John Maxwell Coetzee, Nobel per la letteratura nel 2003, autore di Waiting for the Barbarians.
 
J.M. Coetzee, il famoso scrittore  sudafricano, fa una metafora della società sudafricana descrivendo le traversie  di un magistrato di provincia, un pubblico ufficiale dal comportamento  responsabile, un po’ corrotto ma non brutale, che trascorre le sue giornate di  servizio agli estremi confini dell’Impero, vicino ad alcune tribù barbare che  si recano nella sua città solo per commerciare o per curarsi
1.
Nell’epilogo il magistrato si  trova davanti il colonnello Joll, un burocrate mandato dai servizi segreti  dell’Impero, che afferma che i barbari stanno preparando una ribellione. Il  colonnello guida una spedizione a caccia di ribelli, e ritorna con un gruppo di  nomadi in catene, ammutoliti e terrorizzati. Nonostante il magistrato dica  chiaramente che gli sembrano inoffensivi, i prigionieri vengono torturati  secondo i metodi di quella “psicologia moderna” che rappresenta un po’ la firma  dei servizi segreti del nostro tempo. La possibilità che i barbari non fossero  colpevoli di alcun complotto rivoluzionario viene puramente e semplicemente  tolta di mezzo, a giudicare dal modo in cui il colonnello descrive il sistema  da lui utilizzato per condurre un interrogatorio. “Dapprincipio ottengo solo  bugie, vedete, ecco come succede. Prima bugie, poi si fa pressione  sull’interrogato, quindi arrivano altre bugie, quindi si fa ancora pressione, e  alla fine arriva “la rottura”: si fa ancora pressione, ed ecco che arriva la  verità”. Oppure, secondo la sarcastica riformulazione che il magistrato fa  delle convinzioni del torturatore: “Il dolore è verità. Tutto il resto è  suscettibile di dubbio”
2 . 
Impossibilitato a controllare o  ad influire sugli eventi, il magistrato tenta di dissociarsi dal colonnello,  anche se in tutta onestà deve ammettere di rappresentare egli stesso un  prodotto della medesima identità coloniale. Non diventa un critico  dell’imperialismo o un romantico difensore dei barbari: vuole semplicemente  continuare a comportarsi nel modo indolente che gli è sempre stato proprio,  trascorrendo le giornate in “vecchi passatempi”, tenendo una ragazza barbara  “per il mio letto” e leggendo i classici durante le serate.
I prigionieri barbari vengono  stroncati a forza di torture, e poi rilasciati. Uno di essi tuttavia, una  impassibile ragazza con gli occhi nerissimi e dai lisci capelli scuri rimane  indietro, e viene accolta dal magistrato che cerca di curarle le ferite e alla  fine decide, in seguito ai confusi sentimenti di colpevolezza che la brutalità  del colonnello ha risvegliato in lui, di riaccompagnarla alla sua tribù.
Rientrato a casa, il magistrato  viene accusato di tradimento e di “intelligenza col nemico”. Viene imprigionato  nella stessa baracca in cui venivano interrogati i barbari e viene ridotto, da  umiliazioni e tormenti, ad una condizione subumana. Apprende così la grande  lezione del XX secolo, e riflette così:
 
Quando  i torturatori mi hanno riportato qui la prima volta… Mi chiedevo quanto dolore  un uomo in là con gli anni, agiato e bene in carne avrebbe potuto sopportare in  nome delle sue poco usuali convinzioni sul come l’Impero avrebbe dovuto  comportarsi. Ma ai miei torturatori non interessava graduare il dolore. A loro  interessava soltanto dimostrarmi cosa volesse dire vivere in un corpo che può  conservare nozione di cosa sia la giustizia solo fino a quando è integro e sta  bene, ma che se ne dimentica molto, molto presto quando gli viene presa la  testa, gli viene cacciato un tubo già per la gola e gli vengono versate dentro  pinte e pinte di acqua salata… Arrivarono in cella per mostrarmi “il  significato della parola umanità”, e nel tempo di un’ora riuscirono a darmene  un’idea veramente esauriente”
3.
 
Il punto centrale nella storia di  J.M. Coetzee, in cui la popolazione mista e nera del Sud Africa viene  raffigurata sotto il leggero camuffamento dei “barbari” che vivono ai margini  dell’Impero bianco era, come il professor Eagleton ha scritto in un altro  contesto, costituito da una storia in cui “la razionalità, nel suo aspetto  esteriore, viene raffigurata come demenziale perché cerca di controllare il  mondo intero, e per far questo deve sconfiggere una realtà che continua a  sfuggirle”. Ma proprio questa realtà che essa tenta di sconfiggere, alla fine,  “si ribella scopertamente ai progetti paranoici avanzati dalla razionalità”
4.
I vecchi costrutti psicologici  non sono stati spazzati completamente via, il Medio Oriente non è stato  “scioccato e disorientato” per diventare un satellite filooccidentale, ed il  capitalismo globale mostra nuovamente i segni della sua innata tendenza allo  squilibrio ed alle crisi. 
Secondo Terry Eagleton “sarebbe  semplicemente assennato riconoscere questa follia, e sarebbe da pazzi pensare  che una follia simile potrebbe semplicemente essere rimessa al suo posto dalla  ragione”. Le differenze tra il colonnello Joll di oggi ed i “barbari” islamici  non sono mai destinate a fare da base per un dialogo, ma soltanto a servire per  una guerra psicologica destinata a durare fino all’esaurimento. Uno Joll crede,  allo stesso modo di molte altre sue controparti moderne, che i barbari siano  capaci solo di cospirare o di balbettare, a meno che la purezza chiarificatrice  di un intenso dolore non li conduca verso la verità.
Alla fine, ovviamente, la realtà  fa irruzione nel mondo di Joll e dell’Impero, e vi irrompe con il suo resistere  ai diritti speciali che si pretenderebbero per “i bianchi”, e con il suo  resistere al razzismo del loro club all’antica destinato alle 
persone civili, che esclude i barbari  ammassandoli dall’altro lato del muro del giardino. 
Le convergenti forze della realtà  in piena rivalsa rappresentano una sfida anche per la tranquillità di molti  occidentali che corrispondono alla figura del magistrato, per i quali i  colonnelli Joll rappresentano un’intrusione foriera di guai ma che al tempo  stesso dirigono altrove il proprio spiazzamento, preferendo consolarsi la  coscienza in altri modi e trascorrere le loro giornate in vecchi passatempi. 
Al primo affacciarsi della realtà  nell’Impero metaforico di Coetzee, il magistrato non intraprende un percorso  “per difendere la causa della giustizia a vantaggio dei barbari”
5.  Eppure in conclusione, in modo pur confuso, un “atto di resistenza” finisce per  verificarsi. E si tratta di qualcosa che non proviene dai barbari, ma  simbolicamente dal cuore stesso dell’Impero: il magistrato, che ha accettato  un’identità che è essa stessa parte dell’Impero, si mette comunque in cammino  per riaccompagnare la ragazza barbara torturata alla sua tribù. Un piccolo atto  di cortesia, che per Joll e per i suoi pari è invece un atto di sovversione dalle  conseguenze molto più gravi perché simboleggia un atto di censura che viene  direttamente dalla élite; una rottura, una piccola ma minacciosa crepa nel muro  della determinazione collettiva.
 
