempo non poteva mantenere a lungo termine un grande esercito.
In quest'ottica pertanto lo stato sionista doveva fare affidamento su un esercito di riservisti, cui sarebbe servito un adeguato preallarme prima di una qualsiasi guerra. Diventava quindi essenziale che i servizi fossero in grado di comunicare l'allerta in caso di imminenti ostilità.
È stato questo prerequisito fondamentale a mancare clamorosamente il 7 ottobre.
Lo shock e la sensazione di disastro derivanti dal 7 ottobre hanno portato molti a pensare che l'attacco di Hamas avesse infranto in modo irrimediabile la concezione di sicurezza nello stato sionista: la politica di deterrenza aveva fallito, prova era il fatto che Hamas aveva attaccato comunque.
E qui ci avviciniamo al punto fondamentale della contesa in atto nello stato sionista: a finire distrutto il 7 ottobre non è stato solo il vecchio paradigma di sicurezza del Partito Laburista e delle vecchie élite dell'apparato di sicurezza. Tutto è crollato, certamente: ma dalle rovine è nata una visione del mondo di tutt'altro genere che esprimeva una filosofia e un'epistemologia radicalmente diverse rispetto al classico paradigma della deterrenza:
"Sono nato nello stato sionista, sono cresciuto nello stato sionista... ho prestato servizio nell'IDF", dice Alon Mizrahi; "Sono stato esposto a queste cose. Sono stato indottrinato in questo modo e per molti anni della mia vita ho creduto a tutto questo. Questo rappresenta un grave problema ebraico: non è solo [questione di un certo modo di intendere il] sionismo... Come puoi insegnare ai tuoi figli -e questo ha una validità quasi universale- che tutti quelli che non sono ebrei vogliono ucciderti. Quando condividi questa paranoia, ti autoassegni il benestare per fare qualsiasi cosa a chiunque... Non è un buon modo per fondare una società. Ed è davvero pericoloso".
Si veda qui sul Times un resoconto di un dibattito in una scuola superiore (avvenuto dopo il 7 ottobre) sulla liceità morale di spazzare via gli Amaleciti; uno studente chiede: "Come facciamo a condannare Hamas per aver ucciso uomini, donne e bambini innocenti se ci è stato ordinato di spazzare via gli Amaleciti?"
"Come possiamo vivere in una situazione normale un domani", si chiede Alon Mizrahi, "se questo è ciò che siamo oggi"?
La destra religiosa nazionalista sta suonando la carica perché cambi radicalmente la dottrina di sicurezza. Non crede più nel classico paradigma di deterrenza di Ben Gurion, in particolare dopo il 7 ottobre. La destra non crede che sia possibile arrivare a un accordo con i palestinesi e non vuole assolutamente uno stato binazionale. Secondo la concezione di Bezalel Smotrich, la dottrina di sicurezza dello stato sionista deve d'ora in poi contemplare una guerra incessante contro i palestinesi, fino a quando non saranno stati cacciati o eliminati.
Il vecchio establishment liberale è indignato. Come ha dichiarato la scorsa settimana uno dei suoi appartenenti, l'ex generale di brigata ed ex capo dell'ufficio di Netanyahu David Agmon,
"Bezalel Smotrich, io ti accuso della distruzione del sionismo religioso! Stai mettendo in piedi uno Stato retto dalla Halacha e dal sionismo Haredi, non dal sionismo religioso... Per non parlare del fatto che ti sei unito al terrorista Ben Gvir, che strumentalizza quei ragazzi delle colline che infrangono la legge e li fa continuare a infrangere la leggede, che va contro il governo, il sistema giudiziario e la polizia che è sotto la sua responsabilità. Netanyahu non è la soluzione. Netanyahu è il problema, è la testa del serpente. La protesta dovrebbe andare contro Netanyahu e contro la sua coalizione. La protesta dovrebbe pretendere la caduta di un governo malvagio".
Netanyahu è in un certo senso laico, ma per altri versi ha fatto sua la missione biblica del Grande Israele che ha annientato tutti i suoi nemici. Se vogliamo, possiamo considerarlo un neo jabotinskiano; suo padre era il segretario privato di Jabotinsky. Si trova in pratica in un rapporto di reciproca dipendenza con figure come Ben Gvir e Smotrich.
