mercoledì 16 ottobre 2024

Alastair Crooke - Lo stato sionista fa quello che fa perché il piano è sempre stato questo



Traduzione da Strategic Culture, 14 ottobre 2024. 


 Con l'assassinio di Sayed Hassan Nasrallah e di un certo numero di alti dirigenti di Hezbollah a Beirut -espressamente eseguito senza che il Pentagono ne fosse preventivamente informato- Netanyahu ha dato il via a un implicito allargamento della guerra dello stato sionista ai tentacoli della "piovra", per dirla con il termine dello stato sionista: Hezbollah in Libano, Ansarullah nello Yemen, il governo siriano e le forze irachene di Hash'ad A-Shaabi.
Dopo l'assassinio di Ismail Haniyeh e di parte dei quadri dirigenti di Hezbollah (tra cui un alto generale iraniano), l'Iran -demonizzato come la "testa della piovra"- è entrato nel conflitto con una raffica di missili che hanno preso di mira campi di aviazione, basi militari e il quartier generale del Mossad ma che, intenzionalmente, non hanno causato morti.
Lo stato sionista ha così reso gli Stati Uniti (e la maggior parte dei paesi europei) sodali o complici di una guerra che adesso ha preso definitivamente il carattere di una iniziativa neoimperialista contro l'intero non-Occidente. I palestinesi -icone globali dell'aspirazione alla liberazione nazionale- avrebbero dovuto essere spazzati via dalla Palestina storica.
Inoltre, il bombardamento di Beirut e la risposta dell'Iran hanno posto direttamente in conflitto lo stato sionista, sostenuto e materialmente appoggiato dagli Stati Uniti, con l'Iran sostenuto e materialmente appoggiato dalla Russia. Lo stato sionista, avverte il corrispondente militare di Yedioth Ahronoth, "deve fare un colpo di testa e attaccare l'Iran - perché colpire l'Iran 'metterà fine alla guerra in corso'".
Chiaramente, questo segna la fine dei giochi raffinati, della escalation graduale un passo calcolato dopo l'altro, come se si giocasse a scacchi con un avversario che calcola allo stesso modo. Entrambi i contendenti adesso minacciano di prendere a martellate la scacchiera. "Basta con gli scacchi".
Sembra che anche Mosca abbia capito che non c'è modo di giocare a scacchi quando ci si ritrova con un avversario che non è un uomo adulto ma uno spericolato sociopatico pronto a spazzare via la scacchiera e a giocasi il tutto per tutto con una mossa che gli porti una "grande" quanto effimera vittoria.
Secondo una analisi spassionata, o lo stato sionista sta sfidando il proprio stesso esistere sovraesponendosi su sette fronti, oppure spera di invocare proprio una minaccia esistenziale per provocare l'intervento degli Stati Uniti. Come per Zelensky in Ucraina, non ci sono speranze, a meno che gli Stati Uniti non intervengano in modo decisivo con la loro potenza di fuoco. Sia Netanyahu che Zelensky ne sono convinti.
Insomma, in Asia occidentale gli Stati Uniti stanno ora sostenendo nientemeno che una guerra contro l'umanità in se stessa e contro il mondo intero. È chiaro che una cosa simile non può essere nell'interesse dell'AmeriKKKa. I suoi pantagruelici potenti si rendono conto delle possibili conseguenze di un atto di tale macroscopica immoralità contro il mondo? Netanyahu si sta giocando la casa -e con lui adesso anche l'Occidente- sull'esito della sua scommessa alla roulette.
Qualcuno nelle stanze del potere non ha la sensazione che gli Stati Uniti stiano scommettendo sul cavallo sbagliato? Sembra che qualche voce dissenziente e propensa a esprimere riserve ci sia, negli alti quadri delle forze armate statunitensi. Come in ogni gioco di guerra nel Vicino Oriente in cui gli Stati Uniti vengono sconfitti, di queste voci se ne sentono poche. La classe politica nel suo complesso grida vendetta contro l'Iran.