La resistenza dall’interno
Coetzee mostra un magistrato che  non è certamente una persona dalla moralità superiore: non è un ideologo e non  è nemmeno un rivoluzionario che si oppone all’Impero: si trovava troppo bene a  vivere come viveva, per considerare desiderabile qualche cambiamento radicale.  Tuttavia il suo quieto interrogarsi sul senso e sulla giustezza di quanto  veniva fatto in nome dell’Impero, e la sua consapevolezza istintiva che ci  fosse qualcosa di profondamente storto risultavano sufficienti, in questa tutto  sommato trascurabile esternazione di dubbi, ad aprire una crepa. 
Nell’introduzione di questo libro  abbiamo citato il religioso iraniano che affermava che il modo islamico ed il  modo occidentale di considerare che cosa costituisse l’essenza dell’essere  umano erano ormai qualcosa di troppo distante perché dei politici potessero  intavolare un dialogo costruttivo, a meno che non succedessero due cose.  Innanzitutto, dovrebbe iniziare a cadere dagli occhi dell’Occidente la benda  che impedisce ad esso di considerare le rovine prodotte negli ultimi trecento anni  dal pensiero scientifico strumentale. In secondo luogo, i pensatori occidentali  dovrebbero cominciare a considerare come sia potuto succedere che questo tipo  di pensiero abbia dato origine ad una simile lista di tragedie, che vanno dal  genocidio alla scienza razzista, fino alla “dottrina dello shock”, intanto che  loro rimanevano sinceramente (e su questo vocabolo il religioso iraniano poneva  enfasi) convinti di star agendo per il meglio, nell’interesse dell’umanità.
Oggi sembra una cieca assurdità  il rifarsi alla scienza razziale del XIX secolo, i tempi in cui antropologi  come John Beddoes potevano mettere a punto un indice di “nigriscenza” per  classificare gli abitanti delle Isole Britanniche in base alle loro  caratteristiche razziali. Dapprincipio gli antropologi avevano concepito le  “classi inferiori” come caratterizzate da un’autentica distinzione razziale  rispetto alle classi medie e a quelle dell’alta società; anche gli irlandesi  vennero letteralmente classificati come “scuri di pelle”. Le ricerche di John  Beddoes evidenziavano che la “nigriscenza” cresceva tra i rappresentanti delle  classi inferiori a causa della presenza di immigrati irlandesi, da lui  descritti come “africanidi”
6. 
Oggi possiamo anche storcere il  naso davanti a simili assurdità; ma sono davvero tanto diverse, quanto a  completo disprezzo per le sofferenze e per le sventure umane che toccano alle  vittime di “scienze” del genere, da quelle di scienze sociali contemporanee che  hanno visto gli esperimenti di Pinochet in Cile nel 1973 condotti in nome  dell’economia neoliberista, o la distruzione dell’Iraq trent’anni dopo,  condotta in nome della concezione americana della democrazia? Che cosa ha  provocato una tale distorsione della scienza e dell’empirismo? Che cosa è stato  nell’ossessione dei protestanti e del modernismo laico verso la dimostrazione  della loro utopia, e nel voler ad ogni costo dimostrare la non necessità di una  religione collettiva, a indurre nell’Occidente un’amnesia di massa lunga  trecento anni verso le conseguenze di tutto questo in termini di sofferenze  umane?
Il religioso iraniano insisteva  sul fatto che l’Occidente dovrebbe riflettere su tutto questo. Diceva che  quello che soprattutto serve è che si faccia caso ai processi cognitivi.  Sperava che da una riflessione del genere sarebbe stato possibile trovare un  terreno comune su quello che costituisce l’essenza dell’essere umano e sui suoi  valori, e che sarebbe stato possibile un esame del passato a partire da questa  base. 
Abbiamo citato anche, in modo  analogo, il pensiero di Michel Foucault: l’Occidente deve capire che la sua  visione del mondo ha generato ovunque una crescente ostilità e che i musulmani  la avevano semplicemente scavalcata e superata per pensare al proprio futuro.  Foucault ha detto anche che ogni civiltà deve affrontare circostanze, nel corso  della propria storia, in cui ha bisogno di trovare nuove energie per superare i  limiti dell’ideologia consolidata e per rinnovare il proprio modo di pensare. 
J.M. Coetzee, nel suo racconto su  un Impero basato sulla convinzione che i bianchi siano detentori di diritti  esclusivi, ha mostrato in modo pungente come possa iniziare un processo di  rinnovamento: un rivoluzionario assolutamente improbabile, un magistrato,  inizia a rimuginare dubbi sulla necessità o sull’utilità di trattare le tribù  vicine come barbari che minacciano l’esistenza dell’Impero e che possono essere  persuasi a mondarsi della loro antipatia nei confronti di esso soltanto tramite  la purificatrice esperienza del dolore puro. J.M. Coetzee ha suggerito che questi  pochi dubbi, ed un interrogarsi argomentato sulla mentalità del colonnello di  per sé costituiscono nientemeno che la base per un cambiamento.
Il magistrato non si è unito ai  barbari, non si è immedesimato coi nativi al punto di prendere le armi contro  l’impero. Ma ha cominciato, dopo un lungo periodo di piacevole sonnolenza, a  pensare di nuovo in modo critico. E si è reso protagonista di un cruciale e  simbolico atto di solidarietà umana.
 
