Traduzione da Strategic Culture, 19 agosto 2024.
Negli ultimi anni gli elettori dello stato sionista hanno sofferto profonde divisioni e sono stati incapaci di dare ampio sostegno a un governo. Dopo cinque consultazioni politiche hanno deciso di congedare la squadra Lapid/Gantz e di portare al potere una nuova coalizione, formata da Netanyahu e da piccoli partiti del suprematismo ebraico.
Tuttavia, subito dopo la formazione del nuovo esecutivo si è verificata una grave epidemia di "pentimento del compratore": un consistente settore della cittadinanza a quanto pare sarebbe stato pronto quasi a tutto, pur di spodestare il governo.
Si sono svolte manifestazioni puntuali in tutto lo stato sionista; si voleva evitare che il Paese diventasse, secondo le parole di un ex direttore del Mossad, "uno Stato razzista e violento al punto da mettere a rischio la propria stessa sopravvivenza".
Solo che probabilmente è già troppo tardi.
La maggior parte delle persone che vive fuori dallo stato sionista tende a fare di tutta l'erba un fascio dei diversi e spesso opposti punti di vista che vi si riscontrano, perché adottano una prospettiva riduttiva che implica il considerare gli esponenti delle varie posizioni solo come ebrei e come sionisti che differiscono fra loro per qualche questione di dettaglio.
E non potrebbero fare errore più grave. Esistono divisioni inconciliabili; esistono forme diverse di sionismo e queste divisioni riguardano il significato stesso di cosa voglia dire essere ebreo. Benjamin Netanyahu è un sionista revisionista, un seguace dello stesso Vladimir Jabotinsky di cui suo padre Benzion Netanyahu era segretario personale. Il sionismo revisionista è l'opposto del sionismo culturale del Congresso Ebraico Mondiale.
Da giovane Netanyahu era convinto che la Palestina fosse "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Di conseguenza, era favorevole all'espulsione di tutti quegli arabi che a sentir lui erano dei "nuovi arrivati". Inoltre, sosteneva l'idea che lo stato sionista si estendesse "dal Nilo all'Eufrate".
Durante i sedici anni in cui è stato Primo Ministro, Netanyahu è stato tuttavia percepito come moderato -nel senso che è diventato più pragmatico- ma ancora subdolo. Considerandolo con il senno di poi, è possibile che si sia semplicemente adattato ai tempi. O forse stava praticando la "doppia verità" straussiana, una pratica che Leo Strauss insegnava ai suoi seguaci come unico mezzo per preservare il "vero" ebraismo all'interno di un'etica liberal-europea che era in gran parte ashkenazita. L'"esoterismo" di Strauss veniva da Maimonide, un iniziatore della mistica ebraica, e consisteva nel professare esteriormente un qualche atteggiamento mondano e nell'osservare interiormente una lettura esoterica del mondo completamente contrastante con esso.
Per essere chiari, erano sionisti revisionisti come Netanyahu anche Menachem Begin e Ariel Sharon, che hanno mostrato di cosa erano capaci con la Nakba del 1948, l'espulsione di massa dei palestinesi.
Netanyahu appartiene a questa linea di pensiero, e vi fa riferimento anche una delle principali fazioni dominanti a Washington.
Le schermaglie con Washington dopo il 7 ottobre
In un primo momento, Washington ha reagito schierandosi immediatamente e precipitosamente a fianco dello stato sionista, mettendo il veto a diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU per un cessate il fuoco e fornendo allo stato sionista tutte le risorse militari necessarie a distruggere la enclave palestinese di Gaza. Agli occhi dello establishment statunitense era impensabile fare qualcosa di diverso dal sostenere lo stato sionista. Il Qualitative Military Edge (QME) dello stato sionista -la sua capacità di contrastare e di respingere qualsiasi minaccia militare a costo di danni e perdite minime- è uno dei puntelli fondamentali del fragile ramo su cui poggia l'egemonia statunitense.