Il perché ci siano così poche voci contrarie a Washington è un tema che è stato affrontato e illustrato dal professor Michael Hudson. Hudson spiega che le cose non sono così semplici e che il contesto non è quello. La risposta del professor Hudson è parafrasata qui di seguito da due lunghi commenti (qui e qui):
Tutto quello che sta succedendo oggi è stato pianificato cinquant'anni fa, nel 1974 e nel 1973. Io ho lavorato allo Hudson Institute per circa cinque anni, dal 1972 al '76. Ho partecipato alle riunioni con Uzi Arad, che è diventato il principale consigliere militare di Netanyahu dopo aver diretto il Mossad. Ho lavorato a stretto contatto con Uzi... Voglio descrivere il graduale prendere forma di tutta la strategia che ha portato agli Stati Uniti di oggi. E gli Stati Uniti di oggi non vogliono la pace, ma vogliono che lo stato sionista prenda il controllo di tutto il Vicino Oriente. Una volta accompagnai il mio mentore Terrence McCarthy allo Hudson Institute per parlare della visione del mondo nell'Islam. Ogni due frasi Uzi mi interrompeva: "No, no, dobbiamo ucciderli tutti". E anche altre persone appartenenti all'Istituto parlavano continuamente di uccidere gli arabi.
Quella di servirsi dello stato sionista come di un ariete a livello regionale per raggiungere gli obiettivi (imperialisti) degli Stati Uniti fu una strategia elaborata soprattutto negli anni '60, dal senatore Henry "Scoop" Jackson. Jackson era soprannominato "il senatore della Boeing" per il suo sostegno al complesso militare-industriale. E il complesso militare-industriale favorì la sua ascesa alla presidenza del Comitato nazionale democratico. Fu anche candidato per due volte, senza successo, alla nomination democratica per le elezioni presidenziali nel 1972 e nel 1976.
Era sostenuto anche da Herman Kahn, che divenne il principale stratega dell'egemonia statunitense all'interno dello Hudson Institute.
All'inizio lo stato sionista non aveva un ruolo importante nel piano statunitense; Jackson (di origine norvegese) odiava semplicemente il comunismo, odiava i russi e aveva un vasto seguito all'interno del Partito Democratico. Solo che mentre si metteva mano a tutto il piano strategico, Herman Kahn conseguì il fondamentale risultato di convincere i responsabili dell'edificazione dell'impero statunitense che la cosa essenziale da fare per mettere le mani sul Medio Oriente era affidarsi allo stato sionista come ad una sorta di legione straniera.
Secondo Hudson questo accordo a distanza ha permesso agli Stati Uniti di recitare la parte del poliziotto buono e allo stato sionista di svolgere il suo ruolo di spietato mandatario. Ecco perché il Dipartimento di Stato ha affidato la gestione della diplomazia statunitense a sionisti militanti: per separare e distinguere il comportamento dello stato sionista dalla pretesa correttezza dell'imperialismo statunitense.
Herman Kahn espose al professor Hudson quali fossero i punti forti di Jackson agli occhi dei sionisti: non era ebreo, era un paladino del complesso militare e un forte oppositore al sistema di contenimento della spesa militare in vigore. Jackson si oppose al contenimento della spesa militare: "la guerra la dobbiamo fare". Provvide quindi a infarcire il Dipartimento di Stato e altre agenzie statunitensi di neoconservatori (Paul Wolfowitz, Richard Pearl, Douglas Fife tra gli altri) che fin dall'inizio introdussero la prospettiva di una guerra mondiale permanente. A farsi carico della linea politica da indicare al governo sono stati innanzitutto, al Senato, alcuni ex assistenti di Jackson.
L'analisi di Herman era un'analisi di sistema: prima si definisce l'obiettivo generale, poi si lavora all'indietro. "Bene, ecco la politica odierna dello stato sionista. Innanzitutto si riducono strategicamente i palestinesi a frazioni isolate. Quelle in cui è stata trasformata Gaza negli ultimi quindici anni".
"L'obiettivo è sempre stato quello di ucciderli. O per lo meno di rendergli la vita così sgradevole da costringerli a emigrare. Questo è il metodo più facile. Perché mai qualcuno dovrebbe voler rimanere a Gaza quando gli succedono cose come quelle che stanno succedendo in questo periodo? Meglio andarsene. E se non se ne andranno dovrete ucciderli. Con le bombe se possibile, perché in questo modo si riducono al minimo le perdite", osserva Hudson.