Foucault e l’essenza del  cambiamento
Un atto come questo, pensa  Foucault, mette sulla strada giusta per scoprire le risorse necessarie a  sfuggire all’autorità e per limitare l’influenza di un paradigma di pensiero  dominante, consentendo al pensiero di raggiungere campi in cui è necessario il  ragionamento critico. Certamente si deve far riferimento a processi molto più  remoti nel passato, se vogliamo capire in che modo siamo rimasti prigionieri  della nostra stessa storia
7. 
Foucault pensa che qualcuno possa  sfuggire ai ricatti del pensiero consolidato e della propria storia tramite “un  cambiamento che egli stesso produce in se stesso”
8.  L’essenza di questo cambiamento è costituita dall’avere “il coraggio e  l’audacia di sapere”: una sorta di illuminazione che va considerata sia un  processo in cui gli uomini prendono parte collettivamente, sia come un atto di  coraggio che ciascuno deve compiere per proprio conto
9.
Foucault fa l’esempio della  scoperta dei principi della genetica, compiuta da Gregor Mendel nel 1865:
 
La gente si è spesso chiesta in  che diavolo di modo i botanici e i biologi del XIX secolo riuscirono a non  ammettere la verità delle affermazioni di Mendel. Ma questo è successo  esattamente perché Mendel parlava di cose, usava metodi e collocava il suo  lavoro all’interno di una prospettiva teorica che era totalmente aliena alla  biologia dei suoi tempi.
L’opera di Mendel, che suggeriva  che i tratti ereditari costituissero un oggetto di studio completamente nuovo  per la biologia, venne ignorata ed osteggiata fino all’inizio del XX secolo,  quando venne riscoperta. A questo punto divenne possibile una riconciliazione:
Mendel  aveva detto la verità, ma non era 
dans le  vrai [incluso nel contesto del vero] rispetto alla biologia dei suoi tempi:  semplicemente non era attraverso linee come questa che gli oggetti e i concetti  delle scienze biologiche venivano concepiti. Occorreva un vasto mutamento di  scala, il dispiego di una gamma totalmente nuova di oggetti di studio, perché  Mendel potesse essere incluso nel contesto del vero e le sue affermazioni  apparissero per la maggior parte esatte. Mende era un autentico 
mostro, al punto che la scienza non  disponeva del modo di parlarne in maniera adeguata
10.
 