I semplici cittadini statunitensi e anche alcuni membri dell'esecutivo in carica tuttavia, assistevano agli orrori del genocidio che si svolgeva in diretta sui loro cellulari. Il Partito Democratico ha iniziato a presentare gravi spaccature. I mediatori del potere, quelli dietro le quinte, hanno iniziato a fare pressione sull'esecutivo di guerra dello stato sionista per negoziare il rilascio degli ostaggi e arrivare a un cessate il fuoco a Gaza sperando in un ritorno allo status quo.
Il governo di Netanyahu ha usato vari sistemi tautologici per dire sempre di no -giocando spudoratamente sul trauma che per i suoi cittadini è stato il 7 ottobre- per ribadire la necessità di distruggere Hamas.
Washington ha capito un po' in ritardo che il 7 ottobre altro non era il pretesto che serviva ai seguaci di Jabotinsky per fare quello che hanno sempre voluto fare: cacciare i palestinesi dalla Palestina.
Il messaggio del governo sionista è stato ricevuto e compreso alla perfezione dalla classe dirigente di Washington: i sionisti revisionisti -che rappresentano circa due milioni di cittadini dello stato sionista- intendevano cinicamente imporre la loro volontà ai paesi anglosassoni minacciandoli di scatenare una guerra con il mondo intero, in cui gli Stati Uniti sarebbero bruciati.
Essi non esiterebbero a far precipitare gli Stati Uniti in una guerra regionale vera e propria se la Casa Bianca cercasse di minare il progetto della nuova Nakba.
Nonostante l'assoluto favore di cui lo stato sionista gode a Washington, sembra che la classe dirigente abbia deciso che l'ultimatum degli strateghi del sionismo revisionista non poteva essere tollerato. Negli USA era iniziata la corsa elettorale, proprio mentre il prestigio statunitense nel mondo stava crollando. Chiunque abbia assistito allo svolgersi degli eventi ha capito che l'uccisione di oltre quarantamila persone innocenti non aveva nulla a che fare con l'eliminazione di Hamas.
Comprendere il contesto
Per comprendere la natura delle schermaglie tra i sionisti revisionisti e Washington, è necessario tornare a Leo Strauss, un ebreo tedesco che aveva lasciato la Germania nel 1932 grazie a una borsa di studio della Fondazione Rockefeller, per arrivare infine negli Stati Uniti nel 1938.
Il punto è che le idee che si confrontano in questa disputa ideologica non riguardano solo i cittadini dello stato sionista e i palestinesi. È una questione di potere e di controllo. L'agenda dell'attuale esecutivo dello stato sionista - in particolare quanto riguarda la sua controversa riforma del sistema giudiziario- deriva nella sua essenza da Leo Strauss.
La preoccupazione dei governanti statunitensi era che l'agenda di Netanyahu stesse diventando un esercizio di puro potere straussiano, a spese del potere laico statunitense.
Questo significa che i principi del sionismo revisionista sono condivisi dall'influente gruppo di statunitensi che si è formato intorno a Leo Strauss, che è stato professore di filosofia all'Università di Chicago. Molti resoconti riferiscono che egli aveva formato un piccolo gruppo interno di fedeli studenti ebrei ai quali dava lezioni orali in separata sede. A quanto si dice, in queste lezioni il valore intrinseco dell'azione politica verteva sull'affermazione dell'egemonia politica come mezzo per difendersi da una nuova Shoah.
Il nucleo del pensiero di Strauss, il tema su cui sarebbe tornato più volte, è quello che egli chiamava la curiosa polarità tra Gerusalemme e Atene. Che cosa significavano questi due nomi? A un primo sguardo potrebbe sembrare che Gerusalemme e Atene rappresentino due codici o due modi di vita fondamentalmente diversi, persino antagonisti.
