giovedì 29 agosto 2024

Alastair Crooke - A Kursk, la guerra come la fa l'Occidente. Quando controllare la narrazione ha il sopravvento sulla realtà



Traduzione da Strategic Culture, 26 agosto 2024.


La propaganda di guerra e la finzione sono cose vecchie quanto il mondo. Nulla di nuovo, in questo. Di nuovo, c'è il fatto che la propaganda non è più il complemento di obiettivi bellici più ampi, ma è diventata un fine in sé.
L'Occidente è arrivato a convincersi che detenere la narrazione vincente e presentare quella dell'altro come goffa, dissonante ed estremista sia più importante che affrontare la situazione sul campo. In quest'ottica, vincere significa controllare la narrazione vincente. La "vittoria" virtuale ha quindi la meglio sulla realtà concreta.
Una guerra diventa quindi uno scenario in cui imporre l'allineamento ideologico a un'ampia alleanza globale, e rinforzarlo tramite media compiacenti.
Questo obiettivo gode di una priorità maggiore rispetto, ad esempio, alla garanzia di una capacità produttiva sufficiente a sostenere gli obiettivi militari. La costruzione di una "realtà" immaginaria ha avuto la precedenza sul conseguimento dei dati di fatto sul terreno.
Il punto è che questo approccio -che esiste in funzione dell'adeguamento dell'intera società sia in patria che all'estero- genera realtà illusorie ed ingannevoli e false aspettative da cui è quasi impossibile uscire anche quando sarebbe necessario proprio perché l'imposizione di adeguarsi ha sclerotizzato il pubblico sentire. Uno Stato vede limitarsi o scomparire la possibilità di cambiare rotta in base all'evolversi degli eventi e la lettura accurata dei fatti sul campo vira verso il politicamente corretto e si allontana dalla realtà.
L'effetto cumulativo di una narrazione virtuale vittoriosa comporta comunque il rischio di scivolare gradualmente verso una involontaria guerra vera e propria.
Prendiamo, ad esempio, l'incursione orchestrata ed equipaggiata dalla NATO nella simbolicamente significativa regione di Kursk. In termini di narrazione vittoriosa il suo fascino per l'Occidente è ovvio: ecco l'Ucraina che porta la guerra in Russia.
Se le forze ucraine fossero riuscite a catturare la centrale nucleare di Kursk, avrebbero messo le mani su merce di scambio significativa e avrebbero potuto sottrarre forze russe al fronte ucraino del Donbass che si sta sgretolando giorno dopo giorno.
Infine, dal punto di vista propagandistico, i media occidentali erano pronti a mostrare di concerto il Presidente Putin come raggelato dall'incursione a sorpresa e vacillante per l'ansia che l'opinione pubblica russa gli si rivoltasse contro a causa dell'umiliazione subita.
Bill Burns, capo della CIA, ha affermato che "la Russia non avrebbe avanzato alcuna concessione sull'Ucraina fino a quando l'eccessiva fiducia di Putin non fosse stata messa in discussione e l'Ucraina non avesse potuto mostrare la propria forza". Altri funzionari statunitensi hanno aggiunto che l'incursione verso Kursk -di per sé- non avrebbe portato la Russia al tavolo dei negoziati; sarebbe stato necessario affiancare altre operazioni ardite, per scuotere il sangue freddo di Mosca.
L'obiettivo generale era ovviamente quello di mostrare la Russia come fragile e vulnerabile, in linea con la narrazione secondo cui in un qualsiasi momento la Russia potrebbe crollare e disperdersi in frammenti nel vento. Lasciando ovviamente l'Occidente vincitore.
In realtà, l'incursione a Kursk è stata un'enorme scommessa della NATO: si trattava di ipotecare le riserve e gli armamenti dell'Ucraina, come fiches sul tavolo della roulette, scommettendo sul fatto che un effimero successo a Kursk avrebbe rovesciato l'equilibrio strategico. Scommessa persa e fiches perse.
In poche parole la vicenda di Kursk è un esempio di come le narrazioni vittoriose siano un problema, per l'Occidente. Il loro difetto intrinseco è che sono basate sull'emotività e rifuggono dalle argomentazioni. Sono semplicistiche per forza di cose; servono solo a fare in modo che una intera società si allinei sulle stesse posizioni. In altri termini tutti gli Stati Uniti, le imprese, le agenzie federali, le ONG e il settore della sicurezza dovrebbero schierarsi contro tutti gli "estremismi" che minacciano la "nostra democrazia".
Questo obiettivo impone di per sé che la narrazione sia poco impegnativa e relativamente poco polemica: "La nostra democrazia, i nostri valori e il nostro consenso". La convention nazionale del Partito Democratico ad esempio ha adottato come concetti chiave quello di "Gioia" (ripetuto ad libitum), "andare avanti" e "contro le stramberie". Tutta roba banale, ma si tratta di parole d'ordine che ricevono energia e slancio non tanto dal loro contenuto, quanto dalla studiata ambientazione hollywoodiana che conferisce loro fascino e prestigio.
Non è difficile capire come questa concezione del mondo ad una sola dimensione possa aver contribuito a far sì che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano frainteso l'impatto della "audace avventura" di Kursk sui russi comuni.
Kursk ha una storia. Nel 1943 la Germania invase qui la Russia per distogliere l'attenzione dalle perdite che stava subendo e alla fine fu sconfitta nella battaglia di Kursk. Vedere un'altra volta equipaggiamento militare tedesco nei dintorni di Kursk deve aver lasciato molti a bocca aperta; l'attuale campo di battaglia intorno alla città di Sudzha è proprio il punto in cui, nel 1943, la Trentottesima e la Quarantesima armata sovietica operarono di concerto per una controffensiva contro la Quarta Armata tedesca.
Nel corso dei secoli, la Russia è stata in vario modo attaccata dalla sua vulnerabile frontiera occidentale: più recentemente lo hanno fatto Napoleone e Hitler. Non sorprende che i russi siano molto sensibili su questa sanguinosa storia. Bill Burns e gli altri ci hanno pensato bene? Immaginavano forse che di per sé l'invasione del territorio russo da parte della NATO sarebbe stato intesa da Putin come una sfida e che a quel punto insistendo ancora un po' lo si sarebbe indotto a chinare la testa e ad accettare un congelamento della situazione in Ucraina, con l'ingresso di quest'ultima nella NATO? Forse è così.
In definitiva, il messaggio che i servizi occidentali hanno voluto mandare è che l'Occidente -ovvero la NATO- sta andando a sistemare la Russia. Questo è il significato della scelta deliberata fatta a Kursk. Leggendo tra le righe nelle affermazioni di Bill Burns, il messaggio è che la Russia deve prepararsi alla guerra con la NATO.
Per essere chiari, questo genere di narrativa vittoriosa costruita intorno ai fatti di Kursk non rappresenta né un inganno né una finta. Gli accordi di Minsk per esempio costituivano un inganno, ma erano un inganno che si fondava su una strategia razionale, il che significa che dal punto di vista storico rientravano nella normalità. Gli ingannevoli accordi di Minsk avevano lo scopo di far guadagnare tempo all'Occidente per favorire la militarizzazione dell'Ucraina, per poi attaccare nel Donbass. L'inganno ha funzionato, ma il prezzo è stato il venire meno della fiducia tra Russia e Occidente. La vicenda di Minsk, tuttavia, ha anche accelerato la fine di un processo di occidentalizzazione della Russia che durava da duecento anni.
I fatti di Kursk invece sono di tutt'altra specie. Si fondano sul concetto di eccezionalismo occidentale. L'Occidente percepisce se stesso come diretto verso la "parte giusta della Storia". Le narrative vittoriose ribadiscono in sostanza, e su un piano immanente, il carattere di inevitabilità della missione escatologica occidentale per la redenzione e la parificazione di tutto il mondo. In questo nuovo contesto narrativo i dati di fatto sul campo diventano meri elementi di disturbo e non una realtà da tenere in considerazione.
Il loro tallone d'Achille è proprio questo.
La convention nazionale del Partito Democratico a Chicago ha tuttavia messo in evidenza una ulteriore preoccupazione.
Proprio come l'Occidente egemonico è sorto dall'era della Guerra Fredda, e secondo la mitologia occidentale è stato plasmato e rinvigorito dall'opposizione dialettica al comunismo, così oggi viene mostrato in azione un (preteso) estremismo totalizzante -che si tratti dello schieramento di Donald Trump o di un elemento esterno come l'Iran, la Russia o altro- che a Chicago si pone in un'analoga opposizione dialettica hegeliana al precedente capitalismo contro comunismo; la differenza è che nel caso atuale si tratta di un "estremismo" in conflitto con la "nostra democrazia".
La tesi che regge la narrazione alla convention di Chicago è essa stessa una tautologia della differenziazione identitaria, che si presenta come un "presentarsi uniti" sotto la bandiera della diversità, in contrapposizione allo "essere bianchi" e all'"estremismo". Estremismo che a tutti gli effetti viene presentato come il successore di quel comunismo che era l'antagonista ai tempi della Guerra Fredda.
Dietro le quinte a Chicago magari pensano che la contrapposizione con un estremismo inteso in senso lato porterà a un rinvigorimento della realtà statunitense, come è successo nell'epoca del dopo Guerra Fredda. Il che significa che potrebbe entrare in agenda un qualche conflitto con l'Iran, la Russia o la Cina. I segni premonitori ci sono, proprio come esiste per l'Occidente la necessità di riorganizzare la propria economia. Economia che la guerra fa girare regolarmente.
La manovra del Kursk è senza dubbio sembrata intelligente e audace sia a Londra e che a Washington. Ma quali risultati ha avuto? Non ha raggiunto né l'obiettivo di prendere la centrale nucleare di Kursk, né quello di allontanare le truppe russe dalla linea di contatto. La presenza ucraina nell'Oblast' di Kursk sarà eliminata.
Il suo risultato è stato comunque quello di porre fine a qualsiasi prospettiva di un'eventuale soluzione negoziale in Ucraina. In Russia, la sfiducia verso gli Stati Uniti è ormai assoluta. Questo ha reso Mosca ancor più determinata a portare a termine l'operazione speciale. Gli equipaggiamenti tedeschi visti a Kursk hanno risvegliato vecchi fantasmi in Russia, e vi hanno consolidato la consapevolezza circa le intenzioni ostili dell'Occidente. Cui la risposta è un tacito "Mai più".