"Nessuno sembra aver notato che ciò che sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania si basa sul concetto di frazionamento strategico come fu applicato durante la guerra in Vietnam: l'idea era quella di dividere tutto il Vietnam in piccoli lotti, presidiati in ogni punto di passaggio. Quello che lo stato sionista sta facendo ai palestinesi a Gaza e nei territori è stato sperimentato ai tempi del Vietnam".
Osservandoli bene, scrive Hudson, si notava che questi neoconservatori
praticavano una sorta di religione. Ne ho incontrati molti allo Hudson Institute; alcuni di loro, o i loro padri, erano trotzkisti. E si sono impadroniti dell'idea di rivoluzione permanente di Trotsky. L'idea è quella di una rivoluzione in divenire: mentre Trotsky sosteneva che una volta iniziata nella Russia sovietica essa si sarebbe diffusa in tutto il mondo, i neoconservatori l'hanno adattata affermando "No, la Rivoluzione permanente è l'impero statunitense: si espanderà e si espanderà ancora fino a investire tutto il mondo, e niente potrà fermarci".
I neoconservatori di Scoop Jackson fin dal primo momento avrebbero puntato ad arrivare a fare esattamente quello che stanno facendo oggi. Sostenere la potenza dello stato sionista facendone un combattente per procura nella conquista dei Paesi produttori di petrolio, destinati a diventare parte di una Grande Israele.
L'obiettivo degli Stati Uniti è sempre stato il petrolio. Questo voleva dire che gli Stati Uniti dovevano mettere in sicurezza il Vicino Oriente: a questo proposito potevano contare su due eserciti per procura. Due eserciti che fino a oggi hanno combattuto insieme come alleati. Da una parte i jihadisti di Al-Qaeda, dall'altra le forze armate sioniste che li controllano.
Adesso stiamo assistendo al diffondersi del curioso convincimento per cui quello che lo stato sionista sta facendo sarebbe "tutta colpa di Netanyahu, tutta colpa della destra". Invece fin dal principio sono stati protetti e sostenuti con enormi quantità di denaro, con tutte le bombe di cui avevano bisogno, con tutti gli armamenti di cui avevano bisogno, con tutti i finanziamenti di cui avevano bisogno... Tutte cose che sono state loro elargite proprio per fare esattamente quello che stanno facendo oggi. No, non ci può essere una soluzione basata su due Stati perché Netanyahu ha detto: "Odiamo quelli di Gaza, odiamo i palestinesi, odiamo gli arabi: non ci può essere una soluzione basata su due Stati. Ecco la mia mappa”, ha detto alle Nazioni Unite, "questo è lo stato sionista: non c'è nessuno che non sia ebreo nello stato sionista. Siamo uno Stato ebraico". Lo ha detto esplicitamente.
Hudson arriva poi al fondo di tutta la questione. Ci indica la chiave di volta fondamentale, che è la difficoltà, per gli Stati Uniti, di cambiare approccio. La guerra del Vietnam aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di introdurre una leva obbligatoria da parte delle democrazie occidentali non era praticabile. Lyndon Johnson nel 1968 dovette ritirarsi dalla corsa alle elezioni proprio perché ovunque andasse ci sarebbero state manifestazioni contro la guerra.
Il fondamento ineludibile che Hudson sottolinea è la consapevolezza che le democrazie occidentali non possono più mettere in campo un esercito nazionale ricorrendo alla coscrizione. Il risultato è che lo stato sionista -i cui effettivi sono limitati- può sganciare bombe su Gaza e Hezbollah e cercare di distruggere questo o quello, ma né l'esercito dello stato sionista né un qualsiasi altro esercito sarebbero davvero in grado di invadere e di cercare di conquistare un Paese -o anche solo il Libano meridionale- come fecero gli eserciti nella seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti avevano imparato la lezione ed è per questo che sono ricorsi a qualcuno che combattesse per procura.