E alla sua morte i suoi scritti  vennero bruciati.
Nel Sud Africa autentico, inteso  come contrapposto all’Impero metaforico di Coetzee, la resistenza c’era  comunque. C’era una resistenza armata, capeggiata dall’African National  Congress (ANC) e c’era una resistenza non armata fatta di sindacati, di  attivisti e di movimenti religiosi. E di tutto il processo faceva parte anche un  attore meno scontato. Si trattava di una presenza che insieme alle altre  costituenti, e nonostante il fatto che si trattasse di qualcosa di solitamente  escluso dai conti, ebbe un ruolo fondamentale in quello che nel linguaggio di  Foucault è “il cambiamento che qualcuno produce in se stesso”.
La élite bianca era rimasta  impelagata nell’ideologia dei diritti d’eccezione riservati ai bianchi,  nonostante il montare della resistenza armata e non. Ma pochi eminenti uomini  d’affari bianchi, dall’interno del cerchio della élite, cominciarono a porsi  qualche domanda sulla vita operativa e sulla razionalità che c’erano  nell’intenzione dei loro stessi consimili di voler conservare questi diritti  d’eccezione. 
Si chiesero come sarebbe stato il  mondo ai tempi dei loro nipoti, e cominciarono ad avanzare dubbi e critiche, ma  da una piattaforma interna e propria del loro stesso gruppo. Videro che non si  poteva tenere tanto a lungo a freno una realtà riluttante a farsi dominare e  riconobbero la resistenza. Videro così l’ANC come una realtà che non sarebbe  scomparsa solo perché veniva etichettata come terrorista. 
Cominciarono ad esprimere  concetti come questi, ed iniziarono a costruire dei collegamenti con gli  attivisti che stavano al di fuori della loro élite, e che da molto tempo  affermavano le stesse cose. Questi attivisti, proprio come Mendel, avevano  detto la verità, ma dapprincipio essa non aveva trovato posto nell’àmbito dei  concetti ammessi. Quello che avevano affermato, come le teorie genetiche di  Mendel, all’inizio aveva provocato soltanto rabbia e indignazione. Ma gli  Oppenheimer e gli angloamericani, come quel rivoluzionario improbabile che era  il magistrato di Coetzee, iniziarono ad esibirsi in piccoli ma simbolicamente  importanti “atti di resistenza”. La crepa era aperta.
Questa gente esibiva i propri  tranquilli “atti di resistenza” nella convinzione che una società potesse  diventare prigioniera del modo in cui presentava la propria storia e del  proprio modo di pensare, in questo caso dal continuare ad invocare diritti  eccezionali per i bianchi in Sud Africa, in una regione che già da molto tempo  aveva guadagnato la propria indipendenza da cose come questa.
Questi uomini d’affari si  accorsero che la realtà, rappresentata in questo caso dalla resistenza, non  poteva essere annullata in eterno e che soltanto avanzando una critica che  suonasse come una sfida all’interno dell’ambiente dominato da questo modo di  pensare, soltanto col rifiutarsi di sottostare a quelle condizioni di volontà  che ci fanno accettare l’autorità altrui era possibile rompere il ricatto  perpetrato da questa pietrificata categoria del pensiero. Fu quindi  dall’interno, dalla fortezza stessa dell’establishment bianco, che partì la  mobilitazione resistenziale che avrebbe innescato il cambiamento. 
Foucault aveva previsto che una  critica, all’inizio, si imbatte sempre in qualche difficoltà perché si scontra  con i limiti consolidati e generalmente condivisi imposti da anni di pensiero  condizionato, di convenzioni stabilite e di una quasi impercettibile influenza  conformista imposta dalle istituzioni e dall’ambiente in cui ci si trova ad  operare. Ogni atto di libertà e di protesta deve per forza contemplare una  deliberata infrazione di questi limiti
11.
Gli uomini d’affari sudafricani  che violarono le norme comunemente accettate dalla élite conservatrice bianca a  cui appartenevano aiutarono la società a superare i propri limiti e le proprie  angustie. La aiutarono a spostarsi al di là della prospettiva del sanguinoso  futuro di conflitto sociale che in molti prevedevano per il Sud Africa.
Non vogliamo con questo suggerire  che la situazione del Sud Africa di allora possa costituire un parallelo  diretto alla situazione dell’Islam di oggi. Le cose non stanno in questo modo.  Quello che stiamo cercando di esporre è il tipo di processo che Foucault può  aver avuto presente quando scriveva di quanto aveva visto in Iran, e sulle sue  implicazioni per il pensiero occidentale. E’ il processo di rottura con il  passato che è avvenuto in Sud Africa, più che la situazione politica in se  stessa, a poter servire da parallelo. 
Coloro che in Occidente  condividono le preoccupazioni del magistrato su quanto viene fatto in nome  dell’Impero, e che si trovano a disagio davanti alla limitata prospettiva con  cui il colonnello Joll concepisce il corretto trattamento dei barbari, possono  anche darsi da fare in qualche modo. L’improbabile magistrato e la punta di  diamante rappresentata dai businessmen sudafricani hanno levato le loro voci in  segno di critica contro la prevalente ortodossia rappresentata dalla  normalizzazione dell’ingiustizia. Si levarono in nome del rifiuto, anziché  accettare come un fatto normale il comportamento dei colonnelli Joll e di  considerarlo parte del normale susseguirsi degli eventi in quello che è  l’ordinaria amministrazione della politica perfettamente depoliticizzata. Il  magistrato ha compiuto un atto di solidarietà umana, gli uomini d’affari sono  diventati parte della resistenza portata avanti dagli attivisti e dai loro  movimenti sociali. Ma soprattutto hanno avanzato dei dubbi, si sono posti delle  domande.
 
La sensibilizzazione politica
W.G. Sebald, che scrisse in  merito a Jean Améry e al suo doversi confrontare con il trauma dei campi di  concentramento, fa notare il senso di rabbia che è possibile riconoscere in molte  delle sue opere. Améry giustificava questa emozione considerandola essenziale  per vedere il passato in modo veramente critico: è lo stimolo della rabbia ad  inchiodare ciascuno al suo passato distrutto
12.
La sensibilizzazione della  coscienza -e la visione critica del passato a cui essa apre la porta- è ciò che  offre lo stimolo in risposta al quale ci si muove verso un nuovo modo di  pensare sul piano politico, proprio come il religioso iraniano aveva accennato.
Il problema è che le emozioni  legate alla rabbia e la sensibilizzazione della coscienza sono cose di  difficile accesso nella politica di oggi, autopacificata ed eretta a stile di  vita, che non si presenta più come una lotta nel contesto di quella che è  un’esistenza sempre più povera di imprevisti e sempre più anemica. Non è facile  ripoliticizzare la politica o la cultura, in un’epoca in cui la maggior parte  della popolazione in Occidente vive in modo piacevole, sicuro e privo di  dolori. 
In questo senso è possibile  condividere il pessimismo del religioso iraniano circa i risultati di un  dialogo politico, pur notando che un cambiamento radicale fatto di nuovo modo  di pensare e di nuovo linguaggio potrebbe essere prossimo, se solo quanti  vivono in Occidente si mobilitassero ed iniziassero ad elevare critiche. Non  col gusto puro e semplice di criticare, ma con il chiedere concreto ed  incessante quali siano adesso gli scopi della potenza occidentale, e quali  siano esattamente i valori su cui esso si fonda attualmente. 
Non si tratta più di trovarsi  dalla parte sbagliata del discorso “vero”, come si venne a trovare Gregor  Mendel nella seconda parte del XIX secolo; il progetto di plasmare i costumi  mediorientali e l’ordine mondiale emergente sulla base dell’immagine  occidentale si sta rapidamente sfilacciando, ed in questa situazione il  continuo porre freni e limiti tipico del pensiero securitarista occidentale dei  nostri giorni rispecchia, come Jean Paul Sartre potrebbe aspramente constatare,  quello dei colonnelli Joll di un’epoca ormai passata:
 
Ha  già perso, ma non l’ha capito; non sa che i “nativi” sono dei “nativi” falsi.  Deve farli soffrire, dice lui, per reprimere il male che hanno dentro loro  stessi… Com’è possibile che non riesca a vedere che è la sua stessa crudeltà,  adesso, a ritorcerglisi contro? Com’è possibile che non riesca a vedere la sua  stessa ferocia di colonialista nella ferocia di coloro che opprime? La risposta  è semplice: questo individuo arrogante, cui hanno dato alla testa tanto il  potere e l’autorità quanto la paura di perderli, ha difficoltà a ricordare di  essere stato, una volta, un uomo
13.
 