martedì 27 agosto 2024

Firenze, culla del Rinascimento, ridotta a un degrado vergognoso che è tutta colpa del sindaco comunista

 


Sì, bene.
Ora però basta ridere.
I piagnistei telematici e gazzetteschi che vagheggiano i tempi andati di una Firenze contraddistinta dal lindore, in contrapposizione al postulato degrado contemporaneo, hanno un po' l'andamento di un fiume carsico. Nei mesi precedenti le elezioni un certo numero di scribacchiagazzettini e di "occidentalisti" rionali deplora marginalità estreme e deiezioni canine, cartacce e situazioni di penoso disagio per incolparne l'amministrazione e assicurare che il solito ben vestito spedito da Roma a rendere presentabili ciurme e programmi che presentabili non sono restituirà Firenze alla sua natura di verziere olezzante di verbena. Poi ci sono le elezioni, il ben vestito si dissolve letteralmente nell'aria lasciando il cerino in mano alla ciurma di cui sopra, e il lavorìo degli scribacchiagazzettini e degli "occidentalisti" rionali torna in sottofondo.
Quando si produce questa propaganda da due spiccioli è essenziale non identificare con precisione i tempi andati oggetto di rimpianto, perché esistono almeno cinque generazioni a coprire un'ottantina d'anni con aneddoti e testimonianze in grado di mettere zitto qualunque nostalgico. Meglio collocare tutto in un'epoca più o meno remota che ci si augura a prova di smentita. Solo che esistono gli storici e gli archivi, e gli storici e gli archivi raccontano cose non troppo in linea con la Firenze come la si vorrebbe raccontare. La narrazione propagandistica si regge essenzialmente sulla speranza che nessuno vada a disturbarli.
Che invece è proprio quello che si è fatto in questo caso.
Che è anche il minimo.
L'anno è il 1620. Ne I pidocchi del Granduca Carlo M. Cipolla tratta dei provvedimenti adottati per arginare la diffusione della febbre tifoide in un saggio in cui sottolinea tranquillo la rilevanza secondaria del problema a fronte del periodico ripresentarsi del pestifero e contagioso morbo che era letteralmente il terrore della cittadinanza e delle istituzioni. I paragrafi che se ne riportano consentono di rimettere al suo posto -dopo averlo schernito e deriso ad alta voce scandendo bene le parole- qualsiasi laudator temporis acti. E consentono di farsi un'idea su quali dovessero essere le condizioni di Firenze appena fuori dagli Uffizi.
Probabile che per prenderne atto non sarebbe stato neanche necessario uscirne.
Sarebbe bastata un'occhiata alle cantine.
Noi oggi giustamente lamentiamo gli inquinamenti d'ogni tipo e maniera che ammorbano e intristiscono le nostre città. Ma non è per questo da credere che la città preindustriale fosse un paradiso ecologico. Ne è prova tra l'altro il fatto che la mortalità cittadina era di gran lunga piu elevata allora di quanto sia oggi. Uno dei grossi problemi del tempo era quello della eliminazione dei rifiuti umani: un problema che ovviamente si assommava, aggravandoli, agli altri numerosi problemi quali quello dell'alta densità demografica nel territorio compreso entro le mura, quello della povertà diffusa, quello delle deficienti conoscenze in fatto di igiene, e cosi via.
In Firenze come altrove per la raccolta dei rifiuti le case d'abitazione disponevano in genere di pozzi neri. Capitava anche, soprattutto nel caso dei monasteri, che i canali di scarico dessero direttamente sulla strada. I votapozzi, dietro compenso, si occupavano di vuotare i pozzi neri e le cantine quando la cosa era necessaria e di portarne via il nauseabondo contenuto. Il quale nauseabondo contenuto veniva distinto in "materia soda" (chiamata anche "materia per contadini") considerata "bona per concio" (cioè buona per concimare) e "materia tenera" detta anche "acquastrone", cioè il liquame che non era buono a nulla e che nessuno voleva. I votapozzi, tradizionalmente pagati dai proprietari e non dagli inquilini, gettavano di norma l'acquastrone in Arno mentre la materia soda la vendevano ai contadini e agli ortolani.
In prosieguo di tempo i proprietari ed i contadini si resero conto che era possibile far a meno dell'intermediazione dei votapozzi e divenne sempre più frequente il caso di un proprietario che si accordasse direttamente col contadino. In tal caso il contadino stesso andava a vuotare il pozzo nero o la cantina, il proprietario risparmiava la spesa del votapozzi e il contadino in compenso della sua fatica si teneva la materia bona per concio senza dover sborsare soldi. "E cosi si costumava che la tenera da cert'hora di notte in là si buttava in Arno et il sodo per tempo la mattina si cavava fuori della città e si portava in varij luoghi secondo l'occorrenza de' contadini et ortolani"(1). E quelli furono gli anni delle vacche magre per i votapozzi.
Evidentemente però il diffondersi della pratica del rapporto diretto tra proprietari e contadini significò la scomparsa di quella professionalità di cui i votapozzi erano i legittimi e benemeriti rappresentanti. L'acquastrone veniva buttato malamente in Arno e la mattina i Fiorentini trovavano i loro ponti e le loro rive imbrattati da un qualcosa che offendeva la vista non meno che l'olfatto. Poi ci si misero anche gli ecologi del tempo cui non andava giù tutto quel buttar di rifiuti nel fiume — e loro si preoccupavano non solo dei rifiuti umani ma anche dei rifiuti delle macellerie, e di quelli dei tintori, e di quelli dei conciatori. E cosi, dietro una sollecitazione dopo l'altra, fu decretato che i pozzi e le cantine dovessero essere vuotati solo dai votapozzi i quali, garanti egregi della più alta professionalità, vennero impegnati sotto pene gravissime per ogni contravvenzione, a portare i rifiuti, sodi e teneri che fossero, a determinati "scaricatori e buche" appositamente approntati giusto fuori le mura. Questi scaricatori furono situati in punti strategici avendo l'Amministrazione avuto attenta cura di studiare i siti in relazione ai bisogni dei vari sestieri ed al regime dei venti. Cosi per esempio uno scaricatoio fu piazzato lungo le mura fra Porta S. Piero e S. Friano, un altro fu approntato fra la Porta al Prato e la Porta S. Gallo, un altro ancora fu posto tra Porta Pinti e Porta la Croce. Pareva la più razionale di tutte le possibili soluzioni - ma non fu cosi.
I votapozzi andavano pagati dai proprietari ma costoro s'erano oramai abituati, grazie all'opera dei contadini, ad essere sgravati della spesa della vuotatura dei pozzi neri e delle cantine. Quando entrò in vigore la nuova legislazione, molti proprietari, e soprattutto gli ecclesiastici, presero il vezzo di includere nei contratti di locazione che la spesa per il vuotamento dei pozzi neri e delle cantine fosse a carico dell'affittuario. Molti degli inquilini però erano "poveri e meschini che non possono mettere insieme con che vivino" e tanto meno "quei tre o quattro scudi che vanno in tali votamenti". La conseguenza inevitabile fu che gli inquilini poveri "lasciano stare detti pozzi neri pieni e traboccanti e sono necessitati stare e vivere in questi fettori"(2). Buona parte di Firenze stava cosi per venire sommersa da un qualcosa che non era l'acqua dell'Arno.