La Bibbia, sosteneva Strauss, non si presenta come una visione filosofica o come una scienza, ma come un codice di legge; una legge divina immutabile che impone regole di vita. In effetti, i primi cinque libri della Bibbia sono noti nella tradizione ebraica come Torah, e Torah è forse più letteralmente traducibile come "Legge". L'atteggiamento insegnato dalla Bibbia non è quello della riflessione o dell'esame critico, ma dell'obbedienza assoluta, della fede e della fiducia nella Rivelazione. Se l'ateniese paradigmatico è Socrate, la figura biblica paradigmatica è Abramo, che con la Akedah -la legatura di Isacco- è pronto a sacrificare suo figlio per seguire un ordine divino incomprensibile.
Sì, la democrazia liberale occidentale ha portato l'uguaglianza civile, la tolleranza e la fine delle peggiori forme di persecuzione. Tuttavia, allo stesso tempo, il liberalismo ha richiesto all'ebraismo -come a tutte le fedi- di subire la privatizzazione del credo, la trasformazione della legge ebraica da autorità comunitaria a sistema recluso nella coscienza individuale. Il risultato, secondo l'analisi di Strauss, è stato quello di una benedizione a metà.
Il principio liberale della separazione tra Stato e società, tra vita pubblica e fede privata, non poteva che portare alla "protestantizzazione" dell'ebraismo, asserì Strauss.
Insomma, questi due modi di essere antagonisti esprimono punti di vista morali e politici fondamentalmente diversi. Questa è l'essenza di ciò che divide i due campi in cui si divide lo stato sionista di oggi: l'ebraismo culturale democratico si contrappone all'ebraismo della fede e dell'obbedienza alla Rivelazione divina.
La trappola per gli Stati Uniti
Gli Straussiani statunitensi hanno iniziato a formare un gruppo politico mezzo secolo fa, nel 1972. Erano tutti membri dello staff del senatore democratico Henry “Scoop” Jackson e comprendevano Elliott Abrams, Richard Perle e David Wurmser. Nel 1996 questo trio di straussiani ha elaborato un saggio per lo allora nuovo Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu. Questo studio, intitolato Clean Break Strategy, sosteneva l'eliminazione di Yasser Arafat, l'annessione dei territori palestinesi, una guerra contro l'Iraq e il trasferimento in Iraq dei palestinesi. Netanyahu faceva parte di questo stesso ambiente.
Clean Break Strategy si ispirava non solo alle teorie politiche di Leo Strauss, ma anche a quelle del suo amico Zeev Jabotinsky, fondatore del sionismo revisionista, di cui il padre di Netanyahu era stato segretario.
A scanso di equivoci gli straussiani statunitensi -oggi solitamente chiamati "neoconservatori"- non sono in linea di principio contrari alla Nakba che il governo Netanyahu ha in agenda. Non erano le sofferenze degli abitanti di Gaza a farli preoccupare, ma le minacce dei sionisti revisionisti di lanciare un attacco all'Iran e al Libano. Infatti, se questa guerra venisse scatenata l'esercito sionista non sarebbe assolutamente in grado di sconfiggere Hezbollah da solo. E per lo stato sionista muovere guerra all'Iran sarebbe una vera e propria follia.
Quindi, per salvare lo stato sionista gli Stati Uniti sarebbero senza dubbio costretti a intervenire. L'equilibrio del potere militare si è notevolmente spostato verso Hezbollah e l'Iran dopo la guerra del 2006 tra stato sionista e Libano, e qualsiasi guerra ora sarebbe un'impresa difficile e rischiosa.
Eppure era proprio questo il punto fondamentale dell'agenda "esoterica" -ovvero ad uso interno- e non dichiarata del governo sionista.