Argomenti affrontati in Resistenza
La resistenza islamica è nata dal  trauma dell’ingegneria sociale, della pulizia etnica, del sovvertimento dei  sistemi politici, della repressione e dei massacri che sono stati la diretta  conseguenza dell’esperimento occidentale che è consistito nell’esportare nelle  società musulmane una visione della vita basata su un’economia di mercato  liberata da ogni controllo politico e sociale. L’occidentalizzazione e la laicizzazione  forzate della Turchia, e la brutalità del suo diventare stato nazione,  simboleggiano i peggiori aspetti del modernismo laico. Il primo argomento  toccato da Resistenza è stato questo. 
Il secondo è stato che il mito  occidentale del libero mercato, che si comporterebbe in modo da conciliare le  scelte individualistiche ed egoriferite di uomini e donne, operando attraverso  una mano invisibile per produrre le migliori condizioni di benessere umano, è  semplicemente inconciliabile con l’Islam, e rappresenta una minaccia alla sua  stessa esistenza. Si tratta di una visione costruita sui miti rappresentati  dalla mano invisibile e dall’ordine che spontaneamente e per natura emergerebbe  dal disordine della contesa egoistica e competitiva. Lo stato nazione di tipo  occidentale, la dottrina dei diritti umani e le istituzioni della democrazia  occidentale derivano tutti da questi stessi miti.
Il terzo tema affrontato in Resistenza è quello delle diverse  introspezioni religiose che sottostanno al conflitto,  quello dei temi religiosi cristiani che  stanno alla base del pensiero occidentale in materia di economia, di stato  nazionale e dei principi attorno ai quali si organizza una società. Si tratta  nella sua essenza di un conflitto che tocca sensibilità religiose profonde, che  trova poi una sua sintesi nel modernismo laico. 
Non è, invece, un confronto  schietto tra Islam e cristianesimo. La tradizione anglosassone, incarnata  dall’America, è nata da una lunga lotta tra quanto c’è di personalizzato, di  fondato sulla libera impresa e dall’accettazione del cambiamento così com’è  esemplificata da Abramo all’interno del protestantesimo, e la religiosità a  base comunitaria tipica del cattolicesimo. Queste tematiche, originariamente  protestanti, si possono vedere oggi riflesse nel linguaggio che l’Occidente  utilizza nei confronti dell’Islam. 
Un quarto argomento è dato dal  fatto che in fondo l’intera disputa può essere ridotta a due punti di vista  contrapposti su quello che costituisce l’essenza dell’essere umano.
In Resistenza si sostiene che sia successo qualcosa di importante  nell’evoluzione dell’ideologia islamica. Gli islamici, che sono stati  angustiati dal pensiero scientifico strumentale dell’Occidente allo stesso modo  di molta gente nei secoli diciannovesimo e ventesimo, si sono improvvisamente  liberati. L’importanza cruciale della Rivoluzione Iraniana è in questo fatto:  essa ha liberato gli islamici dai limiti autoimposti che derivavano loro  dall’egemonia del pensiero utilitarista. E questo è stato il quinto argomento.
L’ideologia che si è evoluta è  dinamica e sostanziale. L’Islam sta acquisendo caratteristiche tipiche delle  società aperte, unite ad una matrice di pensiero dinamica ed in evoluzione,  mentre l’Occidente sta acquisendo alcune delle caratteristiche tipiche delle  società chiuse. Questo fenomeno rappresenta un’inversione di quanto percepito a  livello popolare in Occidente, ed è anche il sesto grande tema affrontato da Resistenza. Le componenti sociali ed  economiche dell’Islam rappresentano la restituzione ideologica di una  dimensione autenticamente politica sia alla cultura che alla politica vera e  propria. Sono strumenti per la mobilitazione sociale di massa, piuttosto che  scelte di vita che contrassegnano gli ambiti personali del singolo individuo. 
Il sistema islamico ha poco  senso, se analizzato semplicemente come competitore del sistema occidentale e  giudicato per l’efficacia con cui esso riesce a raggiungere obiettivi stabiliti  con criteri occidentali. L’economia islamica può essere compresa in modo  adeguato soltanto partendo dall’aspirazione di regolare l’ambito personale  all’interno del contesto di una società collettiva ed ispirata a criteri di  giustizia. 
A differenza del progetto  occidentale, quello islamico non ha caratteristiche utopiche: rappresenta un  sistema che viene predicato partendo da una considerazione realistica della  natura umana. Non ha l’obiettivo di trasformare gli esseri umani tramite  l’azione umana, ma crede che il comportamento venga influenzato dall’esperienza  di vita compiuta in una comunità ispirata a giustizia e compassione, e da  esseri umani che si comportano gli uni con gli altri come Dio ha ordinato.
Il settimo tema affrontato in Resistenza è che il principale filone  della resistenza islamica è espressione della mentalità umana in condizioni di  avversità, e rappresenta un’evoluzione naturale di eventi che possono essere  spiegati e compresi dal punto di vista storico. 
La resistenza è un mezzo per  facilitare le soluzioni politiche perché costituisce un aiuto alla correzione  degli squilibri asimmetrici, e perché costringe l’Occidente a riconoscere  l’importanza dei principi di base necessari alla ricerca di una qualunque  soluzione. In Resistenza si distingue  tra la pratica di emancipazione di movimenti come Hamas e Hezbollah, la filosofia  di “distruggere il sistema per costruire di nuovo” tipica di AlQaeda ed i  propositi escatologici di certi gruppi salafiti. Si sostiene qui che il  fallimento dell’Occidente nel compiere simili distinzioni rafforzi i movimenti  più estremi, a tutte spese del filone principale. 
Come ottava questione in, Resistenza si asserisce che la  resistenza islamica non ha i caratteri di un “capriccio divino” più di quanto  non li abbia la violenza sistematica messa in atto dagli stati occidentali e  chiamata “legittimo uso della forza”. Entrambi hanno radici in temi religiosi.  Si sostiene che la reazione dell’Occidente alla resistenza islamica ha tirato  la volata ad un’ulteriore chiusura delle possibilità di dare spiegazioni  storiche e razionali a questa resistenza, e ad interdire ad essa tutti i mezzi  di comunicazione. Questo fatto rappresenta un riemergere delle vecchie  tematiche protestanti e laiche tese a dimostrare che gli esseri umani  dell’epoca contemporanea non hanno bisogno degli aspetti della religione che si  vivono a livello comunitario. 