I "buoni huomini" di San Martino avvertirono la puzza nauseabonda e mefitica e ne informarono la Sanità. La Sanità diede ordine a Maestro Filippo Lasagnini, capomastro alla parte e ministro sopra le strade, di indagare sulla situazione con procedura d'urgenza. E Maestro Lasagnini, fatta una prima ed affrettata indagine, redasse un rapporto interinale che arrivato sul tavolo del Magistrato vi fece l'effetto di una bomba: "siamo stati di maniera meravigliati — scrissero i Magistrati al Granduca il 3 gennaio 1621 — che ci ha dato da pensare un pezzo e ridotto a credere che caminando innanzi in questo modo sia miracolo se non si precipiti in una peste"(3). In sintesi nella sua relazione il Lasagnini diceva di aver trovato 109 cantine piene ricolme di liquami, 20 cantine chiuse mescolate con pozzi neri, 49 pozzi neri stracolmi ridondanti e 8 pozzi da bere "guasti" perché in essi traboccavano le acque nere(4). E questo fu solo il risultato della prima sommaria ispezione perché poi, proseguendo l'indagine il Lasagnini trovò che le cantine colme di liquami non erano 109 bensì 114, le cantine chiuse mescolate con pozzi neri non erano 20 bensì 24, i pozzi neri stracolmi e ridondanti non 49 bensì 221, e i pozzi da bere contagiati dalle acque nere non 8 bensì 18(5). Né questo era tutto perché il Lasagnini oramai scatenato non stava chieto "dì e notte continuamente" e il 4 marzo segnalava ancora che "ci resta pieni di porcherie e cattive materie" tre case di Firenze "fra vicoli e stradelle private e chiuse"(6).
Il Magistrato agì con decisione. Sostenne che lo svuotamento dei pozzi dovesse essere eseguito a spese della finanza pubblica a fondo perduto "che facendosi questa spesa dal pubblico per esserne di poi rimborsato si farà una gran massa di debitori"(7). Incontrò difficoltà finanziarie perché l'Ufficio della Parte che era quello che date le sue competenze avrebbe dovuto fornire i mezzi finanziari per lo svuotamento dei pozzi era "esausto di denari per le continue spese dei lavori d'Arno"(8), ma riuscì a manovrare nel dedalo delle finanze granducali e il 4 marzo potè annunciare al Granduca che "il vuotamento de pozzi neri e pozzi da bere è finito e tutto il numero di quelli che si sono votati ascende a 377"(9). Ovviamente vuotare i pozzi neri stracolmi non bastava. "Questo rimedio pare a noi che sia per durar poco tempo poiché fra due mesi al più lungo torneremo nelle medesime miserie e s'incontrano molte difficoltà perciò che fra queste case una buona parte sono di religiosi et Ecclesiastici duri et difficili ad ubedire"(10). Il male andava tagliato alle radici e il Magistrato proponeva di "levar via li scaricatoi e bucche alle mura" e "ridurre il tutto all'uso di prima" e cioè a ridare ai proprietari e agli affittuari la libertà di accordarsi coi contadini e gli ortolani i quali avrebbero portato la roba soda dove loro comodava e l'acquastrone l'avrebbero buttato in Arno. Per avvalorare la propria tesi il Magistrato cercò di dimostrare che gli scaricatoi erano nefasti e che i quartieri vicini agli scaricatoi erano in effetti i quartieri che più soffrivano dell'epidemia [di tifo], e cioè il quartiere di S. Spirito, Costa San Giorgio, il Fondaccio e Borgo S. Nicolò(11). La Corte tergiversò (e certo non gli piacque quell'accenno ai "Religiosi et Ecclesiastici duri et difficili ad ubedire") e ricordò "che quando si gettavano i rifiuti in Arno cagionavano fetore et mali effetti ne' principali luoghi della città"(12). Ma il Magistrato insistette precisando quel che si sarebbe dovuto fare con una minuziosità ed una precisione esemplari:
che fusse lecito a ciascuno di far votare i pozzi neri e che la materia tenera e liquida con barili si gettasse in Arno doppo la campana dell'arme e non prima dalli tre Ponti, cioè Rubbaconte, Ponte Vecchio e dalla Carraia con haver l'occhio di gettarla dove sia la corrente dell'acqua e senza imbrattare le sponde e pile con imporre sopra questo pena pecuniaria et afflittiva di corpo contro li trasgressori. E per abbondare in cautela e tor via ogni occasione di brutture che si ordinasse un huomo a posta ... quale havesse obligo ogni mattina all'alba visitare detti Ponti e trovando le sponde imbrattate lavarle molto bene e darne conto a' Capitani di Parte o Uffiziali di Sanità per procedere contro i trasgressori e gastigarli. Et sebene questa tenera e liquida nel gettarla in Arno farà qualche fettore, bisogna considerare che è materia quale in ogni modo maneggiata è necessario che puzzi; nondimeno il tempo dalla campana in là pare proportionato perché all'hora il popolo si è ridotto alle case et si sta con le finestre serrate, massime l'inverno...
E cosi via per pagine e pagine. Impressionati da argomentazioni cosi dettagliate e stringenti, il Granduca e le sue Tutrici accolsero la proposta del Magistrato. Già che si è in tema di esalazioni mefitiche, conviene dire che al Magistrato toccò d'occuparsi non soltanto del puzzo che esalava dai pozzi neri e dalle cantine. La gamma dei miasmi nauseabondi che ammorbavano la città medievale e rinascimentale era pressoché infinita. C'erano gli odoracci dei tintori, quelli dei conciatori, quelli degli osti con i loro vini guasti, quelli dei macellai con le loro dannate sanguinaglie, c'era il puzzo della gente che si lavava poco e quello dei rifiuti dei cavalli e dei muli e degli asini e dei cani e poi, soprattutto in certi tempi dell'anno c'era il tanfo mefitico, insopportabile dei bachi da seta. Già nel 1616 il Magistrato aveva avuto sentore che in molte strade di Firenze si operavano caldaie per la cottura dei bozzoli. Finita la cottura le acque venivano buttate per le strade mentre "quelli rimasugli che restano nel fondo delle caldaie" venivano lasciati a macerare nelle caldaie stesse e producevano indicibili "fettore e puzzo". Il Magistrato aveva allora decretato che finita la bollitura dei bozzoli le acque "et ogni altra cosa che avanza" fossero subito buttate in Arno oppure portate fuori porta "in luoghi remoti et non frequentati"(13). Con questo provvedimento s'era messo fine ad un abuso, ma altri restavano. Molti tra la gente minuta di Firenze allevavano bachi in casa per arrotondare il reddito. Erano degli stoici perché allevar bachi in casa vuol dire vivere in mezzo al tanfo. Gli italici sono gente stoica e sono anche un qualcosaltro e i fiorentini erano italici e una volta cavati i bachi usavano gettare i letti sulla strada con disinvolta noncuranza per il prossimo, cosi come quelli delle caldaie si preoccupavano dei bozzoli ma non del prossimo. Il Magistrato discusse della cosa nell'aprile del 1621 e ventilò l'idea di proibire del tutto la tenuta dei bachi in città in vista della corrente epidemia. Poi però prevalsero le considerazioni economiche — "considerato che dal far questi bachi le povere persone ne possono cavar utile" — e ci si limitò a proibire "che i letti che si cavano di sotto a detti bachi che son quelli che ordinariamente fan puzzo e cagionano fettore" fossero gettati per le strade o trattenuti nelle case. E si ordinò che fossero portati fuori porta o gettati in Arno, nel gran fiume che raccoglieva tutto(14).
 