"Cosa vuole questa gente?", si chiede Max Blumenthal; "Qual è il suo obiettivo ultimo?" "L'apocalisse", avverte Blumenthal, il cui libro Goliath ripercorre l'ascesa della destra escatologica nello stato sionista.
"Essi hanno un'escatologia basata sull'ideologia del Terzo Tempio: la Moschea di Al-Aqsa sarà distrutta e sostituita da un Terzo Tempio, si praticheranno i rituali ebraici tradizionali".
E per realizzare tutto questo, una "Grande Guerra" è quello che gli serve.
Smotrich si è sempre espresso con chiarezza su questo punto. Il piano per cacciare definitivamente tutti gli arabi dalla "Terra di Israele" richiederà qualcosa di fuori dall'ordinario, una "grande guerra", ha detto.
La questione più rilevante è: Trump e i suoi ne capiscono qualcosa? Perché tutto questo ha profonde implicazioni sul sistema cui Trump ricorre per arrivare ad accordi secondo la prassi tipica delle transazioni commerciali. "Bastone e carota" e razionalità laica non serviranno a gran che con chi ha una epistemologia piuttosto diversa, prende la Rivelazione come verità in senso letterale ed è convinto che essa imponga completa obbedienza.
Trump dice di voler porre fine ai conflitti in Medio Oriente e di arrivare a una "pace" regionale.
Il suo approccio laico e da trattativa commerciale alla politica, tuttavia, è del tutto inadatto a risolvere un conflitto che ha basi escatologiche. Il suo approccio da bravaccio in cui minaccia lo scatenarsi dell'inferno se non otterrà ciò che vuole non funzionerà, quando una delle due parti l'Armageddon lo vuole davvero.
Al suo "si scatenerà l'inferno" Trump potrebbe ricevere una risposta del tipo "Benissimo, si scateni pure".

14 marzo 2025

Alastair Crooke - L'Europa e il cambiamento: il Make AmeriKKKa Great Again, Trump e la rifondazione di un mondo

 


Traduzione da Strategic Culture, 11 marzo 2025.

Il presidente Trump vuole chiudere la questione ucraina, punto e basta. Così potrà andare avanti rapidamente, normalizzare i rapporti con la Russia e avviare il suo piano di ridefinizione complessiva di un nuovo ordine mondiale, un quadro d'insieme che metterà fine alle guerre e faciliterà le relazioni commerciali.
L'Europa finge di non afferrare quella che è l'essenza della questione: la fine del conflitto in Ucraina è semplicemente il punto di partenza di tutta la logica e di tutto l'impianto su cui Trump si è basato e che è rappresentato da una completa ridefinizione del panorama geopolitico. L'Ucraina, in parole povere, altro non è che un ostacolo al perseguimento dell'obiettivo che Trump considera essenziale, che è il riassetto globale.
Starmer, Macron e gli ambienti orientali delle élite europee sono ciechi di fronte alle implicazioni di un orientamento mondiale che si sta ridefinendo attorno alla politica e all'etica tradizionaliste statunitensi. Non si rendono conto nemmeno di quanto sia rabbioso il mondo di Trump che si cela dietro questa rivoluzione nascente e di quanto questa rabbia sia a malapena tenuta a freno. "La destra del Make AmeriKKKa Great Again non ha nessuna delle inibizioni dei suoi predecessori. Sta progettando di sfruttare il potere che le deriva da aver rimesso le mani sullo Stato per annientare i suoi nemici", scrive Allister Heath.
La classe dirigente europea è in difficoltà e sempre più isolata, in un mondo che si sta spostando a destra a una velocità vertiginosa. "Gli Stati Uniti sono ora il nemico dell'Occidente", afferma il Financial Times. I leader europei non lo capiranno mai.
La realtà è che gli Stati Uniti sono ora impegnati a mettere in ginocchio la politica estera europea. E stanno per iniziare a esportare i tradizionali valori repubblicani statunitensi con l'intenzione di smantellare il sistema di credenze woke europeo. Le classi dirigenti europee sono lontane dalla base e non sono riuscite a rendersi conto di come i loro interessi siano minacciati (uno scenario delineato qui).
L'amministrazione Trump sta cercando di ricostruire una Repubblica in difficoltà, e gli statunitensi di quest'epoca nuova non si curano dell'ossessione europea per le antiche faide e per le guerre che ne derivano.
