Visualizzazione post con etichetta Viaggi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Viaggi. Mostra tutti i post

24 settembre 2016

Il Babylon Cafè di Castel del Piano (GR)



Il Babylon Café si trova in via dell'Opera a Castel del Piano (Grosseto).
Tè e caffè come in una chaykhune, una sala intera dove ci si ammazza di domino e di backgammon, la terrazza con i tapchan fatti di pallet e tappeti e dietro la cassa un foglio di carta dove il gestore annota i sospesi.
Un posto normale, nel bel mezzo della penisola italiana.

11 settembre 2015

Panorama per l'undici settembre


Località Torre mozza.
Lungo la costa tirrenica, nei pressi di Piombino.

18 giugno 2010

Kirghizistan: nessuna Neda per le vie di Osh


Kirghizistan, il Tien Shan a sud di Bishkek, estate 2008.

Il Kirghizistan è una repubblica centroasiatica divisa in modo abbastanza netto in due parti da una catena montuosa che va grosso modo da est ad ovest. La capitale è decentrata rispetto al resto del paese e sorge praticamente sulla frontiera kazaka. La maggior parte delle frontiere tra i paesi dell'Asia Centrale, segue percorsi capricciosi per non dire assurdi; sono state tracciate durante lo stalinismo da qualcuno, forse lo stesso იოსებ ბესარიონის ძე ჯუღაშვილი, che ha fatto di tutto per dare l'impressione di essersi messo a giocare al geografo dopo una nottata passata ad alzare il gomito. Stati "nazionali" mai esistiti prima di allora si sono dunque trovati ad amministrare territori abitati da popolazioni commiste, mantenute al loro posto dalla polizia politica, dalla prospettiva della deportazione e da qualche offa come la carriera militare.
La "libertà" d'ufficio seguita al collasso dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha lasciato dappertutto al loro posto i vecchi apparati di potere, che in qualche caso hanno scricchiolato soltanto grazie alla rovinosa intromissione amriki ed alle ingerenze statunitensi travestite da rivoluzioni.
Nel 2005 una "rivoluzione dei tulipani" portò alla presidenza Kurmanbek Salievič Bakiev, in mezzo al tripudio di prammatica dei mass media "occidentali", in blocco penzolanti dalle labbra dei manutengoli, dei lobbysti, dei buoni a nulla, degli incompetenti viziati, dei maneggioni e della spazzatura con la cravatta cui la presidenza amriki dava in blocco il curioso nome di "consiglieri politici".
Nel 2010, finita nel tubo di scarico una "era Bush" contrassegnata da politiche semplicemente forsennate e da una sostanziale serie di fiaschi militari (l'Afghanistan occupato dal 2001 e in preda alla guerriglia, l'Iraq aggredito nel 2003 segnato da una quotidianità sanguinosa e tenuto solo profondendo risorse a piene mani), sono finite nel tubo di scarico anche le "rivoluzioni colorate", con protagonisti e comprimari lasciati più che altro al loro destino.
Il Kirghizistan di oggi è un paese in cui è ancora forte la presenza russa ed in cui la popolazione vive in buona percentuale di pastorizia e soprattutto di allevamento di cavalli, con un nomadismo per lo meno stagionale perché in molti lasciano i centri abitati in estate per seguire le mandrie in alta quota, vivendo nelle yurte. Le montagne altissime che costituiscono la quasi totalità del territorio sono inframezzate da valli profonde, irrigate con cura e destinate all'agricoltura intensiva.
Proprio la presenza e gli interessi russi possono aver rappresentato un fattore che Bakiev ha ignorato, facendone immediatamente le spese, nella costruzione di un potere personalistico e clientelare perfettamente in linea con quello del suo predecessore e caratterizzato da una disuguaglianza sociale in crescita, al pari dei prezzi al dettaglio. Unica differenza, che rappresentava poi l'obiettivo primario delle "rivoluzioni colorate", l'orientamento favorevole agli amriki in politica estera, tradotto nell'ospitalità concessa ai loro militari nell'aeroporto Manas di Bishkek.
Rieletto alla fine della seconda presidenza Bush secondo metodi e percentuali che fanno gridare allo scandalo ogni volta che vengono messi in pratica da chiunque non sia perfettamente in linea con gli interessi amriki ma che in questo caso -ovviamente- nessuno ha pensato di contestare, Bakiev è stato cacciato dal paese da una sommossa popolare che prima ha costretto all'esilio lui e poi, dopo essere sfociata in sanguinose rese dei conti a carattere interetnico, tutta la minoranza uzbeka del paese, costituita da centinaia di migliaia di persone che si sono accalcate alle frontiere e sono entrate in Uzbekistan creando in poche ore un'emergenza umanitaria.

La città di Osh vista dall'altura detta Trono di Salomone, estate 2008.