ASF: Archivio di Stato, Firenze.


1 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1059 (2 gennaio 1621).
2 Per tutto quanto precede cfr. ASF, Sanità, Negozi, 138, cc. 1058 ss. (2 gennaio 1621), cc. 1060 ss. (5 gennaio 1621).
ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1058 (2 gennaio 1621). Cfr. qui addietro cap. I, p. 35.
3 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1144 (27 febbraio 1621).
4 Ibidem.
5 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1164 (4 marzo 1621).
6 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1060 (5 gennaio 1621).
7 Ibidem.
8 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1198 (4 marzo 1621).
9 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1058v (2 gennaio 1621).
10 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1059 (2 gennaio 1621).
11 ASF, Sanità, Negozi, 138, c. 1083v (3 gennaio 1621).
12 ASF, Sanità, Negozi, 138, cc. 1061 ss. (5 gennaio 1621), Per il lungo seguito della maleodorante storia cfr. ASF, Sanità, Negozi, 139, c. 487 (1 maggio 1622).
13 ASF, Sanità, Negozi, 139, c. 611.
14 ASF, Sanità, Negozi, 139 (19 aprile 1621).

Tratto da Carlo M. Cipolla, Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell'Italia del Rinascimento. Bologna 1985.


martedì 20 agosto 2024

Alastair Crooke - La sfida del sionismo revisionista agli Stati Uniti: la nuova Nakba non si tocca



Traduzione da Strategic Culture, 19 agosto 2024.