Secondo quanto riferito, Trump guarda con totale disprezzo alle millanterie britanniche ed europee per cui quello che non lo faranno gli Stati Uniti, lo farà l'Europa. Dopo tre anni di batoste in Ucraina la classe dirigente di Bruxelles sostiene di essere ancora in grado di infliggere una sconfitta umiliante al presidente Putin.
A un livello più recondito tuttavia l'amministrazione Trump, impegnata nel compito di abbattere quello stato profondo che considera un nemico assoluto, si rende conto (giustamente) che l'apparato bellico britannico resta unito alla sua controparte statunitense, come parte della sua meta-struttura globale. E la componente essenziale più antica e profonda di esso è sempre stata la distruzione della Russia e il suo smembramento. Di conseguenza, quando in un discorso alla Nazione tenuto il 5 marzo Macron ha respinto l'idea di un cessate il fuoco in Ucraina e ha dichiarato che "la pace in Europa è possibile solo con una Russia più debole" definendo la Russia una minaccia diretta per la Francia e per l'intero continente, molti nel mondo di Trump hanno interpretato questa dichiarazione provocatoria ("la sconfitta della Russia da parte dell'Ucraina è preferibile alla 'pace'") come nulla più che il prodotto di un Macron e di uno Starmer che fanno da ventriloqui per gli obiettivi dello stato profondo statunitense.
Questa idea è corroborata dall'improvvisa pletora di articoli apparsi sui mass media sotto controllo europeo, secondo cui l'economia russa è molto più debole di quanto sembri e potrebbe crollare durante il prossimo anno. Naturalmente si tratta di una sciocchezza che però dovrebbe servire a convincere l'opinione pubblica europea che continuare la guerra in Ucraina sarebbe una buona idea.
L'assurdità della posizione europea è stata forse espressa al meglio e nella sua più assoluta arroganza -come nota Wolfgang Münchau- lo scorso anno dalla storica e scrittrice Anne Applebaum quando ha vinto un prestigioso premio tedesco per la pace. Durante il suo discorso alla premiazione, la Applebaum ha sostenuto che la vittoria era più importante della pace, affermando che l'obiettivo finale dell'Occidente dovrebbe essere la sovversione politica della Russia: "Dobbiamo aiutare gli ucraini a raggiungere la vittoria, e non solo per il bene dell'Ucraina", ha detto.
Zelensky e i suoi sostenitori europei vogliono "negoziare", ma più dopo che prima. Forse tra un anno, come un ministro degli Esteri europeo avrebbe detto in privato a Marco Rubio.
"Questo", scrive Münchau, "è il motivo della lite in pubblico avvenuta nello Studio Ovale [la scorsa settimana]. La pace cui si arriva con una vittoria netta -essenzialmente il modello della Seconda Guerra Mondiale- è la prospettiva con cui praticamente tutti i leader europei e la maggior parte dei commentatori vedono il conflitto Russia-Ucraina".
Gli USA vedono le cose in modo diverso: ritengono che quasi certamente che il deep state europeo stia mettendo i bastoni tra le ruote alla normalizzazione con la Russia voluta da Trump, una normalizzazione a cui esso si oppone visceralmente. O, per lo meno, pensano che gli europei stiano inseguendo un "miraggio che non esiste più, intestardendosi a tassare e a spendere intanto che l'immigrazione di massa raddoppia e i prezzi dell'energia si impennano, ignari delle luci rosse lampeggianti nei [mercati finanziari] intanto che i rendimenti del debito pubblico salgono ai massimi livelli dal 1998", come sottolinea Allister Heath.
In altre parole si suggerisce che Friedrich Merz, Macron e Starmer stiano parlando di come trasformare i loro paesi in pretoriani armati fino ai denti grazie a un massiccio aumento del debito. Eppure, a un certo livello della loro consapevolezza, devono rendersi conto che la cosa non è fattibile e quindi si accontentano di presentarsi come "leader mondiali sulla scena internazionale".
Le élite europee sono dei leader -se così le si può chiamare- profondamente instabili, e stanno mettendo a rischio la prosperità e la stabilità del continente. È chiaro che questi paesi non hanno le capacità militari necessarie per intervenire in un qualche modo coordinato. Più di ogni altra cosa, l'incombente realtà è data dal fatto che l'economia europea sta andando in malora.