"Insomma, quali possibilità sono rimaste agli Stati Uniti? Beh, penso che ci sia solo una forma di guerra non atomica che le democrazie possono permettersi, ed è il terrorismo [cioè il perseguimento di un enorme numero di vittime collaterali]. E credo che si debba guardare all'Ucraina e allo stato sionista come all'alternativa terroristica alla guerra atomica", suggerisce Hudson.
Il punto cruciale, osserva Hudson, è questo: cosa può comportare il fatto che lo stato sionista continui a insistere nel voler coinvolgere gli Stati Uniti nella sua guerra regionale? Gli Stati Uniti non invieranno truppe. Non possono farlo. I quadri dirigenti hanno provato con il terrorismo e il risultato del terrorismo è stato quello di far schierare contro l'Occidente tutto il resto del mondo, inorridito dalle stragi gratuite e dalla violazione di tutte le leggi di guerra. Hudson conclude: "Tracce di ragionevolezza nel Congresso non ne intravedo. Penso che il Dipartimento di Stato, l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale e la leadership del Partito Democratico, dato il suo radicamento nel complesso militare-industriale, siano assolutamente coinvolti".
E quest'ultimo potrebbe dire: "Beh, chi vuole vivere in un mondo che non possiamo controllare? Chi vuole vivere in un mondo in cui gli altri Paesi sono indipendenti e hanno una loro politica? Chi vuole vivere in un mondo in cui non possiamo avocare a noi il loro surplus economico? Se non possiamo prendere tutto e dominare il mondo, beh, chi vuole vivere in un mondo fatto in quel modo?".
Questa è la mentalità con cui abbiamo a che fare; praticare un gioco raffinato non cambierà questo paradigma. Un fallimento invece sì.

sabato 12 ottobre 2024

Firenze, ottobre 2024. "...No, Francesco Grazzini. La Russia non è nostra nemica."



Nel 2024 qualcuno si è separato da del denaro e per motivi tutti suoi, di cui nulla ci interessa, ha mandato in giro per la penisola italiana delle "vele" pubblicitarie in cui figurano due mani che si stringono. Una ha i colori della bandiera della Federazione Russa, l'altra quelli della bandiera dello stato che occupa la penisola italiana.
La loro comparsa a Firenze non è piaciuta a Francesco Grazzini, un ben vestito limogé in consiglio comunale come vicario del considerevolmente impopolare Matteo Renzi.
Da oltre due anni le ostilità tra Federazione Russa e Ucraina sono diventate guerra aperta. Il democratismo rappresentativo di Firenze ha scopertamente appoggiato la causa ucraina con i toni che gli sono consueti e che ha mutuato dall'"occidentalismo" dei tempi della democrazia da esportazione. Insomma, eccepire alla condotta di Kiev e alle ragioni del suo esecutivo è cosa che porta come minimo a essere ascritti d'ufficio al ruolo dei nostalgici dei gulag.
In queste pagine ha radici consolidate la prassi di reagire a prese di posizione di questo genere assumendo briosamente l'atteggiamento opposto, in modo tanto più intransigente quanto più insistono gazzette e telegazzettini.
Su quale utopia democratica fosse l'Ucraina che si è ritrovata con i russi in casa esiste una letteratura piuttosto corposa. Che da sola non basterebbe per giustificare l'astio di chi si augura senza mezzi termini di vedere un certo numero di persone educate in giro per le strade di Lisbona. Per capire la poca ricettività alle istanze dei matteirenzi occorre considerare anche il fatto che a Firenze in molti ben vestiti autonominatisi custodi del democratismo le simpatie per la causa ucraina vanno spesso di pari passo con quelle per lo stato sionista. Si potrebbe supporre che l'offensiva di Hamas del 7 ottobre 2023 sia risultata intollerabile in certi ambienti perché ha lasciato con un palmo di naso i sistemi di sorveglianza più pubblicizzati del mondo, gettando una luce indesiderata sul "modello Tel Aviv" per la sicurezza urbana e sui suoi sostenitori.
O forse sarebbe meglio dire sui suoi rappresentanti.