Il nono argomento è che la  demonizzazione dell’Islam non è il risultato di una scarsa comprensione di esso  o un legittimo, ma in fin dei conti distorto, esercizio di capacità critiche.  La demonizzazione dell’Islam rappresenta il frutto di una deliberata operazione  ideologica che tra i suoi obiettivi ha quello di indebolire ovunque nel mondo  il liberalismo, per rafforzare il potere americano di arrogarsi il diritto ad  “azioni decisive”, e quello di giustificare un’accresciuta intromissione  americana in Medio Oriente nel perseguire gli obiettivi previsti dall’agenda  neoliberista. Gli islamici sono state in un certo senso le pedine di obiettivi  strategici conservatori, centrati sull’assicurare una sconfitta irreversibile  per il liberalismo ed il rafforzamento dell’egemonia globale americana.
Il decimo tema affrontato da Resistenza è che il perseguimento di  questi obiettivi è stato fallimentare, e che questo fallimento va addebitato ad  un modo di pensare che ha prodotto mucchi di macerie per tre secoli, e che  negli ultimi anni ha aggiunto un’altra incredibile montagna di detriti a spese  del mondo musulmano; un lascito che perseguiterà l’Occidente negli anni che  verranno.
Spiragli sul futuro
Gli argomenti affrontati in Resistenza fanno pensare che è probabile  che ci si trovi in un altro dei momenti cruciali della storia: sono state  tragedie del genere, diffuse dalla frenesia ottocentesca e novecentesca per gli  stati nazione prima e dalla moda del libero mercato poi, a far nascere la resistenza  islamica e la Rivoluzione Iraniana.  Quello che i musulmani hanno passato negli ultimi trent’anni in termini di  ideologia occidentale, occupazione militare e tentate trasformazioni a mezzo di  “terapie d’urto” sembra una spaventosa ripetizione dei disastri del ventesimo  secolo, per giunta in forma concentrata.
Questo recente atto dello  spettacolo di lunga data rappresentato dal progetto utopistico euroamericano è  probabilmente foriero di vaste conseguenze, anche se  ancora troppo presto per identificare con  chiarezza i suoi potenziali sbocchi.
Certamente esistono grosse  differenze rispetto agli anni attorno al 1920; in quel periodo, l’Islam sunnita  era disorientato e sotto shock. Il crollo del califfato aveva inferto un colpo  psicologico ad una narrativa che già doveva pensare a difendersi, ed i cui  studiosi stavano cercando di tagliare l’identità islamica a misura del pensiero  occidentale. Il marxismo stava rodendo la base della comunità dei credenti, e i  governanti di orientamento laico stavano svuotando la cultura e le tradizioni  di tutto il loro contenuto islamizzato. 
Possiamo ricordare che questo  avveniva subito dopo che l’egemonia dell’utilitarismo scientifico occidentale  aveva raggiunto il suo apice, e con esso anche una certa fase dell’ideologia  del libero mercato. Già la marea rifluiva: i progetti di ingegneria sociale  basati sul libero mercato realizzati in Europa nel XIX secolo avevano portato  tensioni e sconvolgimenti politici arrivati al limite della rivoluzione in  tutti i sistemi sociali delle grandi potenze continentali, in un processo che  era stato dominato, e condotto verso altre direzioni, soltanto dallo  sconvolgimento anche più grande rappresentato dalla prima guerra mondiale.  Attorno al 1930 il capitalismo occidentale era piombato nella Grande  Depressione, ed in ulteriori sconvolgimenti sociali.
L’atto dello spettacolo che si  sta attualmente dipanando sembra seguire il copione del secolo trascorso almeno  in un aspetto importante: l’America ed i suoi alleati hanno perseguito il loro  progetto con gli stessi velenosi propositi, in questo caso particolare con  l’aggiunta di un ingrediente extra rappresentato da una bella dose di  millenarismo di stampo protestante. In questo caso però si sono imbattuti in  una resistenza sempre più organizzata che sembra, almeno fino a questo momento,  aver avuto successo. 
Una differenza chiara tra allora  ed oggi, a parte la pressoché totale mancanza di resistenza all’epoca, è che ai  tempi industrializzazione e commercializzazione di massa erano fenomeni in ascesa,  mentre oggi la loro credibilità è in larga parte svanita.
Sotto altri aspetti i paralleli  con la storia dei primi decenni del XX secolo sembrano funzionare: lo scontento  sta montando in Europa ed in America, ed in Europa ed in America la crisi  finanziaria ed economica da lungo tempo attesa sta avanzando a grandi passi.  Come successo ai tempi, questa combinazione di fattori fa presagire seri  rovesci politici. Fa pensare anche che ci troviamo sull’orlo di un mutamento  significativo, e con esso anche degli sconvolgimenti che i mutamenti  significativi spesso comportano. 
E’ possibile intravedere un  rovesciamento dei ruoli in queste due fasi, da una parte rispetto alla  situazione e alle condizioni dei popoli europei e dall’altra parte rispetto  alle condizioni dei corrispettivi musulmani che vivono nel mondo islamico. Nel  corso degli ultimi cento anni sono stati i musulmani a vedere distrutta la  continuità politica e le strutture del loro mondo: le loro società sono state  individualizzate e nel complesso anestetizzate dal punto di vista politico.  Riemergere da questa situazione ha richiesto del tempo, ma alla fine sono  tornati sia la resistenza sia la fiducia in se stessi e l’autostima degli  islamici. L’Islam ha attraversato un periodo cupo e ne è emerso con nuovo  vigore, come una forza dinamica in grado di opporsi al neoliberismo.
Curiosamente, l’impatto del  neoliberismo in America ed in paesi come il Regno Unito ha lasciato molti dei  cittadini nelle stesse condizioni in cui si sono trovati i musulmani alle prese  con i progetti di grande laicizzazione e di modernizzazione del passato secolo:  ha indebolito e danneggiato le strutture sociali, commerciali e professionali;  ha individualizzato la società, indebolito la classe operaia e la classe media,  infranto la capacità di autoregolarsi delle comunità ed eroso i sistemi di  sostegno comunitari. Ha lasciato gli europei e gli americani in condizioni di  alienazione, a vivere in condizioni economicamente dolorose che si traducono in  un’afflizione recondita e che isola dagli altri, ed alle prese con poca  possibilità di azione politica contro una élite dagli interessi consolidati: un  quadro molto simile a quello dei musulmani nei tempi di occidentalizzazione  forzata che seguirono la fine del califfato.
Tutto questo costituisce una  sorta di inversione dei ruoli: i cittadini europei sembra stiano provando, come  risultato di aver fatto da cavia per un rinnovato esperimento neoliberista, un  po’ quello che hanno provato i musulmani nel corso dell’ultimo secolo, anche se  chiaramente gli europei non hanno dovuto passare gli orrori del massacro e  della pulizia etnica intesi come parte dell’esperimento in corso. Sarebbe  interessante chiedersi, ma la cosa esula dall’argomento del libro, se la  risposta dei popoli europei a tutto questo si tradurrà in un rinnovamento della  politica ed in azioni di protesta, come è successo per i musulmani. 