La presidenza ad interim è riuscita a sedare gli scontri soltanto richiamando alle armi tutti gli uomini validi; al 18 giugno 2010 il conto assomma, solo per la zona meridionale di Osh, ad oltre centonovanta vittime secondo stime per difetto.
Che non tutti i morti siano uguali, specie per le gazzette, costituisce un dato di fatto.
La situazione in Kirghizistan è relegata alle pagine interne, ai secondi piani, ai trafiletti, alla pagina del folklore; pare impossibile ma nessun avanzo di redazione ha ancora trovato qualche foto di Miss Bishkek senza vestiti da mettere in prima pagina.
Scarseggiano in particolare le foto di manifestanti avvenenti, nonostante abbiamo avuto modo di constatare di persona che le belle ragazze non mancano neppure sul Tien Shan; meno che mai si hanno filmati e racconti strazianti di agonie in mezzo di strada a mezzo di proiettili dal vagabondaggio più o meno intelligente.
Il messaggio non potrebbe essere più preciso. Non essendo in discussione almeno nell'immediato alcun obiettivo economico o geostrategico -il governo ha assicurato che gli interessi amriki non saranno toccati in alcun modo, in particolare la presenza all'aeroporto Manas- ed essendo la popolazione "libera" di sperperare risorse in tutti i beni di lusso che crede senza che lo hijab ne ostacoli l'ostentazione, il popolo kirghiso tulipanescamente redento può farsi ammazzare in santa pace lontano dalle cronache.

24 agosto 2009

Per una moschea a Firenze: lo stile della moschea Behram paşa (Diyarbakir, Curdistan)


Diyarbakir. La moschea Behram paşa.

Non è una novità per i lettori che questo blog sia apertissimamente favorevole all'edificazione di una moschea a Firenze. Una moschea che sia degna della città, come degna della città si volle che fosse, oltre un secolo fa, la sinagoga di via Farini, che dal 1882 fa bella mostra di sé nel panorama fiorentino.
Un viaggio in Anatolia ci ha mostrato esempi perfettamente compatibili, e con adattamenti davvero minimi, alla storia architettonica fiorentina e toscana.
La moschea di Behram paşa, nella città curda di Diyarbakir, è un ottimo esempio di quanto potrebbe essere realizzato in città: situata a sud ovest del centro cittadino di Diyarbakir non lontano dalle strade destinate al commercio tradizionale, la moschea fu edificata nel 1572 per volontà del governatore di allora ed è a tutt'oggi oggetto di ammirazione per la linea elegante dei suoi archi.

Per una erigenda moschea fiorentina, l'impostazione di massima dell'edificio potrebbe essere ripresa senza alcuna modifica sostanziale; l'unico intervento da considerare con attenzione dovrebbe essere volto a portare il numero dei minareti da uno a quattro, uno per ciascun angolo della costruzione.
Diverso il discorso per i materiali: i rivestimenti potrebbero essere realizzati in serpentino e marmo di Carrara, realizzando un edificio non soltanto di alto pregio architettonico, ma rispettosissimo della storia architettonica locale. Un po' del materiale potrebbe essere addirittura ottenuto con un'operazione di recupero, radendo al suolo l'irriferibile e inguardabile "pensilina degli autobus" che dal 1990 deturpa impunemente piazza Stazione e che ci causa tali moti di disgusto da farci ritenere che un candidato a sindaco che in tutti questi anni ne avesse seriamente proposto la distruzione sarebbe stato sicuramente eletto con largo suffragio, indipendentemente dalla collocazione politica.
Per la localizzazione, non sapremmo identificare sede migliore di Piazza Ghiberti: la demolizione degli edifici sul lato est della piazza, previa estinzione assoluta e radicale delle attività che a tutt'oggi vi si svolgono indisturbate e che nel corso degli anni hanno portato ad un degrado autentico della vita sociale fiorentina, aprirebbe tutto lo spazio necessario all'edificio.
Le risorse economiche dovrebbero essere interamente di provenienza pubblica: il congedo di un numero infinitesimo degli appartenenti a questa o quella gendarmeria, una delle molte armate e retribuite dallo stato che occupa la penisola italiana, dovrebbe permettere di destinare alla costruenda opera fondi consistenti, l'ottimo impiego dei quali sarebbe testimoniato dai fatti.

Mihrab e minbar della Behram paşa.