In terzo luogo, occupare l'agenda con le nefandezze russe è utile a mettere in secondo piano la continua, metodica, incessante erosione degli spazi di agibilità pubblica e politica; la politica e le amministrazioni "occidentali" sono da anni arrivate al punto di non sapere letteralmente più cosa sanzionare e gli unici comportamenti scevri da sospetto sono quelli di consumo e neppure tutti. Difficile ostentare una qualche superiorità etica quando la pratica politica quotidiana si compendia di un "più mercato" e "più galera" privi di qualsiasi ritegno e sul cui conto non occorre certo dilungarsi.

martedì 8 ottobre 2024

Alastair Crooke - La slealtà verso Tehran


Traduzione da Strategic Culture, 7 ottobre 2024.

John Kerry ha detto con chiarezza la scorsa settimana al World Economic Forum come stanno le cose: "Per quanto riguarda la nostra facoltà di far sparire [la disinformazione] il nostro Primo Emendamento rappresenta un ostacolo importante".
Tradotto: governare è tutta questione di controllo della narrazione. Kerry formula in questo modo la soluzione che l'"Ordine internazionale" sarebbe intenzionato ad applicare al fenomeno sgradito di un populismo incontrollato e di un potenziale leader che parla con la voce del popolo; insomma, la "libertà di parola" è inaccettabile per le prescrizioni con cui concorda una inter-agenzia che altro non è che il distillato istituzionalizzato dell'"ordine internazionale".
Eric Weinstein chiama questa situazione l'indebolimento: Il primo emendamento, il genere, il merito, la sovranità, la privacy, l'etica, il giornalismo investigativo, i confini, la libertà... la Costituzione? Tutto da buttar via?
La narrazione della realtà di oggi sarebbe che il lancio da parte dell'Iran il 1 ottobre 2024 di duecento missili balistici -centoottantuno dei quali hanno raggiunto lo stato sionista- sarebbe stato arginato dai sistemi di difesa missilistica sionisti Iron Dome e Arrow, tant'è che l'attacco non ha fatto vittime. È stato "sconfitto e senza conseguenze", ha dichiarato Biden.
Will Schryver, ingegnere tecnico ed editorialista in materia di sicurezza, scrive: "Non capisco come chiunque abbia visto i numerosi video degli attacchi missilistici iraniani contro lo stato sionista non possa riconoscere che si è trattato di una dimostrazione sbalorditiva delle capacità iraniane. I missili balistici iraniani hanno bucato le difese aeree statunitensi e dello stato sionista e varie testate di elevata potenza sono andate a segno contro obiettivi militari dello stato sionista".
Effetto e concretezza stanno quindi nella capacità dimostrata, che è poi la capacità di identificare altri obiettivi, la capacità di fare anche di più. Si è trattato infatti di un esercizio dimostrativo dalla portata limitata, non di un attacco vero e proprio.
Il messaggio era questo, ed è stato fatto sparire.
Come mai l'amministrazione statunitense si rifiuta di guardare in faccia la realtà e di prendere atto di quello che è successo e preferisce invece chiedere al mondo intero -che i video dei missili che impattavano nello stato sionista li ha visti- di "andare avanti" come consigliano le autorità, fingendo che non ci fosse "nulla di importante da vedere"? Questa "faccenda" era solo un fastidio per la governance del sistema e per il consenso, proprio come Kerry ha accusato di esserlo la libertà di parola? Sembrerebbe di sì.
Il problema strutturale, scrive il saggista Aurelien, non è solo nel fatto che la classe dei professionisti occidentali si attiene a un'ideologia che è l'opposto di come la gente comune vive il mondo. Questo è certamente un aspetto. Ma il problema più grande risiede piuttosto in una concezione tecnocratica della politica, politica che non "riguarda" nulla. Non è affatto una politica vera e propria (come disse una volta Tony Blair), ma è un qualche cosa di nichilista e di privo di considerazioni morali.
Non avendo una vera e propria cultura, la classe dei professionisti dell'ordine mondiale occidentale considera la religione obsoleta, e considera la storia pericolosa, perché contiene elementi che possono essere usati in modo improprio dagli "estremisti".
La storia, preferisce quindi non conoscerla proprio.