Negli ultimi anni gli elettori dello stato sionista hanno sofferto profonde divisioni e sono stati incapaci di dare ampio sostegno a un governo. Dopo cinque consultazioni politiche hanno deciso di congedare la squadra Lapid/Gantz e di portare al potere una nuova coalizione, formata da Netanyahu e da piccoli partiti del suprematismo ebraico.
Tuttavia, subito dopo la formazione del nuovo esecutivo si è verificata una grave epidemia di "pentimento del compratore": un consistente settore della cittadinanza a quanto pare sarebbe stato pronto quasi a tutto, pur di spodestare il governo.
Si sono svolte manifestazioni puntuali in tutto lo stato sionista; si voleva evitare che il Paese diventasse, secondo le parole di un ex direttore del Mossad, "uno Stato razzista e violento al punto da mettere a rischio la propria stessa sopravvivenza".
Solo che probabilmente è già troppo tardi.
La maggior parte delle persone che vive fuori dallo stato sionista tende a fare di tutta l'erba un fascio dei diversi e spesso opposti punti di vista che vi si riscontrano, perché adottano una prospettiva riduttiva che implica il considerare gli esponenti delle varie posizioni solo come ebrei e come sionisti che differiscono fra loro per qualche questione di dettaglio.
E non potrebbero fare errore più grave. Esistono divisioni inconciliabili; esistono forme diverse di sionismo e queste divisioni riguardano il significato stesso di cosa voglia dire essere ebreo. Benjamin Netanyahu è un sionista revisionista, un seguace dello stesso Vladimir Jabotinsky di cui suo padre Benzion Netanyahu era segretario personale. Il sionismo revisionista è l'opposto del sionismo culturale del Congresso Ebraico Mondiale.
Da giovane Netanyahu era convinto che la Palestina fosse "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Di conseguenza, era favorevole all'espulsione di tutti quegli arabi che a sentir lui erano dei "nuovi arrivati". Inoltre, sosteneva l'idea che lo stato sionista si estendesse "dal Nilo all'Eufrate".
Durante i sedici anni in cui è stato Primo Ministro, Netanyahu è stato tuttavia percepito come moderato -nel senso che è diventato più pragmatico- ma ancora subdolo. Considerandolo con il senno di poi, è possibile che si sia semplicemente adattato ai tempi. O forse stava praticando la "doppia verità" straussiana, una pratica che Leo Strauss insegnava ai suoi seguaci come unico mezzo per preservare il "vero" ebraismo all'interno di un'etica liberal-europea che era in gran parte ashkenazita. L'"esoterismo" di Strauss veniva da Maimonide, un iniziatore della mistica ebraica, e consisteva nel professare esteriormente un qualche atteggiamento mondano e nell'osservare interiormente una lettura esoterica del mondo completamente contrastante con esso.
Per essere chiari, erano sionisti revisionisti come Netanyahu anche Menachem Begin e Ariel Sharon, che hanno mostrato di cosa erano capaci con la Nakba del 1948, l'espulsione di massa dei palestinesi.
Netanyahu appartiene a questa linea di pensiero, e vi fa riferimento anche una delle principali fazioni dominanti a Washington.


Le schermaglie con Washington dopo il 7 ottobre

In un primo momento, Washington ha reagito schierandosi immediatamente e precipitosamente a fianco dello stato sionista, mettendo il veto a diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU per un cessate il fuoco e fornendo allo stato sionista tutte le risorse militari necessarie a distruggere la enclave palestinese di Gaza. Agli occhi dello establishment statunitense era impensabile fare qualcosa di diverso dal sostenere lo stato sionista. Il Qualitative Military Edge (QME) dello stato sionista -la sua capacità di contrastare e di respingere qualsiasi minaccia militare a costo di danni e perdite minime- è uno dei puntelli fondamentali del fragile ramo su cui poggia l'egemonia statunitense.
I semplici cittadini statunitensi e anche alcuni membri dell'esecutivo in carica tuttavia, assistevano agli orrori del genocidio che si svolgeva in diretta sui loro cellulari. Il Partito Democratico ha iniziato a presentare gravi spaccature. I mediatori del potere, quelli dietro le quinte, hanno iniziato a fare pressione sull'esecutivo di guerra dello stato sionista per negoziare il rilascio degli ostaggi e arrivare a un cessate il fuoco a Gaza sperando in un ritorno allo status quo.
Il governo di Netanyahu ha usato vari sistemi tautologici per dire sempre di no -giocando spudoratamente sul trauma che per i suoi cittadini è stato il 7 ottobre- per ribadire la necessità di distruggere Hamas.
Washington ha capito un po' in ritardo che il 7 ottobre altro non era il pretesto che serviva ai seguaci di Jabotinsky per fare quello che hanno sempre voluto fare: cacciare i palestinesi dalla Palestina.
Il messaggio del governo sionista è stato ricevuto e compreso alla perfezione dalla classe dirigente di Washington: i sionisti revisionisti -che rappresentano circa due milioni di cittadini dello stato sionista- intendevano cinicamente imporre la loro volontà ai paesi anglosassoni minacciandoli di scatenare una guerra con il mondo intero, in cui gli Stati Uniti sarebbero bruciati. Essi non esiterebbero a far precipitare gli Stati Uniti in una guerra regionale vera e propria se la Casa Bianca cercasse di minare il progetto della nuova Nakba.
Nonostante l'assoluto favore di cui lo stato sionista gode a Washington, sembra che la classe dirigente abbia deciso che l'ultimatum degli strateghi del sionismo revisionista non poteva essere tollerato. Negli USA era iniziata la corsa elettorale, proprio mentre il prestigio statunitense nel mondo stava crollando. Chiunque abbia assistito allo svolgersi degli eventi ha capito che l'uccisione di oltre quarantamila persone innocenti non aveva nulla a che fare con l'eliminazione di Hamas.


Comprendere il contesto

Per comprendere la natura delle schermaglie tra i sionisti revisionisti e Washington, è necessario tornare a Leo Strauss, un ebreo tedesco che aveva lasciato la Germania nel 1932 grazie a una borsa di studio della Fondazione Rockefeller, per arrivare infine negli Stati Uniti nel 1938.
Il punto è che le idee che si confrontano in questa disputa ideologica non riguardano solo i cittadini dello stato sionista e i palestinesi. È una questione di potere e di controllo. L'agenda dell'attuale esecutivo dello stato sionista - in particolare quanto riguarda la sua controversa riforma del sistema giudiziario- deriva nella sua essenza da Leo Strauss.
La preoccupazione dei governanti statunitensi era che l'agenda di Netanyahu stesse diventando un esercizio di puro potere straussiano, a spese del potere laico statunitense.
Questo significa che i principi del sionismo revisionista sono condivisi dall'influente gruppo di statunitensi che si è formato intorno a Leo Strauss, che è stato professore di filosofia all'Università di Chicago. Molti resoconti riferiscono che egli aveva formato un piccolo gruppo interno di fedeli studenti ebrei ai quali dava lezioni orali in separata sede. A quanto si dice, in queste lezioni il valore intrinseco dell'azione politica verteva sull'affermazione dell'egemonia politica come mezzo per difendersi da una nuova Shoah.
Il nucleo del pensiero di Strauss, il tema su cui sarebbe tornato più volte, è quello che egli chiamava la curiosa polarità tra Gerusalemme e Atene. Che cosa significavano questi due nomi? A un primo sguardo potrebbe sembrare che Gerusalemme e Atene rappresentino due codici o due modi di vita fondamentalmente diversi, persino antagonisti.
La Bibbia, sosteneva Strauss, non si presenta come una visione filosofica o come una scienza, ma come un codice di legge; una legge divina immutabile che impone regole di vita. In effetti, i primi cinque libri della Bibbia sono noti nella tradizione ebraica come Torah, e Torah è forse più letteralmente traducibile come "Legge". L'atteggiamento insegnato dalla Bibbia non è quello della riflessione o dell'esame critico, ma dell'obbedienza assoluta, della fede e della fiducia nella Rivelazione. Se l'ateniese paradigmatico è Socrate, la figura biblica paradigmatica è Abramo, che con la Akedah -la legatura di Isacco- è pronto a sacrificare suo figlio per seguire un ordine divino incomprensibile.
Sì, la democrazia liberale occidentale ha portato l'uguaglianza civile, la tolleranza e la fine delle peggiori forme di persecuzione. Tuttavia, allo stesso tempo, il liberalismo ha richiesto all'ebraismo -come a tutte le fedi- di subire la privatizzazione del credo, la trasformazione della legge ebraica da autorità comunitaria a sistema recluso nella coscienza individuale. Il risultato, secondo l'analisi di Strauss, è stato quello di una benedizione a metà.
Il principio liberale della separazione tra Stato e società, tra vita pubblica e fede privata, non poteva che portare alla "protestantizzazione" dell'ebraismo, asserì Strauss.
Insomma, questi due modi di essere antagonisti esprimono punti di vista morali e politici fondamentalmente diversi. Questa è l'essenza di ciò che divide i due campi in cui si divide lo stato sionista di oggi: l'ebraismo culturale democratico si contrappone all'ebraismo della fede e dell'obbedienza alla Rivelazione divina.