Zelensky è complice di questo insistere degli europei sul fatto che la sconfitta della Russia sia più importante della pace in Ucraina, nonostante la mancanza di qualsiasi logica strategica su come vi si possa arrivare dopo che per tre anni la situazione militare non ha fatto che peggiorare. Entrambi i piani –schiacciare l'economia russa con le sanzioni e logorare l'esercito russo fino al collasso– sono falliti. Perché allora Zelensky resiste alle proposte di pace di Trump? In apparenza è una cosa insensata.
Per trovare una spiegazione occorre probabilmente risalire ai tempi successivi a Maidan, quando la metastruttura di sicurezza occidentale (principalmente britannici e statunitensi) ha imposto il radicamento dei banderisti intransigenti -che allora erano una piccola minoranza- nella polizia, nei servizi segreti e nella sicurezza ucraini. Ancora oggi il controllo effettivo è nelle loro mani. Anche se questo gruppo dovesse ammettere che non può vincere la guerra, ha ben chiaro cosa gli succede se la perde: la Russia con loro non tratterà. Li considera estremisti -se non criminali di guerra- che non sono in alcun modo "in grado di raggiungere un accordo" e che devono essere sostituiti da una leadership effettivamente capace di compromessi. La Russia probabilmente li incarcererebbe e li processerebbe. Zelensky deve essere spaventato dal trattamento che i banderisti potrebbero riservargli nonostante la sua squadra di guardie del corpo britanniche.
Ebbene, Trump non si sta divertendo a vedere gli europei che fanno questi giochetti e ha deciso di dare una lezione sia a loro che a Zelensky. Chissà che non sia riuscito a rimettere Zelensky in riga; forse anche no. Secondo Politico, l'amministrazione Trump ha avviato colloqui diretti con l'opposizione ucraina per indire elezioni anticipate e spodestare Zelensky, che secondo voci dall'éntourage di Tump sta per perdere la carica.
Zelensky potrebbe essere finito, ma è interessante notare che di Zaluzhniy non si è nemmeno parlato. Gli inglesi lo stanno preparando come sostituto, ma sembra che anche gli statunitensi arriveranno a questa risoluzione indipendentemente dagli inglesi.
Il presidente Trump ha ordinato la sospensione della condivisione di informazioni con l'Ucraina. Tecnicamente, ciò che ha fatto è stato impedire all'Ucraina di utilizzare i sistemi di puntamento controllati dall'intelligence statunitense, dalla CIA, dal National Reconnaissance Office e dalla National Geospatial Intelligence Agency. Ciò che è stato sospeso è lo scambio dei cosiddetti dati letali, comprese le informazioni per il puntamento degli HIMARS. I dati di tipo difensivo di cui l'Ucraina ha bisogno per proteggersi continuano comunque a essere forniti.
"Le conseguenze del blocco della condivisione di informazioni, che sembra essere stata imposta insieme alla sospensione degli aiuti militari annunciata lunedì da Trump, inizialmente sembravano essere piuttosto limitate... Ma mercoledì pomeriggio è diventato chiaro che l'amministrazione Trump, ignorando le aperture di Zelensky della sera precedente, si era spinta molto oltre. Un ufficiale dell'intelligence militare a Kiev ha dichiarato al Telegraph che il blocco equivaleva a 'un blackout più o meno totale'". In parole povere, il precedente blocco delle forniture di munizioni avrà senza dubbio un qualche impatto sulle capacità militari dell'Ucraina nel tempo, anche se potrebbe non essere apprezzabile ancora per alcune settimane. La perdita di informazioni vitali invece avrà un impatto immediato. In parole povere renderà cieca l'Ucraina. Nei posti di comando ucraini il monitoraggio delle battaglie e i feed satellitari online su tablet e schermi TV hanno effettivamente perso la connessione.
Lo schiaffo di Trump ha sfatato la convinzione che l'Ucraina sia in grado di difendersi da sola, ricorrendo al piccolo rincalzo rappresentato dal sostegno europeo. Questa è sempre stata una spavalderia senza senso. La NATO, la CIA e la comunità di intelligence globale hanno avuto il controllo della guerra fin dall'inizio. E questo sostegno, per adesso, è venuto meno. L'Europa vuole quindi farsi carico dell'onere lasciato dagli Stati Uniti? Bloomberg riferisce che i mercati obbligazionari europei sono in crisi. La pretesa europea di sostituire gli Stati Uniti costerà estremamente cara, sarà molto costosa sul piano politico e si risolverà in un fallimento.