Questo è quello che produce la miscela di autoattribuita superiorità, ma anche di profonda insicurezza, che caratterizza la leadership occidentale. Da una parte l'ignoranza, dall'altra la paura di eventi e idee che non rientrano nei confini del suo rigido Zeitgeist e che sono percepiti quasi invariabilmente come in postulato contrasto con i suoi interessi. E piuttosto che cercare di discutere e comprendere ciò che è al di fuori della sua portata, la leadership occidentale ricorre alla denigrazione e all'assassinio di chi se ne fa portatore per eliminare questa fastidiosa esperienza.
Deve essere chiaro a tutti che l'Iran rientra in tutte le categorie che più alimentano l'insicurezza occidentale. L'Iran è l'apice di tutto ciò che è inquietante: ha una cultura consolidata e un retaggio intellettuale che si pone in modo esplicitamente diverso -anche se non in contrasto- rispetto alla tradizione occidentale. Si tratta di caratteristiche che tuttavia condannano l'Iran a essere collocato -senza riflettere- tra gli elementi che contrastano con la gestione dell'"ordine internazionale"; non perché sia una minaccia, ma perché risulta disturbante per il quieto passaggio delle consegne.
Ha importanza, questo?
Sì, perché rende molto problematico all'Iran interagire efficacemente con l'allineamento ideologico all'"ordine internazionale".
L'Occidente si è impegnato e ha fatto pressioni perché l'Iran reagisse in maniera contenuta, la prima volta dopo che lo stato sionista ad aprile aveva assassinato un generale iraniano e alcuni suoi colleghi al consolato iraniano di Damasco.
E l'Iran si è adeguato. Il 13 aprile ha lanciato droni e missili verso lo stato sionista in modo tale da inviare un breve messaggio concordato, ovvero preallertato, in merito alle sue capacità. Senza arrivare a un vero e proprio scontro, come richiesto dall'Occidente.
Dopo l'assassinio da parte dello stato sionista di Ismail Haniyeh che era ospite di Teheran per partecipare all'insediamento del nuovo Presidente, i Paesi occidentali hanno nuovamente pregato l'Iran di astenersi da qualsiasi ritorsione militare contro lo stato sionista.
Il nuovo Presidente ha dichiarato pubblicamente che funzionari europei e statunitensi avevano offerto all'Iran la caduta delle principali sanzioni in vigore contro la Repubblica Islamica dell'Iran e la garanzia di un cessate il fuoco a Gaza alle condizioni di Hamas in cambio dell'impegno a non attaccare lo stato sionista.
L'Iran ha tenuto duro, accettando di apparire debole agli occhi del mondo esterno. Cosa per la quale è stato aspramente criticato. Tuttavia, il comportamento occidentale ha scioccato l'inesperto nuovo Presidente Pezeshkian: "Loro (gli Stati occidentali) hanno mentito", ha detto. Nessuna delle promesse è stata mantenuta.
A dire il vero, con il nuovo Presidente riformista l'Iran si è trovato di fronte a un vero dilemma. Da una parte, sperava di perseguire una politica di contenimento per evitare una guerra distruttiva. Dall'altra, temeva che questa prova di moderazione potrebbe essere mal interpretata -forse in malafede- e usata come pretesto per una escalation. Insomma, il rovescio della medaglia è che "la guerra stava arrivando in Iran, che lo si volesse o no".
Poi c'è stato l'attacco tramite i cercapersone, quindi la decapitazione di Hezbollah. Compresa la figura iconica rappresentata dal suo leader Seyed Hassan Nasrallah. Con un numero enorme di vittime collaterali. L'amministrazione statunitense (il presidente Biden) ha detto semplicemente che "era stata fatta giustizia".
E ancora una volta l'Occidente ha implorato e minacciato l'Iran perché non intraprendesse ritorsioni nei confronti dello stato sionista. Stavolta invece l'Iran ha lanciato un attacco con missili balistici più concreto, anche se ha deliberatamente omesso di colpire le infrastrutture economiche e industriali dello stato sionista o la popolazione civile, concentrandosi invece su importanti siti militari e dei servizi segreti. Si è trattato, in breve, di un segnale dimostrativo, anche se in una certa misura ci sono stati danni alle basi aeree e ai siti militari e dei servizi. Ancora una volta si è trattato di una risposta limitata.