La trappola per gli Stati Uniti

Gli Straussiani statunitensi hanno iniziato a formare un gruppo politico mezzo secolo fa, nel 1972. Erano tutti membri dello staff del senatore democratico Henry “Scoop” Jackson e comprendevano Elliott Abrams, Richard Perle e David Wurmser. Nel 1996 questo trio di straussiani ha elaborato un saggio per lo allora nuovo Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu. Questo studio, intitolato Clean Break Strategy, sosteneva l'eliminazione di Yasser Arafat, l'annessione dei territori palestinesi, una guerra contro l'Iraq e il trasferimento in Iraq dei palestinesi. Netanyahu faceva parte di questo stesso ambiente.
Clean Break Strategy si ispirava non solo alle teorie politiche di Leo Strauss, ma anche a quelle del suo amico Zeev Jabotinsky, fondatore del sionismo revisionista, di cui il padre di Netanyahu era stato segretario.
A scanso di equivoci gli straussiani statunitensi -oggi solitamente chiamati "neoconservatori"- non sono in linea di principio contrari alla Nakba che il governo Netanyahu ha in agenda. Non erano le sofferenze degli abitanti di Gaza a farli preoccupare, ma le minacce dei sionisti revisionisti di lanciare un attacco all'Iran e al Libano. Infatti, se questa guerra venisse scatenata l'esercito sionista non sarebbe assolutamente in grado di sconfiggere Hezbollah da solo. E per lo stato sionista muovere guerra all'Iran sarebbe una vera e propria follia.
Quindi, per salvare lo stato sionista gli Stati Uniti sarebbero senza dubbio costretti a intervenire. L'equilibrio del potere militare si è notevolmente spostato verso Hezbollah e l'Iran dopo la guerra del 2006 tra stato sionista e Libano, e qualsiasi guerra ora sarebbe un'impresa difficile e rischiosa.
Eppure era proprio questo il punto fondamentale dell'agenda "esoterica" -ovvero ad uso interno- e non dichiarata del governo sionista.


Washington cerca di reagire, ma si trova spiazzata

L'unica alternativa per gli Stati Uniti sarebbe quella di appoggiare un colpo di Stato militare a Tel Aviv. Alcuni alti ufficiali e sottufficiali dell'esercito sionista si sono già riuniti per suggerire una mossa di questo tipo. Nel marzo 2024 il generale Benny Gantz è stato invitato a Washington contro la volontà del premier. Tuttavia, non ha accettato l'invito perché intendeva rovesciare il Primo Ministro. Lo ha fatto per assicurarsi di poter ancora salvare il Paese e per essere certo che i suoi alleati negli Stati Uniti non si rivoltassero contro i quadri militari dello stato sionista.
Questo può sembrare strano. Ma la realtà è che le forze armate sioniste si sentono indebolite e persino tradite. Una condizione di ansietà che è emersa con l'accordo raggiunto all'inizio della legislatura tra Netanyahu e Itamar Ben-Gvir del partito Otzma Yehudit.
L'accordo con il governo prevedeva che Ben-Gvir venisse destinato a comandare una forza armata autonoma in Cisgiordania. Gli è stata affidata non solo la polizia nazionale, ma anche la polizia di frontiera, che fino ad allora era stata di competenza del Ministero della Difesa.
L'accordo prevedeva anche la creazione di una Guardia Nazionale dagli effettivi numerosi e il rafforzamento della presenza di personale della riserva all'interno della polizia di frontiera. Ben-Gvir è un kahanista, cioè un discepolo del rabbino Meir Kahane. Meir Kahane vuole l'espulsione dei cittadini arabi palestinesi dallo stato sionista e dai Territori occupati e l'instaurazione di una teocrazia: non fa mistero di voler ricorrere alla polizia di frontiera per espellere le popolazioni palestinesi, musulmane o cristiane che siano.
Le forze ufficialmente a disposizione di Ben Gvir rappresentano, come ha notato Benny Gantz, un "esercito privato". Esse tuttavia ne costituiscono solo la metà, perché Ben Gvir può contare anche sulla fedeltà di centinaia di migliaia di coloni armati della Cisgiordania, controllati dal rabbino radicale Dov Lior e dalla sua congrega di influenti rabbini radicali ispirati da Jabotinsky. L'esercito regolare teme questi coloni armati; come abbiamo visto, a Sde Teiman i coloni della milizia di Ben Gvir hanno preso d'assalto la base militare per proteggere i soldati accusati di aver violentato dei prigionieri palestinesi.
L'ansia che i vertici delle forze armate dello stato sionista provano verso questo vero e proprio "esercito di Jabotinsky" è testimoniata dall'avvertimento dell'ex premier Ehud Barak:
Sotto la copertura della guerra, nello stato sionista si sta verificando un colpo di stato governativo e costituzionale senza che venga sparato un colpo. Se non viene fermato, questo putsch trasformerà lo stato sionista in una dittatura di fatto entro poche settimane. Netanyahu e il suo governo stanno assassinando la democrazia... L'unico modo per impedire l'instaurazione ormai avanzata di una dittatura è quello di imporre la serrata del Paese attraverso atti di disobbedienza civile nonviolenta su larga scala, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, finché questo governo non cade... lo stato sionista non ha mai affrontato una minaccia interna tanto grave e tanto diretta per la sua esistenza e per il suo futuro come società libera.
I vertici delle forze armate sioniste vogliono un cessate il fuoco e/o un accordo sugli ostaggi più che altro per "fermare Ben-Gvir", non perché la cosa possa risolvere la questione con i palestinesi. Non è così.
L'ingiunzione ultimativa di Netanyahu è che se l'assassinio di Haniyeh non è sufficiente a far precipitare gli Stati Uniti nella Grande Guerra che darà a lui (Netanyahu) la Grande Vittoria, può sempre scatenare una provocazione ancor più in grande stile: Ben Gvir controlla anche la sicurezza del Monte del Tempio; si può sempre alzare la posta minacciando la distruzione della Moschea di Al-Aqsa.
Gli Stati Uniti sono in trappola.
E chi è al potere, pur amareggiato, non può farci nulla.


lunedì 12 agosto 2024

Dodici agosto


Brutte notizie chiama appena puoi 

Tredici agosto 2009, 20:11 ora di Ankara.