Washington cerca di reagire, ma si trova spiazzata
L'unica alternativa per gli Stati Uniti sarebbe quella di appoggiare un colpo di Stato militare a Tel Aviv. Alcuni alti ufficiali e sottufficiali dell'esercito sionista si sono già riuniti per suggerire una mossa di questo tipo. Nel marzo 2024 il generale Benny Gantz è stato invitato a Washington contro la volontà del premier. Tuttavia, non ha accettato l'invito perché intendeva rovesciare il Primo Ministro. Lo ha fatto per assicurarsi di poter ancora salvare il Paese e per essere certo che i suoi alleati negli Stati Uniti non si rivoltassero contro i quadri militari dello stato sionista.
Questo può sembrare strano. Ma la realtà è che le forze armate sioniste si sentono indebolite e persino tradite. Una condizione di ansietà che è emersa con l'accordo raggiunto all'inizio della legislatura tra Netanyahu e Itamar Ben-Gvir del partito Otzma Yehudit.
L'accordo con il governo prevedeva che Ben-Gvir venisse destinato a comandare una forza armata autonoma in Cisgiordania. Gli è stata affidata non solo la polizia nazionale, ma anche la polizia di frontiera, che fino ad allora era stata di competenza del Ministero della Difesa.
L'accordo prevedeva anche la creazione di una Guardia Nazionale dagli effettivi numerosi e il rafforzamento della presenza di personale della riserva all'interno della polizia di frontiera.
Ben-Gvir è un kahanista, cioè un discepolo del rabbino Meir Kahane. Meir Kahane vuole l'espulsione dei cittadini arabi palestinesi dallo stato sionista e dai Territori occupati e l'instaurazione di una teocrazia: non fa mistero di voler ricorrere alla polizia di frontiera per espellere le popolazioni palestinesi, musulmane o cristiane che siano.
Le forze ufficialmente a disposizione di Ben Gvir rappresentano, come ha notato Benny Gantz, un "esercito privato". Esse tuttavia ne costituiscono solo la metà, perché Ben Gvir può contare anche sulla fedeltà di centinaia di migliaia di coloni armati della Cisgiordania, controllati dal rabbino radicale Dov Lior e dalla sua congrega di influenti rabbini radicali ispirati da Jabotinsky.
L'esercito regolare teme questi coloni armati; come abbiamo visto, a Sde Teiman i coloni della milizia di Ben Gvir hanno preso d'assalto la base militare per proteggere i soldati accusati di aver violentato dei prigionieri palestinesi.
L'ansia che i vertici delle forze armate dello stato sionista provano verso questo vero e proprio "esercito di Jabotinsky" è testimoniata dall'avvertimento dell'ex premier Ehud Barak:
Sotto la copertura della guerra, nello stato sionista si sta verificando un colpo di stato governativo e costituzionale senza che venga sparato un colpo. Se non viene fermato, questo putsch trasformerà lo stato sionista in una dittatura di fatto entro poche settimane. Netanyahu e il suo governo stanno assassinando la democrazia... L'unico modo per impedire l'instaurazione ormai avanzata di una dittatura è quello di imporre la serrata del Paese attraverso atti di disobbedienza civile nonviolenta su larga scala, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, finché questo governo non cade... lo stato sionista non ha mai affrontato una minaccia interna tanto grave e tanto diretta per la sua esistenza e per il suo futuro come società libera.
I vertici delle forze armate sioniste vogliono un cessate il fuoco e/o un accordo sugli ostaggi più che altro per "fermare Ben-Gvir", non perché la cosa possa risolvere la questione con i palestinesi. Non è così.
L'ingiunzione ultimativa di Netanyahu è che se l'assassinio di Haniyeh non è sufficiente a far precipitare gli Stati Uniti nella Grande Guerra che darà a lui (Netanyahu) la Grande Vittoria, può sempre scatenare una provocazione ancor più in grande stile: Ben Gvir controlla anche la sicurezza del Monte del Tempio; si può sempre alzare la posta minacciando la distruzione della Moschea di Al-Aqsa.
Gli Stati Uniti sono in trappola.
E chi è al potere, pur amareggiato, non può farci nulla.
E chi è al potere, pur amareggiato, non può farci nulla.
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