E per cosa?
Perché l'Occidente reagisse con aperto dileggio. L'Iran sarebbe stato troppo scoraggiato / troppo spaventato / troppo diviso per reagire davvero. In realtà gli Stati Uniti -sapendo bene che Netanyahu sta cercando il pretesto per una guerra con l'Iran- hanno offerto allo stato sionista il loro pieno sostegno una ritorsione in grande stile contro l'Iran: “Ci saranno gravi conseguenze per questo attacco e collaboreremo con lo stato sionista perché sia così", ha dichiarato Jake Sullivan. “Non commettete errori: gli Stati Uniti sono pienamente, pienamente, pienamente a fianco dello stato sionista", ha detto Biden.
La morale della storia è chiara: il Presidente Pezeshkian è stato messo nel sacco dall'Occidente. Un po' come il deliberato "inganno di Minsk" perpetrato dall'Occidente nei confronti del Presidente Putin, un po' come la coltellata alle spalle dell'Accordo di Istanbul II. Qualsiasi condotta improntata alla moderazione, su cui pure insiste tanto l'"ordine internazionale", viene invariabilmente fatta considerare come una manifestazione di debolezza. Il deep state occidentale, la cosiddetta "classe invariabile dei professionisti", rifugge da qualsiasi principio morale. Fa del suo nichilismo una virtù. Forse l'ultimo leader capace di vera diplomazia che mi viene in mente è stato JFK durante la crisi dei missili di Cuba e nei suoi successivi rapporti con i leader sovietici. E cosa gli è successo? È finito ucciso dal sistema.
Naturalmente c'è molta rabbia in Iran. Ci si chiede se la proiezione di potenza del paese non sia stata tanto debole da contribuire in qualche modo ad avallare la propensione dello stato sionista a colpire il Libano in modo così spietato e sfrenato, come a Gaza. Resoconti recenti fanno pensare che gli Stati Uniti dispongano di nuove informazioni tecnologiche su cui lo stato sionista non può ancora contare, che hanno consentito di indivudare la posizione di Sayyed Nasrallah e di passarne i dati allo stato sionista, cosa che avrebbe portato al suo assassinio.
Se l'Occidente dovesse ostinarsi a trattare con sufficienza la condotta moderata perseguita dall'Iran e a confondere la moderazione con l'impotenza, ci sarà da chiedersi se il "partito unico" dell'ordine mondiale europeo e statunitense sarà mai capace di freddo realismo. È in grado di valutare bene le conseguenze di un'eventuale guerra dello stato sionista contro l'Iran? Netanyahu ha chiarito che questo è l'obiettivo del governo dello stato sionista: la guerra all'Iran.
L'errata valutazione dell'avversario e dei suoi punti di forza sconosciuti è spesso il prodromo di una guerra più ampia, come nel caso del primo conflitto mondiale. E lo stato sionista è in preda a un vero furor bellicus per imporre il proprio "nuovo ordine" in Medio Oriente.
L'Amministrazione Biden è "più che disposta" a mettere "la pistola sul tavolo" perché sia Netanyahu a prenderla e a sparare mentre Washington finge di rimanere in disparte. L'obiettivo finale di Washington è ovviamente la Russia.
Che in diplomazia non ci si possa fidare dell'Occidente è chiaro. La morale di questa vicenda tuttavia ha implicazioni più ampie. Se lo stato di cose è questo, in che modo la Russia può pensare di porre fine al conflitto in Ucraina? Sembra che molte altre persone moriranno inutilmente, semplicemente a causa della rigidità del partito unico e della sua incapacità di agire con vera e propria diplomazia.
E molti ucraini sono morti, da quando il processo di Istanbul II è diventato carta straccia.
L'Occidente in questo momento si trova davanti alla prospettiva di almeno una sconfitta schiacciante, se non di due. Viene spontaneo chiedersi se la cosa sarà di qualche insegnamento. Chissà se i professionisti dell'ordine mondiale vorranno almeno prendere atto che ci sono degli insegnamenti da recepire.