Nelle società musulmane i tempi  della protesta non sono certo finiti. Il progetto occidentale può anche  trovarsi in una fase di caos, ma l’Occidente rimane molto potente in termini di  forza militare. La sua “grande narrazione” può aver perso mordente o aver perso  di legittimazione per la maggior parte del mondo, ma il prevalere della potenza  di fuoco sull’autorità morale sta lì a ricordare che i poteri imperiali non  hanno mai abbandonato le proprie posizioni di supremazia rapidamente o  facilmente.
Sembra probabile che l’Occidente  dovrà preoccuparsi, nei prossimi anni, della propria crisi economica e che  inevitabilmente questo determinerà un restringersi del sostegno per una  politica estera basata sull’interventismo. L’America ha attraversato  circostanze di questo genere alla vigilia del fallimento in Vietnam, ma anziché  intervenire direttamente per proteggere il vantaggio americano dai contendenti  decise di incoraggiare le forze schierate dalla stessa parte e di promuovere  movimenti frontali in paesi dell’Africa, ad esempio, per continuare così a  combattere la sua guerra fredda contro l’Unione Sovietica.  
Nel Medio Oriente continueranno  ad esistere e a minacciare di sfociare in guerra aperta tensioni dinamiche  strategiche di fondamentale importanza, soprattutto tra uno stato d’Israele  apparentemente incapace di raggiungere la pace con i paesi confinanti ed un  Iran in ascesa che sfida il dominio militare israeliano nella regione. I  fallimenti della politica occidentale hanno lasciato alcuni politici musulmani  allo scoperto e passibili di subire minacce: alcuni stanno già rispondendo  tentando di incoraggiare l’azione delle forze reazionarie dei salafiti radicali,  per contrastare l’influenza sciita. Questo sta già minacciando di introdurre  elementi di instabilità settaria in alcune zone della regione. 
Ancora più importanti nei  prossimi anni saranno le conseguenze economiche e sociali di tre elementi  separati ma ricchi di legami tra loro. Uno è la crisi economica iniziata in  Occidente; il secondo è la crescita del prezzo delle derrate alimentari, che ha  cause strutturali proprie oltre al premere dell’inflazione della moneta, ed il  terzo è la probabilità che gli alti costi dell’energia danneggino tutti i  settori dell’economia.
Questa perversa combinazione di  prezzi crescenti e di crisi economica piomba su una regione il cui tessuto  sociale è stato stirato fino a diventare trasparente. In Occidente le economie  del Medio Oriente vengono dipinte come contesti che sono stati in grado di  trarre dei vantaggi dalla globalizzazione economica, ma questo è un mito: i  super ricchi della regione hanno di sicuro conosciuto ulteriore prosperità, ma  la grandissima parte dei quattrocento milioni di abitanti della regione ha  trascorso un decennio di redditi reali in sensibilissima diminuzione, con  l’assottigliamento delle classi medie. 
Significative e crescenti  percentuali della popolazione musulmana adesso vivono in condizioni di assoluta  povertà, laddove gli appartenenti alla élite dominante sono diventati  sensibilmente più ricchi e ancora più distaccati dalle comunità cui pure  risalgono le loro origini, preferendo aggregarsi alla carovana dei super ricchi  che si sposta per le sedi di cui dispone in tutto il mondo ed in cui i suoi  appartenenti possono godere ciascuno della compagnia dell’altro. 
La crescita dei prezzi, insieme  al diminuire dell’occupazione, si andrà ad aggiungere alla miseria dei molti  musulmani che già vivono come lavoratori immigrati in condizioni che ricordano  più la schiavitù legalizzata che non le costruite credenze occidentali nei  benefici della libertà economica del capitalismo globalizzato. Il prezzo in  forte crescita delle derrate alimentari che si è già verificato e che  continuerà a verificarsi nei prossimi anni significa l’indigenza per coloro che  già vivono in povertà: non soltanto il fare un nuovo buco alla cintura dei  pantaloni, come molti potrebbero pensare. Dobbiamo attenderci una crescita del  radicalismo politico e, con il crescere del disagio, un rivolgersi all’Islam.
Il successo dei movimenti  islamici dipenderà in larga parte dal loro avere successo nell’offrire ai  settori sociali disagiati ed impoveriti un chiaro modello alternativo a quello  occidentale, sul piano economico e sul piano sociale. E’ probabile che il  terreno dello scontro ideologico dei prossimi anni sia proprio questo.
Il miscuglio costituito dalla  prolungata permanenza militare statunitense nelle società musulmane, di tumulti  sociali e politici che nascono dalla crisi economica e dall’incremento  demografico, dalle dinamiche delle tensioni strategiche che si traducono nel  favorire le lotte condotte per procura a livello locale è potenzialmente  letale; questo significa che è possibile che si stia entrando in un periodo di  concreta fluidità, di concreta tensione e di veri cambiamenti.
Se il primo atto del progetto  occidentale nell’ultimo secolo ha causato la nascita dell’ideologia islamica,  sembra che questo secondo atto produrrà nel corso del suo dispiegarsi  cambiamenti politici di vasta portata. E’ possibile che le forze distruttive, a  doppio taglio e potenzialmente anarcoidi liberate dagli sconvolgimenti  economici possano mettere in moto fenomeni al di là del possibile controllo di  qualsiasi movimento politico; questo è un rischio reale, ma probabilmente anche  uno scenario troppo pessimistico. 
L’evento più significativo che è  emerso dalla Rivoluzione Islamica è rappresentato dalla liberazione del  pensiero dalla lunga tutela cui lo ha sottoposto la tirannia dell’utilitarismo.  “Siamo liberi di utilizzare di nuovo la ragione, in tutta la sua pienezza”, ha  notato il capo di Hezbollah. Gli ultimi anni hanno introdotto una corrente di  nuove idee nel mondo musulmano, come abbiamo cercato di dimostrare negli ultimi  capitoli di questo Resistenza.  Raymond Williams concludeva il suo Cultura  e società, 1780-1950 con questo commento:
Esistono  idee e modi di pensiero che possiedono al loro interno il seme della vita,  mentre ce ne sono altri, probabilmente profondamente riposti nella nostra  mente, che possiedono invece i semi di una morte generale. La nostra capacità  di riconoscerli e di dare loro un nome, rendendo possibile a tutti di  riconoscerli a loro volta, può forse fornire letteralmente la misura del nostro  futuro
14.
 