30 novembre 2008

Murgab, Tagikistan, agosto 2008


Durante gli inverni terrificanti dopo il crollo dell'Unione Sovietica la popolazione del Pamir è letteralmente scampata alla morte per fame grazie agli aiuti umanitari inviati dall'Aga Khan. Adesso le cose vanno appena appena meglio; gli ingranaggi dell'emigrazione che fanno prendere la strada di Mosca a tutta la popolazione valida si sono rimessi in moto. Un chiosco-bar lungo la strada del mercato, a Murgab, permette di provare la cucina locale, che in un territorio montagnoso povero d'ogni cosa è a tutt'oggi basata sull'inventiva, la speranza e, quando c'è, qualche materia prima.
Minestra con laghman e verdure, frutta secca, tè leggero e uno sciroppo fosforescente con molta acqua. Alle pareti, poster della fondazione Aga Khan pubblicizzano il sale iodato, l'importanza dell'igiene e di un'alimentazione sana.
Intuita la provenienza geografica della decina di commensali, le due donne presenti in cucina accendono uno stereo portatile che ci agghiaccia con i Ricchi e Poveri e Toto Cutugno, che stanno alla quotidianità tagika come un cappello stellato da fata starebbe in testa ad un olimpico di boxe.
A pranzo finito si commenta comunque la cosa, trovandola giusta ed appropriata. Uno storico del futuro -un futuro neanche tanto remoto, diciamo una cinquantina d'anni- che indaghi l'inizio del XXI secolo noterà subito che all'epoca la Repubblica Popolare Cinese spiccava per l'affannoso sviluppo economico, la Repubblica Islamica dell'Iran per il nucleare e per le energie alternative, il Nepal per essere passato da un assetto statale monarchico ad uno repubblicano e federale, lo stato che occupa la penisola italiana per Toto Cutugno.


05 ottobre 2008

Asia centrale, agosto 2008



Nella foto, gli avanzati laboratori linguistici per l'apprendimento della lingua inglese a disposizione dei cittadini kirghisi.

Il piccolo pullman Mercedes -non traballante, non vecchio, non maltenuto, questo blog non ama i luoghi comuni- che ci sta portando da Osh a Bishkek si ferma in mezzo alla piana; si scende, ci si guarda un po' in giro, si fanno due passi per sgranchirsi un po'. La strada è ancora lunga e la giornata anche.
Siamo in un quadrivio: due strade che si incrociano formando quattr'angoli da novanta e quattro quadranti cartesiani. Nel primo, un distributore di benzina chiuso. Nel secondo, prato. Idem nel terzo. Nel quarto, la notevole eccezione di qualche pecora.
Arriva un signore sui cinquanta o sessant'anni vestito all'uso locale: stivali alti di cuoio, giubba con cintura, ak kalpak ricamato. Tutti i denti visibili sono d'oro. "Hello, how are you?". Si risponde, si scambiano nomi e si riassumono situazioni coniugali e stati civili, secondo la cortesia centroasiatica. Visto il luogo e il personaggio, sarebbe logico aspettarsi che la conversazione languisse dopo i convenevoli... se non che il nostro interlocutore mostra una conoscenza della lingua inglese piuttosto approfondita che lo mette in grado di discorrere d'un sacco di cose e di questioni; all'autista però la cosa interessa -diciamo- in modo un tantinello relativo; c'è da andar via. "Where did you learn english? You are fluent!" "Here!". Here. Sotto il Tien Shan.
Giorni dopo, in Tagikistan. Nel paese ci sono diverse sorgenti termali e sulla strada lungo il confine afghano ci fermiamo in un Sanatorium con sale comuni e da pranzo, camere, divani enormi, tendaggi pesanti e quanto di meglio si potesse desiderare in fatto di eleganza ai tempi di Breznev. Una pausa gradita, ché è qualche giorno che siamo in giro per una strada sterratissima a mezza costa. Una ragazzina sui tredici anni ha voglia di parlare un po'; altro scambio di convenevoli come sopra, ed altrettanta se non migliore padronanza dell'inglese. "I have never been out of Tadjikistan, never left Korog district", dice. E racconta anche un'altra cosa interessante. La scuola tagika insegna in russo e in tagiko, e l'inglese è materia corrente per tutti. Il che permette di concludere, con buona approssimazione, che i quattordicenni di un paese che per tre quarti della sua estensione non ha un metro di terra coltivabile ed in cui gli abitanti di zone grandi quanto la Toscana sono vissuti per anni grazie agli aiuti dell'Aga Khan (c'è il suo ritratto in molte case) hanno la possibilità di padroneggiare con sicurezza almeno tre lingue, l'una diversissima dall'altra.
In altre parole, in piena Asia centrale, in località che i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana non saprebbero da che parte cominciare per trovarle su una carta, esistono persone cui le circostanze di vita per lo meno scomode, giusto per non esagerare con gli aggettivi, non hanno impedito di sviluppare competenze di assoluto rispetto. Il sistema di istruzione sovietico? L'ascolto di Voice of America? Chi lo sa. La cosa dà da pensare. Dà da pensare soprattutto che in Asia centrale l'ignoranza sia percepita come uno handicap grave, come qualcosa di cui per lo meno vergognarsi. L'esatto contrario di quello che succede da anni nella penisola italiana, in cui l'incultura, la scortesia, la bassezza, lo sporco anche morale vengono percepiti come valori da difendere, trovano ogni sorta di giustificazione ed in estesi settori produttivi aiutano tranquillamente a far carriera.
La guerra dichiarata contro "quelli che ci portan via il lavoro" nasconde anche e soprattutto realtà come quella di cui si è data breve nota. Ma abbiamo ragione di pensare che il riflettere sulla questione sia ormai fuori della portata del comune sentire, roba da poeti se non da "comunisti".