mercoledì 7 agosto 2024

Firenze. Emanuele Cocollini e Marco Carrai non vogliono che in ospedale si dica male dello stato sionista


Firenze, agosto 2024. Qualcuno cui non piace lo stato sionista scrive qualche volantino e lo attacca al Nuovo Spedale San Giovanni di Dio di Torregalli su una di quelle bacheche che di solito servono a far ingiallire quegli irritanti foglietti che fanno pubblicità ai mediatori creditizi.
Al ben vestito Emanuele Cocollini (prosit!) e al ricco Marco Carrai i volantini non piacciono: li si faccia subito sparire e arrivederci in tribunale.
Chissà che a Roma non si decidano una buona volta ad allargare la normativa che sanziona le liti temerarie anche a casi come questi. Il sistema giudiziario respirerebbe, e un po' di ben vestiti prenderebbero la via delle interinali nell'indifferenza generale.
Questione sostanziale, la foto in alto viene dal Libro dei Ceffi.
Dove non l'ha certo pubblicata la segreteria della Guida Suprema della Rivoluzione Islamica.
Se non si vuole che certi materiali abbiano visibilità, metterli su internet e schioccare le dita alle gazzette più condiscendenti non è quasi mai una buona idea: qualcuno cui non piace lo stato sionista e cui piacciono ancor meno i sionisti di complemento -per esempio lo scrivente- potrebbe riprenderne i contenuti.
Il testo di due volantini su tre è quello che segue.
Wanted! Il 20 maggio 2024 il Procuratore Capo della Corte di Giustizia Internazionale ha chiesto l'arresto di Benyamin Netanyahu, primo ministro dello stato sionista, responsabile di crimini di guerra contro l'umanità e genocidio.

Stop killing children - Migliaia di bambini a Gaza sono stati amputati senza anestesia e senza un adeguato controllo del dolore e rimarranno invalidi per sempre.
In molti altri la carenza di antibiotici ha trasformato ferite curabili in patologie letali. Nessuno di loro era un terrorista. (Sanitari per Gaza)
Il terzo volantino -quello che più ha irritato quei due signori, pare- è purtroppo poco leggibile. La frase "Uno stato unico esiste già ed è un regime di apartheid" è attribuibile a un certo Nimer Sultany in riferimento ai territori occupati dallo stato sionista (qui su Archive).

martedì 6 agosto 2024

Alastair Crooke - Ritorna l'Irgun del 1948?

 


Traduzione da Strategic Culture, 5 agosto 2024.