Il magistrato di servizio alle  estreme frontiere dell’Impero, turbato da quanto si stava facendo in nome  dell’Impero stesso e per reazione ai distorti valori umani del colonnello Joll,  aveva riconosciuto e dato un nome a quelle idee, a quel modo demenziale di  pensare che aveva al suo interno i semi di una serie di tragedie; nel suo modo  confuso, ma istintivamente giusto, combatteva la sua guerra fatta di piccoli  atti ribelli di umana solidarietà. Riaccompagnò alla sua tribù la ragazza  barbara torturata e ferita.
Come sarà il nostro futuro può  dipendere da quanti altri in Occidente proveranno di essere pronti a criticare,  a compiere lo stesso gesto simbolico di solidarietà compiuto dal magistrato, e  a seguire gli uomini d’affari sudafricani che capirono che era necessario  riconoscere la loro situazione e, come l’ateniese citato da Platone, si misero  al lavoro per riportare la politica verso la sicurezza della terra ferma.  
1 J.M. Coetzee, 
Waiting for the Barbarians, London:  Penguin, 1982.
 
4 Terry Eagleton, 
Holy Terror, Oxford: Oxford University  Press, 2005, p. 11.
 
5 J.M. Coetzee, 
Waiting for the Barbarians, p. 108.
 
6 Citato da Arun Kundnani, 
The End of Tolerance, London:  Pluto Press, 2007, p. 12.
 
7 Michel Foucault, 
‘Qu-est-ce que les Lumières?’, in Paul Rabinow (ed.), 
The Foucault Reader, London: Penguin  Books, 1991,pp. 32–50.
 
10 Michel Foucault, 
The Archaeology of Knowledge and the  Discourse on Language, New York:  Pantheon, 1972, p. 224.
 
11 Michel Foucault, 
‘Qu’est-ce que les Lumières?’ 
12 Citato da  Slavoj Žižek, 
Violence, London: Profi le Books, 2008, p. 160.
 
13 Jean-Paul Sartre, nella  pretazione a Frantz Fanon.  
The Wretched of the Earth, New York:  Grove Press, 2004, p. 11.
 
14 Raymond Williams, Culture and Society  1780–1950, London:  Penguin, 1985, pagina conclusiva.