Gli indizi sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli; l'Occidente può anche negare l'evidenza, basta che poi non si lamenti delle conseguenze del suo comportamento e che non cerchi di sfuggirne.
No. Questa mancanza di attenzione non rappresenta un qualche nuovo genere di delirio occidentale e tantomeno significa che stiamo vivendo un crollo generale delle condizioni mentali. Si tratta di qualcosa di peggio: si tratta di un ritorno a una versione dogmatica e autoritaria della verità che, come lamenta il fisico dissidente Eric Weinstein, ha distrutto (in Occidente) anche la vera scienza, ignorando e mettendo a tacere le sue voci dissidenti più importanti e premiando invece coloro che adottano comportamenti fraudolenti.
Si pensi a quanto segue: il 24 luglio il Primo Ministro Netanyahu si è rivolto al Congresso degli Stati Uniti affermando, in modo recisamente manicheo, che l'Occidente si trova di fronte a un "asse del male" (Iran e alleati) e che gli Stati Uniti devono partecipare alla sua distruzione. Si è trattato di un invito a partecipare ad uno scontro di civiltà.
Il suo invito è stato accolto dai legislatori statunitensi con cinquantotto applausi a scena aperta.
Netanyahu è tornato in patria all'indomani di una tragedia verificatasi nella comunità drusa del Golan. I frammenti di un missile hanno colpito dei ragazzi che stavano giocando a calcio, uccidendone e ferendone molti; le esatte circostanze non sono ancora chiare. La razionalità occidentale è perfettamente in grado di dedurre innanzitutto che Majdal Shams si trova in territorio siriano occupato; in secondo luogo, che la comunità drusa vi rimane in maggioranza siriana perché rifiuta la cittadinanza dello stato sionista, e che è in gran parte filo siriana. Infine, che i drusi non sono né ebrei né cittadini sionisti. L'Occidente sembra tuttavia non riuscire a trarre un'altra conclusione molto ovvia: Perché mai Hezbollah dovrebbe attaccare intenzionalmente una comunità siriana in territorio siriano che in gran parte simpatizza con la Resistenza? Hezbollah non lo farebbe. Eppure questo dato evidente viene completamente ignorato da una razionalità che, come suggerisce Weinstein, preferisce attivamente la frode alla verità. Il portavoce Kirby ha detto che Hezbollah ha attaccato dei bambini nel nord dello stato sionista.
Il ministro della Difesa dello stato sionista ha ripetutamente affermato: "Non vogliamo la guerra". I leader occidentali ripetono lo stesso concetto: nessuno vuole la guerra. "Siamo assolutamente fiduciosi che la risposta dello stato sionista sarà contenuta e limitata ad obiettivi militari". La Casa Bianca: "A nostro avviso, non c'è motivo per un'escalation drammatica nel Libano meridionale e ci sono ancora tempo e spazio per la diplomazia".
E a quel punto cosa succede? Vengono uccisi due personaggi di primo piano: uno a Beirut e l'altro a Tehran, ovvero in territorio sotto sovranità iraniana. I leader occidentali esprimono la loro "preoccupazione". Come ha notato il premier del Qatar, la vittima di Tehran era Ismail Haniyeh di Hamas, una figura fondamentale per i negoziati sugli ostaggi a Gaza.
Anche questo si farà finta di non saperlo, nonostante la volontà di Netanyahu di intrecciare Hamas, Hezbollah e l'Iran in un unico "asse del male" secondo quanto ha detto davanti al Congresso in seduta plenaria debba risultare evidente anche all'ottusità di Washington.
Teniamo presente il criterio adottato dalla Repubblica Islamica dell'Iran dopo l'assassinio di un alto funzionario del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica nel consolato iraniano di Beirut nell'aprile 2024: d'ora in poi l'Iran risponderà direttamente, e direttamente dall'Iran. Washington dice di non volere una guerra con l'Iran, ma Netanyahu si è esplicitamente pronunciato a favore di essa. Forse il suo punto di vista è sfuggito, ai legislatori statunitensi?
Per quasi dieci mesi lo stato sionista non è stato in grado di stabilizzare la situazione lungo il confine settentrionale e di consentire il ritorno alle loro case dei cittadini sionisti sfollati. Anche se l'attacco a Beirut non dovesse portare a una guerra di più vasta portata, la via del negoziato per riportare la stabilità sul confine libanese non è più praticabile e non è più praticabile nemmeno per arrivare a un accordo sugli ostaggi a Gaza. "Come può avere successo una mediazione quando una delle parti assassina il negoziatore dell'altra?", ha osservato ironicamente il premier qatariota al-Thani.
In Occidente si sorvolerà anche su quanto è successo nello stato sionista lo stesso giorno in cui sono avvenuti gli omicidi: civili armati di destra sono usciti dai loro insediamenti e hanno preso d'assalto due basi militari delle forze armate sioniste. Queste irruzioni di massa di sapore anarchico, fomentate da diversi membri della coalizione di governo che in alcuni casi vi hanno anche preso parte, sono state irosamente condannate del Ministro della Difesa Gallant.
Ad appoggiare l'iniziativa sono stati un ministro e diversi altri membri della Knesset, che cercavano di liberare i riservisti sospettati di aver gravemente abusato di un detenuto palestinese arrivando anche a sodomizzarlo. Secondo le informazioni che trapelano dai servizi di sicurezza un detenuto ferito è stato portato in ospedale con gravi lesioni -anche nelle parti intime- che lo hanno reso incapace di camminare.
Commentando l'irruzione nelle basi delle forze armate Ben Gvir, alla testa del ministero responsabile della polizia e del sistema penitenziario dello stato sionista, ha detto che "vedere agenti della polizia militare andare a Sde Teiman per arrestare i nostri uomini più eroici è semplicemente vergognoso".
Ma il contesto generale è quello descritto da Yossi Melman:
La destra messianica nazionalista con l'appoggio, la condiscendenza o il silenzio di ministri e deputati della destra sta mettendo in atto un "putsch". I giovani scendono dalle colline dello "Stato di Giuda" per agire con gli stessi metodi violenti usati contro i palestinesi, [che adesso] vengono usati contro lo stato sionista. Il parlamentare della Knesset Limor Son Har-Malech (Otzma Yehudit) ha detto: "Il popolo di Israele combatterà contro i nemici esterni e contro i nemici interni che cercano di distruggerci" [come il procuratore che sta cercando di indagare sulle torture praticate a Sde Teiman]. L'idea della coltellata alla schiena e del tradimento ad opera di elementi interni riecheggia le voci della Germania del primo dopoguerra.
Anche in questo caso si è sorvolato su una cosa che non ha fatto notizia: la situazione a Sde Teiman era ampiamente nota e si diceva che fosse "più orribile di qualsiasi cosa abbiamo sentito su Abu Ghraib e su Guantanamo". Un rapporto delle Nazioni Unite ha riferito in modo dettagliato che i palestinesi detenuti arbitrariamente vi hanno subito torture e maltrattamenti. I civili armati provenienti dagli insediamenti hanno tuttavia descritto coloro che hanno commesso lo stupro come "eroi" e hanno trattato gli investigatori delle forze armate sioniste come se fossero a servizio del nemico. I rapporti fanno pensare che i responsabili dei fatti di Sde Teiman possano contare su qualche protettore ai piani alti.
Questo resoconto che denuncia la pratica sistematica della tortura segue precedenti rivelazioni secondo cui l'esercito sionista avrebbe contrassegnato decine di migliaia di abitanti di Gaza come sospetti da assassinare servendosi di un sistema guidato dall'intelligenza artificiale chiamato Lavender, caratterizzato da scarsa supervisione umana e da criteri molto laschi per la definizione dei bersagli.
Con questo stesso spirito i ministri di destra dell'esecutivo hanno espresso sui media sociali durante la mattinata del 31 luglio la propria soddisfazione per l'assassinio di Ismail Haniyeh a Tehran: "Questo è il modo giusto per riupilre il mondo da questa feccia". Il ministro del Patrimonio Amichay Eliyahu, membro del partito di estrema destra Otzma Yehudit del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, ha twittato:
Basta con gli accordi di pace campati in aria, basta con la pietà per questi morti che camminano. Sarà il pugno di ferro che li colpirà a portare tranquillità e un minimo di conforto; sarà quello a meglio permetterci di vivere in pace con coloro che cercano la pace. La morte di Haniyeh ha reso il mondo un posto leggermente migliore.
Qual è dunque la verità che l'Occidente ignora intanto che mette la sordina alla realtà, amplificando al tempo stesso le proprie narrative mendaci? È che lo stato sionista di cui si presume di avere contezza è diventato qualcosa di molto diverso. Qualcosa che mette in campo una epistemologia in contrasto con il razionalismo meccanicistico. La maggioranza dell'esecutivo è oggi in mano a gente che professa un culto escatologico di destra e che schiera una milizia di civili armati pronta a scagliarsi contro lo establishment militare e contro lo stato di diritto. Nessuno è stato arrestato per l'attacco e l'irruzione nelle delle due basi. Nessuno si azzarda a farlo.
Moshe "Bogie" Ya'alon, ex Capo di Stato Maggiore delle forze armate dello stato sionista ed ex Ministro della Difesa ha detto quanto segue nel corso di una intervista video sulle forze che stanno prendendo il controllo dello stato sionista:
Quando si parla di Smotrich e Ben Gvir, si tenga presente che hanno un proprio rabbino. Il suo nome è Dov Lior. È il rabbino del movimento sotterraneo ebraico, quello che intendeva far saltare in aria la Cupola della Roccia e che prima ancora voleva far esplodere degli autobus a Gerusalemme. Perché? Per accelerare l'esplosione della Guerra Ultima. Non li sentite parlare di Guerra Ultima? Non avete mai sentito parlare del concetto di "sottomissione" secondo Smotrich? Leggete l'articolo che ha pubblicato su Shiloh nel 2017. Il concetto di sottomissione così inteso si basa innanzitutto sulla supremazia ebraica: è un Mein Kampf al contrario.
Mi si rizzano i capelli in testa quando parlo in questi termini così come ne ha parlato lui. Io sono cresciuto e ho studiato in casa di sopravvissuti all'Olocausto e del loro "mai più". Questo è il Mein Kampf al contrario, è la supremazia ebraica: e per questo che [Smotrich] dice: "Mia moglie non entrerà nella stessa stanza in cui c'è un arabo". Questo è un punto fermo di questa ideologia. E poi in realtà quello cui aspira è arrivare nel più breve tempo possibile una guerra di vaste proporzioni. Una guerra di Gog e Magog. Come si può far deflagrare il conflitto, con un massacro come quello della Grotta dei Patriarchi del 1994? Baruch Goldstein era un allievo di questo rabbino. Ben Gvir ha appeso la foto di Goldstein [a casa sua].
Ecco che roba va a contribuire ai processi decisionali del governo.
Il rabbino Dov Lior è stato descritto da Netanyahu come "l'unità d'élite che guida Israele", a causa dell'influenza e del controllo che esercita sui coloni armati. L'Irgun del 1948, che attingeva a piene mani dai Mizrahim, sta forse rinascendo?
Non è forse giunto il momento che gli organi dirigenti occidentali scendano dalle nuvole e inizino a interpretare i segnali che si manifestano intorno a loro? Alcune parti in causa -e da prendere sul serio- non vedono le cose come le vedete voi occidentali; essi cercano Gog e Magog, secondo la profezia per cui "i figli di Israele" saranno vittoriosi nella battaglia di Armageddon. Ecco quali rischi ci troviamo davanti.